Nobel per la Medicina 2020: il Virus dell’Epatite C

Il premio Nobel per la Medicina 2020 è stato assegnato ad Ottobre agli scienziati che nel secolo scorso hanno scoperto il Virus dell’Epatite C (HCV). Un’assegnazione più che meritata visto il notevole impatto che ha avuto sulla epidemiologia di questa infezione. Continua a leggere “Nobel per la Medicina 2020: il Virus dell’Epatite C”

Vitamina D e COVID-19: le basi scientifiche della sua integrazione

Nei giorni scorsi si è molto dibattuto sul ruolo della vitamina D nel ridurre il rischio di infezione da SARS-CoV2. Inoltre, un recente report dell’ISS riporta anche una possibile efficacia nel trattamento di due sintomi tipici della COVID-19, l’anosmia e l’ageusia, ossia la perdita dell’olfatto e del gusto. Ma quali sono le basi per cui la vitamina D sarebbe efficace?

Cos’è la Vitamina D e quali sono le sue funzioni biologiche

La vitamina D comprende un gruppo di ormoni liposolubili dato da 5 vitamine. Le principali sono la D2, assunta con alimenti di origine vegetale, e la D3, di origine animale o prodotta dall’epidermide sotto azione dei raggi solari. Questi precursori sono trasportati e modificati nel fegato e poi nel rene ottenendo il calcitriolo, la forma ormonale attiva.

Il calcitriolo esercita le sue azioni tramite il recettore nucleare VDR, che a sua volta lega il recettore X dell’acido retinoico, il quale lega specifiche sequenze del DNA determinando modificazioni dell’espressione genica. Il VDR è presente in modo praticamente ubiquitario e si stima che da 200 a 2000 geni possano rispondere all’azione della vitamina D.

Anche se famosa per la sua azione a livello osseo, si tratta di un ormone estremamente versatile, con numerose azioni in ogni distretto. Ed ha anche un’importante influenza sul Sistema Immunitario.

Il recettore VDR è presente su cellule dendritiche, linfociti e macrofagi. La vitamina D favorisce l’integrità delle barriere cutanee e mucose contro l’ingresso dei microbi e la produzione di catelicidine e defensine, peptidi ad azione antibatterica, antifungina e antivirale. Inibisce l’attivazione delle cellule dendritiche da parte del lipopolisaccaride batterico. Riduce il rilascio di citochine pro-infiammatorie da parte dei linfociti T e inibisce la proliferazione delle cellule T. Potenzia perfino l’azione delle cellule NK contro le cellule tumorali.

In sintesi, ha una funzione fondamentale di modulazione del sistema immunitario.

Il SARS-CoV2 infetta le cellule in modo mai visto prima

Un recentissimo studio pubblicato il 28 maggio sulla prestigiosa rivista Cell ha analizzato come il SARS-CoV-2 infetta le cellule bersaglio e soprattutto come funziona la risposta immunitaria al virus. Il prestigio dello studio si basa su una serie di punti di forza:

  • Non è stato analizzato solo il SARS-CoV-2, ma in parallelo è stato paragonato a SARS-CoV-1, MERS-CoV, RSV (Virus Respiratorio Sinciziale), virus dell’influenza A e HPIV3 (virus umano para-influenzale 3), per valutare le precise differenze.
  • La ricerca ha previsto studi su colture di differenti linee cellulari, utilizzando diverse cariche virali in diversi esperimenti, per mimare al meglio in vitro ciò che si verifica nel nostro organismo.
  • Ma le condizioni ottenibili in una coltura cellulare non possono essere paragonabili al complesso microambiente dei nostri polmoni. Per questo un ulteriore step è stata la sperimentazione in vivo sul modello animale del furetto (si, ci somiglia molto!).
  • Quindi, sono state effettuate delle verifiche su polmoni umani, ottenuti post-mortem da soggetti COVID-19 positivi. Trattandosi di un numero ridotto di campioni, sono state infine condotte analisi su un elevato numero di prelievi sierici di pazienti affetti da COVID-19.

Tralasciando i tecnicismi, i risultati sono stati sorprendentemente sovrapponibili in ogni fase dello studio.

Le ricerche si sono concentrate sui pattern di attivazione genica determinati dal virus nelle cellule bersaglio e del sistema immunitario. Affermano i ricercatori: “i nostri dati hanno dimostrato che l’impronta trascrizionale dell’infezione da SARS-CoV-2 è ben distinta rispetto agli altri coronavirus altamente patogeni e ai comuni virus respiratori.”

Sostanzialmente, tramite complessi meccanismi molecolari, il virus determina una netta riduzione di Interferon I e III ed una abnorme produzione delle citochine IL-6 e IL1RA, tanto da permettere un parallelismo tra la COVID-19 e la Sindrome da tempesta citochinica. Si tratta dell’evidenza scientifica che giustifica l’efficacia di farmaci già sperimentati, come il tocilizumab o l’anakinra, che agiscono proprio contro tali citochine.

