Maturità 2022. Gli studenti contro le direttive del Ministro Bianchi “ci sentiamo presi in giro”

Lunedì 31 gennaio il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha promulgato le ordinanze inerenti alle prove scritte e orali dell’esame di maturità di quest’anno. Non si è fatta attendere la risposta degli studenti, mobilitatisi in massa nelle piazze italiane. Il coordinatore della Rete degli Studenti Medi Tommaso Biancuzzi, come riportato dal Fatto Quotidiano, si è espresso in maniera critica:

«Si vuole dare una parvenza di normalità ma noi sentiamo puzza di disonestà intellettuale e ci sentiamo presi in giro»

La notizia delle sopracitate direttive non ha fatto altro che agitare maggiormente una popolazione, quella studentesca, che già negli scorsi giorni ha sentito l’esigenza di manifestare il proprio dissenso nei confronti delle autorità. La discesa in piazza di ieri segue infatti di pochi giorni quella per la morte di Lorenzo Parelli, repressa pesantemente con delle cariche da parte della polizia.

In cosa consiste l’esame di quest’anno

I maturandi dovranno svolgere inizialmente e in presenza, la prima prova scritta di italiano che come si apprende dalle fonti del Miur, si terrà il 22 giugno 2022. Essa proporrà sette tracce uguali per tutta Italia con la possibilità di scegliere la produzione di una tra le tre tipologie proposte: analisi e interpretazione del testo letterario, analisi e produzione di un testo argomentativo, riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità. La seconda prova anch’essa in presenza, diversa per ciascun indirizzo, si svolgerà il giorno successivo e sarà predisposta dalle singole commissioni d’Esame, decisione presa dal Ministero:

Per consentire una maggiore aderenza a quanto effettivamente svolto dalla classe e tenendo conto del percorso svolto dagli studenti in questi anni caratterizzati dalla pandemia.

Infine il colloquio orale, anche questo in presenza salvo comprovate esigenze di salute.

 

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

 

Il Ministro Bianchi ha tenuto a sottolineare che:

«Le scelte di oggi rientrano nel percorso di progressivo ritorno alla normalità che stiamo realizzando»

aggiungendo inoltre

«Abbiamo tenuto conto, come era giusto fare, degli ultimi due anni vissuti dai nostri ragazzi. Per questo, ad esempio, nel secondo ciclo, affidiamo la seconda prova scritta alle commissioni interne, che conoscono i percorsi personali degli studenti. Dobbiamo rimetterci in cammino verso la normalità e guardare al futuro, lavorare alla scuola che vogliamo costruire insieme»

Le considerazioni dei presidi e degli studenti

Sono state queste le parole che hanno scatenato l’indignazione da parte della comunità studentesca, ma anche da parte del Presidente dell’Associazione Nazionale Presidi Antonello Giannelli, il quale ritiene che:

«Di fatto, si perde quella interdisciplinarietà che rappresentava a nostro avviso un salto di qualità nella rilevazione delle competenze degli studenti, intesa anche quale prova di riflessione e di interiorizzazione degli apprendimenti»

Perplessità che non emergono casualmente, viste anche le condizioni della didattica ridotta a singhiozzo, metà in presenza e metà in remoto, modalità che secondo il parere degli studenti e dei docenti hanno influito negativamente sulla didattica. A questo bisogna aggiungere lo stress psicologico e l’ansia provocata da questa condizione che si è riversata inevitabilmente sulla salute degli studenti. In piazza si parla infatti anche di salute mentale, un concetto vittima di stigmatizzazioni culturali che purtroppo è stato trascurato notevolmente dal governo, che non considera le difficoltà enormi nella didattica e nell’apprendimento degli ultimi tre anni. Da qualche mese infatti, le associazioni studentesche chiedevano un esame che fosse incentrato sulle singolarità dello studente, ridimensionando gli scritti e inserendo una tesina.

Le associazioni studentesche all’inizio dell’anno hanno chiesto di incontrare il Ministro, ma quest’ultimo non ha mai risposto. Da qui la risposta di Tommaso Biancuzzi che ha portato alla mobilitazione nazionale:

«Non siamo dei nullafacenti, ma abbiamo seri dubbi che il percorso formativo di uno studente si valuti in base a questa proposta di Esame di Stato. Vorremmo che ci si concentrasse sul percorso personale di ogni studente, non su capacità acritiche»

Le motivazioni e l’obiettivo della mobilitazione

Ecco dunque la mobilitazione, che ha visto più di centomila studenti in quindici città d’Italia fra cui Milano, Napoli, Roma, Palermo. Il corteo più numeroso è stato quello di Roma che partendo da Piramide è arrivato fin sotto il Ministero, “un corteo partecipatissimo che ci fa sentire vivi” come scritto nel comunicato della Rete degli Studenti Medi uscito sui social.

