La strage del pane: la vigliaccheria della guerra attraverso la fame

Correva l’anno 1944, era il 19 ottobre e la Sicilia aveva fame. Palermo aveva fame. Le sue figlie e figli chiedevano pane e pasta per potersi sfamare.

La strage del pane: il coltello nella piaga dei popoli dilaniati

Palermo era stata violentata dai bombardamenti alleati, il centro storico era inagibile, migliaia di sfollati vivevano d’espedienti per sopravvivere al quotidiano. Il disagio era in ogni angolo. Le promesse di venti anni di fascismo si erano risolte in: miseria, morte, fame e distruzione.

Secondo la storia ufficiale, il 1943 fu l’anno della fine della guerra per gli italiani del sud Italia.

La narrazione portata avanti, la descrizione di violenze risparmiate al sud grazie all’armistizio, descrivendo le genti del sud come liberati e posti immediatamente sotto la tutela delle truppe fedeli al Re d’Italia, non corrisponde al vero. In realtà, il piombo, per i siciliani, non finì nel 1943. E a parlar col piombo ai siciliani fu lo stesso esercito regio italiano, che quei cittadini avrebbe dovuto scortare e proteggere.

Fonte: https://palermo.anpi.it/2015/10/20/la-strage-di-via-maqueda-19-ottobre-1944-19-ottobre-2015/

 

Antefatti della prima vergogna dell’Italia liberata

Il 19 ottobre 1944, a Palermo, una folla spontanea di circa tremila cittadini provenienti da tutte le classi sociali e dai settori lavorativi più disparati si radunò spontaneamente, per protestare contro il caro vita, che aveva reso impossibile vivere. La folla chiedeva a gran voce pane e pasta per potersi sfamare.

Le persone marciarono disarmate verso la prefettura, che aveva sede in via Maqueda.

Tuttavia non vennero ricevute, il prefetto non era neanche presente in sede.

La folla sfogò la propria disperazione e frustrazione facendo baccano, battendo con pietre e bastoni sulle saracinesche, come per esorcizzare una fame che non passava e non poteva passare.

Era il grido degli impotenti, il pianto dei disperati. Il suono del malessere era la triste colonna sonora della vergogna dell’umanità, ovvero quel fenomeno chiamato guerra.

Il fascismo non è solo un ideologia. Il fascimo è l’espressione politica del modus operandi dei militari

Il viceprefetto, che si trovava all’interno della struttura, allarmato dal baccano, chiamò l’esercito, temendo un assalto alla prefettura. I soldati del regio esercito italiano arrivarono e furono accolti con il lancio di alcuni sassi.

Il popolo aveva fame, e lo Stato rispondeva inviando uomini armati. La rabbia è un sentimento umano, e il popolo era arrabbiato.

La fame non è un capriccio, non è un vezzo, è una necessità e scongiurarla è il dovere di ogni governo. E quel 19 ottobre 1944, lo Stato (ex fascista) non rispose distribuendo sacchi di farina, ma regalando colpi di fucile e bombe a mano.

L’esercito italiano, arrivato davanti la prefettura di Palermo, aprì immediatamente il fuoco, provocando la morte di 24 civili, tra cui anche donne e bambini, e oltre 158 feriti.

La prima strage di Stato dell’Italia Liberata avvenì a Palermo, nel modo più vile. L’esercito italiano si macchiava d’infamia all’infuori della Repubblicà di Salò, e lo faceva sparando sui propri cittadini, disarmati, rei di domandare il pane.

Il fascismo era stato dichiarato decaduto nel Sud Italia, ma non era decaduto nel cuore di chi rappresentava lo Stato.

Questa vile pagina d’Italia verrà insabiata dalla storeografia ufficiale, e la prima targa e commemorazione ufficiale della strage del pane verrà posta a Palermo solo nel 1994.

Fonte: https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/palermo-la-strage-del-pane-e-un-silenzio-lungo-80-anni/

Da Palermo a Gaza

La vergogna e la vigliaccheria, insite nel braccio di chi veste una divisa e spara su civili innocenti che hanno solo fame, non è una pagina relegata al solo passato degli orrori della Seconda guerra mondiale, su cui scrivo oggi. Questa vigliaccheria sta avvenendo tutt’ora e quotidianamanete, in scala maggiore e ancora più subdolamente.

La strage del pane è avvenunta il 19 ottobre 1944  a Palermo. Ma a Gaza, oggi, nel 2025, l’esercito israeliano sta compiendo stragi del pane in maniera sistematica, causando centinaia di morti tra la gente affamata che si reca ai centri di distribuzione del cibo. Centri costruiti e designati dagli stessi israeliani con la complicità americana.

Dopo aver affamato due milioni di persone per venti mesi, imponendo il blocco totale di cibo e acqua su Gaza, l’esercito israeliano ha progettato dei centri di distribuzione di beni di prima necessità che, però, sotto l’indifferenza del mondo, si sono trasformati in poligoni di tiro dove soldati israeliani sparano senza rimorso su sagome umane.

Uno squid game reale.

Come detto dalle stesse autorità israeliane, i palestinesi sono ”animali umani’. Dunque, tutto è permesso.

I nostri governi sono complici. Complici del silenzio e dell’immobilismo. Si nascondono dietro banali dichiarazioni, mentre a livello istituzionale continuano a collaborare con uno Stato che si dichiara democratico mentre continua impunemente a commettere deliberate stragi del pane.

La storia ce ne chiederà conto, e a pagarlo saremo tutti noi.

 

25 aprile: la Festa della Liberazione e il Comitato messinese di liberazione nazionale

Il 25 aprile di 76 anni fa il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) assume il potere “in nome del popolo italiano e quale delegato del Governo italiano” e proclama lo sciopero e l’insurrezione generale contro l’occupazione nazifascista.

