Account sospesi da Elon Musk. “Presto sanzioni” dall’Unione Europea

Elon Musk, nuovo patron di Twitter, sembrerebbe non averne azzeccate molte dopo l’acquisizione della società in ottobre. Tra licenziamenti, dimissioni, nuove politiche sui contenuti della piattaforma e i molti sondaggi fatti sul ripristino o meno di alcuni account. Come per quello dell’ex presidente Donald Trump,  per affermare che questo social non funzionerà contro la disinformazione sul Covid-19. Queste dinamiche hanno fatto di Musk l’uomo più “twittato” ultimamente.

Recentemente Musk, basandosi sulla politica del “doxxing” (diffusione di informazioni personali e private online), ha decretato la sospensione di diversi account di alcuni ambìti reporter. Questo fatto ha richiamato l’attenzione non solo delle Nazioni Unite ma anche dell’Unione Europea. La Commission Europea critica l’azione del nuovo patron, ed intende agire attraverso delle sanzioni, a tutela della “libertà d’espressione”.

Quali sono i retroscena e i reporter sospesi?

Negli ultimi giorni, su Twitter non era più possibile seguire il giornalista Ryan Mac del New York Times, così come il reporter Drew Harwell del Washington post o l’esperto Donie O’Sullivan della Cnn. Sembrerebbero essere spariti anche gli account del corrispondente di Voice of America, Steve Herman, del commentatore Keith Olbermann e di molti altri giornalisti indipendenti. I loro account si sono spenti senza grandi spiegazioni lo scorso 15 dicembre.

Ma cosa hanno in comune questi giornalisti sospesi?

Il loro comun denominatore è la parola. Tutti hanno scritto su Elon Musk e in maniera forse un po’ troppo invasiva e critica per i suoi gusti. In particolare i reporter avrebbero raccontato, divulgando troppe informazioni personali, del caso di @ElonJet. Quest’account era stato creato dal ventenne Jack Sweeney, per seguire tutti gli spostamenti del jet privato di Musk. È stato chiuso e sembrerebbe esser stata aperta un’azione legale contro lo studente. Infatti la decisione nei confronti dei reporter, sembrerebbe esser stata presa all’indomani della sospensione di oltre 25 account che tracciavano gli aerei di agenzie governative, di miliardari e individui di alto profilo compreso Musk.

Ma il mese scorso quest’ultimo aveva dichiarato

“il mio impegno per la libertà di parola si estende anche a non vietare l’account che segue il mio aereo. Anche se questo è un rischio diretto per la sicurezza personale”.

Sembrerebbe aver cambiato idea! La scorsa settimana, dopo che “un pazzo stalker” aveva seguito suo figlio in auto, Musk ha twittato che qualsiasi account che abbia pubblicato informazioni sulla posizione in tempo reale di chiunque “verrà sospeso”. Poiché per il patron si tratta di  “violazione della sicurezza fisica”.

La sospensione dei giornalisti sembrerebbe essere legata a questo motivo, ma non c’è molta chiarezza. Secondo quanto riferisce il New York Times, la pagina Twitter di ogni utente sospeso include un messaggio, secondo cui gli account sono sospesi perchè “violano le regole di Twitter”.

Ma questa decisione ha infuriato l’Unione Europea, che oltre a condannare l’azione di Musk ha promesso sanzioni. Mettendo così a rischio la piattaforma guidata dall’imprenditore sudafricano.

La Commissione Europea contro “l’arbitraria sospensione”

I legislatori dell’Unione europea non hanno perso tempo a prender voce sulla sospensione arbitraria e senza preavviso dei giornalisti. Vera Jourovà, vicepresidente dell’UE per i valori e la trasparenza, su Twitter preoccupata delle azioni di Musk dichiara che con questo blocco “ha superato la linea rossa” e presto ci saranno delle sanzioni.

“Le notizie sulla sospensione arbitraria dei giornalisti su Twitter sono preoccupanti. La legge sui servizi digitali dell’Ue richiede il rispetto della libertà dei media e dei diritti fondamentali. Elemento rinforzato sotto il nostro Media Freedom Act. Elon Musk dovrebbe essere consapevole. Ci sono linee rosse. E sanzioni, presto”

Questo quanto dichiara in un tweet la Jourovà:

Il regolamento dell’UE in vigore impone ai fornitori di servizi intermedi di non agire in modo arbitrario o discriminatorio nell’applicazione dei loro termini di servizio. Tutto nel rispetto dei diritti fondamentali come la libertà di espressione e di informazione, nonché la libertà e il pluralismo dei media.

