L’Unione Europea taglia sul carbone russo. Si pensa ad embargo anche su petrolio e gas

Ieri sera, durante una riunione dei suoi ambasciatori, l’Unione Europea ha approvato il quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tra queste spicca l’approvazione dell’embargo al carbone russo. Si tratta di una misura presa in considerazione e auspicata già settimane fa, ma che arriva in seguito alle pressioni derivanti dai sospetti di crimini di guerra perpetrati negli ultimi tempi in Ucraina dall’esercito russo. Così ha commentato la proposta la Presidente della Commissione UE Ursula Von Der Leyen «che – aggiunge – costerà circa quattro miliardi di euro l’anno».

La proposta della Commissione prevedeva, inoltre, il divieto a navi ed autotrasportatori russi di entrare nei territori dell’Unione, con alcune eccezioni per determinati prodotti agricoli, aiuti umanitari ed energetici. Quest’ultimo punto è stato accolto nel pacchetto definitivo di sanzioni, cui si aggiunge l’incremento di personalità russe inserite nella black list europea e ulteriori divieti dal valore di circa 15,5 miliardi.

La prima stilettata all’energia russa

L’embargo sul carbone rappresenta un primo colpo all’energia russa, ossia il punto più discusso in materia di sanzioni. L’Unione Europea (ed in particolare l’Italia, assieme alla Germania) ha una forte dipendenza dalle fonti di energia importate dalla Russia, soprattutto dal suo gas naturale e dal petrolio. Ma gli ultimi eventi – ed in particolare il massacro di civili verificatosi a Bucha – hanno compattato la linea UE verso l’inasprimento delle sanzioni. Chiarisce la Presidente della Commissione Von Der Leyen:

Queste atrocità non possono e non rimarranno senza risposta.

D’altronde, lo stesso Premier italiano Draghi ha aperto alla possibilità di un embargo (oltre che sul carbone) sul gas russo, con un già “rinomato” quanto criticato aut-aut:

Preferite la pace o il condizionatore acceso?

Ma ad ogni modo – chiarisce il Premier – sarà l’Unione a decidere. Una linea, quella dell’Esecutivo, sempre più certa sul da farsi, a discapito delle voci di diverse aree del Parlamento che invitano alla negoziazione, anziché alle sanzioni e all’invio di armi a favore della difesa ucraina.

E l’embargo sul carbone trova l’accordo anche della Germania, che fino ad ora si era duramente opposta (assieme all’Ungheria di Orbán) allo stop collettivo di tutte le importazioni di energia russa. Il Ministro della Finanza tedesco Christian Lindner aveva infatti suggerito di considerare separatamente petrolio, carbone e gas, poiché la velocità per la sostituzione dei fornitori potrebbe variare.

Ed infatti, opponendosi ancora aspramente all’embargo sul gas, ha affermato:

Ci troviamo davanti ad un criminale di guerra, è chiaro che dobbiamo porre fine ai legami economici con la Russia il prima possibile, ma il gas non potrebbe essere sostituito nel breve periodo. Farebbe più male a noi che a loro.

(fonte: au.sports.yahoo.com)

Stop all’energia russa sì, ma quando?

Corre veloce la Francia, che col suo Ministro dell’Economia Bruno Le Maire, si ritiene «pronta ad uno stop alle importazioni non solo di carbone, ma anche di petrolio russo». Ed aggiunge:

La realtà è che bloccare le importazioni di petrolio dalla Russia è la cosa che le farebbe più male.

Tuttavia, anche La Maire riconosce l’importanza di un intervento a livello comunitario, più che nazionale. «Importante convincere anche gli altri Stati membri».

Peraltro, lo stop a tutte le importazioni energetiche da Mosca non è tra i piani a breve termine dell’Unione. Né lo stop immediato al carbone: la Germania ha infatti ottenuto di posticipare di quattro mesi l’entrata in vigore del divieto, in modo tale da realizzare il piano nazionale per l’indipendenza dal carbone russo entro l’estate. «Se rimandassimo indietro quelle navi [che trasportano carbone] rischieremmo di non averne abbastanza», ha detto di recente il vicecancelliere tedesco Robert Habeck. (Il Post)

Ad ogni modo, testate come EuroNews hanno immaginato le possibili conseguenze di uno stop alle forniture di gas russo: tra le soluzioni proposte, quella di ricorrere al gas naturale liquefatto importato dagli Stati Uniti.

Sostituire il carbone russo e ridurre le emissioni

È possibile che tagliare il carbone russo non faccia poi così male: dopotutto – afferma Bloomberg – già prima delle sanzioni le compagnie energetiche europee faticavano a trovare il suddetto carbone, anche per via delle banche che ne negavano i finanziamenti. Nota il centro di studi Bruegel, poi, che le importazioni di carbone a livello europeo erano calate drasticamente dai 400 milioni di tonnellate nel 1990 ai 136 milioni nel 2020.

Sostituire il carbone russo non sarà difficile, ma sarà più costoso: i principali esportatori sono infatti Australia Indonesia, Paesi molto più distanti dall’Europa rispetto dalla Russia. Si tratterà di aumentare i costi di spedizione.

(fonte: balkaninsight.com)

Infine, si tenga a mente l’impegno delle varie città europee verso la decarbonizzazione, uno degli obiettivi da raggiungere entro il 2050 per evitare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico. Secondo un report della Commissione Europea, gli edifici europei sarebbero responsabili di circa il 40% delle emissioni comunitarie e del 36% delle emissioni di gas serra.

Ottimizzare l’efficienza energetica rappresenta, quindi, la chiave per l’obiettivo “zero emissioni”: secondo Caterina Sarfatti, direttrice dell’azione della C40 Climate Leadership Group, permetterebbe anche di risolvere il crescente problema della povertà energetica in Europa. Politico ha delineato una serie di azioni che aiuterebbero nel raggiungimento di tale scopo a livello cittadino.

Valeria Bonaccorso

Approvato il Decreto Ucraina, ma senza l’aumento della spesa militare. Ecco l’accordo della maggioranza

In mattinata si è svolto a Palazzo Madama il voto del Senato circa l’approvazione del cosiddetto “Decreto Ucraina”, il disegno di legge già approvato alla Camera contenente disposizioni urgenti per sostenere l’Ucraina contro l’invasione russa. Il governo aveva apposto la questione di fiducia sul decreto, dal momento che la notizia del possibile aumento della spesa militare italiana al 2% del PIL entro il 2024 – apposto come ordine del giorno da Fratelli d’Italia – rischiava di mettere in pericolo la stabilità dell’Esecutivo, soprattutto dopo il no secco del leader del MoVimento 5 Stelle Giuseppe Conte a qualsiasi aumento della spesa militare che gravi sul bilancio nazionale.

Ad ogni modo, il Governo Draghi non ha avuto particolari difficoltà ad ottenere la fiducia al Senato: il voto si è concluso attorno alle 12 con 214 voti favorevoli 35 contrari, senza astensioni. Il provvedimento si deve quindi ritenere approvato.

