“Il futuro è nostro”: il peso di una responsabilità

Io e la mia eco-ansia

Avevo solamente sette anni quando, sul mio diario segreto dell’epoca, cominciai a scrivere dell’estinzione del Panda Rosso, del riscaldamento globale e della fine del mondo.

Non avevo ancora sviluppato uno spirito critico che si potesse dire realmente tale, ma a una conclusione verosimile ero comunque riuscita a giungere.

Ve la cito testualmente:

È tutta colpa dell’uomo. L’uomo deve aggiustare le cose.

So che non fosse normale il fatto che una bambina di quell’età perdesse il sonno a rimuginare sull’inquinamento, ma, quando cresci in una realtà che va alla deriva, diventa quasi inevitabile.

Guardavo i notiziari e l’impotenza mi atterriva. Ascoltavo gli adulti parlare di questa e quell’altra crisi ecologica, ed ecco che mi veniva il mal di pancia.

Ciò che davvero, però, mi causava malessere era il senso di responsabilità che sentivo ricadermi sulle spalle. Ero ben consapevole, ora come allora, che sarebbe toccato a me porvi rimedio.

In realtà, a ben pensarci, non è che fosse una riflessione di cui posso arrogarmi il merito. Non scaturiva dalla mia sviluppata sensibilità o da una precoce e incredibile perspicacia.

Era un qualcosa che mi veniva ripetuto di continuo: il destino della Terra era nelle mie mani.

Avrei dovuto fare la raccolta differenziata, usare la bicicletta per andare a scuola, bere dalla borraccia, comprare prodotti che non fossero in confezioni di plastica… Se me ne fossi astenuta, l’apocalisse si sarebbe abbattuta su noi tutti.

Ero davvero convinta di avere una parvenza di controllo e di poter, così, effettivamente fare la differenza.

Sebbene riconosca che il rispetto di queste regole sia sacrosanto per garantire una cittadinanza che possa definirsi civile, ho, però, ora contezza che quella che mi è stata propinata – che ci è stata propinata – è una pia illusione.

Abbiamo ereditato un pianeta al collasso, prosciugato delle sue risorse e iper-sfruttato, e ci è stato, poi, presentato il conto. Mentre i grandi procedono nei loro affairs, inseguendo il qui e ora e distruggendo quel che poco rimane, ci viene detto che il futuro è di nostra competenza, che siamo noi a doverne cambiare le sorti.

Dobbiamo, al contempo, correggere gli errori di un passato in cui neanche esistevamo e lavorare affinché ci sia un futuro di cui non ci godremo nemmeno i frutti.

Hanno tralasciato di dirci, tuttavia, che i nostri sforzi… sono vani. E che continueranno a esserlo fino a quando le vostre vedute saranno colme di denaro e non di terre fertili, acque limpide e natura sterminata.

Noi siamo disposti a sacrificarci per ottenerlo. Lo facciamo ogni giorno, d’altronde.

E voi?

 

UniMe “Orientati al futuro”: al via i laboratori di orientamento al lavoro per gli studenti

UniMe si impegna a sostenere gli studenti  nel passaggio dal mondo accademico a quello professionale, proponendo una serie di laboratori di orientamento al lavoro. Gli incontri  forniranno agli studenti strumenti concreti per affrontare il mondo professionale con maggiore consapevolezza e preparazione.

L’iniziativa e i laboratori

L’iniziativa arrivata alla sua terza edizione, dal titolo “Orientati al futuro!”, si svolgerà presso il Campus Centrale di UniMe, in Piazza Pugliatti, 1, con tre appuntamenti chiave:
  • si parte il 26 marzo, dalle ore 15:00 alle 17:00, presso l’Aula Cannizzaro, con il laboratorio “Definire il mio obiettivo professionale e come creare un CV efficace“. L’obiettivo dell’incontro è fornire agli studenti gli strumenti necessari per creare un curriculum efficace e presentarsi al meglio nel mercato del lavoro;
  • il secondo appuntamento previsto il 2 aprile, dalle ore ore 15:00 alle 17:00, presso l’Aula Cannizzaro, sarà un incontro dedicato a “Come creare un profilo LinkedIn ottimizzato e costruire un personal brand“. In un’era digitale in cui la presenza online è fondamentale, gli studenti acquisiranno le potenzialità per creare una rete di contatti professionali attraverso la piattaforma LinkedIn, promuovendo la propria immagine;
  • il ciclo di incontri si concluderà il  9 aprile, dalle ore 15:00 alle 17:00, presso Aula Magna 2 del  Dipartimento di Economia, con il laboratorio “Come prepararsi al colloquio di selezione“. Un workshop in cui gli studenti acquisiranno tecniche e strategie per affrontare con successo i colloquio di selezione, per comunicare e mettere in atto una performance convincente.