Queste sanzioni previste possono arrivare a gravare fino al 6% del fatturato annuo. La Commissione ha inoltre proposto “l’European Media Freedom Act”, che intende integrare il DSA con ulteriori misure per proteggere la libertà dei media e il pluralismo dell’UE. Sono comprese in questo atto, misure contro la “rimozione ingiustificata” da parte di piattaforme online molto grandi (definite VLOP) di contenuti multimediali prodotti secondo standard professionali. Non è ancora chiaro se Twitter sarà designato come VLOP sotto la DSA, ma i provvedimenti sicuramente non mancheranno.

Musk risponde: il doxxing si applica anche sui giornalisti

Musk si descrive come un assolutista della libertà di parola, più volte ha dichiarato di voler fare della piattaforma un baluardo di quest’ultima. Lo scorso 15 dicembre, aveva twittato che “le stesse regole sul doxxing si applicano ai giornalisti come a tutti gli altri”. Fa riferimento anche alle regole che vietano la condivisone di informazioni personali sulla piattaforma.

Per Musk i reporter quindi sembrerebbero aver violato le regole, rivelando informazioni troppo personali in tempo reale. Addirittura durante una livestream interrotta, ma i cui frammenti sono attualmente in circolazione su Twitter, Musk ha difeso questa decisione ritenendo che non c’è distinzione tra i “cosiddetti giornalisti” e le persone normali.

“Tutti saranno trattati allo stesso modo. Non sei speciale perché sei un giornalista. Sei solo un Twitter-utente, sei un cittadino. Quindi nessun trattamento speciale. Tu hai doxxato e vieni sospeso. Fine della Storia

Inoltre per rispondere al chiacchiericcio sulla piattaforma, dichiara di “certamente” accettare le critiche sulla sua persona, ma “il doxxing sulla mia posizione in tempo reale per mettere in pericolo la mia famiglia” non lo accetta.

Attraverso un sondaggio proposto agli utenti di Twitter ha chiesto quando questi account sarebbero dovuti essere sospesi. Il “Now” ha raggiunto il 43% delle votazioni, mentre per la politica dei sette giorni la percentuale ha raggiunto solo uno scarso 14,4%.

 

Musk confuso: ripristina alcuni account e chiede “dovrei dimettermi?”

Nelle ultime ore il nuovo patron sembra aver cambiato rotta. Ripristinati gli account dei reporter sospesi, dopo un referendum che si è espresso con il 59% delle preferenze per il ripristino.

La gente ha parlato. Gli account che hanno ‘doxxato’ la mia posizione vedranno revocata ora la sospensione”

Anche se intanto l’account della giornalista del Washington Post, Taylor Lorenz, è stato sospeso ieri per decisione di Musk. “La sospensione è temporanea, dovuta ad una precedente divulgazione” di suoi dati personali, ma la misura dichiara l’imprenditore “sarà presto revocata”. L’azienda annuncia inoltre che non sarà più possibile promuovere sul social piattaforme concorrenti, come Facebook o Instagram.

Il proprietario preso di mira e criticato da molti, si scusa “non accadrà più” e affida il suo destino ai suoi 122 milioni di follower. “Chi mi segue decida se devo restare a capo di Twitter”, da alla community la responsabilità sul suo futuro da CEO della società.

Il referendum fatto oggi attraverso un tweet ha termine in giornata. Scrive Musk “dovrei dimettermi dalla guida di Twitter? Mi atterrò ai risultati di questo sondaggio

 

A questo punto non ci resta che attendere! Quali saranno le prossime mosse, si dimetterà o non si dimetterà? Staremo a vedere.

Marta Ferrato

Cyber spionaggio globale: un’inchiesta svela come i governi di tutto il mondo sorvegliano giornalisti, politici e dissidenti

Fonte: Huffington Post

Un’inchiesta giornalistica internazionale condotta da 17 grandi giornali – fra cui Washington Post (Stati Uniti), Guardian (Gran Bretagna) e Le Monde (Francia) – ha rivelato migliaia di spionaggi illegali di cellulari ai danni di giornalisti, attivisti, dirigenti d’azienda e oppositori politici in tutto il mondo.

Le rilevazioni sarebbero state effettuate mediante il software Pegasus di NSO, un’azienda israeliana in grado di vendere legittimamente a istituzioni internazionali riconosciute e governi (anche autoritari) sistemi per spiare le attività sugli smartphone di terroristi e altri criminali, tuttavia finendo col minare la privacy di soggetti che non rientravano nemmeno in indagini di polizia. Tra i Paesi che hanno fatto ricorso al software figurano l’Ungheria, Azerbaijan, Bahrain, India, Kazakistan, Messico, Marocco, Ruanda, Emirati Arabi. La società israeliana respinge le accuse.

