Giorgio Poi- Schegge: frammenti sonori di un’anima in evoluzione

Giorgio Poi
Schegge non è un album facile, ma è necessario per chi ha ancora voglia di ascoltare davvero, senza saltare tracce, senza cercare solo il ritornello. Un album che non ti consola, ma ti capisce. E a volte basta quello. Voto UVM: 4/5

Nel panorama dell’indie italiano, Giorgio Poi è sempre stato un equilibrista raffinato, un autore capace di camminare sul filo che separa l’introspezione dalla leggerezza, la melodia pop dall’inquietudine sottile. Con Schegge, il suo nuovo album, sembra aver lasciato cadere quel filo per frantumarlo, e raccoglierne poi i pezzi più taglienti e lucenti. Il risultato è un disco che non chiede di essere capito, ma attraversato.

Un viaggio tra le tracce

Il titolo non è casuale: Schegge è davvero un insieme di frammenti non disordinati, piuttosto pagine strappate da un diario con gli angoli bruciacchiati, ancora pieni di verità. Ogni canzone è un microcosmo, una fenditura nel tempo in cui Giorgio fa passare la luce delle sue emozioni: l’ironia, la malinconia, la paura della fine e l’incanto delle piccole cose. Il suono si è evoluto, più stratificato, più ampio, ma mai sovraccarico. C’è un’eleganza sottile nella produzione, che unisce tastiere spaziali a ritmiche leggere, e una voce sempre vicina, sussurrata, come se stesse cantando solo per te.  L’album racconta questo tempo rallentato, questa sospensione emotiva che rende Schegge un’opera coerente: non un concept album, ma una mappa emotiva tracciata con delicatezza. I testi, come sempre, sono ellittici, pieni di immagini spiazzanti e quotidiane (“Il bottone è sbagliato in un’asola”, “Sfogliavo i tuoi capelli con le mani”).

   

Schegge: frammenti di un tempo sospeso

L’album si apre con giochi di gambe, brano dove l’ironia incontra la sensualità. È una canzone sull’attrazione e sulla goffaggine che accompagna l’intimità. I riferimenti stilistici vanno dal funk leggero anni ’70 al cantautorato indie italiano contemporaneo. L’arrangiamento è sinuoso, con un basso quasi parlante. La frase “Sulle tue gambe batte un sole che mi fa morire” ha la forza ambigua di una carezza sotto una luce al neon.

Una ballata liquida e rarefatta che scivola sotto pelle come un sogno d’estate dimenticato, Nelle tue piscine affonda in un immaginario acquatico per raccontare lo smarrimento identitario, ma senza mai alzare la voce. Le piscine diventano qui metafora ambigua — rifugio e prigione, specchio e abisso — di una ricerca di sé che non approda mai a una riva definitiva. È la dolcezza inquieta di chi si perde senza volersi davvero ritrovare.

 La scrittura di Giorgio Poi — che già nei dischi precedenti giocava con le immagini e la sospensione del senso — qui si fa ancora più ellittica, rarefatta, frammentaria. Non è un caso che  Uomini contro insetti, brano che sembra una lunga visione allucinata, tra critiche ecologiche, surrealismo urbano e umori pasoliniani. Il tono è dimesso, ma le immagini sono visionarie: “Mi hai lasciato sulle labbra il rosso dell’alchermes, e il tuo herpes”.

 

Il titolo, enigmatico e quasi scientifico, evoca una soglia oltre la quale la vita — e forse anche l’amore — non può più sopravvivere. Non c’è vita sopra i 3000 Kelvin è un brano che fonde inquietudine cosmica e tenerezza domestica, dove la fisica del calore si trasforma in metafora affettiva: il cuore, quando arde troppo, rischia di non sentire più. Il verso chiave, «Metti un orecchio sul mio petto / e all’improvviso hai capito tutto», ricorda da vicino la poetica di Lucio Dalla — quella capacità di condensare la vertigine dell’amore in un gesto minimo, quotidiano, quasi infantile.

Nel paesaggio emotivo del disco, Les jeux sont faits rappresenta il momento della resa elegante, dell’abbandono lucido, in cui la perdita diventa anche una forma di maturazione. La melodia è rarefatta, trattenuta, come se ogni nota esitasse prima di cadere, mentre il testo affonda in una forma di confessione trattenuta, in cui la voce sembra parlare tanto a un altro quanto a sé stesso. L’introspezione si carica di una dolce rassegnazione, che richiama certi finali felliniani: tutto è già accaduto, e non resta che guardarlo scorrere come un film che conosciamo a memoria.

Estetica della frantumazione

Già la title track, schegge, colpisce per economia espressiva: un minuto e mezzo che è dichiarazione poetica e gesto zen. Qui ogni canzone è un frammento che non vuole ricomporsi: è la bellezza dell’incompiuto.

Tutta la terra finisce in mare è invece un picco emotivo. La canzone osserva la vita dall’alto, come se cercasse un punto di fuga nel dolore. C’è qui un’intimità che non si chiude in sé, ma si espande, ricordando certe pagine di Lettere a un amico lontano di Franco Arminio, o i lunghi campi larghi del cinema di Alice Rohrwacher: la lentezza come forma di rispetto, la distanza come dichiarazione d’amore.

 

Un aggettivo, un verbo, una parola, probabilmente il brano chiave dell’album, sembra dialogare a distanza con Cara di Dalla. Lì c’era la costruzione progressiva del desiderio; qui, l’addio diventa un esercizio di grammatica, in cui ogni strumento è punteggiatura e la voce diventa silenzio. Un addio scritto “nell’attimo esatto in cui accade”, come dice lo stesso Poi.

Chiude il disco delle barche e i transatlantici, brano che potrebbe essere scambiato per una novella di Buzzati musicata da Battiato. Protagonista è la metafora del viaggio, del trasloco interiore, dell’andarsene senza clamore. La leggerezza qui non è evasione, ma scelta consapevole. È il punto d’approdo dopo una navigazione incerta.

Conclusioni

Con Schegge, Giorgio Poi non rivoluziona se stesso, ma affina la sua poetica. È un disco che non si consuma, ma si lascia abitare. Non è per chi cerca canzoni da canticchiare, è per chi ha ancora voglia di perdersi nei dettagli, negli echi, negli spigoli. In un’epoca che ci vuole sempre interi e performanti, lui ci ricorda che anche le schegge possono riflettere la luce.

Gaetano Aspa

“Elvis”: una nuova collana di ritratti musicali targati Baustelle

I Baustelle tornano tra di noi rinvigoriti di nuove idee, anche se senza la verve energica che li caratterizzava. – Voto UVM: 4/5

 

L’ultima volta in cui nei negozi di cd appariva un album del trio di Montepulciano, risale a cinque anni fa: L’amore e la violenza vol.1(2017), vol.2(2018). Un’attesa davvero lunga per una band tanto importante per l’indie italiano. Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini tornano nel 2023 con l’album Elvis. L’attesa risulta però essere stata di grande ispirazione creativa per i Baustelle, grazie anche alle parentesi solistiche rispettivamente con le due uscite Forever e Accade di Bianconi del 2020 e 2022, e con Psychodonna del 2021 della Bastreghi.

