Dieci giorni di guerra, ciò che è successo nelle ultime ore del conflitto tra Russia e Ucraina

Decimo giorno di guerra. Questa è una frase che non avremmo forse mai pensato di udire nel 2022, almeno non noi cittadini di quella parte del mondo nella quale non si assiste a una guerra dal secolo scorso. Eppure, il conflitto in Ucraina non accenna a virare verso una de-escalation. Aldilà dei danni materiali, delle città distrutte, delle case di migliaia di ucraini sventrate dalle bombe russe, ciò che guarirà a stento sono le ferite dell’animo.

Dieci giorni di guerra. L’Ucraina tra le macerie (fonte: larepubblica.it)

Un esodo di milioni di persone

Una valanga umana”, così è stata definita la moltitudine di persone che si sta riversando nei Paesi confinanti all’Ucraina. Le stime indicano 1.5 milioni di persone in movimento, ma il numero è destinato a crescere sempre più. A dirlo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi.

Chi è rimasto vive ormai nei rifugi, negli scantinati, nei garage o nelle metropolitane, ma ci sono moltissimi anziani che non possono raggiungere neanche questi luoghi più al riparo. Le famiglie sono state smembrate: mentre gli uomini impugnano le armi per combattere personalmente contro il nemico, donne e bambini se non sono già aldilà dei confini – anche se abbiamo visto molte donne unirsi ai combattimenti con molto coraggio – sono in marcia verso di essi. Un cammino, normalmente della durata di poche ore, che adesso può durare anche diversi giorni, dovendosi spesso fermare per ripararsi dagli attacchi.

Immagini di persone in cammino (fonte: larepubblica.it)

Gli adulti non sanno più come giustificare ai bambini ciò che sta accadendo e del perché debbano nascondersi o andarsene via.

L’avanzata russa lascia dietro di sé sangue e disperazione. A Kharkiv le autorità locali hanno contato più di 2mila morti, fra i quali oltre 100 bambini. Un dato, quest’ultimo, che convince sempre di più sull’atrocità, e soprattutto l’assurdità, del conflitto. Una guerra non è mai giusta ma quando vengono coinvolti bambini e civili non si riesce ancor più a realizzare che una cosa del genere stia accadendo davvero.

 

L’attacco alla centrale ucraina di Zaporizhzhia

L’attacco di ieri, 4 marzo, alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa e che fornisce il 20% dell’energia necessaria all’Ucraina, è prova dell’ostinatezza russa ad ogni costo.

All’1.20 della notte era scattato l’allarme antincendio: all’interno del perimetro dell’impianto sono divampate le fiamme a causa degli scontri che andavano avanti da giovedì sera. Il terrore, che era tutto per la minaccia all’integrità dei reattori, è fortunatamente rientrato dopo 3 ore. Il direttore generale dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) ha, infatti, rassicurato dicendo:

«Siamo stati fortunati, nessun rilascio di radiazioni».

Gli operai della centrale nucleare “stanno lavorando sotto la minaccia delle armi”, riferisce Petro Kotin, il capo di Energoatom, l’azienda di Stato ucraina che si occupa della gestione delle quattro centrali nucleari sul territorio. I russi hanno ormai il controllo di questo impianto e  tengono in pugno anche l’Europa: qualora avvenisse ciò che si temeva stesse già per succedere, costringerebbe forse l’intero continente a doversi svuotare, per sfuggire alle radiazioni.

Aldilà della paura per un eventuale scoppio, l’evento ha sottolineato quanto i russi sembrino veramente pronti a tutto, addirittura a rischiare la loro stessa incolumità e quella del loro popolo, scatenando una catastrofe peggiore di Chernobyl.

 

Il bavaglio alla libertà di stampa in Russia

La Duma, il parlamento russo, ha approvato una legge che limita la libertà di stampa. Fino a 15 anni di carcere per chiunque diffonda fake newssull’esercito e l’azione militare russa: è ormai vietato usare parole come “invasione”, “guerra” e persino “offensiva”. Quella della Russia, per il Cremlino è infatti un’“operazione militare speciale”.

Novaya Gazeta”, il giornale del premio Nobel per la pace Dmitry Muratov, ha dovuto rimuovere tutti i contenuti sulla guerra in Ucraina per non incorrere nella censura. Non è l’unico caso: emittenti radio e tv indipendenti, sono state costrette a chiudere.

Alexey Venediktov, direttore dell’ “Eco di Mosca”, emittente radio indipendente, ha vissuto il giorno più nero in 32 anni di storia del canale radiofonico, chiuso insieme al suo sito web, per volere delle autorità.

Sappiamo bene che la libertà passa tramite la libertà di stampa. Nei giorni scorsi, il gruppo di hacker più famoso al mondo, Anonymous, ha dichiarato l’inizio di una guerra informatica a Putin. Negli scorsi giorni ha trasmesso sulle tv russe le reali scene di ciò che sta succedendo in Ucraina, così da rendere davvero coscienti i cittadini russi e spingerli a scavare nella propria coscienza, nonostante, come abbiamo visto, la repressione dall’alto stia usando il pugno di ferro anche contro le spontanee manifestazioni pacifiche.

 

Il no-alla-guerra che parte dal cuore della Russia

Nel cuore della stessa Russia è scoppiato un altro conflitto dai connotati diversi: migliaia di persone continuano a manifestare contro la decisione del loro presidente. Circa 6mila persone, finora, sono stare arrestate in sei giorni. Tra loro persino un’anziana.

Proteste di cittadini russi, nel cuore della Russia contro la guerra (fonte: zazoom.it)

«Soldato, metti giù le tue armi e sarai un vero eroe». Così recitavano i due cartelli che la nonnina russa, Yelena Osipova, teneva in mano durante le proteste per la pace a San Pietroburgo. Nata durante l’assedio nazista nella città, allora Leningrado, l’anziana, due giorni fa, si è unita ai cortei. Diventata immediatamente un simbolo del no-alla-guerra, durante il corteo è stata avvicinata da due agenti antisommossa che le hanno fatto segno di andarsene. Hanno poi provato a sfilarle i cartelli dalle mani, senza aggredirla, ma con fermezza. Yelena non si è scomposta neanche in quel momento, ha persino alzato lo sguardo per incrociare quello dei due agenti, fin quando, tra i cori di chi stava intorno, filmava e gridava “no alla guerra”, non è stata arrestata.

Yelena Osipova, l’anziana russa contro la guerra (fonte: zazoom.it)

Il video di 41 secondi, in poche ore ha raggiunto quattro milioni di visualizzazioni. Su chi sia Yelena poco si sa, ma di sicuro ora sappiamo che è un’eroina: ha dimostrato come la forza d’animo può essere più forte di un intero esercito, come la forza fisica non possa niente contro gli ideali, se ci si crede veramente.

Solo cinque ore di cessate il fuoco

Di stamane, la notizia di una momentanea tregua tra Mosca e Kiev, per consentire l’apertura di corridoi umanitari e, dunque, ai civili di Mariupol e Volnovakha, lasciati senza acqua ed elettricità, di lasciare le città, anche se il primo ministro ucraino Zelensky ha chiesto, a chi può, di rimanere per aiutare la difesa. Da Mariupol verranno fatte evacuare 200mila persone e 15 mila da Volnovakha.

Solo cinque ore al giorno, quelle concesse da Mosca, non si sa per quanto. La rotta prevista per il corridoio umanitario seguirà l’itenerario: Mariupol – Nikolskoye – Rozovka – Polohy – Orekhov – Zaporozhye, secondo quanto riportato dalle agenzie ucraine. I cittadini potranno prendere i mezzi personali o usare i mezzi messi a disposizione, come dei bus.

