L’altra faccia del politically correct

Che infanzia sarebbe senza Aristogatti, Dumbo e Peter Pan? Recentemente il colosso Disney, in nome del politically correct ha deciso di inserire all’inizio della proiezione di questi famosi film d’animazione una sorta di “parental advisory”: questo programma include rappresentazioni negative e/o offese di persone e culture. La presenza di personaggi stereotipati nelle pellicole, in seguito a recenti episodi di razzismo, ha portato Disney Plus ad aggiungere questo avvertimento per i più piccoli. Negli Aristogatti è presente un gatto siamese con dei marcati tratti orientali, Peter Pan definisce “pellerossa” i nativi americani e infine i corvi neri di Dumbo ricordano gli schiavi afroamericani nelle piantagioni. Una sorte più drastica è toccata l’anno scorso al celebre Via col Vento addirittura oscurato per mesi dalla piattaforma HBO Max, sull’onda delle proteste del movimento Black Lives Matter, in quanto giustificherebbe lo schiavismo e inciterebbe all’odio razziale.  Sotto accusa finisce di recente anche Grease per una frase della canzone “Summer Nights” che a detta di molti strizzerebbe l’occhio allo stupro e per l’”omofobo” personaggio Vince Fontaine che raccomanda al ballo del liceo di non formare coppie dello stesso sesso.

La domanda che sorge spontanea è se ha un senso scagliarsi oggi contro produzioni cinematografiche di oltre mezzo secolo fa, nate quando vi era una diversa sensibilità verso alcune tematiche e se non sia più utile attaccare invece quei prodotti culturali odierni che rivelano ancora una visione del mondo arretrata e irrispettosa delle differenze.  Certo è che un bambino potrebbe non possedere spirito critico e di conseguenza abituarsi al cliché e allo stereotipo, ma è anche vero che un bambino dovrebbe guardare un film d’animazione libero da pregiudizi e condizionamenti e quindi non cogliere alcun tipo di messaggio dannoso tra le righe. Si spera invece che l’adulto si approcci davanti a qualsiasi rappresentazione artistica senza condizionamenti e contestualizzando l’opera nel tempo e nello spazio senza bisogno di ricorrere a strumenti quali una pseudo-censura in chiave moderna.

Gli Aristogatti sotto accusa per Shun Gon, stereotipo “offensivo” dell’orientale. Fonte. corriere.it

Non si può negare: quello di Via col Vento, sia nel romanzo di Mitchell che nella trasposizione cinematografica del ’39, è un affresco a tinte nostalgiche del Sud schiavista all’alba della Guerra di Secessione. È questa una verità risaputa ancor prima della riscossa della “cancel culture”. Ma lo spettatore che guarda oggi Via col Vento simpatizza più con la capricciosa e ingrata Rossella O’ Hara o con la più umile MamiWalt Disney, matita geniale dell’american dream, non era certo un campione di progressismo e impegno sociale. Ma nell’ultimo film prodotto sotto la sua supervisione- e parliamo proprio degli Aristogatti (1970)- non trapela odio reazionario nei confronti del diverso. Abbiamo una banda di gatti randagi che accorre in aiuto a una famigliola di “aristocats”: due mondi diversi specchio delle disuguaglianze create dall’uomo si trovano a fraternizzare. Dov’è il messaggio diseducativo per le giovani generazioni? Come la nostra mente rischia di rimanere imprigionata nella rappresentazione stereotipata e riduttiva che questi capolavori ci consegnano del diverso?

Rossella O’Hara e Mami-Fonte: Giornale di Sicilia.it

Allora non basta la nobile Duchessa che fa amicizia con Romeo, Scat- Cat e tutta la gang di “pulciosi” gatti randagi. Non basta la Mami dal cuore d’oro e l’Oscar a Hattie Mc Daniel come miglior attrice non protagonista. Rimangono comunque gli occhi a mandorla, gli incisivi sporgenti di Shun- Gon e quelle bacchette dello xilofono che sembrano più posate da sushi. Rimangono i “fianconi” e l’accento poco yankee di Mami.

Come i francesi mangiatori di formaggio, gli scozzesi col kilt e il “braccino corto”, i siciliani lupara e baffi che si trovano in tante barzellette, ma anche classici comici di immenso successo. Il problema è proprio questo: quando si vuole disegnare ciò che è “straniero”, tra ritratto pittoresco e caricatura offensiva il tratto è molto sottile. Altre volte ancora le matite non sono abbastanza appuntite, il nostro sguardo non troppo acuto e si finisce per ricalcare contorni già tracciati dal proprio background culturale senza troppo sforzo o originalità alcuna. Ed ecco lo stereotipo. Allora che fare? Cancellare anni e anni di arte e cultura con un colpo di gomma?