Il motivo sta nel fatto che la maggioranza è riuscita a trovare un punto d’incontro sul decreto facendo cadere l’ordine del giorno che prevedeva l’aumento delle spese militari. L’odg era già passato alla Camera, ma per essere definitivamente approvato avrebbe dovuto essere sottoposto alla votazione delle commissioni congiunte Difesa ed Esteri al Senato, ove però la votazione non è stata possibile per via del ritardo della commissione Bilancio a presentare pareri sul testo.

L’odg sull’aumento della spesa militare è stato, quindi, automaticamente espunto assieme agli altri emendamenti ed il testo è stato votato così come approvato già alla Camera. Alla fine, l’accordo è stato raggiunto anche grazie alla mediazione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ha affermato che l’aumento si avrà in modo graduale e l’obiettivo è stato spostato dal 2024 al 2028.

Cosa contiene adesso il Decreto Ucraina

Il provvedimento approvato presenta ora misure per l’accoglienza dei profughi e dispone l’invio di equipaggiamenti militari a Kiev. Ai fini del primo obiettivo, è previsto lo stanziamento di 10 milioni di euro per incrementare di 16mila posti complessivi i centri di accoglienza e un fondo di 1 milione di euro per finanziare iniziative di università e enti di ricerca a favore degli studenti, ricercatori e professori di nazionalità ucraina che sono in Italia per ragioni di studio o di ricerca.

(fonte: tgcom24.mediaset.it)

Inoltre, sono state disposte misure per l’aumento della disponibilità di gas e la riduzione programmata dei consumi in qualità di strumenti di contrasto alla crisi del gas naturale derivante dal conflitto in Ucraina.

Un ulteriore punto di dibattito – per cui il capogruppo della commissione Esteri ed esponente del MoVimento Vito Petrocelli ha scelto di non votare la fiducia, nonostante le minacce di espulsione dal partito – è quello sul rafforzamento della presenza del personale militare italiano nelle iniziative della NATO e la cessione a titolo gratuito all’Ucraina sia di mezzi ed equipaggiamenti militari non letali di protezione sia di armi letali.

L’aumento della spesa militare e l’impegno preso con la NATO

In realtà, quello dell’aumento della spesa militare al 2% del PIL è un impegno decennale che l’Italia, assieme ad altri Paesi membri della NATO, si era assunta nel 2014 al vertice di Newport, in Galles. Da allora, nonostante l’aumento graduale della spesa militare, l’Italia non ha raggiunto la soglia prevista, fermandosi all’1,41% del PIL. Mancherebbero quindi circa 13 miliardi di euro per raggiungere quanto dedotto in accordo, ossia circa 38 miliardi in spesa militare entro il 2024.

Tuttavia, l’obiettivo in questione non rappresenta un accordo vincolante né un requisito per rimanere nella NATO: si pensava di accelerare il raggiungimento della soglia in occasione del conflitto in Ucraina. Invece, l’aumento sarà graduale e l’obiettivo è rimandato al 2028.

La NATO si finanzia tramite due tipi di contributi: diretti, che si realizzano tramite finanziamenti alle operazioni comuni dell’Alleanza, che presenta un bilancio annuale di 2,5 miliardi di euro; indiretti, che si realizzano tramite il contributo di ogni Paese ad un’operazione militare specifica. Pur non essendo vincolante, quello dell’aumento della spesa militare italiana rimane un impegno che gli ultimi governi alla guida del nostro Paese hanno rinnovato, assumendosene la responsabilità.

(fonte: teleborsa.it)

Il dibattito in aula questa mattina

Il voto in Senato è stato preceduto dalle dichiarazioni degli esponenti dei vari partiti, che hanno spiegato le proprie ragioni.

Delusi gli esponenti di Fratelli d’Italia come la senatrice Isabella Rauti, capogruppo della commissione Difesa, che ha affermato:

Avremmo votato a favore, come alla Camera, anche al Senato il decreto se avesse avuto un normale percorso con emendamenti, ordini del giorno, miglioramenti, confronto. Invece, il ricorso al voto di fiducia su una materia così sensibile sconfessa il governo.

Favorevoli invece le forze di maggioranza come Partito Democratico, Italia Viva, Forza Italia e Lega. Infine, favorevole anche il M5S. Durante il dibattito sono stati alzati da alcuni senatori dei cartelloni con scritto: «No alle armi», secondo un’iniziativa assunta dai gruppi di Alternativa, Italexit ed alcuni esponenti del gruppo Misto.

Le parole di Draghi

Intanto si sta svolgendo una conferenza stampa del Presidente del Consiglio Mario Draghi con la Stampa Estera, a cui ha dichiarato:

Sulle spese militari l’Ue superi le decisioni nazionali. Serve un coordinamento sulla Difesa, la Commissione proceda.

Il Premier ha anche commentato la telefonata col Presidente russo Vladimir Putin, affermando che -secondo quest’ultimo – non sarebbero mature le condizioni per un cessate il fuoco in Ucraina. Emerge, inoltre, la richiesta di avere l’Italia come garante – spiega il Premier – dell’attuazione delle eventuali clausole negoziate tra Russia e Ucraina.

Valeria Bonaccorso

Il dramma delle donne transgender: bloccate al confine ucraino in quanto “uomini”

Centinaia di donne transgender ucraine stanno tentando da giorni a mettersi in fuga dal conflitto.  A bloccarle è la presenza nei loro passaporti del genere maschile di nascita.

Ucraina: centinaia di transgender in fuga -Fonte:tgcom24.mediaset.it

La questione del riconoscimento del genere e dell’omosessualità risulta essere ancora un tabù e si configura come “una guerra nella guerra”. La mancanza di legittima identificazione comporta l’impossibilità per queste donne di attraversare il confine. Ciò accade in quanto, le regoli attuali in Ucraina, vietano ai residenti uomini dai 18 ai 60 anni di abbandonare il Paese poiché obbligati a imbracciare le armi e difendere la patria.

La legge marziale Ucraina: cosa prevede

Già introdotta nel 2018 durante le tensioni con la Russia nello stretto di Kerch, la legge marziale è stata nuovamente promanata dal Presidente Zelensky.

Dopo l’invasione su vasta scala è stata introdotta in tutto il Paese un sistema di governo straordinario. Si tratta di un ordinamento giuridico separato che cambia da Nazione a Nazione e che sostituisce quello normalmente vigente. Può entrare in vigore quando uno Stato si trova in guerra, oppure per eccezionali esigenze di ordine pubblico e anche dopo un golpe militare.

Ucraina: legge marziale -Fonte:adnkronos.com

Le norme riducono generalmente alcuni dei diritti normalmente garantiti ai cittadini e in linea generale viene limitata la durata dei processi, prescrivendo sanzioni più severe rispetto alla legge ordinaria.

Ad incidere notevolmente c’è la sospensione di alcune leggi ordinarie e il controllo della normale amministrazione della giustizia che passa ai tribunali militari. Tra la compressione ulteriore delle libertà dei cittadini è altresì introdotto il divieto di riunioni politiche e uno stringente coprifuoco.