Intanto, gli attacchi aerei continuano altrove, Kiev è quasi accerchiata, poiché il lunghissimo convoglio delle forze di Mosca è, seppur bloccato, a 25 chilometri da essa. A Sud le forze russe avanzano e si preparano ad assediare Odessa.

Quanto durerà la guerra?

Non si sa quanto ancora durerà il conflitto e che piega prenderà. Gli analisti hanno però formulato varie ipotesi.

La Russia ha subito, nella prima settimana di scontri, più perdite di quante se ne aspettasse, vista la strenua difesa ucraina. Potrebbe, dunque, scegliere di premere sull’acceleratore, procedendo con bombardamenti a tappetto, pur di conquistare Kiev, ottenendo ciò che l’ha spinta a iniziare il conflitto: il “cambio di regime”, abbattendo le “forze neo-naziste” ucraine e annettendo Bielorussia e Ucraina al suo territorio.

La guerra potrebbe durare dalle 4 alle 6 settimane e richiedere l’impiego di più dei 200mila uomini all’inizio impegnati, per serrare i confini e poter conquistare l’intero Paese.

(fonte: zazzom.it)

Lo scenario peggiore, per evitare il quale non si è proceduto a sancire una no-fly zone sull’Ucraina, vedrebbe l’Onu costretta a dichiarare guerra a Mosca, qualora, ad esempio, Putin, una volta conquistata l’Ucraina, penserebbe a invadere Moldovia e Georgia (ex-repubbliche sovietiche) o persino i tre Paesi Baltici, chiedendo aiuto alle minoranze russe lì residenti.

 

 

Rita Bonaccurso

Anonymous: il movimento di hacker pronto alla guerra informatica contro Putin

Dopo le pesanti accuse e le successive minacce contenute in un videomessaggio pubblicato pochi giorni fa, il gruppo di hacker Anonymous ha dato il via alla cyber guerra contro la Russia. Tra le azioni più rilevanti attualmente spicca la manomissione del sito del governo russo, sovraccaricato di richieste di accesso e mandato fuori uso.

Anonymous: un movimento di “hacktivisti”

Anonymous non è nuovo a questo tipo di azioni. Il loro movimento ha da sempre cercato di combattere delle battaglie perseguendo ideali di libertà e pace, seppur non sempre attraverso mezzi leciti. Nel 2015 – dopo l’attentato rivendicato dall’Isis al teatro Bataclan di Parigi – il gruppo di hacker si è reso protagonista di una serie di attacchi informatici verso l’organizzazione terroristica. La natura dell’organizzazione è intuibile anche dai vari simboli che utilizzano. Uno su tutti la maschera di Guy Fawkes – resa celebre dal film “V for Vendetta” – che, oltre ad avere un forte significato allegorico, contribuisce a mantenere un certo alone di mistero attorno al movimento.

Maschera di Guy Fawkes. Fonte: corriere.it

Il videomessaggio e la presa di posizione

Già dal 24 febbraio, quando le voci di una possibile invasione da parte della Russia si facevano più insistenti, il gruppo aveva dichiarato che avrebbe considerato tale scenario inaccettabile. A meno di 24 ore dall’attacco poi – tramite Twitter – ha annunciato l’imminente inizio della guerra informatica:

“Anonymous è attualmente coinvolto in operazioni contro la Federazione russa. Le nostre operazioni prendono di mira il governo russo. È inevitabile che anche il settore privato ne risentirà molto”.

Ed ecco che poche ore dopo viene pubblicato il videomessaggio, diventato ormai virale, in cui un individuo mascherato – presumibilmente il leader del movimento – condanna con parole forti l’operato di Putin, accusato di “non avere rispetto per i diritti umani“. Nel messaggio poi non mancano le minacce da parte del movimento, che afferma di godere dell’appoggio da parte di hacker sparsi per tutto il globo. Alcuni di questi – a detta del leader – anche nello stesso territorio russo. Il video si conclude con l’ormai celebre chiusura di ogni messaggio dell’organizzazione:

“Noi siamo Anonymous, siamo una legione”

Anonymous vs Putin. Fonte: ilriformista.it

L’inizio degli attacchi informatici

Dal momento del messaggio sono stati effettuati numerosi attacchi informatici contro la Russia e la Bielorussia (sua alleata). Azioni simboliche come l’aver modificato i dati dello yacht di Putin, che per un breve periodo è apparso sul portale di navigazione “Vesseltracker” – dove vengono tracciate tutte le navi del mondo – con l’appellativo “FCKPTN”, chiaro insulto al presidente russo. Oltre a questo sono stati mossi numerosi attacchi più “concreti” come l’aver bloccato il sito della Gazprom: principale ente russo per l’esportazione di gas. Anche nei confronti della nazione alleata, la Bielorussia, la “furia” degli Anonymous non accenna a placarsi. Recentemente infatti sono stati hackerati i siti web delle ferrovie e delle banche nel tentativo di bloccare un’intera nazione. Ecco la rivendicazione dell’operato tramite un tweet:

Una guerra nella guerra

In un contesto geopolitico che – purtroppo – tende sempre di più ad assomigliare agli scenari bellici del 1900, l’operato degli Anonymous rappresenta una novità. I sistemi informatici ormai sono alla base della vita dell’essere umano. Tutto si appoggia su di essi: governi, banche, trasporti e se qualcuno risulta essere in grado di colpire tali meccanismi rischia realmente di bloccare o rallentare la società. Questo è quanto sta accadendo in Russia e Bielorussia a causa delle azioni del movimento di hacker. Quanto questi attacchi possano essere utili per fermare il conflitto è impossibile stabilirlo con certezza, tuttavia non sono da sottovalutare. Il potere informatico, al di là di quanto grande esso sia, non può sicuramente contrastare da solo la forza politica e bellica dell’armata russa, ma in contesti come questi anche i dettagli possono fare la differenza. La “legione” degli Anonymous ne è consapevole e nel suo piccolo, nella sua personale guerra nella guerra, cerca di fare il possibile sperando in una ritrovata pace.

Francesco Pullella

Ucraina nell’Ue: una strada difficile, ma possibile

Lunedì la Verchovna Rada (il Parlamento ucraino) ha pubblicato un tweet dichiarando che il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato la domanda di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea.

La domanda è stata seguita dall’approvazione, da parte del Parlamento Europeo, di una risoluzione in cui l’istituzione europea ha dichiarato di essersi assunta l’impegno (più politico che giuridico, dal momento che l’atto in questione non risulta vincolante) di permettere una tale adesione.

Il Presidente ucraino è poi intervenuto durante una plenaria straordinaria dell’Europarlamento dedicata al conflitto russo-ucraino. Dalle sue parole è emerso un desiderio di incoraggiamento ed inclusione dell’Ucraina negli ambienti europei, oltre i semplici rapporti di vicinanza:

Vogliamo essere membri a pari diritti dell’Ue. Stiamo dimostrando a tutti che questo è quello che siamo.

D’altronde, la richiesta – pur giungendo in un momento particolarmente difficile per l’Europa intera – si cala all’interno di una politica coerente perseguita da Zelensky sin dalla sua elezione, a partire dal 2019, quando la Verchovna Rada ha legalmente incluso nella Costituzione dell’Ucraina il percorso per l’adesione alla NATO e all’Unione Europea. La riforma dell’articolo 102 ha inoltre ampliato i poteri del Capo di Stato in tal senso, rendendone «il garante dell’attuazione».