È questo il giorno che viene scelto simbolicamente per ricordare e festeggiare la Liberazione, sebbene gli scontri proseguirono ancora per qualche giorno. La legge n.269 del maggio del 1949 fissa ufficialmente la data del 25 aprile quale “festa nazionale”, confermando un precedente decreto del 22 aprile del 1946 con il quale si stabilisce che il 25 aprile, da quel momento in poi, sarebbe stata la “festa della Liberazione”.

La Resistenza e i Comitati di liberazione nazionale

Questo giorno è ricordato per celebrare la fine dell’occupazione nazi-fascista, ma anche per onorare l’apporto dato dalla Resistenza alla guerra di Liberazione.

La Resistenza è diretta dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) -e dalle sue ramificazioni-, formazione interpartitica che riunisce, nonostante le diverse e contrapposte ideologie, i partiti tradizionali antifascisti, ridotti al silenzio durante il ventennio mussoliniano.

I CLN conducono l’opposizione al nazifascismo e si occupano della gestione locale del potere con una precisa volontà di rinnovamento.

Risulta arduo descrivere in modo univoco il fenomeno dei CLN, poiché molti di essi presentano storie e caratteristiche peculiari. È comunque possibile notare delle chiare differenze fra i CLN centro-settentrionali e i CLN meridionali.

Partigiane in marcia – Fonte: fanpage.it

La Resistenza nel meridione

la storiografia, infatti, sottolinea come il Sud non ha conosciuto un movimento di Resistenza e guerra partigiana, a causa della precoce liberazione dei territori situati a sud della linea Gustav.

Difatti, la Sicilia è la prima ad essere liberata. Gli anglo-americani sbarcano sulle coste siciliane tra il 9 e il 10 luglio del 1943 e poco più di un mese dopo l’Isola è libera; in pochi mesi, le forze Alleate liberano gli altri territori meridionali della penisola italiana.

Quindi, per ragioni storiche, il Sud non ha partecipato alla Resistenza. Ma le cose non stanno proprio così.

La “Quattro giornate di Napoli” (27-30 settembre 1943), emblema della Resistenza nel meridione – Fonte: vesuviolive.it

Il meridione ha dato il proprio contributo alla guerra di Liberazione, costituendo i CLN ed, in particolare, con il sacrificio di molti uomini. Infatti, non è per nulla trascurabile la percentuale di partigiani meridionali che hanno combattuto la guerra partigiana nelle terre settentrionali.

Ed in particolare è proprio la Sicilia che spicca in tal senso: sono i siciliani che, tra le regioni del sud, contribuiscono con il maggior numero di uomini e donne, quest’ultime lontane dal fronte, ma fondamentali nelle azioni di resistenza passiva, sabotaggio e boicottaggio. Giovani e meno giovani, gente comune che ha donato il proprio sangue, ma anche uomini leggendari come Pompeo Colajanni, conosciuto con lo pseudonimo di “Nicola Barbato” e fondamentale nella Liberazione di Torino, e figure del calibro di Girolamo Li Causi e di Salvatore di Benedetto.

Il partigiano Pompeo Colajanni – Fonte: anpi.it

Il Comitato messinese di liberazione nazionale

A Messina -liberata il 17 agosto 1943- si costituisce il Comitato messinese di liberazione nazionale (CMLN). Formatosi il 25 novembre del 1943, il Comitato messinese inizia la sua attività poco più di un mese dopo, ribadendo la sua continuità con il Fronte unico dei partiti politici antifascisti.

Diversi gli esponenti che ricoprono il ruolo di Presidente del Comitato, tra cui Ettore Miraglia, Nunzio Mazzini Gentile, Eugenio Marotta, Giuseppe Romano e Placido Lauricella; la figura, però, più importante è senza dubbio quella dell’avvocato socialista Franco Fabiano, che ha ricoperto la carica di segretario.

Il CLN messinese non spicca per organizzazione e praticità: ben presto una parte di esso provoca una scissione con la creazione di un ulteriore Comitato di liberazione.

Inoltre, il giudizio di Antonio Stancanelli (prefetto di nomina AMGOT) e di Luigi Stella (prefetto di carriera, sostituto di Stancanelli) non è positivo; essi evidenziano la non eccelsa organizzazione, la mancanza di collaborazione ed un’eccessiva litigiosità. In effetti, non pochi sono i contrasti e le divisioni, parecchie le questioni irrisolte e le soluzioni arrivano con un certo ritardo.

L’ingresso dei soldati anglo-americani a Messina – Fonte: normanno.com

L’incertezza e la diffidenza

È doveroso comunque ricordare che, seppur liberata, la Sicilia vive un momento di profonda incertezza.

I CLN siciliani, infatti, svolgono la propria attività in un contesto particolarmente complicato per la presenza del MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia); inoltre il “risveglio” della mafia agraria -tornata in auge sfruttando sia il mercato nero sia le nomine presso le piccole amministrazioni comunali- complica la situazione.

Queste circostanze esterne influenzano negativamente anche il CLN messinese; inoltre la popolazione non esprimeva una grande considerazione nei confronti del Comitato, ma anzi un atteggiamento quasi diffidente e di poca fiducia.

Gli anni di transizione dal regime fascista e al nuovo Stato repubblicano saranno fondamentali per la città di Messina, alla ricerca di una sua identità e della rinascita politica.

 

Francesco Benedetto Micalizzi

Fonti:

Messina negli anni Quaranta e Cinquanta, Istituo di Studi Storici Gaetano Salvemini – Messina, Atti di Convegno 1998, Sicania, Messina

 

Immagine in evidenza:

La Resistenza di Torino – Fonte: radiogold.it