Secondo quanto riportato dall’attivista dei diritti umani e Presidente dell’organizzazione Lgbt+ Ucraina “Insight”, Olena Shevchenko

“La legge marziale dice che tutti i maschi sono obbligati a prestare servizio militare, quindi non possono lasciare il Paese. Tecnicamente, la legge si applica anche alle persone trans, inclusi uomini trans certificati e donne trans che non hanno cambiato i loro genere sui documenti. Ma sembra che le guardie di frontiera ucraine stiano impedendo anche alle persone trans con un certificato valido che riflette il loro nuovo genere di lasciare l’Ucraina, e nessuno sa perché.”

In Ucraina cambiare il genere e il nome sul passaporto richiede un lungo processo che induce molte persone a non portarlo a termine data la capziosa burocrazia e le molteplici valutazioni psichiatriche. Ciò che viene in rilievo da una delle principali associazioni di beneficenza transgender è che chiunque abbia scritto “maschio” sul passaporto rischia di essere respinto dal confine. Si stima che ci siano centinaia di donne trans che tentano di fuggire, ma che il 90% di quelle con cui è in contatto ha finora fallito, finendo per contrassegnare un ulteriore esempio di transfobia legale.

Le difficoltà di legittimazione

La forte emarginazione e discriminazione della comunità Lgbt+ ha origini ben anteriori alla situazione bellica attuale. Prima del 2017 infatti i membri della comunità trans dovevano sottoporsi per diverso tempo alla supervisione di un istituto psichiatrico, che potesse far attivare il processo di transizione. Sebbene oggi questa procedura sia stata snellita, non sono state istituite leggi antidiscriminatorie a tutela della comunità.

Donne transgender respinte al confine -Fonte:luce.lanazione.it

Lo si vede anche dalla posizione che occupa l’Ucraina nella classifica per il “trattamento complessivo delle persone Lgbtq+”. Secondo la International lesbian, gay, bisexual, trans and intersex Association sarebbe al 39° posto su 49 Paesi europei. Ciò viene ad essere riconfermato dall’impossibilità dei matrimoni gay, seguendo la scia della Chiesa cristiano-ortodossa che considera l’omosessualità un peccato.

I racconti di Judis e Alice

Donne transgender “Ci spediscono a combattere” -Fonte:liberatv.ch

La vicenda raccontata al “The Guardian” mette in mostra il pericolo rappresentato dalle politiche transfobiche della Russia e la negazione del passaggio in Paesi più sicuri.

La storia di Judis tratta di una donna transgender il cui certificato di nascita la definisce femmina, ma che alle 4 del mattino del 12 marzo, dopo una lunga ricerca, le è stato negato dalle guardie della frontiera di arrivare in Polonia, stabilendo altresì che fosse un uomo. La donna ha così raccontato

“Le guardie di frontiera ucraine ti spogliano e ti toccano ovunque… Puoi vedere sui loro volti che si stanno chiedendo ‘cosa sei?’ come se fossi una specie di animale o qualcosa del genere.”

Esperienza simile è stata vissuta anche da Alice, donna trans di Brovary e da sua moglie Helen, non binaria.

“Ci hanno portato in un edificio vicino al valico di frontiera. C’erano tre agenti nella stanza. Ci hanno detto di toglierci le giacche. Ci hanno controllato le mani, le braccia, il collo per vedere se avevo un pomo d’Adamo. Mi hanno toccato il seno. Dopo averci esaminato, le guardie di frontiera ci hanno detto che eravamo uomini. Abbiamo cercato di spiegare la nostra situazione, ma a loro non importava.”

Un problema non solo ucraino

Il dramma provato dalla comunità riguarda anche i Paesi di arrivo, infatti, secondo le ultime stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) gli ucraini giunti in Polonia dall’inizio dell’invasione russa, lo scorso 24 febbraio, sono già due milioni.

Ecco che al fine di proteggere le persone transgender da potenziali discriminazioni, numerose organizzazioni si sono attivate per aiutare i rifugiati. L’attivista della “Warsaw Pride” in Polonia, Julia Maciocha ha dichiarato ai microfoni dell’organizzazione indipendente e no-profit “National Public Radio (NPR)”

“Non vogliamo che vengano tenuti in campi profughi o in grandi edifici o luoghi enormi dove non sono al sicuro perché ovviamente l’omofobia esiste ancora in Polonia. Vogliamo assicurarci che vengano collocati con persone che capiscano i loro bisogni.”

Si comprende come probabilmente molti di questi lasceranno presto la Polonia, spostandosi nell’Europa occidentale, dove le “leggi sono più amichevoli”.

Julia Maciocha -Fonte:transnational-queer-underground.net

La possibile soluzione

Trans in fuga dall’Ucraina -Fonte:ilsussidiario.net

Le centinaia di segnalazioni ricevute inducono le associazioni Lgbtq di Kiev a proporre un’unica soluzione. Al fine di “tutelare”, seppur marginalmente la delicata questione, invitano le donne trans ad andare dal proprio medico e poi, con il certificato, recarsi all’ufficio militare per essere eliminate dalla lista per l’arruolamento.  

Ciò di certo non minimizza la difficoltà di doverlo spiegare a chi è riuscita a raggiungere il confine portando con sé documenti ufficiali, schivando colpi di mortaio ed esplosioni.

Giovanna Sgarlata

Russia-Ucraina: la situazione dopo quasi un mese dall’inizio del conflitto

Nella notte tra il 23 ed il 24 Febbraio le forze russe hanno invaso il territorio Ucraino. Un mese di attacchi aerei, bombardamenti e cruenti battaglie che non accennano a placarsi. Continuano ad essere insufficienti gli sforzi da parte di Zelensky (che di recente ha parlato in video-collegamento con Palazzo Chigi) per risolvere per via diplomatica lo scontro. La guerra, inoltre, sta mettendo in dura crisi l’Occidente sia per ciò che concerne l’economia ma anche (e soprattutto) l’equilibrio politico internazionale. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno sin da subito condannato l’operato di Putin ma, se da una parte, uno dei personaggi politici europei rilevanti come il Presidente francese Macron continua a cercare un punto d’incontro con Mosca attraverso dei colloqui diretti ad evitare ulteriori danni, d’altra parte il Presidente statunitense Joe Biden continua a rilasciare dichiarazioni e critiche molto dure nei confronti del Presidente russo Vladimir Putin.

L’accusa di Biden

«Putin valuta l’uso di armi chimiche e biologiche»

Queste le parole del Presidente degli Stati Uniti dopo aver aggiunto che in questo momento la Russia si troverebbe «con le spalle al muro». Mosca ha subito smentito queste affermazioni e tramite un comunicato del Ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore statunitense John Sullivan. La tensione tra le due parti sembra crescere. Peraltro, il portavoce del Cremlino Dmitrj Peskov, di recente intervistato alla CNN, alla domanda su un possibile attacco nucleare da parte della Russia ha risposto:

«Solo in caso di minaccia all’esistenza della Russia stessa»

Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino. Fonte: ansa.it

Nel suo lungo intervento – documentato dalla giornalista Christiane Amanpour – si è potuto capire quanto l’attacco russo sia stato organizzato nei minimi dettagli. Queste le parole di Peskov:

«L’operazione procede secondo i piani»

Per quel che riguarda la durata ha aggiunto:

«Nessuno pensava che un’operazione militare speciale in Ucraina avrebbe richiesto un paio di giorni»

Tali dichiarazioni, così chiare e dirette, lasciano trasparire un’inquietante sicurezza da parte del governo di Vladimir Putin.