Ucraina nell’Ue: i possibili scenari

Il percorso di adesione all’Unione Europea è spesso lungo e tortuoso e può durare molti anni. Per questa ragione la Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, oltre ad accettare di buon grado la richiesta dell’Ucraina, ha fatto riferimento al fattore tempo:

Abbiamo un processo con l’Ucraina che consiste, ad esempio, nell’integrazione del mercato ucraino nel mercato unico. Abbiamo una cooperazione molto stretta sulla rete energetica, per esempio. Così tanti argomenti in cui lavoriamo a stretto contatto e in effetti, nel tempo, ci appartengono. Sono uno di noi e li vogliamo dentro.

(fonte: frontnews.eu)

Sembra difficilmente apprezzabile, invece, un percorso di adesione facilitata in vista delle condizioni che affliggono attualmente l’Ucraina, sebbene auspicata da Paesi come la Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca.

Ma anche supponendo un’entrata immediata dell’Ucraina nell’Unione Europea, ci si chiede quali conseguenze una tale decisione assumerebbe. Come già affermato anche dalla Presidente von der Leyen, innanzitutto inclusione nel mercato unico. A tal proposito, uno dei requisiti fondamentali di adesione è l’esistenza di un’economia stabile che sia in grado di far fronte alla concorrenza e alle esigenze di mercato interne ed esterne all’UE.

Dal punto di vista militare, gli Stati dell’Unione sono legati da una clausola di difesa reciproca introdotta dal Trattato di Lisbona che li obbliga ad intervenire in aiuto dello Stato membro vittima di un’eventuale aggressione nel proprio territorio. Ciò significherebbe – nel breve termine – coinvolgere l’Unione nel conflitto con le forze russe.

Una conseguenza più sul lungo termine sarebbe quella di mettere a rischio la sostanziale funzione pacificatrice dell’Unione Europea, che, come affermava Giorgio Amendola nel 1974, «può avere solo una politica di neutralità, non di rivalità con le due potenze [Russia e Stati Uniti]».

Infine, libertà di movimento in tutto il territorio dell’Unione, soprattutto per le centinaia di migliaia di cittadini ucraini sfuggiti al conflitto. A tal proposito, Reuters ha riportato che la Commissione Ue sarebbe al lavoro per approvare la proposta di concedere ai rifugiati ucraini dei diritti di residenza temporanei senza dover passare attraverso lunghi iter burocratici per le richieste d’asilo.

Michel: «attenzione all’allargamento»

L’adesione è una richiesta di vecchia data dell’Ucraina, ma ci sono opinioni e sensibilità diverse sull’allargamento.

Così il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha commentato la richiesta di adesione dell’Ucraina, esprimendo alcune perplessità. Da anni si è palesata la contrarietà di molti Stati Ue all’allargamento – dal momento che includere nuovi Stati significa includere anche nuove opinioni sensibilità, quindi anche nuovi possibili contrasti. Già nel 2005 l’allora Commissario per la Politica europea di vicinato e negoziati di allargamento Olli Rehn aveva affermato che bisognava «consolidare l’agenda di allargamento dell’Unione, ma anche essere cauti coi nuovi impegni».

Zelensky e Michel (fonte: consilium.europa.eu)

Inoltre, Nel marzo 2016, l’allora Presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker ha dichiarato che «ci vorranno almeno 20-25 anni perché l’Ucraina aderisca all’UE e alla NATO».

Draghi: «Putin ascolti i suoi cittadini e abbandoni i piani di guerra»

Anche il Premier italiano Mario Draghi si è rivolto nei confronti del Capo di Stato russo con parole molto dure, durante un discorso tenuto in Parlamento circa l’approvazione della proposta di invio di armi all’Ucraina. La proposta in Parlamento ha incontrato alcune perplessità a cui il Presidente del Consiglio ha risposto:

Mandare aiuti militari, un sostanziale inedito anche per il nostro Paese, non significa, essere “rassegnati” alla guerra. Chi ha più di 60 chilometri di carri armati davanti le porte di Kyiv non vuole la pace in questo momento.

Intanto, l’Esecutivo si impegna ad approvare un piano contro la crisi energetica che colpirà l’Europa – specialmente l’Italia – ora che i rapporti di scambio con la Russia sono stati tagliati. A tal proposito il Governo ha deciso di dichiarare lo stato di emergenza per intervento all’Estero.

Valeria Bonaccorso

Ucraina: gli ultimi avvenimenti e le mobilitazioni nelle città. A Messina una protesta spontanea contro l’invasione

A seguito degli ultimi avvenimenti che hanno coinvolto Mosca e Kyiv, la Russia, nella notte di giovedì, ha deciso di invadere l’Ucraina su larga scala. Adoperati anche missili che hanno bombardato il territorio spingendosi fino alla capitale Kyiv. Gli scontri con l’esercito ucraino sono continuati e si sono prolungati per tutta la notte del venerdì. In queste ore, i russi sono riusciti anche a prendere il controllo delle centrali di Chernobyl.

Alcune ore prima dell’attacco, il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin aveva tenuto un discorso alla nazione tramite le principali reti televisive russe in cui sosteneva la necessità di rispondere alle minacce della NATO, l’organizzazione transatlantica che mirava ad includere anche l’Ucraina. Nel medesimo discorso ha anche sostenuto l’intenzione di voler smilitarizzare e denazificare l’Ucraina senza invaderne i territori.

Una «missione di pace» che però, a detta di Putin, «provocherà terribili conseguenze» per chiunque provi ad intervenire. Un discorso che ha pietrificato lo scenario internazionale ed – in parte – lo ha riportato alla realtà.

Poi l’attacco nei pressi di Donetsk, nel cuore della notte, a segnare l’inizio di un’invasione che si protrarrà – secondo quanto sostengono le agenzie – per una decina o quindicina di giorni. Subito dopo l’attacco, a New York si è riunito il Consiglio di Sicurezza dell’ONU in sessione straordinaria per approvare la condanna della Russia e le successive sanzioni. Si parlava anche di escludere la Russia dal sistema SWIFT, il sistema che permette la circolazione dei pagamenti a livello internazionale.

Tuttavia, l’esclusione dallo SWIFT, pur essendo una delle sanzioni più pesanti, avrebbe ripercussioni anche sugli Stati europei, soprattutto quelli che dipendono dal gas russo come l’Italia. Secondo il Financial Times, era l’Inghilterra a spingere per l’adozione della sanzione, mentre il cancelliere tedesco Scholz era fermamente contrario. Tra l’altro, anche gli Stati Uniti hanno scelto di evitare l’imposizione della sanzione.

Nel frattempo, il Presidente ucraino Zelensky ha imposto la legge marziale su tutto il territorio, vietando alla popolazione maschile tra i 18 ed i 60 anni di lasciare il paese.

(fonte: bbc.com)

Botta e risposta tra Draghi e Zelensky

Questa mattina il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha rilasciato una dichiarazione circa la situazione ucraina, dimostrandosi particolarmente preoccupato per l’impatto economico che il conflitto avrà sull’intera penisola.

“Le vicende di questi giorni dimostrano l’imprudenza di non aver diversificato maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori negli ultimi decenni”.

Il Premier ha poi parlato delle sanzioni che verranno unanimemente approvate dai Paesi del G7: plasmate sul modello di quelle adottate per il caso della Crimea, riguarderanno le importazioni-esportazioni e le finanze delle entità separatiste del Donetsk e Lugansk così come della Federazione Russa e di ben 300 membri della Duma che hanno votato a favore del riconoscimento dei territori separatisti. Le intenzioni europee non sono diverse: approvare sanzioni meno drastiche in attesa di eventuali escalation della situazione.

Infine, il Presidente si è detto dispiaciuto per non essere riuscito a mettersi in contatto col Presidente ucraino, con cui aveva fissato un appuntamento in mattinata. Quest’ultimo ha poi ribattuto stizzito in un tweet che «la prossima volta cercherà di rimandare gli impegni di guerra per parlare con #MarioDraghi».

