Vaccini anti-Covid-19: passi in avanti anche per i più piccoli

La campagna vaccinale anti-Covid-19, iniziata negli scorsi mesi, sta coinvolgendo unicamente la popolazione adulta. Nel contempo, le più importanti case farmaceutiche internazionali hanno iniziato dei trials clinici volti a documentare l’efficacia della vaccinazione per la protezione dei più piccoli. Si propone di seguito un’aggiornata rassegna delle novità emergenti riguardo la fascia di età pediatrica.

Punti Chiave:

La Vaccinazione pediatrica

Prevenire la trasmissione del COVID-19 nei bambini rappresenta uno strumento di salute pubblica cruciale per arrestare la Pandemia da Coronavirus. Solo in tal modo si potrà garantire un ritorno alle attività ricreative e ad una relativa normalità.

Nei mesi scorsi, visto il dilagare dei casi di malattia, le sperimentazioni cliniche si sono soffermate sulla ricerca di un vaccino efficace sulla popolazione adulta. L’obiettivo è quello di porre freno alla diffusione del Covid-19  anche fra i più piccoli.

L’ EMA è in attesa di ulteriori dati per autorizzare la vaccinazione pediatrica. Attualmente, sia in Italia che in Europa, i vaccini non sono raccomandati per bambini di età inferiore a 16 anni (Comirnaty di Pfizer-BioNtech) e a 18 anni (Moderna, AstraZeneca e Janssen di Johnson & Johnson).

In attesa dei prossimi sviluppi, emerge indubbiamente l’importanza dell’attuazione delle corrette metodiche di protezione e prevenzione anche tra la popolazione pediatrica: principalmente si tratta dell’ uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI), del corretto ed accurato lavaggio delle mani e delle norme di distanziamento. Tali semplici regole, se scrupolosamente seguite, risultano fondamentali per ridurre la trasmissibilità di malattia, soprattutto in una fascia di età così incline allo svolgimento di attività ludiche o di altro genere che potrebbero costituire un veicolo di trasmissione.

Fonte: Fondazione Umberto Veronesi

Manifestazioni del Covid-19 in età pediatrica

All’esordio, la Pandemia da Coronavirus è stata dilagante prevalentemente tra la popolazione adulta. Invece, il numero di casi tra i bambini è stato significativamente inferiore. Questo è probabilmente la conseguenza di un’errata sotto-diagnosi, dato l’elevato numero di bambini asintomatici. Infatti, il decorso della malattia è solitamente lieve e autolimitante nei bambini precedentemente sani, e si associa unicamente alla presenza di tosse, febbre e mal di gola.

Per contro, l’infezione grave da Covid-19 è stata osservata soprattutto in bambini molto piccoli o con comorbidità, proprio come avviene negli adulti con pluri-patologie.

In alcuni bambini, con probabile predisposizione genetica ad una risposta immunitaria iperattiva all’infezione, è stata descritta una Sindrome Infiammatoria Multisistemica. Essa sembrerebbe condividere delle caratteristiche cliniche con la  Malattia di Kawasaki, ma secondo le indicazioni dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e della WHO, si tratta di una forma da distinguere dalla prima e ancora in via di definizione.

I dati clinici sui piccoli pazienti derivano dai numerosissimi articoli scientifici inerenti il quadro clinico in età pediatrica. L’obiettivo degli studiosi è quello di ottenere informazioni sempre più dettagliate, ai fini di comprendere le implicazioni cliniche della malattia nei più giovani e le possibili strategie terapeutiche.

Ciò che emerge è che i bambini con infezione da Coronavirus rientrano principalmente all’interno di cluster familiari di casi e hanno un tasso di mortalità significativamente inferiore rispetto agli adulti. Sebbene la tosse e la febbre siano i sintomi più comuni, sembra che la Sindrome Infiammatoria Multisistemica stia diventando più frequente in questa fascia d’età. Ciò attesta l’importanza di una futura copertura vaccinale, ma non è certamente l’unica ragione.

Perché vaccinare i bambini?

La vaccinazione riveste un ruolo di cruciale importanza, non solo per proteggere i bambini con comorbilità e per contrastare i casi gravi con possibile evoluzione in Sindrome Infiammatoria Multisistemica.

Infatti, mira a conseguire la tanto agognata immunità di gregge. Essa sarebbe pressoché impossibile da raggiungere escludendo la fascia di età pediatrica. Essendo in aumento, sia in Italia che in Europa, la percentuale di adolescenti positivi al Coronavirus, rispetto alla prima fase della pandemia, si escluderebbe dalla vaccinazione una fascia troppo ampia della popolazione. Solo attraverso la vaccinazione si potrà contenere la trasmissione della patologia ed impedire che i bambini siano fonte di contagio anche per i familiari.