 

 

(fonte: ig @_retestudenti)

 

Le motivazioni sono abbastanza chiare: la comunità studentesca chiede che gli scritti siano ridimensionati in modo tale che venga dato più spazio alle esperienze compiute in questi anni caratterizzati dalla DAD e un colloquio orale basato sulla tesina, affinché gli studenti possano esprimere se stessi ed essere valutati sulle proprie capacità di giudizio. L’obiettivo della mobilitazione era quello di ottenere un incontro diretto con il Ministro Bianchi. Infatti, seguendo le parole del comunicato, i rappresentanti delle associazioni studentesche sono saliti a parlare coi dirigenti del Ministero ma non hanno ottenuto l’incontro sperato pur consapevoli che non avrebbero risolto subito:

Il Ministero ha deciso di non ascoltare le nostre richieste, spiegandoci che l’Esame va bene così e ci “aiuteranno”

Insistendo però hanno ottenuto un incontro con il Ministro Bianchi fissato a lunedì 8 febbraio. Mi auguro che possano trovare un accordo e che il Ministro sappia ascoltare le loro esigenze, ripristinando così la dignità della scuola.

              Federico Ferrara

Lucia Azzolina presenta a Messina il suo libro “La Vita Insegna”

Ospite della Libreria Feltrinelli, l’ex Ministra della Pubblica Istruzione Lucia Azzolina ha presentato venerdì 3 Dicembre 2021 il suo libro La Vita Insegna insieme a Simona Moraci, autrice del romanzo Duecento Giorni di Tempesta. Entrambe insegnanti con un vissuto ed esperienze fuori dal comune, sono state capaci con le loro considerazioni e racconti a dar luogo a un partecipato dibattito sulla scuola e sulla sua importanza per la società e per i ragazzi che la frequentano.

L’ex ministra dell’istruzione Lucia Azzolina assieme all’autrice Simona Moraci. © Francesco Greco

La Vita Insegna racconta della singolare storia dell’autrice che, partendo da una città siciliana che non offre molto, una famiglia modesta sia economicamente che culturalmente (la mamma casalinga, il papà guardia carceraria) e in una casa dove non ci sono libri, riesce a realizzare il sogno di diventare insegnante prima- con trasferte che la porteranno lontano e con le conseguenti difficoltà di essere fuorisede con uno stipendio basso – dirigente scolastico poi e straordinariamente Ministra della Pubblica Istruzione dal 2020 al 2021, in piena pandemia, durante il governo Conte bis.

Afferma Lucia Azzolina:

“Nonostante le difficoltà, i pochi soldi e la lontananza, ero felicissima di poter fare il lavoro che amavo, per cui avevo studiato per tutta la mia vita. Quando ho iniziato, per via della mia giovane età ero un pesce fuor d’acqua, gli studenti erano abituati ad un collegio di docenti anziani, questi ultimi fortunatamente si ponevano benevolmente, ero diventata un po’ la cocca.”

Ma l’elemento dirompente di Lucia non era solo l’età: arrivata dietro la cattedra è un’insegnante che cerca di rompere i vecchi schemi, non segue le consuetudini a cui gli studenti allora erano abituati, introduce nuovi modi di pensare e di fare scuola:

“Gli studenti prima di tutto sono delle persone, non numeri a cui dare dei voti. Con i miei ragazzi ho utilizzato l’autovalutazione, in questo processo ho quasi sempre riscontrato la loro maturità e onestà, si davano loro i voti e nel 99% dei casi corrispondevano sempre al voto che gli avrei dato io. “

Ma le novità non finiscono qui, la scuola non è più legata ad un sistema mono-direzionale, il cui giudizio va dall’insegnante agli studenti, ma diventa un processo bi-direzionale, dove i feedback riguardano anche gli studenti verso la prof. In questo caso dichiara l’ex ministro:

“Sono una persona che ha sempre voglia di migliorarsi, volevo capire dove sbagliavo, quali erano i miei punti deboli, desideravo ricevere un giudizio sincero, senza condizionamenti, allora ho detto ai ragazzi di scrivere al computer le loro considerazioni, questi venivano stampati in foglietti, veniva garantito l’anonimato, non sapevo chi fosse l’autore ne potevo capirlo ad esempio dalla calligrafia.”