Mobilitazioni in tutto il mondo, anche a Messina

Intanto, il mondo assiste incredulo: aggiornamenti su aggiornamenti che non lasciano spazio per metabolizzare la situazione. E tuttavia, molte piazze europee si sono già mobilitate per protestare contro il conflitto, mentre altre si stanno preparando a farlo.

In Russia più di 1400 manifestanti sono stati arrestati durante la notte per essere scesi in piazza protestando contro le decisioni belligeranti del loro esecutivo.

Nella serata di giovedì, nella Piazza del Duomo a Messina si è svolta una protesta spontanea, guidata dalla venticinquenne ucraina Tanya Borysova, originaria di Kyiv e diplomata in giornalismo, che si trova in Italia per una missione di volontariato presso il Corpo Europeo di Solidarietà a Messina.

La guerra avvelena l’anima e non sono ferite che si possono curare.

Scriveva, alcuni giorni fa, in un articolo rilasciato per LetteraEmme in cui esprimeva le proprie preoccupazioni circa il destino del suo Paese.

(Alcuni manifestanti si sono uniti a Tanya Borysova per protestare contro l’invasione dell’Ucraina)

La giovane reggeva un cartellone con lo slogan «No alla guerra in Ucraina», attirando la curiosità di diversi passanti. Alcuni di loro si sono anche fermati a conversare, ma non è mancato chi ha preferito tirare dritto. Ci ha raccontato della situazione che ha coinvolto la sua famiglia, rimasta bloccata nell’assediata Kyiv:

«Sono costretti a rifugiarsi», ha affermato, «c’è questo bar in Ucraina sotto cui ci sono delle catacombe. Loro sono lì a nascondersi perché non sono più al sicuro, gli invasori sono entrati a Kyiv».

Parte della popolazione si trova nascosta nelle metropolitane, altra parte barricata in casa. C’è chi poi fugge verso i confini polacchi nella speranza di trovare accoglienza. I cittadini e le istituzioni ucraine provano un grande senso di sconforto e delusione verso gli alleati occidentali.

«Ora che i russi hanno preso d’assalto le centrali nucleari di Chernobyl la questione si è elevata a livello internazionale. Eppure, non riusciamo a sentire le voci delle organizzazioni internazionali, dell’Europa. Non lo perdoneremo».

Nelle ultime ore, anche il Presidente Zelensky ha lamentato un senso di abbandono soprattutto da parte degli alleati NATO che avevano promesso interventi e serie conseguenze in caso di invasione.

Due nuove proteste verranno svolte stasera alle 19:00 a Piazza Duomo e domani (sabato) alle ore 10:00 presso Piazza Unione Europea (Municipio) di Messina.

 

Valeria Bonaccorso

 

 

Quattro relitti dello Stretto: storia, stato attuale e foto

Lo Stretto di Messina torna al centro della nostra rubrica con un viaggio attraverso quattro relitti che “riposano” nelle sue leggendarie acque.

La Rigoletto

Il primo relitto di cui vogliamo raccontarvi è quello che si trova sulla costa della cosiddetta “Zona Falcata”.

La storia di questo relitto ha inizio negli anni ‘50. La nave serviva per il trasporto automobili Volkswagen e venne varata il 24 marzo 1955. Nel 1968 fu però venduta ad un armatore napoletano che la ribattezzò “Maddalena Lo Faro” (nome che mantiene ancora oggi insieme a Rigoletto).

La nave continuò a trasportare automobili, questa volta usate.

Trova però il suo epilogo in una traversata del Mediterraneo: il 1° luglio 1980 era infatti partita con un carico dal porto di Anversa ed era diretta a Beirut. Nelle acque di Caopospartivento (Sardegna) va però in avaria a causa di un incendio a bordo. L’equipaggio abbandona la nave, salvandosi.

Quale sarà il destino della Rigoletto?

La nave, anche se ancora in fiamme, viene trainata nei pressi del porto di Messina, proprio nella costa dell’attuale “Zona Falcata”. L’intento era quello di far incagliare la nave sulla spiaggia e gestire così la situazione critica. Tuttavia una manovra sbagliata la fa affondare. Non venne mai deciso come smaltirla.

Ricordiamo che si trattava di una nave lunga 78 metri e larga 13 metri, che oggi giace su un fondale di 35 metri.

Per i più coraggiosi, che vogliono avventurarsi nella “Zona Falcata”, ad oggi è possibile vedere dalla spiaggia una punta della prua a capolino dell’acqua. Diversi appassionati hanno effettuato delle immersioni, scattando bellissime foto, come quelle che vi stiamo proponendo qui. Il relitto ha ancora al suo interno i veicoli che trasportava e fa da “casa” a gruppi di pesci trombetta. Ecco un video dell’esplorazione.

Il relitto della nave Rigoletto – Fonte: blogmotori.com

Il traghetto Cariddi, l’amatissima nave che ha vissuto due volte

Il traghetto Cariddi era una nave di tipo ferroviario, voluta della Ferrovie dello Stato nel 1932. Era un mezzo rivoluzionario, perché aveva una maggiore capacità di trasporto mezzi ferroviari. Inoltre si trattava di una nave particolarmente prestigiosa, con ambienti quasi di lusso.

Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, tutte le navi delle F.S vennero usate per scopi bellici. È nel 1943 infatti che la Cariddi venne autoaffondata. La Marina Militare diede quest’ordine perché la nave era carica di materiale bellico tedesco. La nave, infatti, si ribaltò su sé stessa e rimase in acqua capovolta per sei anni.

Anni dopo, vista la necessità di più navi per la tratta Messina-Reggio Calabria, Ferrovie dello Stato decide di recuperare la nave. Dopo i lavori di ricostruzione e manutenzione, finalmente nel 1953 la nave tornò a Messina dal porto di Genova, accolta dalla popolazione con caloroso affetto.

La Cariddi effettuò un servizio lungo 38 anni, fino a quando nel 1991 Ferrovie dello Stato la pose in disarmo e la vendette alla Provincia. Una prima idea dell’Ente era quella di realizzare un museo galleggiante. Tuttavia, i costi di gestione dell’imbarcazione procurarono le prime difficoltà.

La nave rimase abbandonata e priva di utilizzo per molto tempo, fu saccheggiata e vittima anche di un incendio. La Cariddi venne anche spostata nei pressi degli approdi dei traghetti.

A lungo inutilizzata ed esposta alle intemperie la Cariddi affonda per la seconda volta nel 2006. Ed oggi è ancora lì, con una parte di poppa visibile dall’esterno.

La nave Cariddi – Fonte: wikipedia.org

Relitto Valfiorita, uno dei relitti più belli del Mediterraneo

La Valfiorita era una motonave costruita per scopi commerciali.

La storia è uguale per tutti: nel secondo conflitto mondiale ogni mezzo disponibile venne messo al servizio dello scopo bellico. Il suo compito era infatti quello di trasportare rifornimenti per le truppe italiane. Purtroppo nel ‘43, durante la tratta Messina-Palermo, viene colpita con un siluro dal sommergibile britannico HMS Ultor. Il capitano provò a raggiungere la costa, ma i danni provocati dal siluro spezzarono in due la struttura della nave.

La corrente marina fece il resto, trasportando la nave verso la costa. Ancora oggi giace di fronte l’abitato di Mortelle.

A causa dell’attacco 13 civili persero la vita e 11 militari risultarono feriti, su un totale di 67 passeggeri.

La Valfiorita è considerato uno dei più bei relitti, perché le immersioni effettuate da appassionati sub hanno dimostrato la presenza dell’intero carico di camion, autovetture e motocicli d’epoca, tutti immobili e addormentate sul fondo del mare.