Come partecipare

A condurre gli incontri sarà Sonia Gentile, psicologa del lavoro. L’iniziativa rappresenta un’opportunità preziosa per tutti gli studenti UniMe che desiderano acquisire competenze pratiche e strategie efficaci per avviare la propria carriera nel miglior modo possibile e orientarsi nel mondo del lavoro con maggiore consapevolezza.
Gli studenti interessati potranno iscriversi ai laboratori attraverso il seguente modulo:
https://forms.office.com/pages/responsepage.aspx?id=RZ1nhEaDI06MhKcwTtunf0ZkEG0xpgtHtQsz5Xl27EdUNFJRTlk4WkhQSlc1U1hUS1ZMQ0RXT0U0MC4u&route=shorturl
Elisa Guarnera

Le nuove sfide del rinnovabile: si può passare dal rumore all’energia?

Negli ultimi tempi si discute sempre più su quanto siano importanti l’innovazione e il progresso tecnologico, specie in vista dei gravi danni causati quotidianamente dal cambiamento climatico. Ma in cosa consistono le trasformazioni delle ultime tecnologie? Quanto siamo capaci oggi di investire nel rinnovabile?

Dalla carta al digitale

Da anni, ormai, l’aumento di alberi abbattuti e la produzione di carta sono fattori che recano gravi danni al pianeta, anche perché la quantità di alberi abbattuti non è proporzionale alla quantità di alberi piantati.

E ancora, la produzione di carta si basa su un sistema che arreca gravi danni all’ambiente, nonostante oggi sia diffusissima la buona pratica del riciclo (basti pensare che l’Italia è il primo paese europeo ad aver raggiunto il riciclo dell’85% della carta con la raccolta annuale di quasi 7 milioni di tonnellate di carta da macero). Ma le buone statistiche italiane non smentiscono un problema ancora pervasivo nel resto del mondo.

E allora, per risolvere questo problema si è passato all’uso del digitale. Ad esempio, nelle scuole il classico registro cartaceo è oggi sostituito dal registro elettronico. Per non parlare della diffusione sempre maggiore di tablet e computer, che ormai sostituiscono i classici quaderni di carta.

Ma quanto è “rinnovabile” tutto ciò?

Uno dei minerali più usati per la costruzione dei telefoni cellulari, ad esempio, è il coltan, che contiene parti di uranio e per la cui ricerca vengono investiti annualmente milioni, ma non solo in termini di denaro. Esso è presente in grandi quantità nel continente africano. Paesi come il Niger e il Congo sono quotidianamente alla ricerca di questo prezioso minerale, che, sulla base di accordi internazionali, risulta essenziale costruire tablet, computer e cellulari.

Níger, atrapado en el uranio - El Orden Mundial - EOM
Statistiche dei principali paesi produttori di uranio nel mondo. Fonte: Eom

Quali prospettive per i giovani?

Insomma, sembra che il mondo di oggi sia tutt’altro che all’insegna del rispetto ambientale, nonostante le politiche degli ultimi tempi. Quali prospettive future per i giovani?