Il numero dei soldati russi caduti durante la guerra

Apparsi e poi spariti dopo pochi minuti, il dato che chiariva il numero dei soldati russi deceduti sul campo di battaglia era stato pubblicato su un tabloid pro-Putin. 9861 sembrerebbero essere i morti e 16153 i feriti. Il giornale, dopo aver cancellato la notizia, ha parlato di attacco hacker. Ingenti le perdite per Mosca, che secondo alcune fonti sarebbe sull’orlo di una crisi sanitaria, con la maggior parte dei posti letto occupati dai feriti di guerra. In alcuni ospedali sono stati sospesi i servizi medici essenziali per la popolazione.

Immagine dal campo di battaglia. Fonte: lanotiziagiornale.it

Problemi al fronte per i soldati russi

«Tutti abbiamo visto i soldati russi che saccheggiavano i supermercati»

Il portavoce del Pentagono John Kirby descrive così la condizione dei militari russi al fronte. Nelle ultime ore, infatti, si parla di come le «forze di Kiev stiano riguadagnando terreno» e probabilmente ciò è dovuto alle numerose difficoltà logistiche che sta affrontando l’esercito di Mosca, tra cui appunto la reperibilità del cibo.

Mariupol: la distruzione della città

L’elevato numero di combattenti russi deceduti testimonia quanto la voglia di arrendersi da parte dell’Ucraina sia veramente poca, ma soprattutto fa prendere atto di come, in situazioni come questa, sia difficile trovare un vinto o un vincitore ma solamente distruzione e morte su entrambi i fronti. Basti pensare alla città di Mariupol, continuamente presa di mira dall’esercito russo che ha iniziato a bombardarla quasi ininterrottamente. Un comune che – secondo i dati – prima dell’attacco contava ben 480.000 abitanti, adesso – secondo la BBC – vede il numero di persone scendere a circa 300.000. Le condizioni di vita dei cittadini rimasti sono disperate, privati dei beni di prima necessità, costretti a vivere senza acqua corrente né riscaldamento. Mettendo a confronto le immagini risalenti a più di un mese fa – prima dell’inizio del conflitto armato – con quelle attuali si fatica a trovare somiglianze. Il sindaco Vadym Boychenko ha affermato che ormai ben l’80% degli edifici della città sarebbe andato distrutto. In seguito, ha definito la sua città come una «nuova Hiroshima», ennesimo paragone con scenari bellici che credevamo ormai essere di esclusiva pertinenza storica e che invece, purtroppo, non sembrano più lontani nel tempo, bensì quanto mai attuali.

Immagini dal satellite: Mariupol prima e dopo i bombardamenti. Fonte: fanpage.it

Francesco Pullella

 

Ucraina: svolta nei negoziati. Sì alla neutralità, ma non come vuole Putin. “Garanzie di sicurezza contro la Russia”

«Ogni guerra termina con un accordo», ha affermato questa notte il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un videomessaggio dove ha reso noto che i negoziati con la Russia stanno procedendo «in modo più realistico». Si tratterebbe di un prima grande svolta nel panorama del conflitto che ha coinvolto l’Ucraina dal 24 febbraio scorso: svolta confermata per la prima volta anche da fonti ufficiali russe, quali il Ministero degli Affari Esteri russo Sergej Lavrov, che ha aperto alla possibilità di un compromesso.

Mi baso sulle valutazioni fornite dai nostri negoziatori, i quali dicono che i negoziati non stanno andando bene per ovvi motivi, ma che c’è comunque un margine di speranza di raggiungere un compromesso.

Tuttavia, il ministro Lavrov ha subito ribadito le richieste della Russia: smilitarizzazione dell’Ucraina e sicurezza delle popolazioni russofone nell’Est del Paese, oltre che rinuncia all’adesione al Patto Atlantico.

L’uso della lingua russa e la libertà di espressione sono importanti.

L’Ucraina rinuncia alla NATO: ma quale neutralità?

La notizia giunge in seguito ad un discorso tenuto in videoconferenza da Zelensky nel quale ha ammesso che «L’Ucraina non è nella NATO e non possiamo entrarci, va riconosciuto». Un passo indietro significativo, che ha subito indotto a credere che il Paese di avvii verso la neutralità.

Nelle ultime ore, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha fatto sapere che la neutralità dell’Ucraina potrebbe basarsi sul modello austriaco o svedese, ma Zelensky ha rigettato la proposta, chiedendo garanzie di sicurezza. (ANSA)

L’Ucraina è in uno stato di guerra diretto con la Russia. Pertanto il modello può essere solo ucraino.

Ha spiegato così il motivo del rifiuto dei modelli austriaco o svedese Podolyak, il consigliere presidenziale e negoziatore di Kyiv.

(fonte: ilmessaggero.it)

In un articolo dell’ISPI di alcuni giorni fa, si sostiene che il problema dei negoziati non verterebbe sulla neutralità di Kyiv, su cui entrambe le forze sono d’accordo: «La grande differenza è sull’interpretazione del principio». Sembrerebbe che Putin voglia fare dell’Ucraina una nuova Bielorussia, sbarazzandosi dell’attuale esecutivo per imporvi un presidente-marionetta alla stregua del bielorusso Lukashenko; eppure – scrive ISPI – i colloqui tenutisi in Turchia tra Lavrov e Kuleba, Ministro degli Esteri del “governo nazista” di Kyiv, indicherebbero un sostanziale segno di debolezza del Cremlino, ormai giunto al limite del default.

Ci sarebbe poi il modello di neutralità finlandese, che ben si concilierebbe ad un immaginario democratico e da membro dell’Unione, status a cui il Paese guidato da Zelensky aspira ormai da tempo.

Improbabile un intervento militare NATO

Durante un simbolico incontro tra Zelensky ed una delegazione europea composta dai vertici di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, il vice primo ministro polacco Kaczyński ha detto che la NATO dovrebbe inviare in Ucraina una forza di peacekeeping «armata». Si tratterebbe al momento di una strada altamente improbabile.

Nella giornata odierna è in corso un incontro d’emergenza dei membri del Patto Atlantico. Il Segretario per la Difesa statunitense Lloyd Austin ha affermato:

Rimarremo uniti in supporto dell’Ucraina, sostenendo il loro diritto ad autodifendersi.

È previsto che i vari Ministri per la Difesa impongano ai relativi comandanti militari di designare nuove strategie per scoraggiare la Russia, tra cui più truppe e difese missilistiche sul fianco orientale della NATO.  «Dobbiamo riadattare il nostro atteggiamento militare a questa nuova realtà», ha dichiarato martedì il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg.