Il relitto della nave Valfiorita – Fonte: ascosilasciti. com

Il Viminale, il “titanic italiano”

Il Viminale fu un transatlantico di lusso, in uso dal 1925. Secondo le testimonianze, si trattava di una nave particolarmente dotata. Disponeva infatti di cabine di prima, seconda e terza classe, di grandi saloni e perfino di acqua corrente.

Tra i suoi vanti c’è quello di aver raggiunto le coste del Giappone, viaggio considerato “difficile” per la gente del tempo. In seguito, il Viminale si occupò del trasporto di emigranti italiani per l’Australia.

Tuttavia, così come per le altre navi di cui vi abbiamo appena raccontato, anche il Viminale fu utilizzato per scopi bellici nel secondo conflitto mondiale. Trova infatti la sua fine quando viene silurata, nel 1943, al largo della costa di Palmi (Reggio Calabria) mentre effettuava il tratto Palermo-Napoli.

La nave viene totalmente dimenticata fin quando, nel 2000, un gruppo di sub esperti di Palmi la ritrova durante un’immersione.

La nave Viminale – Fonte: wikipedia.org

 

Angela Cucinotta

 

Fonti:

Rigoletto:

blogmotori.com

oloturiasub.it

colapisci.it

Cariddi:

youtube.com

ecosfera.info

Valfiorita:

ocean4future.org

Viminale:

eclipse-magazine.it

wikipedia.org

La Francia propone la risoluzione del conflitto in Palestina. Preoccupa l’esitazione USA

Il conflitto israeolo-palestinese non accenna a placarsi. Dopo nove giorni di scontri tra l’esercito israeliano e Hamas, il fervore con cui le notizie provenienti dal medioriente sono state recepite dall’opinione pubblica non ha mancato di stimolare le potenze occidentali. Ultima misura, in ordine di tempo, a emergere è stata quella presentata al tavolo delle Nazioni Unite dalla Francia e concordata con Egitto e Giordania. La proposta è arrivata al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e punta a un cessate il fuoco in Palestina.

La risoluzione

Emmanuel Macron, insieme ad Egitto e Giordania, si appella all’Onu per cessare le violenze in Medioriente. Fonte: Huffingpost.

La proposta di tregua giunge in seguito all’ incontro fra il presidente francese Emmanuel Macron, l’egiziano Abdel Fatah Al-Sisi e, collegato in videoconferenza, il re Abdallah II di Giordania. Durante il meeting è emerso che

“i tre Paesi concordano su tre elementi: i lanci di razzi devono cessare, è giunto il momento di un cessate il fuoco e il Consiglio di sicurezza Onu deve prendere in mano la questione“.

L’Eliseo ha inoltre reso noti i motivi dell’accordo con i due paesi arabi: “Sono protagonisti influenti nei luoghi santi per la Giordania e su Gaza per gli egiziani”.

L’Egitto ha proposto “attraverso canali privati” un cessate il fuoco tra Israele e Hamas a partire dalle 6 di mattina (ora locale) di giovedì prossimo. Hamas avrebbe risposto favorevolmente mentre Israele, al contrario, non avrebbe manifestato alcun segno di resa.
La notizia, riportata dalla tv israeliana di Canale 12, è stata tuttavia prontamente smentita sul Times of Israel dal membro della leadership di Hamas, Izzat al-Rishq, che ha dichiarato:

“Non è vero ciò che alcuni media nemici hanno riferito, ovvero che Hamas abbia concordato ad un cessate il fuoco per giovedì. Nessun accordo o uno specifico calendario per questo è stato raggiunto” continua poi “Pur sottolineando che gli sforzi e i contatti dei mediatori sono seri e continui, le richieste della nostra gente sono chiare e ben note”.

L’ambiguità della posizione statunitense

La Cina fa sapere che sostiene senz’altro la proposta. Gli Stati Uniti hanno bloccato per otto giorni una dichiarazione sul conflitto e hanno giustificato il loro silenzio attraverso l’ambasciatrice americana Linda Thomas Greenfield: Non siamo stati in silenzio. Il nostro obiettivo è stato e continuerà ad essere quello di un intenso impegno diplomatico per porre fine a questa violenza”. Il presidente Joe Biden “ha espresso il sostegno per un cessate il fuoco”.

L’ambasciatrice americana ribadisce l’impegno nella risoluzione del conflitto ma gli Usa finora hanno bloccato dichiarazioni che secondo Washington potrebbero ostacolare o nuocere alla sua “diplomazia intensa ma discreta”. Fonte: ABC News.

Il sostegno di Biden, tuttavia, giunge dopo ben quattro telefonate al premier israeliano Benjamin Netanyahu nel corso delle quali ha ribadito più volte che Israele abbia il pieno diritto di difendersi contro “gli indiscriminati attacchi di razzi” di Hamas.

Una mossa, quella di Biden, che ha confuso la comunità internazionale e non ha mancato di apparire come un’attività diplomatica molto blanda. Dallo stesso Partito Democratico aumentano gli appelli rivolti al presidente per una presa di posizione più forte e netta per fermare Israele. Malgrado la gravità della situazione pare per il momento che la questione non rientri tra le priorità dell’agenda presidenziale .

La guerra continua

Nonostante gli appelli, aumentano le vittime in rapporto a nuovi attacchi perpetrati questa notte. Secondo quanto riferito dal portavoce dell’esercito israeliano Hidai Zilberman, i caccia dello Stato ebraico hanno sganciato 122 bombe in 25 minuti su circa 40 obiettivi sotterranei. L’attacco ha comportato la distruzione di oltre 12 chilometri di tunnel e numerosi depositi di armi e un centro di comando. Zilberman ha poi dichiarato: “Almeno 10 membri dei gruppi terroristici di Hamas e della Jihad islamica palestinese sono stati uccisi“. Ad essere preso di mira il quartiere Rimal, sobborgo residenziale di Gaza City, dove vivono “molti leader di Hamas”.

Razzi nello scontro tra Gaza e Israele. Fonte: AGI.

Le vittime complessive a Gaza, dall’inizio delle ostilità, sono ora 213, tra cui 61 bambini e 36 donne.
Questa mattina, invece, il lancio di razzi diretti verso un capannone agricolo israeliano, vicino alla linea di demarcazione, ha ucciso due operai thailandesi e ferito altre due persone. Ora il totale delle vittime in Israele è di 12 persone: 10 (tra cui 2 bambini) sotto i razzi e altre 2 per motivi collegati ai lanci.

Alessia Vaccarella

Notte di guerra al confine tra la Striscia di Gaza e Israele. Prevista oggi seduta urgente dell’Onu

Notte di guerra al confine tra la Striscia di Gaza e Israele, dove l’escalation di violenza prosegue ancora oggi con ripetuti lanci di razzi dalla Striscia e raid dell’esercito dello Stato ebraico, che ha annunciato il richiamo di 5mila riservisti, in vista di una guerra che non sarà di breve durata.

Gli ultimi avvenimenti

L’85% dei razzi lanciato da Hamas è stato intercettato mentre circa 200 sono esplosi all’interno della Striscia. Il movimento islamico ha anche cercato di colpire l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, le cui sirene di allarme sono risuonate verso le 6 locali (le 5 in Italia) costringendo la popolazione a correre in locali protetti.

Altri attacchi sono stati segnalati nel sud di Israele, dove le scuole restano chiuse, mentre il traffico ferroviario verso Ashkelon e il sud del Paese è interrotto. Nella località, 26 israeliani sono stati feriti dai razzi, uno dei quali ha centrato un edificio di otto piani. Una razzia già preannunciata dal portavoce dell’ala militare di Hamas, Abu Ubaidah, che aveva dichiarato:  “Se Israele continuerà ad attaccare, trasformeremo Ashkelon in un infernoaggiungendo poiabbiamo lanciato razzi contro Ashkelon a seguito di un attacco israeliano che ha colpito una casa a ovest di Gaza City”.