Semplificando, il virus inibisce la produzione di Interferon e rende inefficace la risposta immunitaria, impedendo la risoluzione dell’infezione e determinando una anomala ed eccessiva produzione di citochine, responsabili dei gravi danni polmonari e delle complicanze sistemiche della COVID-19.

In soggetti giovani e sani, rispetto a soggetti anziani con una risposta immunitaria già compromessa, una piccola percentuale di cellule resisterebbe al meccanismo di inibizione virale e i livelli residui di Interferon permetterebbero la corretta risposta all’infezione.

Perché la supplementazione di Vitamina D fa intravedere nuove speranze

Chiariti a grandi linee i meccanismi molecolari della COVID-19 e le funzioni biologiche della vitamina D, è intuitivo che la funzione modulatrice della vitamina D non possa che essere d’aiuto per affrontare efficacemente l’infezione. Ostacola l’ingresso del virus tramite le barriere fisiche, riducendo il rischio di contagio. Sopprime la sintesi di svariate citochine pro-infiammatorie e stimola quelle anti-infiammatorie. Il risultato finale è di sopperire a quei punti deboli che il virus sfrutta per determinare la patologia.

I benefici della supplementazione non sarebbero però rivolti a tutti, ma a coloro che hanno di base livelli ridotti di vitamina D. Condizione, questa, tutt’altro che infrequente.

Un’importante ricerca del 2019 ha dimostrato come il deficit di vitamina D sia estremamente comune in Europa. Interessa quasi il 20% della popolazione del Nord Europa, il 30-60% in Europa occidentale e del Sud e addirittura l’80% nei Paesi dell’Europa orientale. I gruppi maggiormente a rischio sono bambini/adolescenti e donne in gravidanza (che hanno un aumentato fabbisogno) e soprattutto, non a caso, soggetti anziani.

Prevalenza della carenza di vitamina D in Italia.

Una meta-analisi di 25 studi con quasi 11 mila partecipanti ha già dimostrato come il supplemento di vitamina D abbia un effetto protettivo contro infezioni acute delle vie respiratorie.

Inoltre, uno studio pubblicato lo scorso 6 maggio ha messo in evidenza la relazione tra bassi livelli di vitamina D e incidenza e mortalità per COVID-19.

Ad oggi, sono stati approvati ben 11 trials clinici con l’obiettivo di testare la supplementazione vitaminica in pazienti con COVID-19, sia a dosi alte che standard, in associazione agli altri farmaci.
Nella speranza di compiere ulteriori passi in avanti, non ci resta che attendere il conforto di un’evidenza scientifica.
Nel frattempo, prendere un po’ di sole non può che far bene!

Davide Arrigo

 

Bibliografia:

https://www.cell.com/cell/pdf/S0092-8674(20)30489-X.pdf?_returnURL=https%3A%2F%2Flinkinghub.elsevier.com%2Fretrieve%2Fpii%2FS009286742030489X%3Fshowall%3Dtrue
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1931312820301876
https://eje.bioscientifica.com/view/journals/eje/180/4/EJE-18-0736.xml
https://www.bmj.com/content/356/bmj.i6583
https://link.springer.com/article/10.1007/s40520-020-01570-8
https://journals.physiology.org/doi/full/10.1152/ajpendo.00185.2020
https://www.iss.it/news/-/asset_publisher/gJ3hFqMQsykM/content/covid-19-carenza-di-vitamina-d-e-perdita-dell-olfatto-e-del-gusto
https://www.researchgate.net/publication/320010685_CONSENSUS_VIS_Vitamine_Integratori_Supplementi

Covid-19: il rischio per bambini e donne in gravidanza

In uno scenario mondiale in cui la pandemia di COVID-19 desta preoccupazioni e miete nuove vittime sono molte le questioni lasciate irrisolte. Tra queste, la convinzione speranzosa che la SARS-CoV2 non colpisca i pazienti di età pediatrica. Ma, è proprio così? 

La malattia da COVID-19 (o malattia respiratoria acuta da SARS-CoV2) è una condizione patologia su base infettiva eziologicamente associata al virus SARS-Cov2, che comporta da un punto di vista clinico:

  1. Un quadro asintomatico;
  2. Un quadro sintomatico con febbre, tosse secca, astenia, mialgie, congestione nasale, vomito, diarrea. Nei casi più severi: polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale.