L’autrice riflette anche riguardo al sistema dei voti, come vengono usati, i loro effetti:

“Bisogna far capire ai ragazzi che i voti sono sulla prestazione, non sulla persona. Se uno studente prende ad esempio 3, può pensare di essere una persona che vale 3 nella vita, ma non è così. Il voto si può sempre rimediare, bisogna stare attenti a come ci si pone con gli studenti, soprattutto in una fase delicata della loro esistenza come l’adolescenza. Quegli insegnanti che utilizzano il voto come strumento di ricatto sbagliano.”

Non mancano, nelle sue considerazioni, la visione politica e delle proposte:

“Nelle scuole primarie abbiamo abolito i voti e messo i giudizi, spero si arrivi ad introdurre questo metodo anche negli altri gradi di istruzione. Ritengo sarebbe più giusto valutare i ragazzi secondo le loro capacità e non secondo i loro voti; ad esempio in alcuni contesti di ammissione vale di più il saper dimostrare cosa si è in grado di fare e non il voto con cui ci si presenta”

 

“La Vita Insegna” di Lucia Azzolina (Ed. Baldini – Castoldi, Nov 2021) © Francesco Greco

Il libro è quindi la biografia di chi partendo dal basso è riuscito a realizzarsi nella vita, seguendo i propri sogni e aspirazioni, dimostrando che la scuola continua a svolgere la funzione di scala sociale; è il manifesto di un impegno che ripaga, la riflessione su una scuola che deve cambiare, liberarsi dalle discriminazioni, mettere al centro la persona, per una crescita anche umana oltre che culturale.

Francesco Greco

Contemporanea iscrizione a due corsi di laurea: opportunità o nuovo metodo per collezionare titoli?

Si profila l’abolizione definitiva del divieto di iscrizione a due corsi di laurea contemporaneamente.

Qualche mese addietro, infatti, la Camera dei Deputati ha approvato il testo unificato intitolato “Disposizioni in materia di iscrizione a due corsi di istruzione superiore”. Il disegno di legge, attualmente in attesa di passare all’esame del Senato, riunisce varie proposte di anni precedenti che andranno a modificare l’articolo 142 comma 2 del Regio Decreto 31 agosto 1933 n. 1592 che così disponeva: “ (…) è vietata l’iscrizione contemporanea a diverse Università o a diversi Istituti di Istruzione superiore, a diverse Facoltà o Scuole della stessa Università o dello stesso Istituto e a diversi corsi di Laurea o di diploma della stessa Facoltà o Scuola”.

Prescindendo dalle valutazioni di opportunità o ideologiche che hanno indotto il legislatore dell’epoca a introdurre questo limite, proviamo ad entrare nel merito di questa proposta che sta per completare il suo iter in parlamento.

Il disegno di legge prevede non solo l’iscrizione contemporanea a due diversi corsi di laurea o di laurea magistrale anche in più università, ma consente anche un’iscrizione alternativa, per esempio un corso di laurea magistrale e un master, un corso di Dottorato di ricerca e un master.

Fonte: Archivio UniVersoMe

La ministra dell’Università Messa ha accolto la riforma con entusiasmo; a detta di lei sarà un grande risultato che consentirà al nostro Paese di fare un salto verso un futuro della formazione universitaria finalmente in linea con il resto del mondo. L’argomento non è per nulla nuovo, infatti, in diversi atenei esteri.

Ma quali vantaggi può ottenere lo studente da questa innovazione?

Innanzitutto, premettiamo che nello stesso testo viene specificato che “dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.  Da questo punto di vista gli italiani possono dormire sonni tranquilli: zero costi per lo Stato e di conseguenza zero costi per i cittadini e niente aumento di debito pubblico.