L’idea di partenza del progetto

E’ un album alquanto inaspettato per i fans, almeno per la parte più nostalgica e per quella che li ha conosciuti con le ultime uscite. I Baustelle guardano dentro loro stessi, dentro la formazione del loro sound. Scovano il glam rock, un po’di blues e di indie-rock americano, presupposto del loro indie primordiale italiano. Partendo dal “re” indiscusso degli anni ’60 e ’70 Elvis, passando da grandissimi esponenti dei vari generi come Lou Reed, David Bowie, Mick Jagger, trasportano nelle canzoni luci ed ombre delle figure più emblematiche dell’industria musicale attraverso un lavoro narrativo molto ricco.

Inconsueta è anche la scelta del sound usato per il progetto. Nonostante le influenze siano molto facili da carpire, il gruppo non vuole mimarne al 100% lo stile vintage e oltreatlantico. Pertanto si saldano bene nel tappeto sonoro tricolore, il quale ammortizza un po’ la durezza della musica d’influenza, creando qualcosa di molto più vicino al pop ma assolutamente indie e cantautorale.

Baustelle - "Elvis"
Cover di “Elvis”. Casa discografica: BMG

Le ombre

Ed è da questa scelta che prendono forma i ritratti dei vari protagonisti, sempre infusi degli eccessi rocker/stoner americani, come li hanno vissuti le più grandi stars. Abbiamo la drag queen Jackie; l’uomo che frequenta il Gran Brianza Lapdance Asso di Cuori Stripping Club e si innamora di una “Lolita“; la donna che in Cuore, cantata da Rachele solista, ripercorre la sua tumultuosa infanzia prima di gettarsi dal quinto piano di un palazzo col fine di una qualche espiazione.

La luce

Ho voluto usare la parola espiazione perchè il gruppo non si limita a dipingere la rovina ma anche il tentativo di porne moralmente rimedio. Aspetto molto interessante che ritroviamo in Il Regno dei Cieli, brano sorprendentemente dall’anima soul e adornato da un coro finale gospel. Un pezzo che ha il sapore dell’ultima disperata preghiera di una rockstar al culmine del suo squallore, non poteva che essere posto proprio prima di Cuore, il brano più psicanalitico, in fondo all’album.

Baustelle
Baustelle durante un live. Ph: Francesco Prandoni (@francescoprandoni)

I microtemi tricolori

Nel corso della loro narrativa, capita inoltre che i due cantautori cerchino di aggiungere delle digressioni completamente d’attualità. Ce ne si può accorgere nella prima metà dell’album, la meno profonda per così dire. La politica dell’anti-FOMO (Fear of Missing Out) che sta prendendo piede, in Andiamo ai Rave, la velata ostentazione antifascista in Milano è la Metafora dell’Amore sono l’easter-egg dell’album.

L’anima di Elvis

Elvis Presley stesso in carne e ossa, il panorama ribelle di quel tipo di vita che ha marchiato lui, chi come lui, e l’omonimo ultimo progetto dei Baustelle, nel suo interiore e nel suo esteriore, è riassunto dal primo singolo uscito, Contro il Mondo. Un pezzo che si erge a inno di vita e di morte di più di una generazione di ribelli, dagli anni sessanta ad oggi, un vero e proprio banger. Non ho dubbi nel dire che potrebbe diventare addirittura uno dei più iconici del gruppo per la bellezza del suo messaggio di libertà e gioventù.

 

Giovanni Calabrò

Il fragile “Universo” di Mara Sattei

Mara Sattei
Mara Sattei si rivela in “Universo”, viaggio all’interno dell’inconscio fatto di sogni, dubbi e speranze del passato, senza uscire però dalla sua zona comfort. – Voto UVM: 3/5

Mara Sattei si mette a nudo e, nel suo Universo, ci racconta la solitudine, quel senso di angoscia e di inadeguatezza che molto spesso accompagna le nostre vite. Ma ci parla anche dell’importanza della fede e di come conquistare questa consapevolezza sia il primo passo per riconciliarsi con le proprie fragilità.

“Bisogna prendersi dei momenti per sé stessi per capire chi siamo, da dove veniamo, cosa vogliamo dire e cosa vogliamo comunicare.” (Mara Sattei)

Il 9 aprile 2021 esce Scusa, il primo singolo ufficiale di Mara Sattei, prodotto dal fratello Tha Supreme. Un brano che rappresenta la forza gigantesca che una parola può avere, e con cui la cantante romana iniziò a dar vita al suo “mondo minimal”. Segue poi Ciò che non dici, pubblicato il 3 dicembre, e che vorrebbe essere un invito ad agire piuttosto che aspettare che accada qualcosa.

Finalmente il 14 gennaio arriva Universo, uno degli album più attesi dell’anno. Mara è una delle voci più originali del nuovo panorama musicale e questo disco ne è la dimostrazione. È come un viaggio, dentro l’anima di chi ha trovato nella musica “la strada per sentirsi libera”.

Copertina di Universo. Fonte: Columbia Records

Come dentro un teen drama

Non sempre è semplice attraversare i propri limiti e andare oltre le proprie paure. Ansia, solitudine e costante ricerca di libertà sono solo alcuni dei temi trattati all’interno dell’album. Non stupisce dunque il fatto che in alcuni momenti sembra quasi di ascoltare chiari riferimenti a storie adolescenziali. Ne sono un esempio Shot e Blu Intenso ft. Tedua, che sembra trovarsi particolarmente a suo agio all’interno del brano.

“Mi sono presa del tempo per capire su quale brano inserire dei featuring. E dovevano essere affini al mio mondo, altrimenti si rischiava troppo contrasto sulla scrittura del brano. Questa riflessione mi ha portato a scegliere anche artisti con cui non avevo mai collaborato, come Tedua.” (Mara Sattei in un’intervista su “Billboard”)

Si riconferma vincente la collaborazione con Flavio Pardini, in arte Gazzelle, con cui l’artista aveva già collaborato al singolo Tuttecose, una delle hit estive di quest’anno. Ad un primo ascolto Occhi Stelle sembrerebbe una classica canzone indie che non ha niente di nuovo da dire, ma nonostante tutto funziona piuttosto bene. Il ritornello risulta uno dei più orecchiabili dell’intero album e la firma di Gazzelle e del suo “sexy-pop” è più che evidente.