Tiberio Murgia (il siciliano Ferribotte de “I soliti Ignoti”). L’attore, benché sardo, fu scelto da Monicelli perché incarnava il “tipico siciliano”. Fonte: memories.books.it

La cancel culture, oltre a peccare di mancanza di prospettiva storica, non tiene poi conto che l’arte è innanzitutto gioco di fantasia ed evasione. «Se la mia musica è letterale, allora io sono un criminale» dice il “rap godEminem in uno uno dei suoi tanti testi “controversi”. Con la lente di ingrandimento, alla ricerca ossessivo-compulsiva di un capo d’accusa dietro ogni immagine, dietro ogni parola, come il prete di Nuovo Cinema Paradiso che costringeva il buon Alfredo a tagliare parti di pellicola: è questo che si propone esattamente di fare la cultura del moderno revisionismo. E se questa tendenza verrà portata all’estremo, poco resterebbe della produzione culturale pop del Novecento. I giovani in primis si troverebbero privati di un patrimonio immenso da apprezzare ma anche- si spera- conoscere con occhio critico. Tutto questo dovrebbe giocare a favore di una società più libera da visioni retrograde e pregiudizi. Ma possiamo definire veramente libero un mondo in cui la creatività artistica sarà imbrigliata nelle spire del perbenismo e del politically correct? Matite frenate, penne censurate, comici zittiti: questo è lo scenario grigio e poco stimolante al quale potrebbe alla lunga condurci un’ossessione che qualcuno ha giustamente definito “dittatoriale”.

 

          Angelica e Ilenia Rocca

I 5 drive-in più cult della storia del cinema

La pandemia da COVID-19 ha costretto a chiudere molte attività, tra le quali inevitabilmente anche i cinema. Il coronavirus ci ha sottratto la nostra quotidianità,  ma ci ha anche fatto ritornare al passato, almeno in qualche caso.

Parlando di cinema, infatti, è tornata di moda l’idea del drive-in. Questa appare oggi una soluzione ideale: un locale all’aperto in cui si può assistere alla proiezione di film rimanendo nella propria macchina, mantenendo le distanze e senza creare assembramenti.

Il primo ristorante drive-in aprì a Dallas nel 1921: veniva servito cibo da fast-food  ed era frequentato prevalentemente da giovani. Un luogo che permetteva di distaccare la mente dalla realtà e immergerla nell’arte cinematografica.

Sono molti i film nei quali sono presenti riferimenti espliciti al drive-in, ma oggi noi ve ne presentiamo cinque.

Partiremo dagli anni ’50 per arrivare ai giorni nostri, quindi mettetevi comodi e lasciatevi trasportare in questo viaggio nel tempo!

1)Grease di Ranald Kleiser (1978)

Sì, questo è il mio nome ma non lo sciupare.

Chi non conosce Grease-Brillantina? Chi non ha mai sognato di uscire con Danny Zuko (interpretato da John Travolta) o avere la giacca delle Pink Ladies?

Grease è ambientato negli anni ’50 negli Stati-Uniti ed è considerato come uno dei più grandi musical di sempre.

I protagonisti sono Sanndy (Oliva Newton John) e Danny Zuko, due giovani innamorati che si sono conosciuti un giorno d’estate ma costretti a separarsi per via della fine delle vacanze, il classico “amore estivo”. Ci sarà una sorpresa per il nostro bad-boy: infatti, la dolce e ingenua Sandy si traferirà nella città di Danny e anche nella sua stessa scuola: ma per giungere al “vissero per sempre felici e contenti”, i due dovranno affrontare varie difficoltà legate non solo all’arroganza del protagonista ma anche ai loro amici.

In questo film c’è una famosa scena ambientata in un drive-in, nella quale Danny invita Sandy per riconquistarla, ma per via della sua frettolosità la ragazza scappa via piangendo. Così Danny, disperato e dispiaciuto, comincia a vagare per il drive-in cantando la canzone “Sandy”, dimostrando che è realmente innamorato.

Abbandonato al drive-in, definito un idiota, cosa diranno lunedì a scuola? Sandy, non lo vedi, sono in miseria. Avevamo iniziato, ora siamo divisi, non è rimasto niente per me.

Fonte: pinterest

2)The Founder di John Lee Hancock (2017)

So che cosa vi chiedete. Come fa uno di 52 anni, attempato, che vende frullatori per milkshake, a diventare il fondatore di un impero del fast food con 1600 ristoranti e un fatturato di 700 milioni di dollari? Una sola parola: perseveranza.

The Founder è un film che racconta la vera storia dell’imprenditore Ray Kroc (interpretato da Micheal Keaton) e di come sia riuscito a impossessarsi il marchio McDonald’s dai due fratelli McDonald. Il film si apre proprio con una scena ambienta in un drive-in, nella quale vediamo il nostro protagonista intento di vendere al proprietario un frullatore per il suo locale: ma gli affari per Kroc non vanno come sperato ed è costretto a girare con la sua macchina finché non si imbatte in un chiosco gestito dai i due fratelli. È proprio qui che Ray Kroc elabora il suo piano per rendere quel semplice fast-food il McDonald che tutti noi conosciamo.