E invece cosa diranno le famiglie delle matricole che intenderanno iscriversi a due corsi di laurea in contemporanea? Il disegno di legge per garantire anche ai meno abbienti questa opportunità prevede agevolazioni e benefici, limitati però solamente ad uno dei due corsi a discrezione dello studente. Premettendo che una volta che la legge sarà definitiva si attenderanno regolamenti di attuazione di essa, ci pare già di intuire che per agevolazioni e benefici ci si riferisca a borse di studio, rimborsi affitto e spese varie, posti letto in residenze universitarie e premi al merito che saranno comunque previsti per un solo corso. Possiamo intuire che, anche qualora lo studente riuscisse ad ottenere anche una sola agevolazione di queste e per uno dei corsi da lui scelti, se si ritrovasse alle spalle una famiglia con un reddito medio basso, questa non sarà sgravata da tali minimi benefici e anzi dovrà sostenere per intero le spese dell’altra iscrizione. Sappiamo benissimo che i regolamenti degli atenei prevedono delle “no tax area” entro certe fasce di reddito, ma nonostante questo non tutte le matricole meno abbienti spesso riescono a rientrare in questi parametri; tra l’altro i regolamenti e gli statuti d’ateneo a fronte di una riforma del genere dovranno essere rivisitati per intero. Quindi quale vantaggio se non quello di aumentare il divario sociale tra matricole?

Fonte: archivio UniVersoMe

Si dice che la soppressione di questo divieto fosse da tempo tanto bramata dagli studenti e dovrebbe rendere l’Italia più competitiva sul piano comunitario e internazionale a livello accademico. È un fatto tristemente noto alle cronache però che il Belpaese dalle annuali statistiche Istat sia puntualmente quello con meno laureati rispetto alla media europea. Da un recente rapporto risulta che in Italia solo il 20,1 % della popolazione tra i 25 e i 64 anni possieda una laurea contro il 32.8 % dell’UE.  Ad opinione di chi scrive, date queste statistiche, sarebbe prioritario che ai piani alti si cominciasse ad incentivare lo studente innanzitutto a non abbandonare gli studi dopo il diploma. Come può una politica che negli anni in vari modi (tagli alla ricerca, laureati con contratti da stagisti costretti a fuggire all’estero) ha scoraggiato i ragazzi a intraprendere il percorso universitario, pretendere ora di rendere l’istruzione più competitiva consentendo una formale iscrizione a due corsi di laurea? Formale sì. Perché chi saranno questi studenti che poi materialmente faranno una doppia immatricolazione? Pensiamo seriamente gli universitari siano in grado di sostenere nello stesso appello sia l’esame di storia greca che di diritto privato oppure l’esame di economia aziendale e di anatomia, insomma di immagazzinare una mole di concetti di tale portata? È più che scontato a questo punto che scelte simili creeranno una pressione devastante sullo studente con rilevanti conseguenze sul piano psicologico e morale.

Fonte: Younipa

Qualora si volesse conseguire un doppio titolo, sarebbe più logico ottenerlo immatricolandosi post lauream ad un corso con un piano di studi similare a quello conseguito, convalidando ove possibile alcune materie precedentemente sostenute, chance che già viene ampiamente utilizzata, ma che sicuramente necessita di migliorie.

Dove sta allora l’esigenza di ottenere un doppio titolo in contemporanea, se non nella voglia di creare una società di apparenti tuttologi? Una società che apprende tutto e niente: giovani che non terranno più conto delle proprie inclinazioni, tanto si può studiare sia fisica che scienze politiche, cosa importa se una delle due non appassiona, l’importante è collezionare un “pezzo di carta” in più per i curricula. A che servirebbe una doppia laurea se ormai da anni questa non rappresenta il grado più alto di istruzione perché viene bypassata da master di secondo livello, dottorati e scuole di specializzazione? A cosa servirebbe conseguire due master costosissimi  quando un eventuale bando di un qualsiasi concorso pubblico per titoli ed esami ne prevederà la valutazione di uno solo di questi probabilmente?

Attendiamo che si pronunci il Senato. I frutti di qualsiasi proposta legislativa si raccolgono parecchio tempo dopo la sua entrata in vigore. Quindi qualora tale divieto verrà soppresso, vedremo tra un po’ di anni quali saranno stati i suoi effetti.

                                                                                                                      Ilenia Rocca

 

Articolo pubblicato il 18/11/2021 nell’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud

 

Tutto ciò che è necessario per i giovani. La chiave della rinascita per Draghi

Draghi rimini
Draghi al Meeting di Rimini (agosto 2020) Fonte: investing.com

È un uomo di poche parole, Mario Draghi. Non è un frequentatore di salotti televisivi né avvezzo ad interviste: lo abbiamo percepito tutti cercando tra le righe le idee da cui potrebbe far partire un nuovo esecutivo. In circolo ci sono poche espressioni, ma che hanno il peso e l’eco di epigrafi. “Whatever it takes”: sì, ma non solo. Ci sono altri momenti per il quale Super Mario merita di essere menzionato. “Ai giovani bisogna dare di più”, ad esempio. Lo diceva già ad agosto, durante il Meeting di Rimini, spiegando che i sussidi tout court da soli non serviranno a risanare il tessuto sociale del Paese: se non ben bilanciati, lo lacereranno ancor di più. Per Draghi l’unico volano per una rinascita sociale ed economica italiana, sarà investire sulle nuove generazioni, le stesse – diciamolo senza mezzi termini – che dovranno pagare un debito mai visto nella storia italiana.

