Film da “pazzi”: la psichiatria al cinema

La malattia mentale, affascinante e sconosciuta, ci ha sempre attratto. Il grande e il piccolo schermo ci hanno soddisfatto, con una moltitudine di capolavori disponibili.

Ma cosa è che affascina tanto il pubblico? E cosa è che spinge i produttori?

Sicuramente tra cinematografia e psichiatria c’è un filo conduttore, un qualcosa in comune che permette all’una di ispirarsi all’altra. Eh si, avete capito bene, anche il cinema ha il suo scopo terapeutico e didattico.

Ma a prescindere da ciò, le storie raccontate in prima persona e i sentimenti espressi così bene – quasi come se li stessimo provando noi – sembrano essere magnetici, e la malattia viene mostrata nella sua realtà e crudezza dandoci una nuova visione del mondo.

Così abbiamo scelto cinque tra i film che, secondo noi, rendono meglio le patologia psichiatrica, ma che allo stesso tempo riescono a tenerci incollati al divano.

Toc Toc – Disturbo ossessivo compulsivo

Un apparente errore burocratico riunisce un gruppo di pazienti nell’ambulatorio del dottor Palomero, un presunto terapeuta luminare che però ritarderà all’appuntamento. La sua sala d’aspetto sarà lo scenario del film, una commedia che in un’ora e trenta minuti ci presenterà i vari casi clinici.

Fonte: cuorementelab.it – i protagonisti del film

L’incontro – e lo scontro – tra le varie forme del disturbo si fa esilarante, ma allo stesso tempo non scadendo nei cliché, riesce a mostrare i disagi più profondi dei vari protagonisti.

Dalla scelta del titolo, Toc Toc che sta per Trastorno Obsesivo Compulsivo (in spagnolo, lingua originale) con la ripetizione delle parole tipica del disturbo di una delle pazienti, alla bravura degli attori: ci si immerge in un’esperienza leggera, reale e dal finale inaspettato.

Il lato positivo – Disturbo bipolare

Pat, il protagonista del film, appena uscito dalla clinica psichiatrica dovrà fare i conti con la vita di tutti i giorni. Il reinserimento sociale dopo la diagnosi di disturbo bipolare, dopo “l’incidente” a seguito del tradimento della moglie e dopo lo sgretolarsi di tutte le proprie certezze, rendono giustizia alla malattia. Questa viene trattata con delicatezza e con estrema precisione clinica, facendoci immergere completamente nella vita del paziente.

Fonte: ilmedioweek.com – Pat e Tiffany

L’essere consapevole della propria malattia, rende il protagonista sicuro di sé e lo spinge a cercare il lato positivo, ma non lo farà da solo. Tiffany sarà forse la via giusta per trovarlo?

In un concerto di emozioni e di bravura, Jennifer Lawrence e Bradley Cooper rendono questo film un capolavoro.

Brain on fire Encefalite autoimmune

Diversa dalle altre, questa patologia è quasi a cavallo tra la neurologia e la psichiatria. Una malattia sconosciuta, scambiata per un comune disturbo psichiatrico, rende quello della protagonista del film – nonché della storia reale – un particolare caso clinico.

Basato sull’autobiografia di Susannah Cahalan, questo film mostra la gravità del vivere una situazione sconosciuta e  l’insicurezza di una paziente che non sa se essere “neurologica” o “psichiatrica”. Con una profonda descrizione dell’evoluzione della malattia, questo film include lo spettatore nell’estremo disagio che prova la paziente, i suoi familiari e i medici.

Fonte: ultimenotizieflash.com – Susannah al suo ricovero

Nonostante sia stato molto criticato e poco pubblicizzato, questo film è l’occasione di vedere qualcosa di incredibile e – dal punto di vista scientifico – molto interessante.

Ma d’altronde il cervello che attacca se stesso, può essere noioso?

Into the Wild – Fuga psicotica

Film che racconta la storia vera (e divenuta un mito) di Christopher McCandless,  giovane neolaureato che decide di abbandonare la famiglia per intraprende un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti fino ad arrivare in Alaska.

Perché l’ha fatto? Sicuramente per sfuggire da una società consumista e capitalista nella quale non riesce più a vivere, ma forse c’è qualcosa in più.

Fonte: farnorthscience.com – Chris nel suo “appartamento”

Infatti, la sua storia e il suo comportamento potrebbero farci pensare ci sia qualcosa che va oltre la semplice ribellione: il ragazzo cambia nome, diventando Alexander Supertramp, dà fuoco alla sua macchina e al poco denaro che aveva, evita ogni rapporto umano e vive in un autobus abbandonato. Dietro le immagini romantiche del film, si nasconde la ben più triste storia di una fuga psicotica: Chris non scappava solo da un mondo che non sentiva proprio, ma scappava anche da se stesso.

The Truman Show – Delirio paranoide

The Truman Show, racconta la storia di Truman: un trentenne che scopre di vivere, fin dalla nascita, al centro di un reality show (che porta proprio il suo nome). Il film si presta a numerose interpretazioni e riflessioni filosofiche tra le quali, anche se  probabilmente non era nelle intenzioni del regista Peter Weir, c’è anche quella psichiatrica.