Fonte: Comingsoon

3) American Graffiti di George Lucas ( 1973)

Siamo sempre in America, ma non un’America qualsiasi… È quella favolosa dell’ american dream, delle rock’n’roll hits, l’America ingenua e spavalda delle corse in auto alla James Dean, quella dove basta abbassare il finestrino di una splendida auto laccata per gustare hamburger e patatine fritte. È l’America di Grease, ma non proprio.

American Graffiti: poster. Fonte: posteritati.com

Cult diretto da George Lucas,  prodotto niente meno che da Francis Ford Coppola e interpretato da stelle come Harrison Ford (Bob Falfa) e Ron Howard (Steve Bolander), American Graffiti racconta l’ultima notte da liceali di quattro ragazzi pronti a spiccare il volo verso il college e l’età adulta.

Tra dilemmi adolescenziali e note strategie di rimorchio, Lucas affronta un periodo di passaggio fondamentale alle soglie di una nuova epoca. È il 1962 e come dice John Milner (Paul Le Mat), il più scapestrato dei quattro, «il rock’n’roll, dopo la morte di Buddy Holly non è più lo stesso».

Ma presto neppure l’America sarà più la stessa: l’assassinio di Kennedy, la guerra in Vietnam, le contestazioni giovanili porranno fine a quel sogno americano che il film coglie al suo tramonto.

Il Mel’s drive in. Fonte: wereporter.com

Non è un caso se il Mel’s drive-in – con la sua attraente insegna al neon –  è solo un locale sullo sfondo delle prime scena. I ragazzi, a differenza di Grease, non assisteranno a nessuna proiezione: ordineranno qualcosa da sgranocchiare per poi sfrecciare per le strade della città in cerca di qualcosa che forse è solo un’illusione.

4) La leggenda di Al, John e Jack di Massimo Venier (2002)

Non è la prima volta che in un film del trio assistiamo alla magia del cinema dentro il cinema (vedi Così è la vita del 1997).

Questo film del 2002, parodia mai scadente del genere gangster, si apre proprio in un drive-in. Siamo a New York, nel 1958 e sullo schermo viene proiettato Vertigo (meglio conosciuto in Italia come La donna che visse due volte).

Al,John e Jack al drive-in. Fonte: justwatch.com

Alla tensione della pellicola hitchcockiana fa da contraltare quella più comica dei tre impacciati malavitosi Al Caruso (Aldo Baglio) Johnny Gresko (Giovanni Storti) e Jack Amoruso (Giacomo Poretti), accorsi alla proiezione per cogliere il boss Sam Genovese (Aldo Maccione) in flagrante di reato e venderlo all’FBI.

L’espediente sarà un vecchio registratore a cassette che comporterà non pochi problemi, dando risvolti divertenti alla vicenda.

Insomma, se in un vicino futuro l’ipotesi drive-in diventerà concreta realtà, speriamo di non rimanere invischiati in simili intrighi criminali. Anzi, speriamo di trovare a fianco della nostra auto tre spioni così simpatici come Aldo, Giovanni e Giacomo.

5) Nuovo cinema paradiso di Giuseppe Tornatore (1988)

Chi non conosce Nuovo Cinema Paradiso?

L’amore per il cinema raccontato dal cinema stesso, attraverso la storia del piccolo Salvatore detto Totò (Salvatore Cascio) che troverà nel proiezionista Alfredo (Philippe Noiret) il proprio mentore e padre in un paesino siciliano del dopoguerra.

A partire da una vita che “è più difficile di quella vista al cinematografo“, ma che trova il proprio riscatto proprio grazie a quest’ultimo, Nuovo Cinema Paradiso rivela la propria potenza non solo nel messaggio ricco di profondità, ma nelle immagini iconiche e attuali… fino alla profezia! Pensate alla celebre scena in cui Alfredo proietta la pellicola I pompieri di Viggiù (1949) sul palazzo di fronte davanti alla folla sbalordita.

Nuova Cinema Paradiso: la proiezione sul palazzo.Fonte: farodiroma.it

Oppure a quella in cui il pubblico di Giancaldo, per sfuggire all’afa estiva, si trova ad assistere all’aperto all’Ulisse del ‘54 con Kirk Douglas e accorrono i pescatori dal mare sulle proprie barche, pronti anche loro a farsi suggestionare dalla magia del cinema.

Le barche che si accostano per guardare il film in Nuovo Cinema Paradiso. Fonte: El heraldo.hn

In tempi di pandemia qualcuno sembra aver fatto tesoro dei suggerimenti geniali di Tornatore.

Film cult come Pulp Fiction, Tempi moderni o Forrest Gump sono già stati proiettati sulle palazzine di città quali Roma, Bologna, Firenze e Bari nel mese di marzo, in piena quarantena.

Il “cinema da casa” a Roma. Fonte: donnemagazine.it

E chissà se, passati alla fase 2 e con le dovute distanze di sicurezza, un boat-in come quello che si vede in Nuovo Cinema Paradiso non potrà essere una soluzione tutta italiana di far ripartire l’industria cinematografica e il turismo sulle nostre belle coste!

Un’idea forse poco pratica, ma sicuramente originale.

Angelica Rocca, Alessia Orsa