Immunità di gregge: se la popolazione è sufficientemente vaccinata gli individui non vaccinati vengono comunque protetti – fonte: pellegrinoconte.com

Inoltre, tra le innumerevoli ragioni, che spingono a ritenere indispensabili le future strategie vaccinali, occorre considerare il tutto anche in ottica futura.

La conoscenza della risposta del sistema immunitario infantile alla vaccinazione si rivela, infatti, strategica alla luce del fatto che non si conoscono le variazioni che il virus potrebbe subire in futuro. I possibili scenari sono imprevedibili: potrebbero essere benefici e garantire il ritorno alla normalità, o viceversa non è possibile escludere lo sviluppo di varianti altresì virulente. Un’eventuale sviluppo di varianti virali, particolarmente infauste anche per i bambini, potrebbe essere contrastata in tempi più brevi dalle aziende farmaceutiche avendo dati sperimentali disponibili sui giovanissimi.

Trials Clinici di Pfizer-BioNtech

Fonte: Ansa

Riguardo il vaccino Pfizer-BioNTech, la sperimentazione clinica di fase 3 ha avuto inizio nel 2020, reclutando partecipanti dai 12 anni in su.  Se i dati inerenti efficacia e sicurezza verranno confermati dall’FDA, sicuramente nei prossimi mesi si avranno risvolti positivi per la vaccinazione di questa fascia della popolazione.

Relativamente ai trials clinici che reclutano bambini sotto i 12 anni, invece, si tratta di studi da poco intrapresi, di cui si attendono risultati più validi nella seconda parte dell’anno.

Moderna e il “KidCove Study”

Fonte: Avvenire.it

La casa farmaceutica Moderna ha recentemente avviato un primo trial clinico su adolescenti dai 12 ai 17 anni che lascia ben sperare.

Moderna è anche la fautrice dello  Studio Clinico KidCove. Si tratta di studio di fase 2-3, condotto in collaborazione con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), del National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti, su bambini dai 6 mesi agli 11 anni. In USA e Canada, sono stati reclutati 6.750 bambini, appartenenti a questa fascia di età, per prendere parte a questo trial clinico sul vaccino a mRNA-1273 . L’azienda Moderna annuncia che i primi partecipanti hanno ricevuto la prima dose, per cui si attendono con speranza nuovi risultati.

Lo studio KidCove  persegue come intento principale quello di fornire un’analisi dettagliata del vaccino di Moderna in materia di sicurezza ed efficacia. Infatti, se esso si rivelerà sicuro come atteso, potrebbe dare un significativo impatto alla protezione dei più piccoli.

 

Fonte: Citeline Engage

Aspettative Future

Sin dal passato, la vaccinazione ha permesso di debellare patogeni pericolosi per la popolazione,  proteggendo bambini e adulti dalle infezioni.

Fonte: Il Bo Live UniPD

Si spera, dunque, che gli studi clinici diano i risultati di sicurezza tanto attesi, affinchè il vaccino anti-Covid venga presto approvato dagli Enti Regolatori internazionali. In tal modo, questo vaccino si potrà aggiungere alla lunga lista delle vaccinazioni che hanno segnato le varie epoche e permesso la ripresa delle attività di aggregazione sociale.

Federica Tinè

Bibliografia:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/: Sviluppo del vaccino COVID-19: una prospettiva pediatrica 

https://www.pfizer.com/

http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus

https://www.ema.europa.eu/en/documents/product-information/covid-19-vaccine-moderna-epar-product-information_it

Bambini, Kawasaki e Sars-CoV-2: quanto c’è di vero?

Nella nostra rubrica abbiamo già visto come nei bambini la Covid-19 abbia un decorso indolente (letalità molto bassa: circa 0,06% nella fascia di età 0-15 anni) ed abbiamo visto come il vero problema è che i bambini, per lo più paucisintomatici o asintomatici, diventino più che il bersaglio, un vero e proprio mezzo di diffusione.

Dal 4 maggio in Italia via alla fase 2, che fine faranno i bambini?
Fonte: bariviva.it

Ma è giusto limitarsi a questo?

In realtà no, le insidie ci sono anche per i più piccoli.

Oramai da mesi si parla di una possibile correlazione tra la malattia di Kawasaki e l’infezione da SARS-CoV-2. In particolare molti dei bambini ricoverati in ospedale per sintomi assimilabili alla prima, risultavano poi positivi al tampone.

La malattia di Kawasaki è una vasculite sistemica (malattia infiammatoria dei vasi) solitamente autolimitante e la cui prognosi dipende essenzialmente dal coinvolgimento delle arterie coronarie (vasi che irrorano il cuore). L’Italia presenta un’incidenza annua di circa 14 casi su 100.000 in bambini di età inferiore a 5 anni.