Fonte: dasscinemag.com – scena cult

Se si accettasse l’idea che il mondo falsificato in cui vive Truman sia in realtà il mondo reale, allora il film diventerà una rappresentazione esemplare di delirio paranoide.  Il protagonista crede di essere spiato, filmato, crede che tutte le persone nella sua vita siano attori ed arriverà addirittura ad incontrare Dio stesso. Sempre accettando questa interpretazione, vediamo come la vita felice e spensierata di Tuman venga sgretolata dalla malattia e sostituita da sospetto, paranoia e paura.

Così, abbiamo visto come ogni disturbo e ogni paziente riescano ad essere soggetti di grandi film (e di successo). Il vedere qualcuno che ha qualcosa di diverso,ma allo stesso tempo non così tanto, il notare i sacrifici per rimettere i tasselli della propria vita in ordine e il provare le loro emozioni, crea un effetto magnetico che ci fa sentire un po’ medici e un po’ pazienti.

Barbara Granata e Lorenzo La Scala 

Earth Day a Messina: full immersion nella flora peloritana

Il 22 Aprile, da ben 47 anni, è la giornata mondiale della Terra.
È primavera, il clima è mite, il sole (specie in Sicilia) accarezza con i suoi primi raggi caldi gli esseri umani, stolte creature che con gli anni dimenticano sempre di più di trattare bene la propria casa  e, di conseguenza, l’importante responsabilità di cui sono investiti.
Il contatto con la Terra è spesso sottovalutato, si crede che “abbracciare gli alberi” sia un atteggiamento da sensattottino hippie-naturalista-pazzoide con la testa sempre tra le nuvole, c’è chi non si trova a proprio agio immerso nella natura: ed io mi chiedo, se noi siamo scimmie evolute frutto di questa palla rotante, come facciamo a sentirci a disagio nel nostro habitat? Ecco perché, a mio modesto parere, l’Earth Day è una ricorrenza importante, per tornare alle origini, per dimenticare la routine che ci siamo creati e che ci trasforma giornalmente, come sostiene il maestro siciliano F. Battiato, in insetti.

Grazie alla cooperazione di alcune associazioni studentesche, nella nostra città si è realizzata una splendida iniziativa intitolata “Into the wild”.
I partecipanti hanno vissuto un vero e proprio coinvolgimento con la macchia mediterranea caratteristica dei Peloritani. Partiti alle 10.30 dalla chiesa di San Michele, gli aderenti hanno percorso l’antico sentiero che collegava la città dello Stretto con Palermo.
Il percorso, per colpa dell’incuria è stato tortuoso, e sfortunatamente, nei pressi delle abitazioni si trovavano tracce di immondizia. Proseguendo per il tragitto, allontanandoci dal livello del mare, le guide hanno spiegato la flora che  ci circondava, e nel frattempo il paesaggio diventava sempre più incredibile. Piano piano, salendo, spuntavano all’orizzonte posti familiari che la lontananza rendeva minuscoli.

La prima fermata è stata all’altezza del caratteristico ritrovo Portella che, all’insaputa della maggior parte dei presenti, ha attorno a sé alcuni bunker risalenti alla prima e alla seconda guerra mondiale.
La passeggiata ecologica è proseguita tra salite e discese, fino ad arrivare in un punto panoramico da cui si vedevano i due mari: a destra il Tirreno (all’orizzonte si scorgevano nitide le isole Eolie), a sinistra lo Jonio. “Della saggezza delle piante, mi stupisco sempre” – Gli occhi della luna, Ex-Otago – questa è stata la frase che mi è frullata in testa durante l’escursione: ci siamo ritrovati nascosti tra felci, ginestre, sugheri, pini e tantissime altre piante di cui non ho la più pallida idea ma che mi lasciavano stupita e meravigliata della grandezza della natura. Come piccoli esploratori (cara “Dora l’esploratrice” ti rivolgo i miei più sinceri ringraziamenti) siamo passati per un sentiero stretto, e la vegetazione in alcuni tratti formava brevi gallerie. Si percepiva…magia!

Giunti finalmente al forte San Jachiddu, la prima sensazione che chiunque ha provato è stata armonia: armonia con il paesaggio, con la natura, un senso di pace con il proprio io. Vibrazioni positive e cura dei dettagli sono il frutto del duro lavoro che ha svolto il sig. Mario Albano, il quale ha deciso di prendere in gestione il forte. “L’anima del posto è parte della nostra anima e viceversa. Al forte hanno vissuto fino al 1200 uomini di pace, che ricercavano Dio. Rieducare l’uomo a ritrovare se stesso attraverso un percorso, avvicinando l’animo umano all’animo della natura. Per noi ogni cosa della natura ha un’anima, e va rispettata, come loro rispettano noi. È stato eliminato ogni segno di violenza per fiorire in un luogo di pace e di benessere. C’è ancora un’esistenza che aspetta che voi torniate, e quando tornerete, tutto ciò che cercavate lontano, scoprirete che è dentro di voi. Questo è il parco ecovivarium San Jachiddu” queste sono le parole di Mario rivolte ai ragazzi che hanno partecipato all’escursione, tra un bicchiere di buon vino e piparelli (gentilmente offerti e accolti con grande entusiasmo).

Infine, parlando un po’ con i partecipanti, si avvertiva un clima di benessere, tutti ne sono rimasti entusiasti, svuotati dai cattivi pensieri e riempiti di buone vibrazioni, rimanendo soprattutto stupiti della sensazionale realtà che si trova a pochi passi dal centro città.  
A Messina non c’è nenti? O forse prima bisogna vedere se effettivamente c’è qualcosa dentro noi stessi?

Giulia Greco

Foto di Giulia Greco