È dunque alle donne e agli uomini di domani che bisogna dare il massimo supporto affinché si delinei una società che permetta libera scelta nella formazione umana e nella qualificazione professionale. Se non si mette al centro questo punto focale il rischio è che al futuro si arrivi con meno possibilità del presente e con più diseguaglianze del passato.

Si tratta di coltivare persone, non titoli di stato, non voti. Si mette sul tavolo un investimento potenzialmente vincente ed esponenzialmente fruttuoso.

campanella draghi-conte
Il passaggio simbolico della campanella tra il presidente uscente Conte e il premier incaricato Draghi -Fonte: avvenire.it

Non serve un esperto in politica economica per capire, invece, che il vizio dei recenti governi sia risieduto tutto nel non aver mai impiantato obiettivi di lungo termine, ma semplicemente portato a compimento – nel migliore dei casi – obiettivi nei termini temporali di un esecutivo a causa di una ricerca spasmodica di un immediato ritorno politico.

Quello che serve per una crescita sostanziale, economica e sociale, sono tutti elementi che vanno nella direzione opposta. Servono lungimiranza, pazienza e soprattutto coraggio. Ci vuole impegno morale per spendere decine di miliardi di euro nell’istruzione. È una strada scomoda, un investimento silenzioso, i cui risultati possono essere raccolti solo nel lungo termine, quando ormai sono troppo distanti da chi li ha propagati. Chi investe sull’istruzione, insomma, rischia di passare inosservato.

PNRR
Fonte: mef.gov.it

Già a partire dalla sobrietà del governo dimissionario, sembra che si sia mettendo fine all’egoismo che ha indotto i governi a favorire obiettivi elettorali; la tendenza sembra essersi invertita anche ad un livello superiore, e non è un caso che l’Europa abbia intitolato il piano di ripresa europea alla generazione futura – il NextGenerationEu. Per gestire i fondi di quest’ultimo, nel Recovery Plan già il governo Conte, aveva riservato nell’ultimo progetto quasi 28,46 miliardi (9 in più rispetto alla prima bozza) all’istruzione e alla ricerca mentre la questione giovanile era al secondo posto tra i gli obiettivi fondamentali da portare a termine entro il 2026. Adesso si ha buon motivo di credere che spetterà al nuovo governo tecnico ricalcolare e rinegoziare. E Draghi non sembra discostarsi tanto da queste premesse poichè già da giorni le prime dichiarazioni trapelate sul programma di governo confermerebbero la primarietà dell’istruzione in agenda, come anche le notizie sull’apertura delle scuole fino a luglio per recuperare il “tempo perso” o del riempimento delle cattedre già dalla fine di quest’anno scolastico.

piano resilienza
Il piano approvato dal consiglio dei ministri dell’esecutivo Conte il 12 gennaio 2021 – Mef.gov.it

È il solo modo, quello di investire dei fondi per i giovani, affinché l’Europa riprenda a chiedersi che ne pensa l’Italia. E non solo perché si prospetta una figura come Draghi al comando di un esecutivo.

Ma soprattutto l’istruzione e la ricerca, insieme, sono la sola via perché i germi di menti performanti attecchiscano nella loro terra, senza dover perdere le radici.

“Ogni crisi ha in sé i semi del successo e le radici del fallimento”, dice Norman R. Augustine; ed ogni crisi può innescare un vero e proprio turn-around. Non si tratta di utopia, ma di responsabilità morale verso il futuro.

È forse giunta l’ora che l’Italia sperimenti l’ordinario e metta a frutto il cosiddetto debito buono – come lo chiama il Presidente incaricato – un vero e proprio investimento che risponda a criteri di sostenibilità e che, seppur contempla un ingente impiego di risorse nell’ora, delinei dei consistenti risultati umani nel futuro.