“Mentre in sottofondo passa il tuo ricordo
Perso, vagabondo, il mondo è capovolto
E sei tu come le stelle che non vanno giù
E io come le mutande che non togli più”

Miscela di dubbi e rimorsi

Inaspettato è invece il featuring con la cantante Giorgia, in Parentesi, che fa davvero da spartiacque all’interno dell’album, e in cui Mara finalmente ci dà una dimostrazione completa della sua intonazione precisa e della sua notevole estensione vocale. Per il resto il pezzo avrebbe tutte le carte in regola per partecipare ad un festival come Sanremo. Che sia davvero questo il brano scartato da Amadeus?

Insieme a quello di Giorgia, il featuring con Carl Brave, Tetris, sembrerebbe una delle canzoni più riflessive del disco. Che Mara fosse un’ottima liricista si era già intuito dai suoi precedenti lavori, soprattutto grazie a metriche serrate, neologismi e libertà di linguaggio, Sara Mattei (questo il suo vero nome) qui dà libero sfogo a dubbi e rimorsi del passato, facendosi sempre più piccola e vulnerabile e lasciando allo scoperto le proprie fragilità. Trova largo spazio anche il tema dell’amore, come in Cicatrici e in Sabbie Mobili, e infine il forte rapporto della cantante con la fede e con Dio:

“In Perle racconto proprio di quanto, a volte, ci si possa sentire avvolti da un contrasto; la conseguenza è la richiesta di aiuto. In questi momenti, io solitamente prego, nel brano lo dico esplicitamente. Nei periodi più bui ho sempre mantenuto un legame molto forte con la fede.”

 L’universo perfetto di Mara Sattei?

Ogni album ha i suoi alti e bassi e purtroppo, anche Mara alcune volte sembra non volersi proprio smuovere dalla sua comfort zone, costringendoci a dover skippare la canzone forse un po’ troppo “ritornellosa”. Purtroppo, all’interno di Universo questo accade e non si può non farci caso. Come in Antartide o in Tamigi, che pur essendo state “impacchettate” perfettamente dall’ormai noto fratello minore di Mara, tha Supreme, che si è occupato dell’intera produzione del disco, lasciano l’amaro in bocca, come se mancasse qualcosa.

In definitiva, l’album non è perfetto, ma funziona. Tutti noi possiamo ritrovarci in almeno una di queste canzoni perché ognuno ha i propri punti deboli, le proprie vulnerabilità. L’obiettivo di questo disco sembra proprio quello di buttarle fuori, come in un lungo flusso di coscienza, e trasformarle in punti di forza. Siamo esseri fragili, “facili alla rottura”, ma non per questo soli.

Domenico Leonello

Banzai: il lato “arancio” di Frah Quintale

Un album non per i deboli di cuore, ma che in compenso lascia all’ascoltatore emozioni calde, come l’arancio  4.0 – Voto UVM: 4/5

Il colore arancione è un colore caldo, passionale, viene associato all’estate ed è l’unione tra il rosso e il giallo. Indica vitalità e amore, e proprio come l’arancione, il nuovo album di Frah Quintale è un viaggio d’amore e di passione, ma questi ultimi nascondono tanta sofferenza, sono sentimenti così grandi che trascinano noi esseri umani  in un mondo in cui tutti ci sentiamo al sicuro, ma viviamo con la paura costante di perderli. 

Frah Quintale durante un set fotografico per “Banzai (lato arancio)”  – Fonte: metropolitanmegazin.it

Banzai (Lato Blu) è stato pubblicato un anno fa, è molto più malinconico e nostalgico come il colore blu, un colore freddo a differenza dell’arancio. Lato Blu contiene 10 tracce in cui l’artista racconta le sue esperienze personali; è come una serie tv in cui pian piano scopriamo varie “puntate” della vita del cantante, esperienze che quasi tutti noi abbiamo vissuto o vivremo e ci rendono perciò partecipi del suo dolore.

Ma non stavamo parlando di Lato Arancio? Non preoccupatevi, ne parleremo, ma era giusto soffermarsi su Lato Blu prima: difatti quest’ultimo è la prima parte del progetto del rapper e bisogna ascoltarlo se si vuole seguire Lato Arancio, se si vuole capire fino in fondo il nuovo album. Due colori così diversi, uno freddo e uno caldo, ma che Frah Quintale ha unito quasi con un ponte.

         Con te ho smesso, però mi è rimasto il vizio
         E si capiva già la fine dall’inizio
         La pioggia e il cuore battono allo stesso ritmo
         E non lo vedi che ora scende a capofitto?

Banzai-Lato Arancio (2021)

Il 4 Giugno è uscito il terzo album del rapper Frah Quintale: il CD contiene dieci tracce e si va dal blues al pop, difatti il genere è contemporary R&B. C’era grande attesa per il nuovo album del rapper bresciano: dopo poche ore dalla pubblicazione, su varie pagine social comparivano i suoi testi e gli utenti postavano una storia condividendo la canzone da Spotify… Di certo l’album non è passato inosservato!

Lato arancio è il secondo atto del precedente Lato Blu, è come un film dei più grandi registi. Frah Quintale con la sua voce, i suoi testi e la sua musica ha incantato il pubblico, regalando cartoline immaginarie in cui l’ascoltatore si tuffa nei ricordi.

Le sigarette, l’umore tuo è un castello con le carte

Le dita gialle come luci dei semafori la notte

Le sigarette, l’umore tuo è un castello con le carte

 

Copertina ufficiale di “Banzai (lato arancio)”. Fonte: rockit.it

Come già citato sopra, l’album contiene dieci tracce: tutti i testi parlano di una metamorfosi, non solo dell’artista stesso ma di tutti noi: difatti Frah Quintale ha voluto sfruttare il tema del cambiamento che ha attraversato ognuno di noi da quando è scoppiata la pandemia, rendendoci persone nuove ma senza abbandonare il nostro vecchio stile.

I brani si alternano passando da un sound lento a uno stile più o meno ritmato. Interessante la traccia Chicchi di riso, con il featuring di Franco 126, l’unione dei due artisti è perfetta: due stili diversi ma allo stesso tempo simili.

Lato arancio, è “la parte” che completa l’anima del rapper: vediamo un’artista nuovo e più maturo nei suoi testi, ma la sua mano, quella che ci ha fatto innamorare, piangere e sognare è sempre li.

Il primo giorno di vacanze dopo
Metà dell’anno chiusi in casa
Ho lasciato scaricare il cellulare
E il mio orologio chissà dove
Godersi certi pomeriggi persi

Frah Quintale durante il set fotografico di Banzai (lato arancio). Fonte: hiphopstarztour.com

                                                                                                                       Alessia Orsa

Motta e la semplicità del presente

Un disco che segna la maturità artistica di Motta. In cui anche le più grandi fragilità vengono trasformate in punti di forza.  – Voto UVM: 5/5

Dopo tre anni dall’ultimo album Vivere o Morire e la partecipazione al Festival di Sanremo con Dov’è l’Italia, Francesco Motta torna sulla scena musicale con un nuovo album pubblicato con la Sugar Music il 30 aprile. Non ha più paura di invecchiare, e si interroga sul suo passato e sulla stranezza dell’uomo che non riesce a rendersi conto che i problemi dei vent’anni sono davvero molto più semplici di quanto si pensi.