(fonte: nato.int)

Alcuni giorni fa, delle fonti della BBC hanno rivelato che la NATO sta facendo il possibile per evitare un’escalation e, di conseguenza, l’attivazione dell’Articolo 5 del Patto Atlantico, ossia il principio della difesa collettiva, che prevede che un eventuale attacco armato contro una o più delle parti in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza si conviene che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, potrà procedere anche all’utilizzo della forza armata.

«Tuttavia – afferma Jenny Hill, corrispondente a Mosca per la BBC – più le truppe russe avanzano ad ovest, più aumenta il rischio di un attacco accidentale (o intenzionale) in territorio NATO». Per di più, il 13 marzo dei missili russi hanno colpito una base ucraina al confine con la Polonia, membro del Patto Atlantico, allarmando immediatamente il Paese confinante.

Altri bombardamenti nella notte. In arrivo controffensiva ucraina

Intanto, nelle ultime ore, Mariupol è stata attaccata anche dal mare di Azov. Lo riferisce Petro Andryushchenko, consigliere del sindaco della cittadina ucraina, precisando che gli attacchi delle navi da guerra vanno ad aggiungersi ai raid aerei.

Anche Kharkiv è stata attaccata durante la notte, con due morti confermati e due edifici residenziali distrutti (The Guardian). Le navi russe presenti nel mar Nero hanno iniziato a bombardare le coste vicino alla città di Odessa, porto principale del paese. A Kyiv è stato distrutto un palazzo di dodici piani, causandone il parziale collasso. Le operazioni di soccorso sono state particolarmente difficili per questa ragione.

Secondo quanto rivelato da Podolyak, le forze armate ucraine starebbero lanciando «controffensive in diverse zone operative», ma al momento non sono stati aggiunti ulteriori dettagli.

Valeria Bonaccorso

 

Russia-Ucraina: dal conflitto alla lotta contro le fake news. Oggi, nuovo round di negoziati

Le sirene continuano a risuonare in 19 regioni Ucraine su 24, il che lascia presagire un attacco su larga scala. Il conflitto che da 19 giorni sta interessando Russia, Ucraina ed economia mondiale, deve anche far fronte all’enorme dilagare di fake news. Così viene minacciata un chiara e veritiera ricostruzione dei fatti, inficiando l’informazione globale e le sorti del conflitto.

Nella giornata di oggi, due incontri diplomatici fondamentali per la risoluzione del conflitto, che nelle ultime settimane ha cambiato radicalmente il quadro geopolitico, strategico e di sicurezza dell’Europa. Il ministro degli Esteri italiano, Di Maio si è detto positivo in vista dei vertici:

“Abbiamo sentito i cinesi, i turchi, gli israeliani bisogna parlare con tutti per arrivare prima a una tregua umanitaria e poi ad un accordo di pace”.

Il vertice Usa-Cina

È attualmente in corso, a Roma, l’incontro del consigliere alla Sicurezza nazionale americano, Jack Sullivan, e il capo della diplomazia del Partito comunista cinese, Yang Jiechi, per cercare “una forte risposta internazionale e per delineare una strategia di sicurezza globale“. Il vertice arriva in un momento denso di indiscrezioni sulla richiesta della Russia di assistenza militare e potrebbe disattendere le aspettative. Non è escluso che, al termine del colloquio, la Cina decida di rispondere alle richieste di aiuto militare di Mosca.

Per fronteggiare tale eventualità, gli Stati Uniti avrebbero preparato il warning per gli alleati.

La posizione della Cina nel corso dei 18 giorni di guerra non è mai apparsa troppo chiara: nessuna condanna è stata avanzata e Pechino si è astenuta sulla risoluzione dell’Onu di condanna nei confronti della Russia.

Tuttavia, solo nel corso di una chiamata con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron, la Cina ha pronunciato per la prima volta il termine ‘guerra. Però, ha subito controbilanciando con le critiche rivolte alle sanzioni occidentali che “danneggeranno la ripresa dell’economia globale dalla pandemia del Covid-19“.

Intanto l’ambasciata cinese a Washington ha dichiarato:  “Speriamo con sincerità che la situazione si allenti e la pace torni presto“, precisando “di non aver mai sentito parlare” della richiesta di aiuto militare. La priorità della Cina è di:

“Impedire che la situazione di tensione in Ucraina possa sfuggire dal controllo. È una situazione davvero sconcertante”.

Le sanzioni

Gli Usa sfrutteranno il tema sanzioni per mettere pressione alla Cina.

“Ogni mossa da parte di Pechino o di altri Paesi per offrire un’ancora di salvezza alla Russia o aiutarla a evadere le sanzioni occidentali avrà conseguenze. Faremo in modo che né la Cina, né nessun altro, possano risarcire Mosca per queste perdite”.

Le parole del consigliere Sullivan non lasciano spazio a fraintendimenti, gli Stati Uniti punteranno a convincere Pechino a entrare in campo in modo più diretto per fare pressioni su Mosca e cercare di trovare una via d’uscita alla guerra. Inoltre, come molte fonti diplomatiche fanno notare, le sanzioni destinate a durare nel tempo avrebbero gravi ripercussioni anche all’economia cinese.

 

Le fake news sull’attacco russo all’ospedale di Mariupol

Continua il braccio di ferro tra i colossi dei social media e la propaganda di Mosca sulla guerra in Ucraina. Al centro dell’ennesimo tentativo di disinformazione, poi inevitabilmente sfociata in misinformazione, è l’attacco all’ospedale pediatrico di Mariupol del 9 Marzo.

Nel post pubblicato dall’ambasciata russa in Gran Bretagna, questi ultimi sostenevano che le immagini delle vittime dell’attacco all’ospedale fossero false. “L’ospedale – si legge nei post poi rimossi – non era più operativo da tempo, perché passato sotto il controllo delle forze armate ucraine che avrebbero fatto evacuare pazienti e personale medico. Di conseguenza i soggetti che compaiono nelle immagini altro non sarebbero che attori.“.

La denuncia innescata ha coinvolto altre rappresentanze diplomatiche russe in altri Paesi. La sede italiana, ad esempio, ha parlato del “tentativo di gonfiare lo scandalo” da parte dei media occidentali e ucraini.

Attacco all’ospedale pediatrico di Mariupol (fonte: lasicilia.it)

Le informazioni diffuse hanno sin da subito innescato la caccia alla verità da parte di giornalisti e lettori. Il giornalista James Clayton della BBC, ha rintracciato un post Facebook del nosocomio del 2 marzo in cui si chiede supporto di gasolio e altri strumenti per fare funzionare la struttura.

L’intervento di Anonymous 

L’intervento di Anonymous in funzione della divulgazione delle informazioni sulla guerra continua a dimostrarsi fondamentale.

Il gruppo GhostSec, come riportato su Twitter da uno degli attivisti, avrebbe violato centinaia di stampanti governative e militari russe.

“Questa non è la tua guerra. Questa è la guerra del tuo governo. Mentiamo a fratelli e sorelle. I soldati di alcune unità militari pensano di eseguire attività di formazione” si legge. “Ma quando raggiungono il loro obiettivo, vengono accolti da ucraini che vogliono vendicarsi per la distruzione della loro terra portata avanti dai burattini di Putin”.