La COVID-19, che ha reso l’Italia il Paese con il maggior numero di contagi dopo la Cina, colpisce meno frequentemente i pazienti di età pediatrica. Tale caratteristica accomuna il SARS-CoV2 con il SARS-CoV (responsabile della SARS, nel contesto della quale non furono registrati morti tra bambini ed adulti di età posta al di sotto dei 24 anni). Il più grande studio cinese nell’ambito di COVID-19, pubblicato su JAMA l’11 febbraio, riportava determinate cifre significative: dei 44.672 casi confermati all’identificazione del genoma virale sul tampone, solo meno dell’1% era associato a pazienti di età al di sotto dei 10 anni. Attualmente in Italia tra i contagiati:

  • meno dello 0,5% presenta un’età compresa tra 0 e 9 anni;
  • meno dell’1% presenta un’età compresa tra 10 e 19 anni.

Il minor numero di contagi in età pediatrica può essere associato:

  1. A fattori esterni: la popolazione di età pediatrica, rapportata alla popolazione adulta, è meno esposta a luoghi che potrebbero favorire la rapida diffusione del virus quali treni, aerei, stazioni, aeroporti;
  2. A fattori intrinseci al sistema immunitario. Secondo studi recenti la popolazione pediatrica presenta una resistenza intrinseca al SARS-CoV2 per una maggior espressione della risposta immunitaria innata e per una minor espressione dei recettori indicati con l’acronimo di ACE2 (Angiotensin-converting enzyme 2),  evenienza che deriva da uno studio condotto nel 2006 sui topi. Il SARS-CoV2 lega tale recettore per invadere sia gli elementi cellulari polmonari che altri distretti (cuore, mucosa del cavo orale, mucosa del distretto gastrointestinale, distretto epatobiliare).

I bambini rappresentano vettori per la trasmissione dell’infezione?

I pazienti di età pediatrica possono comunque infettarsi, risultando dei vettori per la trasmissione dell’infezione, motivo per il quale uno dei provvedimenti, precocemente messo in atto dal governo cinese e successivamente italiano, comprende la chiusura delle scuole. I pazienti di età pediatrica possono di fatto ammalarsi, anche se meno frequentemente rispetto ai pazienti di età adulta, presentando nella maggior parte dei casi sintomi lievi e/o moderati. 

La COVID-19 si manifesta con gli stessi sintomi nei pazienti adulti e pediatrici?

Secondo i dati raccolti dal Children Hospital di Wuhan, l’infezione sintomatica da COVID-19, comprende:

  1. Tosse (65% dei casi);
  2. Febbre (60% dei casi);
  3. Diarrea (15% dei casi);
  4. Scolo mucoso in retrofaringe (15% dei casi);
  5. Rantoli (15% dei casi);
  6. Distress respiratorio (5% dei casi);
  7.  Linfopenia  (35% dei casi);
  8. La TC del torace mostra immagini simili a quelle rilevabili in età adulta: aree di addensamento a livello subpleurico, con caratteristiche a vetro smerigliato, oppure aree di addensamento caratterizzate da alone infiammatorio circostante; la quasi totalità dei casi presenta, tuttavia, un quadro radiologico lieve.

COVID-19 e gravidanza: che rischio corre il feto?

Nelle scorse settimane un neonato londinese è risultato positivo al virus dopo essere nato da madre con polmonite COVID-19. Sono noti anche altri casi in Cina, tra cui Xiao Xiao, la neonata guarita spontaneamente dopo soli 17 giorni di vita.
Uno studio recentemente pubblicato su The Lancet ha esaminato nove donne incinte tra i 26 e i 40 anni con polmonite da SARS-CoV-2; sono stati analizzati:
–  Campioni di liquido amniotico;
– Sangue cordonale;
– Latte materno;
Successivamente sono stati eseguiti tamponi faringei sui neonati, tutti risultati negativi, concludendo che non c’è evidenza di infezione intrauterina attraverso la placenta, o tramite latte materno. Bisogna aggiungere, tuttavia, che le nove donne hanno subito un parto cesareo al terzo trimestre e che la limitata casistica non ha consentito di effettuare ulteriori studi.
Ad oggi, un’eventuale infezione neonatale da SARS-CoV-2 potrebbe essere acquisita per via respiratoria dalla madre nel post partum, basti pensare alla vicinanza tra il viso della madre e quello del bimbo durante l’allattamento.
Caterina Andaloro
Bibliografia
1.Epidemia COVID-19. Istituto superiore di sanità, Roma.
integrata-COVID-19_09-marzo-2020.pdf [accesso in data 11/03/2020]
2. Lee P-I et al., Are children less susceptible to COVID-19? Journal of Microbiology,
Immunology and Infection. 2020. https://doi.org/10.1016/j.jmii.2020.02.011.
3. Xia W et al. Clinical and CT features in pediatric patients with COVID‐19 infection:
Different points from adults. Pediatric Pulmonology. 2020;1–6.
4. General Office of the National Health Commission of China. Diagnosis and
Treatment Protocol for 2019‐nCoV. 5th ed. Beijing, China: National Health
Commission of China;