Il suo nuovo album, Semplice, anticipato dal singolo E poi finisco per amarti, è completamente nudo, elettrificato, reale e soprattutto vivo. Ti trasmette quell’emozione che a volte solamente un live è capace di dare. Magari dentro una grande stanza illuminata con neon a luci rosse e blu, a metà tra una fabbrica e una chiesa, col rumore delle pennate sulle corde di una Stratocaster. Un viaggio nel mondo, o meglio: nella semplicità del presente. Il cantautore pisano ammette di aver fatto pace col proprio passato, tutt’altro che semplice, per concepire quest’album:

Ho scoperto che non sono Peter Pan

afferma in un’intervista, e lasciandosi alle spalle tutti i tormenti e le paure, ci regala dieci tracce di una nostalgica quotidianità in cui tutti noi possiamo ritrovarci, tra ricordi e calzini, sampietrini e caffè.

La ricerca dell’essenziale

Qualcosa di normale, la quarta traccia è, infatti, una richiesta d’aiuto; cantata con un filo di voce insieme alla sorella Alice (unico feat. dell’album), per provare a conquistare non tanto la normalità, ma il sogno di una normalità. Del resto è un pezzo nato prima di una pandemia, fra le campagne di Sacrofano e che vanta i consigli di De Gregori.

E alla fine non ho più paura di stare a guardare qualcosa di normale

È un disco con gli archi, molto arrangiato e soprattutto diverso dai capitoli precedenti: nudo e fragile. Motta sceglie di giocare con la scaletta:

Il forte dopo il forte resta forte, ma il forte dopo il piano diventa fortissimo

Un disco per nulla minimale, con arrangiamenti ricchi, non barocchi ma corposi. In cui al centro c’è la continua ricerca dell’essenziale: come dice Italo Calvino nelle Lezioni americane, c’è il pensiero di una leggerezza che non è quella di una piuma che cade ma di un uccellino che continua faticosamente a volare.

Motta in un gioco di luci

La stessa nostalgia la ritroviamo in Quello che non so di te, che per l’autore altro non è che un ritorno al passato, soprattutto musicale. Per un attimo vengono abbandonati gli strumenti protagonisti: il violoncello lascia spazio al rock, e il pezzo si sporca di new wave sfiorando le ombre dei Cure.

Anche in Regole del gioco sembrerebbe che Motta stia cercando di tornare nella sua comfort zone, un po’ come se fosse il seguito di Chissà dove sarai (Vivere o Morire). Ma continuando l’ascolto ci accorgiamo di avere davanti un autore più maturo, più attento ai dettagli e che in fin dei conti ci piace. Come dice nella canzone:

Sai che c’è? C’è che alla fine qui va tutto bene

Ma questo non è un viaggio di sola nostalgia. A te, la prima traccia dell’album, è un’aperta dichiarazione d’amore, verso gli altri e verso se stessi. Un brano in cui chitarre acide e melodie oniriche si scontrano, riportando alla mente i Velvet Underground. E mentre Via dalla luce è un notturno che si aggrappa al pianoforte, Semplice tiene echi africani in sottofondo, per concentrarsi sul flusso di coscienza.

Tutti hanno paura…

Avete presente quando provate un paio di jeans e vi sta stretto? Beh, a Motta invece quel barlume di esistenzialismo è sempre caduto alla perfezione, e in quest’album è ancora più evidente.

L’estate d’autunno e Dall’altra parte del tempo (ottava e nona traccia) ci trasportano in un universo parallelo in cui tempo e spazio vanno quasi ad annullarsi completamente, lasciandoci un pizzico di cupa e autentica disperazione.

Il cantautore di “Dov’è l’Italia”. Fonte: ilsussidiario.net

Ma Semplice è anche paura: paura di perdersi, paura del futuro. Quando guardiamo una rosa, scritta a quattro mani col cantautore calabrese Dario Brunori (in arte Brunori Sas), è una vera e propria conversazione non amorosa di sette minuti. Un dialogo tra due persone provenienti da tempi diversi, che mettono la paura al centro delle loro vite. La giusta conclusione che, inaspettatamente, dà vita ad una coda strumentale perfetta.

Parlami della paura di vivere insieme una vita sola

Semplice è un gioco di equilibri precari e per questo affascinanti. Un mondo in cui passato e futuro si intrecciano, dando vita a quella semplicità, quasi essenziale, del presente. Un disco che non si limita a raccontare storie ma che ci parla, dritto al cuore. Anche a detta dell’autore, è da ascoltare per intero perché «Il concetto di album è ancora importante». Solo così si potrà ottenere l’assoluta comprensione del semplice e dell’essenziale. 

Domenico Leonello

Mish Mash day 1: Milazzo fa sciogliere anche i Pinguini

Dopo il Welcome Day, il Mish Mash entra nel vivo, anche se un po’ in ritardo, con l’apertura dei cancelli che slitta di un’ora rispetto al previsto. Poco male, se l’attesa è addolcita dal panorama mozzafiato e da una luna quasi piena che illumina il Golfo di Milazzo.

Day 1 – Mish Mash Festival 2019

A confermare queste impressioni sono stati anche i rovere, la band bolognese prima ad esibirsi che ha definito il Castello di Milazzo: <<per pubblico e location il miglior posto dove abbiamo mai suonato>>.

rovere – Day 1

Il programma di giornata è consistente per perdersi in chiacchiere ed in fondo lo spettacolo è cominciato come previsto alle 22 in punto con l’ingresso dei membri della band apripista sulle note di “Caccia militare” tratta dal loro primo ed unico album (ci hanno assicurato fino ad ora) disponibile anche in mogano.

Risultati immagini per disponibile anche in mogano

E se per qualcuno l’utilizzo del minuscolo nei confronti di questi artisti può sembrare poco professionale da parte nostra, i veri fan sanno che è la loro caratteristica. Tutto il contrario è stato invece l’entusiasmo che si respirava tra il pubblico, vista la prestazione che è stata MAIUSCOLA!

Lorenzo Stivani (Stiva dei rovere) ed Emanuele (UVM) – Day 1

Si sono destreggiati tra una canzone e l’altra (regalando anche un inedito), sempre coinvolgendo il pubblico ed omaggiando – oltre alla location – anche un’altra perla del nostro territorio: hanno invitato il pubblico ad urlare “arancino” con tanto di instagram stories-sfida con l’arancina del concerto precedente ad Alcamo (ne saremo usciti sicuramente vincitori).

dal profilo instragram dei rovere (@rovereband)

Insomma, possiamo affermarlo con certezza: il perfetto inizio in previsione degli ospiti più attesi della serata, i Pinguini Tattici Nucleari. In fondo erano loro il “pezzo mancante” per una perfetta notte, non a caso la prima canzone è stata proprio “Tetris” tratta da Gioventù brucata.