L’inchiesta e i dati raccolti

L’inchiesta – soprannominata ‘’Pegasus Project’’ – è stata condotta grazie ad una collaborazione tra Amnesty International, un’organizzazione per la tutela dei diritti umani e Forbidden Stories, un’iniziativa giornalistica senza scopo di lucro con sede a Parigi.

Nei mesi scorsi le due organizzazioni sono infatti entrate in possesso di una lista di 50 mila numeri di telefono, individuati in paesi “noti per impegnarsi nella sorveglianza dei cittadini e noti anche per essere stati clienti dell’azienda israeliana NSO Group”, scrive il Washington Post.

I dati finora raccolti dagli esperti di sicurezza informatica del ‘’Security Lab’’ di Amnesty International hanno consentito di risalire a 67 smartphone sui quali fu tentata l’installazione dei sistemi di sorveglianza (spyware) di NSO. Si ritiene che gli attacchi siano andati a buon fine in 23 casi, mentre in altri 14 sono state trovate prove sul tentato inserimento di spyware. Per quel che riguarda i restanti 30 smartphone, invece, i test del laboratorio non hanno consentito di ottenere risultati affidabili, in parte perché, rispetto alla lista risalente al 2016, i dispositivi sono stati sostituiti nel corso degli anni.

Che cos’è il software Pegasus

Pegasus è un software militare le cui prime versioni furono sviluppate già diverse decine di anni fa da alcuni ex componenti dei sistemi di intelligence israeliani, attirando presto l’attenzione dei servizi segreti di vari paesi, interessati allo spionaggio di criminali e terroristi che tale sistema di spyware avrebbe consentito. Si tratta infatti di un malware in grado di infettare IPhone e smartphone Android, aggirando facilmente le difese e lasciando pochissime tracce degli attacchi.

Fonte: Il Post

Pegasus permette a chi lo usa di insinuarsi estraendo foto, registrazioni, e-mail, messaggi, dati relativi alla localizzazione, telefonate, password, post pubblicati sui social. Come se non bastasse, a rendere ulteriormente pericoloso e potenzialmente dannoso il programma è anche la possibilità di attivare telecamera e microfono degli smartphone, consentendo così anche rilevazioni ambientali.

Tale invasività spiegherebbe dunque il motivo per cui le attività di NSO e le capacità di Pegasus erano già state, negli anni scorsi, al centro di diverse altre inchieste giornalistiche, svelando come tali sistemi siano stati spesso utilizzati per scopi ben diversi dallo spionaggio contro il terrorismo e la criminalità.

La lista degli spiati

L’inchiesta ha permesso finora di risalire tramite i numeri di telefono presenti nella lista a un migliaio di persone in 50 paesi diversi: ad essere vittime di spionaggio 65 dirigenti di azienda, 85 attivisti per i diritti umani, 189 giornalisti e oltre 600 politici e funzionari governativi. Tra i giornalisti, nomi riconducibili ad alcune delle più grandi testate al mondo come New York Times, Wall Street Journal, Bloomberg News, Financial Times, Al Jazeera, CNN e Associated Press.

Nella lista figurerebbero tra l’altro anche i numeri di primi ministri e capi di stato, oltre che quelli di alcuni membri della famiglia reale saudita. Questi ultimi, in particolare, comparirebbero nell’elenco insieme ad altri 37 soggetti legati a titolo diverso all’omicidio del giornalista saudita del Washington Post Jamal Khashoggi, il quale condusse inchieste e scrisse editoriali molto duri nei confronti della stessa famiglia reale.

Al momento non si hanno molte informazioni circa la provenienza della lista (per tutelarne le fonti), né sono chiare le ragioni specifiche per cui tali soggetti siano stati spiati.

L’Ungheria nega le presunte attività di spionaggio

Stringendo lo sguardo all’Europa, dalle indagini emerge che il governo ungherese di Viktor Orbán potrebbe aver utilizzato la tecnologia di NSO nell’ambito della sua ‘’guerra ai media’’, prendendo di mira diversi giornalisti investigativi nel proprio Paese.

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Fonte: il Fatto Quotidiano

Ma la replica al Washington Post da parte dello staff del presidente è secca:

“In Ungheria gli organi statali autorizzati all’uso di strumenti sotto copertura sono monitorati regolarmente dalle istituzioni governative e non governative. Avete fatto la stessa domanda ai governi degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Germania o della Francia?”.