 

Elidia Trifirò 

“Zombie” e “Bella Ciao”: i canti della resistenza a Putin

Sono passati vari giorni da quando il presidente Vladimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina: in quel momento si è spezzato un altro filo nella “tela dell’umanità”, in quell’istante il tempo si è fermato, migliaia di persone si sono ritrovate senza cibo, acqua, le loro vite sono cambiate per sempre e la loro innocenza è stata distrutta.

Una parte del popolo russo si è rivoltato contro il proprio Presidente (o per meglio dire dittatore), scendendo in piazza, protestando con cartelloni, fiori e simboli di pace. Per dire a Putin, ma specialmente al mondo, che loro non stanno dalla parte della disumanità, mettendo spesso a rischio la loro stessa libertà, la loro vita. Qualche giorno fa un gruppo di russi è stato arrestato dalla polizia, proprio mentre manifestava il proprio dissenso verso la guerra.

Incatenati e portati sopra il furgone come bestie dalle forze armate, armati di coraggio e di sorrisi anziché di bombe, i manifestanti hanno iniziato a cantare a squarciagola la canzone Zombie, dando esempio di disobbedienza civile.

 Chi non conosce la melodia di Zombie? O almeno una volta l’ha sentita passare in radio o mentre faceva zapping da un canale all’altro? Appena i manifestanti russi hanno iniziato a cantare, siamo quasi stati riportati indietro nel tempo, a quando ancora questa guerra non c’era. Guardando sui nostri cellulari quel video ormai diventato virale, ci siamo sentiti cittadini del mondo, il patriottismo per un attimo ha lasciato il posto all’empatia e ci siamo trovati a condividere la resistenza del popolo russo al suo dittatore.

La storia dietro Zombie

“Nella tua testa stanno ancora combattendo
Con i loro carri armati e le loro bombe
E le loro bombe e i loro fucili
Nella tua testa
Nella tua testa stanno morendo”

Zombie, è una canzone del gruppo rock Irlandese The Cranberries, pubblicata il 12 Settembre del 1994 (28 anni fa). Considerato il maggior successo del gruppo irlandese, ha vinto durante gli  MTV Europe Music Awards del lontano 1995 il prestigioso premio di  “Canzone dell’anno”.

Dolores O’Riordan,cantautrice e frontman del gruppo, ha affermato che la canzone è stata scritta in seguito all’attentato di Warringotn del 1993 da parte dell’IRA, in cui avvenne la morte di un bambino. Il testo contiene dei riferimenti alla Rivolta di Pasqua (una sommossa scoppiata durante la settimana di Pasqua in Irlanda) avvenuta nel 1916.  

Erroneamente si associa Zombie alla denuncia della situazione nordirlandese, ma in realtà è più una canzone che si schiera contro la violenza in generale.

Per quale motivo infatti è diventata anche il simbolo dei “partigiani” russi?  Cosa la rende adatta a raccontare anche questa guerra?

Come ci indica già il titolo, coloro che portano la guerra sono zombie che eseguono ordini, smettono di pensare e camminano lasciandosi dietro terrore e e distruzione. Gli stessi Cranberries affermarono di aver scritto Zombie come simbolo di pace per il proprio Paese, per far capire come la violenza travestita di ideali politici e religiosi possa portare alla perdita di vite innocenti.

“Un’altra testa ciondola umilmente
Il bambino viene lentamente preso e
La violenza ha causato un tale silenzio
Chi stiamo fraintendendo?”

Bella Ciao: la canzone di ogni resistenza

Bella Ciao è un’altra canzone simbolo della resistenza, ma quella ucraina stavolta.  E’ stata riadattata infatti dalla cantante ucraina Khrystyna Solovij, con il testo nella sua lingua madre e con due soli strumenti: chitarra e voce.

Che storia nasconde dietro di sé Bella Ciao? Per noi italiani è simbolo di libertà assoluta, è la canzone che ha accompagnato la liberazione dal morbo fascista. Ancora oggi la cantiamo per affermare quei diritti che ancora non hanno una legge a loro tutela; con essa invochiamo la ribellione per riportare l’ordine ( si, sembra quasi un paradosso).

Gli storici non conoscono le sue origini, molti la associano addirittura al ‘500 francese o ai canti di lavoro delle mondine. Non si conosce né la penna né la data di composizione: il mistero rende questa canzone ancor più affascinante. Anche se associata alla lotta partigiana, dietro di sé non ha precisi riferimenti religiosi e politici: è libera da qualsiasi vincolo, è pura.

“E se muoio da partigiano
Tu mi devi seppellir”

Oggi Bella Ciao è stata riscoperta a livello internazionale anche per via della serie tv La Casa Di Carta, o di migliaia di cover che girano su Youtube. Possiamo considerarla una canzone universale, che fa nascere nell’essere umano la voglia di apportare qualche cambiamento.

La musica è l’unica lingua (se così possiamo definirla) che unisce e mai divide, l’eccezione alla regola: con essa, come con la scrittura e con le azioni, diamo il via a moti rivoluzionari. Ogni evento, ricorrenza, ma soprattutto ogni ideale è rappresentato da una melodia capace di accomunare popoli con lingue e tratti diversi, abbattendo non solo le differenze ma anche i poteri forti.

 

Vignetta satirica di Mauro Biani. Fonte: LaRepubblica

Di Putin si può dire solo una cosa: con i suoi interessi e il proprio potere, ha perso ogni tipo di senso morale, è diventato piccolo come i coriandoli, mentre il “suo” popolo – che non è più suo – si sta dimostrando più forte di lui. Le urla e le azioni dei dissidenti, ma soprattutto i loro canti sono più assordanti delle bombe. 

Alessia Orsa

 

 

 

La Russia e le operazioni “false flag”. Di cosa si tratta e cosa l’esercito russo potrebbe stare architettando

Durante gli antecedenti al conflitto tra Russia e Ucraina, si è parlato di tentativi, da parte degli Stati Uniti, di infiltrazione nella dinamica, tramite operazioni militari false flag”, cioè “falsa bandiera”: fingersi il nemico per creare un pretesto per attaccarlo, compiendo una terribile azione e facendo poi passare la stessa come compiuta per mano dell’avversario.

Oggi lo stesso presidente americano, Joe Biden, ha più volte cercato di avvertire il mondo del fatto che proprio la Russia sia, invece, pronta a usare questa strategia nel conflitto ormai aperto da più di due settimane.

L’espressione “false flag” è nata per descrivere una tecnica adoperata spesso nella pirateria: i pirati brandiscono bandiere amiche e false, per attirare navi mercantili da attaccare, le quali, a loro volta, credono si stia avvicinando un soggetto, appunto, non offensivo.

Nel tempo, è stato poi usato per descrivere genericamente qualsiasi attacco – reale o simulato – per incriminare un avversario e creare le basi per un’offensiva.

(fonte: globalist.it)

 

Un presunto attacco russo “false flag” a un villaggio bielorusso presso il confine con l’Ucraina

Diverse agenzie di intelligence occidentali hanno avvertito che la Russia utilizzerà operazionifalse flagcome parte del suo piano di disinformazione, durante il suo attacco all’Ucraina. Sappiamo come questa sia una delle armi più potenti, se non la più potente a questo punto del conflitto, in mano al Cremlino: la disinformazione.