Pinguini Tattici Nucleari – Day 1

Hype a mille per la loro esibizione, anche se loro stessi affermano di esserne fuori, ed ampio spazio dedicato al disco che li ha resi più famosi: Fuori dell’Hype (2019). Le aspettative non sono state deluse: tutto il pubblico ha accompagnato gli artisti durante tutte le canzoni, dalle più datate “Cancelleria” (da Il Re è Nudo, 2014) fino alle più recenti “Verdura” e “Lake Washington Boulevard”, tratte dall’ultimo album.

Degno di nota lo spirito di Riccardo, il frontman che riesce a spiegare il significato di ogni canzone senza annoiare il pubblico grazie al suo carattere dirompente ed esuberante.

©Marina Fulco – Riccardo Zanotti (Pinguini Tattici Nucleari) – Day 1

Dopo che tutti i componenti avevano già lasciato il palco, in attesa del successivo artista, sono rimasti ancora per un ultimo pezzo: non hanno potuto non accontentare i tanti fan che chiedevano a gran voce “Irene”. Detto fatto, così i Pinguini salutano Milazzo.

Emanuele (UVM) e Pippo Sowlo – Day 1

La serata continua, con qualche spettatore in meno, accogliendo Pippo Sowlo, artista emergente della scena trap romana, che ha basato la sua carriera – un solo album e qualche singolo – sulla parodia di altri artisti e di sé stesso. Il suo stile presenta forti influenze da temi di attualità trattati sempre e rigorosamente in chiave black humor.

©Marina Fulco – Pippo Sowlo – Day 1

La più orecchiabile è però “Sirvia” (da Ok Computer Però Trap), chiara parodia delle canzoni tipo di Carl Brave. Nonostante la folla fosse diminuita, non mancavano i fedelissimi del cantante e lui non si è risparmiato in battute ed autoironia, fermandosi dopo la sua esibizione proprio sotto il palco.

il Dj @ciaosplendore – Day 1

Dulcis in fundo il Dj Splendore (il quale vanta tra l’altro collaborazioni con artisti del calibro di Cosmo). Lieta sorpresa del festival, ha animato per circa 2 ore in maniera veramente piacevole con un sound techno leggero, che ha ripopolato fino a notte fonda il sottopalco. L’essere in ritardo sulla scaletta non è per nulla pesato ed allo stesso tempo lui non si è risparmiato.

Bilancio finale: festival variegato e divertente, con artisti giovani e frizzanti che hanno saputo non solo suonare, ma anche intrattenere interagendo con i numerosi accorsi, facendo assumere al festival le sembianze di un vero e proprio show.

©Marina Fulco – Day 1

Esperienza sicuramente da rifare!

Claudia Di Mento ed Emanuele Chiara

All’Indiegeno Fest la musica e l’arte non vanno in vacanza: buona la prima!

©GiuliaGreco – Indiegeno Fest 2019

Stessa location dello scorso anno, ma artisti diversi: l’indiegeno è finalmente giunto alla sesta edizione, che si sta svolgendo dal 2 agosto con ospiti del panorama musicale contemporaneo che si esibiscono su un palco allestito nella spiaggia di Patti Marina. Ormai diventato un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati del genere musicale Indie, quest’anno il mood che funge da filo conduttore dell’evento e che ne caratterizza anche la grafica è ispirato agli anni ’90. Già in quell’epoca si comunicava tramite cellulari e sms, ma c’era ancora uno spirito di autenticità che, con l’incombere dei social e di una vita sempre più virtuale, per certi versi si è andato perdendo. Questo festival invece consente ai nostalgici di tornare un po’ alle origini e recuperare quella voglia matta di acquistare i dischi dei cantanti per ascoltarli in automobile e imparare tutta la playlist a memoria per poi poterla cantare a squarciagola ai concerti.

©GiuliaGreco – Indiegeno Fest 2019

È stato proprio questo lo scenario che si è prospettato nella prima serata del festival, che ha riscosso un grande successo con una spiaggia gremita di gente. La musica cura gli animi, accomuna, unisce e fa condividere storie che meritano di essere raccontate. Il miglior modo, quello più genuino, per fruirne al meglio, godendosela dalla prima all’ultima nota, è ascoltarla dal vivo. La musica è una forma d’arte, e per questo non va sempre necessariamente spiegata, ma sentita e vissuta. Lo ha dimostrato Fulminacci, classe 1997, cantautore esordiente che già ha seminato fan in tutta Italia, secondo artista che si esibisce nella serata d’apertura. Prima di cantare “Davanti a te”, la introduce cercando di spiegarne brevemente il significato. Poi lui stesso ha affermato: “Vabbè non ci avrete capito nulla, meglio se la canto”, a riprova che la musica arriva laddove le parole, a volte, si rivelano insufficienti e inconsistenti.

©GiuliaGreco – Fulminacci, Indiegeno Fest 2019

Per circa un’ora Fulminacci riesce a tenere il pubblico instancabile e con il fiato sospeso, mentre lui invece di fiato per cantare ne ha da vendere ed è capace di gestirlo al meglio, soprattutto per quei suoi brani il cui ritmo veloce è sorprendente. Impeccabile, non sbaglia una nota e dal pubblico arrivano applausi di consenso e approvazione. Il cantante romano ci privilegia anche con una novità e una sorpresa inaspettata: un inedito che non è presente nel suo disco, che arrangia solo con voce e chitarra, e una cover singolare e unica nel suo genere di “Stavo pensando a te” di Fabri Fibra.

Dopo Fulminacci, a far scatenare la platea continuano i Canova, che alternano momenti di esibizione ad altri in cui lasciano che siano i cori del pubblico ad animare il concerto, e che confermano quanto le loro canzoni rappresentino ed esprimano a pieno emozioni, sentimenti, disagi, vizi e virtù di una generazione di giovani che come direbbe qualcuno “non è più quella di una volta”, e meno male che sia così. 

©GiuliaGreco – Franco126, Indiegeno Fest 2019

A chiudere la serata incanta la platea Franco126, con i singoli tratti dall’album “Stanza singola”, e uno spazio riservato anche agli esordi di “Polaroid 2.0”. Da parte di Franchino non sono mancati gli omaggi e le menzioni a quelli che lui definisce “fratelli”: la sua band e Tommaso Paradiso. 

©GiuliaGreco – Canova, Indiegeno Fest 2019

Non avrebbe potuto esserci miglior modo per concludere la prima tappa di un festival che si sta rivelando all’altezza di tutte le aspettative. Non ci resta che darvi appuntamento per questa sera e le prossime che seguiranno fino all’alba dell’8 agosto, la cui location sarà il teatro greco di Tindari, per nutrirci ancora di arte e musica, due bellezze che non ci potrà mai togliere nessuno, e che diventano immortali e intramontabili, capaci di perdurare nel tempo. Ci hanno detto: niente dura per sempre, tranne la musica, quella rimane: e se lo dicono i Coma_Cose, tra gli artisti in programma per la serata del 4 agosto, non gli si può non credere.