I razzi lanciati dalla Striscia verso Gerusalemme. Fonte: Ansa.

In risposta l’esercito ha compiuto oltre 500 attacchi contro personale, armamenti e infrastrutture di Hamas e Jihad nella Striscia, uccidendo altri due capi militari: Hassan Kaogi, capo del dipartimento di sicurezza dell’ intelligence militare di Hamas, e il suo vice, Wail Issa, capo del dipartimento di controspionaggio dell’intelligence militare.

Il portavoce delle Forze della sicurezza israeliana, Hidai Zilberman, ha ribadito la volontà di non fermare lo scontro: “Abbiamo un indirizzo chiaro: questo è Hamas. Il gruppo pagherà un caro prezzo per le sue azioni. Risponderemo ferocemente“.

Il bilancio delle vittime

Il Jerusalem Post scrive che sono almeno cinque i cittadini israeliani uccisi dai raid. Il numero delle vittime cresce di ora in ora: a Gaza sono 35 i palestinesi uccisi – tra i quali 12 bambini e tre donne -, e più di 200 persone sono rimaste ferite. Un razzo anticarro sparato da Gaza, rivendicato da Hamas, ha inoltre centrato in mattinata un veicolo israeliano che si trovava nei pressi della linea di demarcazione, provocando tre feriti che versano in condizioni gravissime. Anche nelle gli abitanti delle vicinanze del Kibbutz Netiv a Assarà hanno ricevuto l’ordine di entrare nei rifugi.

Edificio del ministero dell’interno di Hamas, alla periferia di Gaza, distrutto da un raid aereo israeliano. Fonte: Ansa.

Fino agli scontri di ieri invece, il ministero della Salute palestinese ha aggiornato il bilancio a 24 morti, tra cui nove minori dopo gli attacchi israeliani verso Gaza, con un numero di feriti che viaggiano intorno ai 103. Secondo i media di Tel Aviv la morte dei 3 bambini palestinesi a Gaza sarebbe stata invece causata da un fallito attacco da parte di Gaza contro Israele.

La riunione dell’Onu

L’incontro si tiene oggi su richiesta urgente di Cina, Tunisia, Norvegia, Francia, Estonia e Irlanda, che avevano presentato lunedì scorso una bozza di dichiarazione in cui si invitava “Israele a fermare le attività di insediamento, demolizione ed espulsione” dei palestinesi, “anche a Gerusalemme est”. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, tuttavia, non aveva raggiunto l’accordo per una dichiarazione comune, nonostante i numerosi appelli alla moderazione tra cui quello del Ministro degli Esteri italiano Luigi di Maio.

Arrivata ieri la condanna della Casa Bianca agli attacchi di Hamas contro Israele, Joe Biden ha chiesto ai suoi funzionari di inviare sia da israeliani sia ai palestinesi “un chiaro messaggio teso a far rientrare l’escalation”. Il suo portavoce, Jen Psaki ha aggiunto: “Il sostegno del presidente alla sicurezza di Israele e il suo legittimo diritto a difendersi e difendere il proprio popolo è fondamentale e non verrà mai meno”. Una dichiarazione giunta dopo la telefonata avvenuta nella notte tra Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale di Biden, e il consigliere israeliano Meir Ben Shabbat. Lo stesso Sullivan ha tracciato la strada “verso la restaurazione di una calma sostenibile”, ha detto nel corso del colloquio.

Palazzo dell’Onu dove si riuniranno oggi le autorità internazionali. Fonte: Lindro.it

Anche il segretario dell’Onu Antonio Guterres ha esortato Israele a cessare le demolizioni e gli sgomberi, invitando lo Stato mediorientale alla massima moderazione e al rispetto al diritto della libertà di tenere riunioni pacifiche.

Il Segretario generale esprime la sua profonda preoccupazione per la continua violenza nella Gerusalemme est occupata, così come per i possibili sgomberi di famiglie palestinesi dalle loro case“, ha dichiarato il portavoce Onu Stephane Dujarric.

Gli appelli delle autorità cristiane

La preoccupazione e l’invito a una restaurazione della pace giunge non solo da Papa Francesco, che ha chiesto “soluzioni condivise”, ma anche dai capi delle Chiese cristiane di Terra Santa che si erano detti sbigottiti per la violenza manifestata a Gerusalemme est, formulando un appello alla Comunità internazionale “e a tutti i popoli di buona volontà” a intervenire per mettere fine “a queste azioni provocatorie, così come continuare a pregare per la pace di Gerusalemme”.

Alessia Vaccarella

 

Noi messinesi come l’araba fenice capaci di rinascere anche stavolta

“Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente”. Da settimane, nella testa di ciascuno di noi, riecheggiano queste parole, accompagnate da un piacevole melodia. Il nuovo tormentone degli artisti siciliani Colapesce e Dimartino, presentato all’ultimo Festival di Sanremo, ci ha conquistati probabilmente perché rievoca la spensieratezza e la leggerezza negate dalla pandemia. Nonostante si inizino a intravedere soffusi spiragli di luce, la coltre di nebbia avvolge ancora le nostre vite, immerse in un’atrofizzante limbo.

Non è la prima volta che l’umanità sta affrontando un dramma del genere. Infatti, nel corso della Storia globale, della Storia della nostra Comunità europea e della Storia del nostro Paese si sono verificati eventi traumatici. Anche nella Storia della nostra città, Messina, più volte afflitta dalla furia distruttiva delle calamità naturali.

Nel corso del “secolo breve” la città dello Stretto, già devastata dalla catastrofe del 1908, ha dovuto affrontare il dramma della Seconda Guerra Mondiale – suo malgrado – da protagonista, vista la sua posizione strategica nella geopolitica del conflitto.

Messina città invincibile

Nel 1943, in seguito allo Sbarco in Sicilia delle Truppe Alleate, Messina subì più di 320 incursioni aeree. Le circa trentamila bombe sganciate sulla città distrussero almeno il 75% degli edifici ricostruiti dopo il terremoto e uccisero oltre un migliaio di messinesi. “La città era come un grande cimitero sotto la luna”, scrisse Stefano D’Arrigo, indimenticato autore del romanzo Horcynus Orca.

Gli Alleati entrarono il 17 agosto a Messina, trovandosi di fronte a una città “fantasma”, un ammasso di rovine.

Già tra la primavera e l’estate dell’anno successivo iniziarono, per la seconda volta in meno di mezzo secolo, i lavori di ricostruzione. Si consolidò presto il mito di Messina città invincibile, pronta a risorgere dopo il disastro. La letteratura diede un forte contributo in tal senso.

L’ingresso degli Alleati a Messina – Fonte: normanno.com

La rigenerazione culturale: la vicenda dell’OSPE

La rinascita della polis non passa esclusivamente della ricrescita economica e dalla ricostruzione materiale dei fabbricati, ma soprattutto da una rigenerazione culturale. Il fermento culturale del dopoguerra è rintracciabile soprattutto nella vicenda dell’OSPE, nata come agenzia di distribuzione di dispense universitarie e di giornali, e divenuta successivamente – per volontà di Antonio Saitta, uno dei fondatori – una libreria, cenacolo culturale principale della città.

Nel suo retrobottega, si animavano discussioni e dibattiti sulle più svariate tematiche, moderati soprattutto da una delle più importanti figure della Messina del secondo dopoguerra: il giurista e rettore dell’Università di Messina –dal 1955 al 1976– Salvatore Pugliatti.