Malattia di Kawasaki e COVID-19: esiste una correlazione ...
Fonte: missionescienza.it

Nonostante diverse evidenze suggeriscano un’origine infettiva o una risposta immunologica anomala a un’infezione in bimbi geneticamente predisposti, nulla è ancora certo sulla causa specifica. La patogenesi però è sicuramente immunomediata e questo potrebbe giustificare la correlazione “temporale” con l’infezione da Coronavirus, che ne avrebbe favorito un aumento di incidenza. Non sarebbe infatti il virus a causare il danno in maniera diretta, quanto la forte infiammazione che suscita nel momento in cui innesca la risposta immunitaria dell’ospite. A sostegno di questa testi, il fatto che la patologia si sia manifestata solo in un secondo momento rispetto alla diffusione del SARS-CoV-2, configurandosi come un “quadro post-infettivo”.

Ma siamo sicuri si tratti proprio di Kawasaki?

Uno studio tutto italiano pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet, spiega come sia meglio parlare di una patologia simil-Kawasaki. Se da un lato infatti, la terapia con immunoglobuline endovena, applicata secondo le linee guida del trattamento della malattia di Kawasaki, è efficace, è pure vero che in alcuni bambini si presenta in una forma più grave con coinvolgimento miocardico e/o gastroenterologico, assenti nella forma classica. Sicuramente i sintomi sono davvero simili e non vanno sottovalutatati in quanto un pronto riconoscimento e intervento ne limitano i danni.

Alcune delle caratteristiche peculiari della malattia di Kawasaki.

Bergamo, sede dello studio, è infatti una delle città che ha visto un aumento di circa 30 volte dell’incidenza della Kawasaki, ma nonostante le molte analogie, erano pochi i quadri completamente sovrapponibili.

Incidenza della malattia di Kawasaki nel periodo di studio e negli ultimi 5 anni – Fonte: https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)31103-X/fulltext

A conferma di questi dati nostrani, arriva il numero sicuramente più elevato di bambini affetti negli USA, uno dei Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia, che annovera anche 3 decessi. Qui il quadro pediatrico è descritto drammaticamente in un articolo pubblicato sul New York Times: la Grande Mela da sola conta 161 piccoli pazienti affetti.

In un calderone di “multifattorialità” non si sa bene se possa essere incluso anche un fattore etnico, ma oltreoceano (alcuni casi anche nel Regno Unito) ci sarebbe una maggiore presentazione di sintomi che non hanno a che vedere con le caratteristiche della suddetta tabella, tipiche della Kawasaki. Alcuni bambini manifesterebbero dolori addominali, vomito, oltre ai già citati disturbi a carico del miocardio, accompagnati da un calo di piastrine e di linfociti. Tutto ciò ha reso necessario l’istituzione di una serie di teleconferenze (ancora in corso) organizzate dal Boston Children’s Hospital che vedono coinvolta tutta la pediatria mondiale.

Tutto questo ha un nome: Sindrome infiammatoria acuta multisistemica

Il 15 Maggio l’ECDC ha pubblicato un Rapid Risk Assessement sulla Sindrome infiammatoria acuta multisistemica, che si è resa protagonista nell’ultimo periodo. Si tratterebbe di un’evoluzione più grave (spesso complicanza della Kawasaki stessa) che richiederebbe spesso gli ausili della terapia intensiva a seguito di un interessamento di più organi contemporaneamente. Numerose sono infatti le evidenze europee di casi dubbi nei quali la sintomatologia è comparsa a circa 2-4 settimane dal picco massimo di infezione da SARS-CoV-2, suggerendo anche qui un danno mediato dalla risposta immunitaria aberrante, più che dal virus in sè.

Fonte: logo ECDC

Tuttavia, l’ECDC rileva inoltre che le evidenze per una relazione causale fra COVID-19 e la Sindrome infiammatoria acuta multisistemica sono ancora limitate. Aggiunge anche che il rischio di manifestazione della stessa nei bambini sia molto basso e che il trattamento è possibile ed efficace. Ne sono un illustre esempio i 10 bambini dello studio di Bergamo tutti guariti, nonostante le complicanze multiorgano.

L’invito che l’Istituto Superiore di Sanità fa è diretto ai professionisti e non: fare attenzione nel cogliere i segni precoci, nonostante sia una condizione rara. La immunoglobuline endovena, i corticosteroidi ed un’eventuale terapia di supporto sono ottime armi nel contrastare la patologia, basta riconoscerla in tempo!

Capiremo prima o poi cosa si nasconde dietro questa associazione, ma in questo caso la rapidità d’azione viene prima dei mille perché.

Claudia Di Mento