Il popolo russo ne è la prima vittima, che, da lunedì 14 marzo, non potrà usufruire di Instagram, dopo che su Facebook ha iniziato ad aleggiare già da giorni la morsa della censura da parte del governo russo.

L’accusa di Kiev che ha fatto emergere l’ipotesi è quella secondo la quale Mosca avrebbe sparato contro un insediamento in Bielorussia vicino al confine con l’Ucraina, facendo credere che sia stata proprio quest’ultima a sferrare l’attacco.

Il Comando aereo ucraino ha, a tal proposito, dichiarato, nella giornata di ieri 11 marzo, che le autorità di frontiera hanno ricevuto informazioni dettagliate su come gli aerei russi siano decollati da un aeroporto della stessa Bielorussia, hanno attraversato lo spazio aereo ucraino e poi hanno sparato contro il villaggio bielorusso di Kopani.

«Questa è una provocazione! Obiettivo: coinvolgere le forze armate bielorusse nella guerra in Ucraina» ha dichiarato il Comando dell’aeronautica ucraina in una nota stampa.

L’esercito ucraino ha detto che anche altri due insediamenti bielorussi sarebbero stati presi di mira nella stessa operazione. I servizi di sicurezza hanno proceduto con una dichiarazione ufficiale via Telegram: «Dichiariamo ufficialmente: l’esercito ucraino non ha pianificato e non prevede di intraprendere alcuna azione aggressiva contro la Repubblica di Bielorussia».

Poi è arrivato l’appello alla Bielorussia, di non farsi coinvolgere con l’inganno nella guerra dalla Russia:

«Facciamo appello al popolo bielorusso: non lasciatevi usare in una guerra criminale!»

 

La risposta del governo Bielorusso

La portavoce del Ministero della Difesa bielorusso, Ina Harbachova, ha respinto la dichiarazione del Comando dell’aeronautica ucraina, additandola come falsa.

«Il ministero della Difesa afferma inequivocabilmente che le informazioni su un attacco missilistico in un villaggio bielorusso sono sciocchezze» ha detto Harbachova.

Il rapporto dall’Ucraina è arrivato lo stesso giorno in cui il presidente bielorusso Alyaksandr Lukashenko è stato ricevuto da Vladimir Putin, a Mosca.

Foto da un vecchio incontro tra Lukashenko e Putin (fonte: en.news-front.info)

La Bielorussia ha aiutato la Russia a lanciare il suddetto attacco, lasciando che il suo territorio venisse utilizzato come terreno di sosta per le truppe russe. Lo stretto rapporto tra i due Stati, d’altronde, non avrebbe potuto farci pensare che la Bielorussia avrebbe vacillato davanti a dichiarazioni così forti contro il suo fidato partner. Inoltre, ormai queste operazioni vengono ritenute largamente possibili, non perché siano comuni, ma perché la storia ci ha insegnato che in guerra, i governi, i potenti, siano assolutamente e facilmente inclini a non avere alcuno scrupolo.

 

Il sospetto di un’operazione false flag a Chernobyl

Secondo quanto dichiarato dall’intelligence ucraina, vi sarebbe un altro tentativo sotto false flag, di cui la notizia è arrivata stamattina: la Russia starebbe accumulando dei corpi di soldati ucraini morti per inscenare un attacco false flag che coinvolgerebbe Chernobyl. Putin avrebbe, dunque, ordinato alle sue truppe di rilasciare scorie radioattive nei pressi dell’impianto nucleare, per poi procedere a incolpare i sabotatori ucraini e giustificare così un’altra escalation nella guerra.

«I frigoriferi per auto russe che raccolgono i corpi dei difensori ucraini morti sono stati avvistati vicino all’aeroporto Antonov di Hostomel. C’è la possibilità che vengano presentati come sabotatori uccisi nella zona di Chernobyl».

La centrale – ricordiamo – è stata presa dalle forze russe il primo giorno dell’invasione. Da allora i lavoratori al suo interno svolgono le loro mansioni sotto la minaccia delle armi.

Il disastro di cui si ipotizza causerebbe problemi con le scorie radioattive anche alla Russia. Uno scenario sconvolgente e assurdo, ma sarebbe usato per giustificare l’uso di ulteriore forza contro l’Ucraina e tentare di far vacillare la comunità internazionale nel sanzionare la Russia e fornire armi all’Ucraina.

Ma ci sono timori che ci possa essere anche una perdita accidentale nel sito nucleare perché i russi che lo presidiano “non hanno alcuna idea dei protocolli di sicurezza nucleare”, come ha avvertito la figlia di un membro dello staff che lavora di notte nell’impianto.

Chernobyl (fonte: ilsussidiario.net)

Tutto questo arriva mentre i bombardamenti sono continuati durante la notte in tutta l’Ucraina. Il bilancio delle vittime di Mariupol sale a 1.600, mentre i russi si avvicinano ancora a Kiev che si sta preparando per un brutale assalto: c’è l’alto rischio che essa diventi la nuova Stalingrado.

 

 

Rita Bonaccurso

 

Riprendono i colloqui tra Russia e Ucraina, Mosca stila la lista dei paesi ostili: presente anche l’Italia

Il conflitto tra Russia e Ucraina non tende a placarsi. Nonostante riprenda il confronto diplomatico tra le parti e ci siano dei piccoli miglioramenti per ciò che concerne l’organizzazione logistica dei corridoi umanitari, l’annunciato “cessate il fuoco” temporaneo da parte della Russia, così da poter permettere l’evacuazione da parte dei civili, di fatto non è avvenuto. Giungono inoltre notizie da Mosca di una lista stilata dal Cremlino delle nazioni ostili, ovvero quei Paesi che hanno applicato delle sanzioni nei confronti della Russia. Tra questi, oltre al Regno Unito, agli U.S.A. e ad altri spicca la presenza per la prima volta della Svizzera – che ha interrotto la sua storica neutralità – e dell’Italia.

Il colloquio Russia-Ucraina. Fonte: “avvenire.it”

I provvedimenti da parte dell’Italia

Negli ultimi giorni il tema delle sanzioni è stato ampiamente discusso. Alcune nazioni – citate nella “black list” di Mosca – hanno preso di mira personalità russe di spicco. In Italia questi provvedimenti coincidono con il congelamento di parecchi beni appartenenti a magnati e oligarchi. La Guardia di Finanza ha stimato un valore complessivo di 143 milioni di euro. Quanto tali provvedimenti possano incidere sulla situazione attuale è impossibile da stabilire ma, senza alcun dubbio, le sanzioni amministrative ed economiche rappresentano una delle poche armi diplomatiche a disposizione dell’UE e della NATO per cercare di contrastare la Russia senza imbracciare necessariamente le armi. In Italia il decreto legislativo 22 Giugno 2007 n. 209 chiarisce che per congelamento di risorse economiche si intende:

“il divieto, in virtù dei regolamenti comunitari e della normativa nazionale, di trasferimento, disposizione o, al fine di ottenere in qualsiasi modo fondi, beni o servizi, utilizzo delle risorse economiche, compresi, a titolo meramente esemplificativo, la vendita, la locazione, l’affitto o la costituzione di diritti reali di garanzia”.