Martina Galletta

Articolo pubblicato l’11 febbraio 2021 sull’inserto NoiMagazine di Gazzetta del Sud

Il digital learning post Covid-19

Oggi più che mai abbiamo avuto un assaggio di quello che potrà essere la Digital Education nel futuro. Libri digitalizzati, aziende che promuovono nuove piattaforme per sostenere esami e lezioni a distanza, tablet e notebook – prima esclusivamente a disposizione dei docenti – che ora già si intravedono in mano a qualche studente, nell’attesa che i fondi per l’istruzione possano garantire un’equità che, sul piano tecnologico, è mancata.

Così, questa pandemia ha messo a nudo le gravi carenze che il nostro Paese ha nel sistema educativo, dovute anche alle poche risorse impiegate per l’istruzione – rispetto agli altri stati europei – e per la formazione degli insegnanti.

 

Dati: Eurostat. Grafici realizzati da Gianluca Carbone (valori dell’ordine dei mld)

Da studente iscritto al corso di laurea in Informatica, riconosco come nel sistema educativo, sia per le scuole primarie e secondarie che per l’Università, siano presenti docenti che hanno avuto difficoltà nello svolgere la didattica online, non soltanto dal punto di vista delle competenze tecniche nell’utilizzo degli strumenti digitali, ma anche nella metodologia per fare didattica stessa.

Attualmente, molti dei docenti che hanno una cattedra in un istituto scolastico o universitario hanno poche conoscenze tecnologiche; lacune che dovrebbero essere colmate con corsi di aggiornamento per i docenti di ruolo, o con corsi di formazione all’inizio della propria carriera.

Ricordo – da ex studente di un istituto professionale messinese – le difficoltà avute da alcuni docenti nell’interagire con tablet e lavagne interattive, e che la maggior parte delle volte erano gli studenti stessi a risolvere gli svariati problemi.

Sarebbe veramente (e paradossalmente) un passo avanti poter tornare nei banchi di scuola affiancati da queste tecnologie, così che gli studenti, a partire dai più piccoli, possano avere più consapevolezza delle risorse che offre internet e, perché no, anche dei pericoli di questo network, tra fake news e siti web poco raccomandabili da visitare.

E parlo proprio di affiancare, perché ritengo che la maggior parte delle discipline non possano essere interamente digitalizzate. Basti pensare a esami di materie scientifiche in cui lo svolgimento degli esercizi risulta poco pratico da effettuare mediante un calcolatore. Sicuramente, anche queste discipline possono sfruttare il digital learning per rendere più facile l’apprendimento, e soprattutto rendere reperibili tutte le lezioni svolte, per andare a rivederle in futuro.

Si pensi a quanto potrebbe diventare interessate una lezione in cui sia possibile sfruttare i servizi digitali – ormai di utilizzo quotidiano -per arricchire lo studio della materia, oltre che molto più ordinata rispetto ad esempi svolti in una lavagna classica, in cui molte volte si finisce nel dover andare a interpretare gli “scarabocchi” del docente.

Un contributo, che agevolerebbe il sistema educativo nell’uscire da questo medioevo digitale”, potrebbe essere quello di andare a “resuscitare” – o meglio ricondizionare – vecchi tablet e notebook, e offrirli in comodato d’uso agli studenti. Tra i tanti esempi che potremmo citare in questo periodo, l’imprenditore egiziano Ghapios Garas, fondatore dell’azienda SimpaticoTech a Milano, ha fatto qualcosa di simile. Nella fase 1 della quarantena ha ricevuto numerose richieste di PC portatili e tablet dagli istituti scolastici, da dare in comodato d’uso gratuito agli studenti con difficoltà economiche e che non possedevano un dispositivo per seguire le lezioni da casa. Sempre in quest’ottica, sono stati inviati tablet e PC all’Istituto Falcone di Palermo, nel noto quartiere Zen, dopo l’appello lanciato da Ismaele La Vardera, grazie ai quali anche i ragazzi meno abbienti hanno potuto seguire le lezioni da casa.

Insomma, il Covid-19 ha scosso gran parte delle nostre abitudini e, nonostante questo, siamo riusciti ad affrontare le varie problematiche che si sono presentate. Ora non ci resta che cavalcare l’onda e progettare una soluzione che non accantoni i progressi digitali raggiunti: dobbiamo tenere conto di questi modelli per la didattica, in vista di quando si presenteranno difficoltà – ci auguriamo – di gran lunga minori rispetto ad una pandemia, per andare verso un’istruzione più flessibile, sia dal punto di vista dello studente, che del docente.

Gianluca Carbone