L’intervento di Ursula von der Leyen

Durante una conferenza stampa a Praga, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen interviene con un commento sulla vicenda di spionaggio e l’uso improprio che sarebbe stato fatto del software Pegasus da alcuni Paesi, inclusa l’Ungheria:

“Deve essere verificato, ma se è così è completamente inaccettabile. Sarebbe contro qualsiasi regola: la libertà della stampa è uno dei valori fondamentali dell’Ue. Sarebbe assolutamente inaccettabile se fosse così”, ha detto.

Ursula von der Leyen. Fonte: La Repubblica

L’azienda israeliana respinge le accuse

La compagnia NSO «smentisce in pieno le accuse mosse nei suoi confronti» – si legge nel WP – giudicando come esagerati e privi di fondamento i risultati dell’inchiesta, e sottolineando che una volta consegnati i software ai clienti che ne fanno richiesta NSO ha un limitato controllo su scopi e modalità di utilizzo.

La società ha negato ogni coinvolgimento in attività contro Khashoggi e ha aggiunto che “continuerà a indagare” sulla base di tutte “le segnalazioni credibili di abuso” di Pegasus e “adotterà le azioni appropriate sulla base dei risultati di tali indagini“. Tali azioni comprendono anche “la chiusura del sistema di clienti” che abbiano agito in modo scorretto: NSO ha dimostrato di avere la capacità e la volontà di farlo, lo ha fatto più volte in passato e non esiterà a farlo ancora se una situazione lo richiede, la posizione dell’azienda riportata dal WP.

Gaia Cautela

Carcere ai giornalisti: la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità della pena detentiva

Durante la seduta del 22 giugno, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 13 della legge n.47 del 1948, la cosiddetta “Legge sulla stampa”. Il disposto prevedeva l’obbligo di pena detentiva da uno a sei anni ed il pagamento di una multa per i giornalisti condannati per diffamazione commessa a mezzo stampa. Ad affermarlo, il comunicato stampa rilasciato da Palazzo della Consulta subito dopo la fine della seduta del 22 giugno.

Le questioni sottoposte al vaglio Costituzionale

La Corte Costituzionale ha discusso sulle questioni di legittimità sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari circa l’art.13 della suddetta legge e circa l’art.595, comma tre, del Codice Penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa.

(fonte: giornalismocostruttivo.com)

I Tribunali avevano sollevato le questioni di legittimità sulla base degli artt. 3212527 Cost. e art. 117, c. 1 Cost. in relazione all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sono poi stati addotti ulteriori profili:

  • per violazione degli artt. 3 e 21 Cost., in quanto «manifestamente irragionevole e totalmente sproporzionata rispetto alla libertà di manifestazione di pensiero, anche nella forma del diritto di cronaca giornalistica, fondamentale diritto costituzionalmente garantito dall’art. 21 Cost., la cui tutela, in assenza di contrari interessi giuridici interni prevalenti, non può che essere favorevolmente estesa nelle forme stabilite dalla giurisprudenza della Corte EDU, eliminando così, salvi i “casi eccezionali”, anche la mera comminazione di qualunque pena detentiva»;
  • per violazione del principio di offensività, desumibile dall’art. 25 Cost., «in quanto totalmente sproporzionata, irragionevole e non necessaria rispetto al bene giuridico tutelato dalle norme incriminatrici in questione, ovvero il rispetto della reputazione personale»;
  • per contrasto con la funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., perché la sanzione detentiva sarebbe inidonea a garantire il pieno rispetto della funzione generalpreventiva e specialpreventiva della pena stessa»; essendo sproporzionata ai principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, risulterebbe in concreto inapplicabile e, perciò, inidonea a orientare la condotta sia della generalità dei consociati, sia del singolo giornalista.

La sentenza della Corte ed il suo iter

Quanto alla decisione, i giudici hanno dichiarato l’incostituzionalità dell’art.13 della L. 47/1948 facendo salvo, invece, l’art. 595, comma tre, del Codice Penale, affermando che «quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità».

Ma le questioni erano state discusse dalla Corte ancor prima della giornata di ieri e, più precisamente nella seduta del 9 giugno 2020. Dal comunicato stampa di allora risaltava un esempio di «incostituzionalità prospettata», espediente utilizzato in precedenza nel processo Cappato. In particolare, con questo espediente la Corte lascia intendere l’incostituzionalità della norma in questione concedendo però al Parlamento un certo margine di tempo per ovviarvi.