 

Putin-Draghi. Fonte: “ilfattoquotidiano.it”

L’esportazione di armi da parte dell’ Italia

Le sanzioni non sono l’unica testimonianza della presa di posizione dello Stato italiano in merito al conflitto. Infatti nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha approvato all’unanimità il decreto legislativo per l’invio di armi alle autorità governative ucraine, con la NATO che darà un appoggio logistico e fornirà un ponte aereo. A regolamentare la materia dell’esportazioni di armi letali dall’Italia è la legge n. 185 del 9 Luglio 1990, che dichiara:

“L’esportazione, l’importazione e il transito di materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia. Tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”

Tale legge tuttavia vieta l’esportazione e il transito di armamenti “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”.

La domanda dunque è: come possono l’Italia e le altre nazioni inviare armi? Riferendoci appunto all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite:

“nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”.

La Russia attaccando l’Ucraina e violando l’articolo 2.4 della Carta dell’Onu fa si che l’esportazione di armi da parte dell’Italia e di altre nazioni sia legittimata e vista come un atto di difesa.

L’Italia invierà missili Stinger antiaerei, missili Spike controcarro, mitragliatrici Browning, mitragliatrici Mg e un alto numero di munizioni.

Mitragliatrice Browning. Fonte: “repubblica.it”

Lo scontro armato continua

La trattativa diplomatica, purtroppo, rappresenta solo una parte del conflitto. Continua infatti la mobilitazione di carri armati russi in direzione della capitale ucraina. Il numero delle vittime non smette di aumentare: a seguito di un bombardamento sulla città di Makariv sono morte 13 persone. Il presidente ucraino Zelensky ha dichiarato:

“Troveremo ogni bastardo che spara alla nostra gente”.

Il terzo round di negoziazioni

Emergono dei miglioramenti – anche se non di grande rilevanza – dopo la conclusione dell’ennesima finestra di dialogo tra Russia e Ucraina. Tuttavia il capo negoziatore russo Vladimir Medinsky non è apparso soddisfatto e sull’incontro ha dichiarato:

“non è stato all’altezza delle aspettative”.

Secondo quanto emerso, inoltre, è stata già concordata la data del quarto confronto, che avverrà a breve.

Francesco Pullella

 

 

Guerra in Ucraina: polemica tra Mosca e l’Eliseo per i corridoi umanitari, intanto continuano i negoziati

Proseguono i combattimenti tra Russia e Ucraina che, all’alba del 12esimo giorno di guerra, si preparano al terzo round di colloqui. A pochi minuti dall’ennesimo tentativo diplomatico di porre fine al conflitto, il numero di profughi giunto in Polonia ha superato il milione, l’Ucraina si trova costretta a rinunciare ai sei corridoi umanitari concessi dalla Russia e definiti “totalmente immorali” da un portavoce ucraino e la Russia avrebbe iniziato ad “ammassare le proprie risorse per prendere d’assalto Kiev”. Nel colloqui telefonico Macron-Putin, quest’ultimo ha fatto sapere che se non raggiungerà i suoi obiettivi con i negoziati, lo farà con la guerra. Subito la replica dell’ Ucraina:

“Pronti a negoziare modelli di garanzia non Nato, ma nessun accordo possibile su Crimea e Donbass”

I corridoi umanitari sono diretti in Russia e Bielorussia

L’esercito russo ha annunciato questa mattina il cessate il fuoco per l’apertura di sei corridoi umanitari per consentire ai cittadini ucraini di evacuare dalle città di Kharkiv, Kiev, Mariupol e Sumy. Il corridoio dalla capitale Kiev, però, porta verso la Bielorussia, mentre per Kharkiv c’è un solo corridoio verso la Russia. Il corridoio da Mariupol porta alla città russa di Rosto-on-Don, vicino al confine con l’Ucraina, mentre da Sumy ci sono due corridoi, uno verso altre città dell’Ucraina e l’altro verso la Russia. I corridoi, diretti quindi per lo più verso la Russia e la Bielorussia, sono stati rifiutati dal governo Ucraino. Un portavoce del presidente ucraino Zekensky ha dichiarato:

“Questi sono cittadini ucraini, dovrebbero avere il diritto di evacuare nel territorio dell’Ucraina”.

L’esercito russo ha giustificato la decisione di aprire i corridoi “verso la Russia” come “una richiesta personale” del presidente francese, notizia prontamente smentita dall’Eliseo. La presidenza francese ha inoltre aggiunto che “il presidente ha chiesto il rispetto del diritto internazionale umanitario.

Profughi Ucraini (fonte: ilfattoquotidiano.it)

Terzo round di colloqui 

Come riporta Interfax, la delegazione russa è partita alla volta della Bielorussia per il terzo round di colloqui con la controparte ucraina. L’incontro è previsto alle 15, ora di Mosca (le 12 ora italiana) nella foresta di Belovezhskaya Pushcha, nella regione di Brest in Bielorussia dove si sono svolti anche i primi due negoziati. “I colloqui sono previsti per le 15 ma l’orario potrebbe essere modificato in relazione a possibili problemi logistici della controparte ucraina”, ha affermato un analista bielorusso vicino al dossier.

La Russia prepara la disconnessione web 

Secondo Nexta tv la Russia starebbe iniziando i preparativi per disconnettersi dall’Internet globale. La notizia è stata pubblicata su Twitter e ripresa anche da un profilo legato ad Anonymous, @LatestAnonPress. Nelle due pagine di documenti in lingua russa pubblicati online Nexta tv spiega che l’operazione avverrebbe entro l’11 marzo e comporterebbe il trasferimento di tutti i server e i domini nella zona russa.

Nuove sanzioni in arrivo dalla Nato 

La presidente della Commissione Ursula von der Leyen, nel corso della dichiarazione congiunta con il premier Mario Draghi in vista del loro incontro a Bruxelles utile a fare il punto sulla questione delle fonti di energia e la dipendenza dagli idrocarburi russi, ha dichiarato:

“Dobbiamo fare in modo che non ci siano scappatoie e che l’effetto delle sanzioni sia massimizzato. Le sanzioni in atto stanno davvero mordendo, vediamo le turbolenze sull’economia russa”. Ma considerata “l’evoluzione della situazione in Ucraina e l’attacco sconsiderato del Cremlino a cittadini, donne, bambini, uomini, naturalmente stiamo lavorando anche su ulteriori sanzioni”.

La Cina è pronta a mediare

La Cina è disponibile a “fare le necessarie mediazioni” e “a partecipare alla mediazione internazionale” sulla crisi in Ucraina: il ministro degli Esteri Wang Yi, in conferenza stampa , ha aggiunto che Pechino è pronta a continuare a svolgere “un ruolo costruttivo per facilitare il dialogo e per la pace, lavorando a fianco della comunità internazionale per svolgere la necessaria mediazione”.

Elidia Trifirò