Giusy Boccalatte

 

©GiuliaGreco – Matteo Mobrici (frontman dei Canova), Indiegeno Fest 2019

La fine del divario tra indie mainstream. Un’analisi della trap


Chiunque si trovi in una precisa fase della vita, in cui la smania di correre dietro a proposte musicali distanti da quelle coltivate fino ad oggi nel proprio orticello, a meno che non lo faccia per mestiere, ha la peggio su anni di memorie sonore accumulate tra le pile di compact disc rovinati, si troverà in seria difficoltà a maneggiare una materia come questa. Ammettiamo pure che tra i 25 e i 30 anni può dirsi forse quasi avviato al termine anche l’ultimo, sfavillante, stadio della post-adolescenza, per cui approcciare un fenomeno di massa relativamente nuovo, almeno qui in Italia, come la trap, subendo condizionamenti e pregiudizi di sorta, è un rischio palpabile.

Ho passato, ad essere sincera, gli anni della mia giovinezza sui banchi di scuola inseguendo l’idea romantica di accostarmi alla musica senza prescindere da tutto quello che avesse a che fare una mia personale visione delle cose, a costo di non essere bene aggiornata su cosa andava di moda in quel momento e non avere una percezione chiara di quello che accadeva intorno una volta messo via dallo stereo un album come Odessey and Oracle degli Zombies del ’68. A questo punto vi sarete chiesti perché in questo primo editoriale, considerato il divario dai miei ascolti consueti, abbia voluto toccare proprio il tema della musica trap. Quello che fin da subito vale la pena osservare è, in barba alle premesse, la notevole capacità che ha il fenomeno di fungere da collante tra individui appartenenti a generazioni diverse. Non è (soltanto) il mondo degli adolescenti a subire l’onda d’urto, ma anche il pubblico dei trenta-quarantenni, una fetta dei quali continua imperterrito ad affollare i concerti indie.  

Le esperienze della dura vita di strada, lo stato di malessere e di miseria, la criminalità e soprattutto lo spaccio di sostanze stupefacenti sono i temi preminenti contenuti nei testi di questo genere costola del southern hip pop, nato ad Atlanta, negli Stati Uniti, intorno agli anni ’90. Trap house era il nome degli ambienti collocati in alcuni sobborghi dove veniva preparata e poi venduta la droga. In origine il fenomeno ha una connotazione socio-culturale, e solo successivamente si collega a un fermento musicale, nella cui scena spiccano tra gli altri i nomi di Gucci Mane, T.I (che nel 2003 ha fatto uscire l’album Trap Muzik) e Young Jeezy. Non sono mancate nell’ultimo decennio le influenze anche sulla musica pop come in alcune canzoni di Lady Gaga e Lana Del Rey.

L’esplosione in Europa e in Italia arriva dopo il 2011, diventando nel bel paese un fenomeno di successo a partire dal 2016, quando la diffusione dei brani inizia ad assumere proporzioni virali. Ad animare la scena è il produttore Charlie Charles, nella cui orbita gravitano Ghali e Sfera Ebbasta, vincitori di premi e insospettabili conquistatori di vertiginose vette di popolarità. Da questo punto di vista non ci sono dubbi che si sia modificata la fruizione: i dischi sono quasi scomparsi dai tradizionali canali di vendita per essere sostituiti dalle applicazioni di streaming e dall’ascolto su YouTube.

La scena trap si muove in larga parte in un sottobosco, raramente frequentato dai media (nonostante l’ospitata di Ghali da Fabio Fazio) che si nutre di visualizzazioni e follower. La prima caratteristica che balza all’orecchio dell’ascoltatore è il massiccio uso dell’effetto detto “autotune” su tutti i cantati. Per i non addetti ai lavori, si tratta di software creati per correggere eventuali problemi di intonazione vocale. Se la stonatura da correggere è particolarmente pesante si creano degli artefatti che danno al cantato un suono un po’ robotico e balbuziente. Questo che in origine era un difetto da evitare è stato a volte ricercato di proposito (tutti ricordano il famoso ritornello della hit “Believe” di Cher del 1998). Mediamente le basi non presentano una particolare originalità rispetto alle classiche basi rap: se dovessimo trovarvi qualche particolarità potremmo accennare alle velocità leggermente più lente, ai bassi sintetici molto profondi, ai terzinati percussivi e poco altro. Spesso sono affidate a sapienti produttori piuttosto che alla stesse trap-star che si limitano a cantarci sopra i loro testi.

Avevamo pensato che si sarebbe potuto chiamare Trapstar, ma ci sembrava una roba troppo riduttiva. I nuovi trapper sono le nuove rockstar”

https://www.youtube.com/watch?reload=9&v=hReKGfeAtfM

Il principale punto a favore che li rende appetibili presso un pubblico stratificato è la qualità delle registrazioni in termini audio e la cura con cui sono realizzati i videoclip. Negli ultimi tempi la contraddittorietà che è insita a tutto il circuito dell’ indie italiano con il suo mix labile fatto di pretesa di originalità, testi di quotidiana estemporaneità e ritornello facile, li ha resi  i portavoce, in alcuni casi, di un prodotto vicino alla stessa scena, tanto che Calcutta ha voluto il rapper Rkomi per aprire i suoi concerti. Ma come si sa, in questi casi, se si considera ad esempio la presenza di una artista come Francesca Michielin proprio in questi giorni al MI AMI, si tratta di pure etichette vuote di contenuto. Il concertone del primo maggio, che quest’anno è riuscito a svecchiare la sua proposta, d’altra parte, è indice della confusione e della mescolanza che avviluppa il cosiddetto alternative, portando sullo stesso palco, rivolti a un medesimo pubblico, fenomeni trap e cantautori indie. Punta dell’iceberg, accanto al misterioso Liberato, è uno strano personaggio, Young Signorino, autore di testi dadaisti e apparentemente privi di logica, che non si è presentato a suonare al concerto di sabato a Roma al Monk. Un’altra trovata per suscitare hype? Forse. E’ chiaro, comunque, che ormai si è raggiunto il crollo di un certo radical chic sborrone, ed entrambe (l’indie e la trap) sono in corsa per raggiungere i cuori (e gli smartphone) di un numero sempre più elevato di ascoltatori. 

                                                                  Eulalia Cambria

Masseduction: molto più che seduzione quella di St. Vincent

A giugno avevamo riportato la notizia dell’imminente tour, il 13 ottobre il mondo ha potuto ascoltare Masseduction il quinto album di St. Vincent.

 

Il primo singolo “New York” è stato pubblicato a fine giugno seguito dal video il cui regista è Alex Da Corte, video molto controverso e colorato fino a quasi disturbarti.