I maggiori frequentatori delll’OSPE diedero vita al Gruppo del Fondaco – di natura artistica – e all’Academia della Scocca. Le due istituzioni parteciparono con grande vigore alle manifestazioni culturali cittadine, di cui spesso erano anche promotrici.

L’apice fu raggiunto nel gennaio 1960, con i festeggiamenti in occasione del Premio Nobel per la letteratura conquistato -nel 1959- da Salvatore Quasimodo, insignito della cittadinanza di Messina e della laurea in lettere honoris causa, su iniziativa dei vecchi amici dell’OSPE.

Gli accademici della Scocca – Fonte: Villaroel G., Messina anni 50′

L’ “Agosto Messinese”

Le grandi manifestazioni popolari furono una prova della rinascita della città, di un dinamismo incessante, motivato dalla volontà di spazzare definitivamente la precarietà del periodo della guerra.

Particolarmente ricco di eventi era “l’Agosto Messinese“, il cuore delle estati in riva allo Stretto negli anni ’50. Voluta dall’assessore Lucio Speranza, questa imponente manifestazione abbracciava una serie di eventi di varia natura: la gara automobilistica della “X ore notturna”, la “coppa Cesare Lo Forte” di pallacanestro, ma, soprattutto, le esibizioni tenute al cosiddetto “Teatro de Dodicimila”, allestito per l’occasione in Piazza Municipio.

Il clou della manifestazione si raggiungeva in occasione della “Passeggiata dei Giganti” Mata e Grifone e la processione della Vara.

Locandina dell'”Agosto Messinese” – Fonte: pinterest.it

Gli eventi di carattere internazionale

La rinascita di Messina passò anche dagli eventi di carattere internazionale che si svolsero in quegli anni e tennero i riflettori puntati sulla nostra città. Dal 1946 tornò, con la VII edizione, la Fiera Internazionale di Messina, inaugurata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola.

Nel 1953 l’arte diventa protagonista con la mostra su Antonello da Messina e il ‘400 siciliano, tenuta nel Palazzo Municipale.

Nel 1955 si svolsero due memorabili eventi: la Conferenza di Messina, fortemente voluta dal ministro degli Esteri – nostro concittadino – Gaetano Martino, dove si posero le basi per i futuri Trattati di Roma e la nascita della Comunità Economica Europea (CEE) e all’EURATOM, e la prima edizione della Rassegna Cinematografica Internazionale di Messina e Taormina -chiamata così dal 1957-, oggi conosciuta come Taormina Film Fest.

Da sinistra a destra: Paul-Henri Spaak (Belgio), Walter Hallstein (RFA), Antoine Pinay (Francia), Joseph Bech (Lussemburgo), Gaetano Martino (Italia) e Johan Willem Beyen (Paesi Bassi) – Fonte: normanno.com

La grande lezione della Storia

La vitalità del secondo dopoguerra dimostra che è possibile rinascere dopo un evento traumatico, come quello vissuto nell’ultimo anno. La nostra città ha tante questioni aperte, dal dibattito urbanistico – ma non solo – sul destino del quartiere fieristico al fenomeno dell’emigrazione giovanile, dalla riqualificazione dei torrenti inquinati alla ricerca di un’identità perduta da tempo. Come la fenice abbiamo l’occasione di risorgere dalle nostre ceneri e spiccare nuovamente il volo, per riportare Messina ai fasti del suo glorioso passato.

 

 

Mario Antonio Spiritosanto

Articolo pubblicato sulla Gazzetta del Sud in data 25 marzo 2021

 

Fonti:

Messina negli anni Quaranta e Cinquanta, Istituo di Studi Storici Gaetano Salvemini – Messina, Atti di Convegno 1998, Sicania, Messina

Immagine in evidenza:

Il “Teatro dei Dodicimila” in Piazza Municipio durante l'”Agosto Messinese” negli anni ’50 – Fonte: pinterest.it

Alla (ri)scoperta delle scuole superiori di Messina: Jaci, Verona-Trento e Caio Duilio

Procede la didattica in presenza, alternata alla Dad, per le scuole superiori messinesi, dopo la riapertura di qualche settimana fa. Tra le varie difficoltà si cerca un pò ovunque di ristabilire la normalità, anche se la strada è ancora lunga e tortuosa. In questo clima incerto torna il nostro spazio dedicato ai personaggi a cui sono intitolate le scuole messinesi. Come preannunciato, oggi è il turno degli altri celebri istituti del centro: l’Istituto Tecnico Economico “Jaci”, l’I.I.S. “Verona-Trento” e l’I.T.T.L. “Caio Duilio”.

Istituto Tecnico Economico Statale “Jaci”

Iniziamo il nostro viaggio con l’Istituto Tecnico “A. M. Jaci”, fondato nel 1862. L’attuale edificio – che affaccia su via Cesare Battisti – fu inaugurato nel 1923 e fu progettato da un ex allievo della scuola, l’ingegnere Rosario Cutrufelli (1876-1949).

Tra i suoi numerosi ex allievi compaiono celebri personalità che diedero lustro alla città di Messina. Stiamo parlando, tra gli altri, di Giorgio La Pira, Salvatore Quasimodo e Salvatore Pugliatti. Inoltre, tra tanti docenti, il più illustre fu il naturalista Giuseppe Seguenza.

Nel 1883 l’istituto fu intitolato al matematico e astronomo Antonio Maria Jaci (1739-1815).

L’Istituto “Jaci” – Fonte: strettoweb.com

Nato a Napoli da madre messinese, A.M. Jaci, rimasto orfano, si trasferì a Messina, dove si laureò in matematica, fisica e medicina presso l’Università cittadina.

Jaci è ricordato soprattutto per due importanti invenzioni. La prima fu la meridiana centrale del Duomo, costruita nel 1804 su commissione dell’Accademia dei Pericolanti, di cui era socio. Danneggiata dal terremoto del 1908 fu, purtroppo, definitivamente distrutta a causa di un bombardamento durante la seconda guerra mondiale.

La seconda invenzione fu la cosiddetta “ampolletta mercuriale“, importante per il calcolo della longitudine in mare aperto.

Per entrambe le invenzioni e per altri suoi meriti scientifici divenne socio della celebre Accademia di Londra.

Nonostante i suoi numerosi contributi, rimase sempre molto povero e visse parte della sua vita in una baracca da lui stesso costruita dopo il terremoto del 1783 e situata dove oggi sorge Piazza Casa Pia.

Dopo la morte fu tumulato nella Chiesa di Santa Maria di Porto Salvo. Sfortunatamente le sue spoglie sparirono a causa di un’alluvione.

Oltre alla scuola, la città di Messina ha intitolato a A.M.Jaci una via vicino al luogo in cui ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.

Ritratto di A.M. Jaci – Fonte: messinaweb.eu

Istituto di Istruzione Superiore “Verona-Trento”

Spostiamoci ora nel centro commerciale cittadino, dove sorge, a pochi passi dal Viale San Martino, uno storico isituto citadino: l’IIS “Verona–Trento”, l’unica scuola superiore di Messina non legata a una personalità celebre. L’istituto, infatti, è intitolato alle due città che più di tutte si erano impegnate all’interno del Comitato Veneto-Trentino per la ricostruzione dell’edificio in seguito al terremoto del 1908.

La scuola accolse i suoi primi studenti nel 1877, con la denominazione “Arti e Industrie”. Nel 1884 lo Stato riconobbe l’istiuto, che mutò il suo nome in “Scuola di Arti e Mestieri”.

L’ultima e definitiva ricostruzione dell’edificio – dopo un nuovo crollo nel 1943 a causa dei bombardamenti della guerra – è avvenuta nel luogo dove sorge tutt’oggi, nella via Ugo Bassi.