(fonte: stamparomana.it)

Anche in questo caso, l’ordinanza successiva alla seduta del giugno 2020 aveva sancito la necessità di un intervento legislativo che introducesse una «complessa operazione di bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona, diritti entrambi di importanza centrale nell’ordinamento costituzionale». Ribadendo, poi, l’orientamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha condannato l’Italia ben quattro volte negli ultimi quindici anni per l’incompatibilità delle pene detentive per i reati di diffamazione a mezzo stampa con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

L’art.10 della Convenzione fa salvo il disposto dell’art.13 della legge del ’48 soltanto in casi eccezionali, vale a dire quelli di grave lesione di altri diritti fondamentali, come ad esempio nel caso di diffusione di discorsi d’odio o di istigazione alla violenza. E secondo questo orientamento si è pronunciata anche la nostra Corte Costituzionale.

Legge di riforma sulla stampa, ma quando?

Dall’ordinanza della Corte Costituzionale di giugno 2020, il Parlamento non ha ancora emanato una legge di riforma. Il ddl Caliendo in materia di diffamazione a mezzo stampa – tra l’altro aspramente criticato dall’Ordine dei Giornalisti così come da FNSI e FIEG (federazioni legate all’Ordine dei Giornalisti) – ha iniziato il suo iter nel 2018 e giace presso la Commissione permanente di Giustizia da luglio 2020. In sostanza, l’iter rimane lento e travagliato nonostante le numerose sollecitazioni della Corte Costituzionale sia nell’ordinanza 2020 che in quella del 2021.

 

Valeria Bonaccorso

Mentana in aiuto ai giovani aspiranti giornalisti

Ho preso una decisione. Ho detto e scritto tante volte che noi della generazione degli anni 50 e 60 abbiamo potuto realizzare il nostro sogno di fare i giornalisti, quel che è ormai precluso anche ai più bravi tra i giovani di oggi.

Inizia così il messaggio che il giornalista e conduttore Enrico Mentana ha postato sul suo profilo Facebook.

Il direttore del TgLa7 manifesta il suo desiderio di voler dare un’opportunità ai giovani che aspirano ad entrare in questo ambito lavorativo, da cui spesso purtroppo anche i più meritevoli vengono tagliati fuori. Causa, un sistema che non si evolve e resta ancorato al passato.

 Crisi della stampa tradizionale, crollo della pubblicità, abbattimento dei profitti per l’invalersi del web, costo sempre più alto del lavoro giornalistico già in essere in rapporto alle entrate degli editori, e tanto altro. Il risultato però è che noi siamo ancora seduti, tutelati da contratti che ci tutelano, ben pagati, con una cassa sanitaria autonoma e una pensione che ci aspetta. Fuori tanti giovani, potenzialmente più che meritevoli, aspettano in piedi e senza garanzie. E anche lettori e telespettatori sono come noi: del resto un prodotto fatto da sessantenni, con modalità novecentesche, è seguito per consuetudine, tradizione e simili coordinate politico-culturali da un pubblico in cui i giovani proprio non ci sono o quasi.

Qual è allora la decisione di cui parla?

Allora è giunto per me il momento di fare qualcosa di tangibile: far nascere un quotidiano digitale realizzato solo da giovani regolarmente contrattualizzati, magari con la tutela redazionale di qualche “vecchio” a titolo amatoriale (ribaltando la logica dello stage!) che possa riaprire il mercato della scrittura e della lettura giornalistica per le nuove generazioni.

A differenza di tante figure note che hanno manifestato la loro volontà di dare aiuto ai tanti giovani giornalisti bloccati dalla dilagante crisi editoriale, Mentana passa dalle parole ai fatti. Un’idea semplice ma a suo modo sovversiva.

Risultati immagini per mentanaUn giornale online, come forse se ne vedono tanti, ma supportato da uno dei più influenti giornalisti italiani che si occuperà, come ha chiarito sempre nel suddetto post, dei finanziamenti iniziali, perchè si mettono in conto le grandi difficoltà che un’idea del genere incontrerà prima di poter decollare.

Per “il reclutamento” ha affermato di voler chiedere indicazione all’Ordine dei giornalisti e alla Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), ma una cosa è certa, sarà la nuova generazione a farla da padrona.

Mentana ha parlato del suo (come di tanti altri) “sogno di fare il giornalista” e adesso riconosce questo desiderio e questo sogno nei giovani, a cui purtroppo la sola passione non basta, e allora ribalta la situazione, i ruoli e prova a restituire ciò che lui e tanti altri hanno già potuto ottenere.

Un gesto di grande sensibilità che, inutile a dirsi, ha acceso la speranza in tutti coloro che ambiscono a questo mondo, studenti di giornalismo, laureati, tirocinanti, che attendono sviluppi, fiduciosi nel “loro direttore”.

Benedetta Sisinni