I colori accesi, sono la cifra visiva di questo album.

In “New York” la chitarra è sostituita da un pianoforte e rispetto a tutte le altre ha una durata brevissima. Piange la perdita di “un eroe, un amico” e di un luogo che non è più quello di una volta ma consapevole dell’esistenza di una persona che è “the only motherf*** who can stand me” ci coinvolge in un senso di perdita e affrancamento universale.

Da luglio ad ottobre St. Vincent si è divertita a pubblicare video satirici , scritti dal fine intelletto comico di Carrie Brownstein (cantante delle Sleater Kinney e autrice e protagonista della serie Portlandia) nei quali, vestita in latex e circondata da donne mezze nude coi volti coperti, risponde alle tipiche domande futili che molti giornalisti pongono alle musiciste.
È una ironia molto sottile ma che dimostra l’insofferenza per queste situazioni, è una riflessione sul potere dei media che ci mostrano quello che vogliono.

https://www.instagram.com/p/BYhTj6Ij7qW/?taken-by=st_vincent

Poi in una finta conferenza stampa su Facebook live ha annunciato la data dell’album.
Queste azioni, oltre che aumentare la curiosità del pubblico, si ricollegano ai temi dell’album che potrebbero essere riassunti in “potere, sesso e pillole” e la loro disamina.
Ci ritroviamo davanti una copertina color rosa acceso e il derrière di una ragazza (Carlotta Kohl ndr) in body leopardato e tacchi a spillo.
Quest’opera ultima è studiata fino al minimo particolare ma ha tenuto a precisare che è anche il materiale più personale mai scritto.
È una St. Vincent dalle sonorità totalmente diverse da quelle a cui ci aveva abituati, alcuni adducono l’influenza del coproduttore Jack Antonoff, ex Fun ora frontman dei Bleachers e uomo dietro i maggiori successi di Lorde e Taylor Swift, ma potrebbe essere la voglia sperimentalista della stessa cantante.
È sempre lei. John Congleton rimane suo coproduttore.

Masseduction si apre con “Hang on me”, voce spezzata e ci chiede di rimanerle attaccata perché “non siamo fatti per questo mondo” e tenta di rassicurarsi e rassicurarci dicendo che solo “gli amanti sopravviveranno”.
Una voce posh apre la seconda traccia “Pills” ripetendo il ritornello-filastrocca su un jingle che rimane in mente. La voce posh è quella di Cara Delevingne.
Dopodiché arriva l’amata chitarra che trasforma la canzone da pop a rock e poi un sassofono, ricorda quasi una delle canzoni composte con David Byrne. Ho trovato delle reminiscenze di “The dark side of the moon”.
È una canzone di grandi collaborazioni: Jenny Lewis intona sul finire e per concludere un bellissimo assolo di sax di niente di meno che: Kamasi Washington.
Qualcuno urla in giapponeseseiken no fuhai” cioè “il potere corrompe”. 
È Toko Yasuda questa è “Masseduction” ritmo prepotente a sostenere un testo che ci parla di seduzione.
In una intervista ha affermato che la frase “i can’t turn off what turns me on” potrebbe racchiudere la tesi di questo album. Molto pop con una chitarra elettrica fortissima nei momenti adatti.

02 Brixton Academy Londra il passato ottobre

Arriva “Sugarboy” Donna Summer che incontra la chitarra di St. Vincent.
È il regalo personalissimo al suo pubblico “alle ragazze, ai ragazzi, agli altri” d’altronde è sempre stata sostenitrice della teoria della “fluidità di genere”. È un trionfo.
Ricorda anche di quando era attaccata ad una balconata, durante il passato tour era solita arrampicarsi sulle casse, le balconate dei teatri.
“Los Ageless” è una critica alla cultura della bellezza e cura, ma parla anche di una relazione finita , si chiede “how can anybody have you and lose you and not lose their minds, too?”.
Sintetizzatore a go go e chitarra. Funziona e si impone oggi come la più popolare fra i singoli, forse più di “New York”.

Proprio nel momento in cui ci siamo convinti che sia passata completamente al pop per questo album arriva “Happy birthday Johnny”.
La figura di Johnny, presente in tutti i suoi album, è un amico, un fratello, Johnny è tutti. È una canzone struggente.
È cantata in maniera così intima che è facile trovare un punto di contatto, immedesimarsi.

Ci risolleviamo l’animo con “Savior”, giochi di ruolo con l’amante, al synth e alla chitarra si aggiunge il pedal steel e il basso di Pino Palladino e poi la voce incredibile di Patti Andress.
“Fear of the future” è la classica St.Vincent, chitarra, canta la paura del futuro di questi tempi incerti per scacciare la paura stessa.
Con “Young lover” torna a cantare dell’amore finito e di come l’abbiano distrutto le pillole.
L’ inframezzo musicale “Dancing with a ghost” è il preludio a “Slow disco” (concettualmente potrebbe essere la conseguenza degli eventi di “Young lover”) in cui si torna a toni malinconici cantata su una base di archi. Sfila la sua mano da quella dell’amante lasciandolo ballare con un fantasma.

L’album si conclude con “Smoking Section” la voce non sembra la sua: l’ha registrata un semitono sopra rispetto alla melodia e abbassata in post-produzione.
È ruvida,  perfetta per il contesto. Nota personale: una delle mie preferite.
Non si sente adatta per questo mondo ma lascia che gli eventi accadano, vendicativa verso i cari afferma che in questo mondo non c’è niente di meglio dell’amore.
Lo ripete a se stessa ma anche a noi.

È un album che ha diviso la critica e il pubblico, chi le da della traditrice sfociando nel pop e chi invece osanna al capolavoro. Intanto è nella top 10 dei migliori 200 album del 2017 stilata dalla Billboard.
È musicalmente perfetto e i testi sono delle ballate intuitive ed intense, una schiettezza mai letta prima.  
C’è il pop, il rock, la tecno, il tutto rivisitato e composto nella chiave unica di St. Vincent.
Chiude rassicurandoci che, nonostante la corrosività del potere, il sesso, le pillole, gli amori sbagliati, con voce chiara e acuta “non è la fine”.
No Annie Clark non è la fine, è solo l’inizio di un altro percorso dell’artista poliedrica e geniale che sei.

 

Arianna De Arcangelis

(Piccola) guida itinerante ai festival musicali dell’estate in Sicilia

E’ arrivato il momento ormai di liberare gli ormeggi che ci hanno tenuti legati alla scrivania, e di ricaricare le batterie in vista della resa dei conti finale a settembre. 