Da qualche anno il “Verona-Trento” ha inglobato i plessi dell’Istituto “Majorana-Marconi”.

L’Istituto “Verona-Trento” – Fonte: normanno.com

Istituto Tecnico Trasporti e Logistica”Caio Duilio”

A pochi isolati di distanza –  su via La Farina – si erge l’I.T.T.L. “Caio Duilio”, comunemente conosciuto come Istituto Nautico. Fondato con un Regio Decreto, datato 30 ottobre 1862, il “Caio Duilio” l’unico istituto di settore nella provincia di Messina e vanta un’importante tradizione marinaresca, alla quale è dovuta la sua antica affermazione sul territorio.

La scuola è intitolata al celebre politico e militare romano Caio – o Gaio – Duilio (260-258 a.C).

L’Istituto Nautico “Caio Duilio” – Fonte: nauticomessina.edu.it

Appartenente alla Gens Duilia, Caio Duilio, pur non facendo parte dell’aristocrazia tradizionale romana, divenne console nel 260 a.C., durante la Prima Guerra Punica. A seguito della Battaglia delle Isole Lipari e alla cattura del suo collega Scipione Asina – comandante della flotta -, rimase da solo al comando della guerra.

Essendo i romani esperti nella guerra sulla terraferma, Duilio fece costruire un ponte mobile con uncini, detto corvo, su ogni nave da guerra, per contrastare efficacemente la flotta nemica. Questa mossa si rivelò astuta e decisiva, poiché permise ai romani, durante la Battaglia di Milazzo, di riversarsi sulle navi nemiche e combattere corpo a copro. I romani riuscirono a sconfiggere i cartaginesi e si impadronirono del Mediterraneo occidentale.

In onore al comandante Caio Duilio – primo romano a vincere in mare- fu innalzata una colonna all’interno del Foro, edificata con i resti delle navi nemiche sconfitte.

Oltre al consolato, il suo cursus honorum è arricchito dalla carica di censore nel 258 aC. e di princeps senatus (236 – 230 a.C.).

Busto di Gaio Duilio – Fonte: romanoimpero.com

Alla prossima!

Concludiamo dandovi appuntamento al prossimo articolo, in cui conosceremo la storia e i personaggi delle due scuole situate nel quartiere Annunziata: il Liceo Artistico “E. Basile” e l’I.S.S. “F. Bisazza“.

 

 

Emanuele Paleologo, Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

nauticomessina

wikipedia.org/Gaio_Duilio

storia.camera.it/rosario-cutrufelli

jaci.edu.it

wikipedia.org/Antonio_Maria_Jaci

veronatrento.it

wikipedia.org/Istituto_di_istruzione_superiore_Verona_Trento

Immagine in evidenza:

Gaio Duilio (a sinistra) e Antonio Maria Jaci (a destra)

Armenia e Azerbaigian di nuovo in guerra. Ecco quali sono le cause e le idee di un conflitto non nuovo

Da domenica 27 settembre l’Armenia e l’Azerbaigian sono ufficialmente di nuovo in guerra. Le due nazioni ex sovietiche hanno deciso di terminare quella pace che perdurava dal 1994 riesumando delle ostilità che si trascinano ormai dalla fine degli anni ’80. La causa del contrasto è la questione concernente una zona di territorio: il Nagorno-Karabakh, una regione dell’Azerbaijan che è però abitata in maggioranza da armeni di religione cristiana.

Mappa della zona interessata – Fonte: abc

Le cause

La confessione religiosa e l’appartenenza etnica differente rispetto al contesto culturale musulmano che caratterizza la regione del Nagorno-Karabakh sono state da sempre causa di tensioni e spinte indipendentiste.

In questa specifica circostanza il casus belli nasce dalla proclamazione dell’indipendenza di questo territorio avvenuto in concomitanza della secessione dell’Azerbaigian dall’URSS. Proclamazione avvenuta nel 1992 che peraltro, formalmente, farebbe leva su una pretesa legittima in quanto prevista da una legge dell’Unione Sovietica di cui quel territorio in passato ha fatto parte.

Questa legge prevedeva che, se all’interno di una repubblica che aveva deciso di scindersi  dall’Unione (in questo caso l’Azerbaigian) si fosse trovata una regione autonoma (cioè il Nagorno-Karabakh), quest’ultima avrebbe avuto il diritto di scegliere se seguire o meno la repubblica secessionista nel suo distacco dall’unione. Già nel 1991, quando l’Azerbaigian lasciò l’Unione Sovietica per diventare indipendente, la regione in questione aveva deciso di fare valere questo suo diritto proclamandosi indipendente e ricevendo addirittura l’avvallo della Corte Costituzionale Sovietica, ma dando così l’avvio a una serie di conflitti al confine tra Azeri e Armeni. L’Azerbaigian combatteva per l’annessione del territorio mentre l’Armenia intervenne per difendere l’indipendenza. Questo sino al 1994 quando, con una fragile pace, terminarono i conflitti con un bilancio finale di trenta mila morti e sostanzialmente una situazione di stallo.

Situazione che, con alti e bassi, è rimasta tale fino a domenica, da quando i due stati sono ufficialmente di nuovo in guerra. Non è chiaro chi abbia iniziato il conflitto: da una parte Baku accusa l’Armenia di averli attaccati abbattendo degli aerei e distruggendo un tank, dall’altra parte Erevan sostiene di avere subito un bombardamento al quale avrebbe risposto successivamente con una controffensiva.

Erdogan e Putin – fonte: Il Fatto Quotidiano

Gli schieramenti

Ovviamente le tensioni tra le due nazioni non lasciano indifferenti gli attori dell’area mediorientale e un aggravarsi del conflitto rischierebbe di coinvolgere altre potenze con interessi nel Caucaso. L’Armenia può contare sullo storico appoggio della Russia la quale sta cercando di spegnere il vento di guerra e, attraverso il suo famoso ministro degli esteri Sergey Lavrov, ha reso noto di stare lavorando a dei negoziati di pace. L’Azerbaijan, nazione a maggioranza sciita, può invece contare sul supporto della Turchia il cui presidente, Recep Erdogan, ha deciso di adottare una posizione tutt’altro che diplomatica definendo l’Armenia, paese di meno di tre milioni di abitanti, come “la più grande minaccia per la pace e la tranquillità dell’area”. Ankara, com’è giusto ricordare, non ha relazioni con l’Armenia per via del nodo irrisolto del genocidio armeno ed ha accolto in maniera dura la notizia dello scoppio delle ostilità trasferendo circa quattro mila miliziani dai distretti regionali della Siria all’Azerbaigian. Segno evidente che Erdogan non ha intenzione di limitarsi al supporto morale.

La storia non si ferma

Lo scoppio delle ostilità sulla base di tensioni etnico-religioso ci lascia con una considerazione non indifferente: per quanto la storia ci insegni i suoi errori questi ultimi, in un modo o nell’altro, si ripeteranno sempre. Esiste infatti un elemento ideologico comune a quasi tutti i grandi conflitti che hanno avuto luogo nel corso del ‘900 e cioè la persecuzione dei tanti contro i pochi. Basti pensare alle numerose “pulizie etniche” avvenute solamente nel continente europeo in cui il gruppo etnico dominante in un determinato territorio cerca di salvaguardare la propria identità e i propri privilegi mettendo in piedi operazioni di allontanamento forzato o di sterminio contro una minoranza etnico. E così, lontano dai riflettori, sono stati e forse tuttora vengono compiuti i peggiori crimini. Senza scomodare l’esempio dello Shoah, si possono citare il Massacro di Srebrenica o il Genocidio degli Armeni. La comunità internazionale non può e non deve rimanere indifferente.

Filippo Giletto