Dai grandi palchi internazionali a quelli più nascosti; l’estate è la stagione per eccellenza dei festival sotto le stelle. Ovunque in Italia il calendario è fitto di appuntamenti, ma per chi ha scelto di trascorrere le vacanze nell’isola le proposte sono numerose. Nel 2017 la Sicilia si conferma scenario ideale per immergersi in luoghi di bellezza al contatto con la natura e l’arte: mare, parchi, teatri e antichi castelli sono la materia prima per un concentrato di musica indie, rock ed elettronica. Di seguito vi proponiamo una guida pratica, immaginando, come ha fatto il cantautore Colapesce con Alessandro Baronciani nel fumetto La Distanza, di percorrere in lungo e in largo la Sicilia alla scoperta delle situazioni più interessanti e le opportunità da non perdere.

Si parte stasera a Catania, fino al 23 luglio, con la quarta edizione dello Zanne Festival al Castello D’Urso Somma. Il primo giorno saliranno sul palco gli statunitensi Of Montreal, formazione influenzata dal pop psichedelico e barocco di impronta sixties, gli Einstürzende Neubauten, band capofila del genere industrial capitanata da Blixa Bargeld, ex musicista dei Bad Seed di Nick Cave, seguiti dai Fufanu e H. Grimace. Sabato 22 è il turno dell’attesissima esibizione degli Air che presenteranno al pubblico siciliano il loro ultimo disco, Twentyyears, Nella stessa giornata suoneranno The Liminanas e Fujiya & Miyagi. Domenica 23 tocca ai Soulwax far ballare tutti i presenti con un repertorio elettronico che include la famosa hit E Talking, e alle band Ulrika Spacek e The Mystery Lights. Nei giorni del festival verrà allestito un camping, e diverse attività extra si svolgeranno sui Monti Rossi, presso Nicolosi, come laboratori musicali, trekking sull’Etna, workshop e osservazioni astronomiche a cura dell’osservatorio astrofisico di Catania.

Ma c’è tempo appena per una granita veloce lungo il percorso. Già il giorno successivo, 24 luglio, infatti ci spostiamo a Siracusa, all’Ortigia Sound System, proseguendo questa volta il nostro tracciato festivaliero all’insegna dell’elettronica e della musica house. Nella suggestiva Arena Maniace e in altre località a ridosso del mare, fino al 30 luglio, si esibiranno moltissimi Dj e nomi internazionali. Questi sono solo alcuni: Mount Kimbie, Erlend Øye (dei Kings of Convenience), Palms Trax, Avalon Emerson, Sevdaliza, Stump Valley, Awesome tapes from africa, Moses Boyd, Baba Stiltz, !K7 Sound System, Marcin Öz (Whitest Boy Alive).

Senza allontanarsi di molto andremo a Milo (CT) dove, dal 30 al 2 agosto, si svolgerà il festival di musica italiana Luce del sud organizzato da Franco Battiato. Figurano nel cartellone i nomi di Francesco Gabbani, Carmen Consoli, Emma, Arisa, Vasco Brondi, Miele, Roberto Cacciapaglia e Juri Camisasca.

La provincia di Messina sarà protagonista ad Agosto con Indiegeno, Mish Mash Festival e Pas De Trai. Il primo, dal 4 al 10, avrà come meravigliosa cornice il golfo di Patti, tra le Grotte di Mongiove e il Teatro Greco di Tindari; uno dei festival più belli dell’estate (nei giorni dei concerti sono previste visite guidate nei dintorni) e di crescente qualità artistica che quest’anno, per la quarta edizione, ospiterà Boosta Dj, Ex Otago, Sergio Beercock, Persian Pelican, Marianne Mirage, insieme ad altri. Headliners il 9 e 10 Carmen Consoli, Brunori Sas e Artù. Al Mish Mash Festival, per il secondo anno nel castello di Milazzo, il 5 e 6 agosto, invece suoneranno I Camillas, l’interessante cantautore romano d’adozione Giorgio Poi, Clap! Clap!, Canova, Be a Bear, Colombre e altri artisti. Negli stessi giorni a San Fratello (3-7 agosto) si terrà Pas De Trai, festival dedicato alla scoperta del Parco dei Nebrodi tra workshop, installazioni, Dj set e jam session. Sul palco La Rappresentante di Lista, i Tokyo Sound Land, i Mòn e i We are Children (We Make Sound).

Le abbuffate di pasta alla norma devono comportare ripercussioni sullo spazio-tempo perché, nel proseguire il nostro viaggio, ci spostiamo idealmente dall’altra parte dell’isola, più precisamente ad Alcamo e Agrigento. Il 4 e il 5 agosto al festival Nuove Impressioni, arrivato alla sua nona edizione, sarà il turno dei Gazebo Penguins, Moseek Junkfood 4tet, STUFF, Hey Bulldog, Mòn, When Due, e Aharon. Anche Agrigento diventa terra di Festival con FestiValle, la prima manifestazione musicale e di arti digitali nella Valle dei Templi. Il Tempio di Giunone, il Farm Cultural Park di Favara e la spiaggia di San Leone saranno la location di un ricco calendario che dal 4 al 6 agosto ospiterà concerti di musica jazz, elettronica, seminari e performance.

La rassegna si chiude, a metà strada, sul Parco delle Madonie. Per il ventunesimo anno Castelbuono (PA) è sede di uno dei festival più apprezzati d’Europa, l’Ypsigrock.  Anche quest’anno, dal 10 al 13 agosto, piazza Castello diventa il fulcro di un tracciato musicale di spessore all’interno della musica alternative. Venerdì 11 suoneranno tra gli altri i Ride, storico gruppo britannico shoegaze degli anni ’90, sabato 12 i Digitalism, duo tedesco disco-punk e i Beak. Domenica 13 è il tanto auspicato arrivo in Sicilia dei Beach House, band dalle melodie sognanti che risente delle stratificazioni sinfoniche di Brian Wilson e dell’influsso del dream pop. La stessa sera suoneranno Edda e i Cigarettes After Sex. Nei giorni del festival sarà allestito, come da tradizione, il camping presso San Focà, con dj set ed esibizioni. Tra un assaggio dell’eccellente panettone di Fiasconaro e una fetta di Testa di Turco, le strade del borgo si riempiranno di iniziative e spettacoli pomeridiani. I meno instancabili proseguiranno l’itinerario trasferendosi dal 18 al 20 agosto a Cefalù, dove il festival indipendente Camp Art darà sprint alla seconda metà di agosto con musica tekno e con i Desert Storm Soundsystem.

Di seguito i link di tutti i festival:
http://zannefestival.com/
http://www.ortigiasoundsystem.com/2017/
http://www.ansa.it/sicilia/notizie/2017/07/08/musica-a-milo-festival-luce-del-sud-promosso-da-battiato_cb1afd76-0b1c-4eb6-a1e0-41d1c7843816.html
http://www.indiegenofest.it/
http://www.mishmashfestival.com/
http://pasdetrai.com/
http://www.nuoveimpressioni.com/
http://www.festivalle.it/
http://www.ypsigrock.it/
https://www.campartfestival.org/

Eulalia Cambria