Francesco Creazzo, giovane studente universitario di Ingegneria meccanica, fa parte del team studentesco di moto engineering dell’Università di Messina Stretto in Carena. Questa realtà studentesca cerca, tra vari obiettivi, di sviluppare nuove invenzioni, in modo da contribuire ad un futuro più sostenibile. La sua passione lo ha portato a conoscere il mondo dei motori e dei veicoli, a progettarli e a metterli in pratica. Per Creazzo, che sostiene che il futuro è una sfida e bisogna essere sempre alla ricerca di nuove soluzioni, in quanto anche l’elettrico porta dei problemi, sarebbe meritevole di particolare attenzione uno degli ultimi prototipi, cioè il motore a idrogeno, che però non è stato ancora pienamente approvato dalla comunità scientifica.

Questo prototipo, secondo Creazzo, sarebbe a destinato a sostituire la funzione oggi assunta dalla benzina in molti veicoli. E nondimeno l’intelligenza artificiale, strumento che nell’opinione dello studente di ingegneria rappresenta un’importante risorsa. Oltre a questi esperimenti sta arrivando una novità che potrebbe davvero rivoluzionare il mondo delle tecnologie e della mobilità: si parla della trasformazione del rumore in energia elettrica.

Dal rumore all’energia rinnovabile – ma come?

La startup Lv Energy ha sviluppato un prototipo in grado di trasformare il rumore proveniente dall’inquinamento acustico in energia. Proprio così: si chiama “processo di induzione elettromagnetica“. Il tutto avviene attraverso l’uso di strumenti chiamati trasduttori (dispositivi che scannerizzano l’ambiente, prendono le onde del rumore e le convertono in energia). Ora proviamo a immaginare il funzionamento dei mezzi di trasporto: auto, bus, treni… E se funzionassero con questa tecnologia? Sarebbe così possibile trasformare un fattore di inquinamento in fonte di energia rinnovabile. Ma non è tempo di cantare vittoria, perché questa tecnologia ha bisogno di essere ottimizzata ed ha bisogno che ne vengano ridotti i costi. Tuttavia, ciò dimostra che le possibilità di migliorare il nostro pianeta esistono eccome.

Il trasduttore acustico di una chitarra – Fonte: Amazon

Roberto Fortugno

Fonti:

Miinnovo.it

Lospiegone.com

Immaginare una Messina del futuro

Troppe volte abbiamo ripetuto ora per rassegnazione, ora per scherno la frase «a Messina non c’è nenti» senza riflettere sul suo senso profondo. Profondo perché connotato da un forte atteggiamento di immobilismo: verità innegabile che Messina non presenta le stesse opportunità di altre città europee o connazionali, ma anche segno di accettazione passiva di uno status quo che è diventato fin troppo comodo per il messinese.

Eppure, recenti notizie sembrerebbero portare una certa aria di cambiamento. Si sta muovendo davvero qualcosa o sarà l’ennesimo buco nell’acqua? Prima di scoprirlo, proviamo ad immaginare quel che potrebbe essere una Messina del futuro, proiettata nell’arco temporale che va da qui al 2034.


Il Ponte sullo Stretto

Fonte: WeBuild

Favorevoli o contrari, convinti della buona riuscita di questo progetto o meno, i recenti passi avanti del Ministero delle Infrastrutture nel progetto del Ponte sullo Stretto hanno contribuito a scrivere la – già millenaria – storia di quest’opera gigantesca, destinata ad essere il più lungo ponte sospeso del mondo (come riportato dal Wall Street Journal).

Assieme all’impalcato che svetterà sulla punta della Sicilia orientale è prevista la costruzione di una sede ferroviaria a doppio binario, nonché di altre opere di collegamento quale una stazione metropolitana di Messina con tre fermate ferroviarie in sotterraneo (Papardo, Annunziata, Europa).

Una vera e propria rivoluzione che colpirà il tessuto urbano dello Stretto per un ammontare del 40% del finanziamento dell’intero progetto.

Rigenerazione del Waterfront

Anche uno dei punti più suggestivi della città costiera è destinato a cambiare volto attraverso un piano di riqualificazione dell’ex Fiera internazionale di Messina seguito dall’architetto Giovanni Lazzari, ex presidente dell’Ordine degli architetti.

Fonte: Gazzetta del Sud

La ex Fiera, in questo momento in demolizione, diverrà infatti un Parco urbano e naturale continuazione della passeggiata a mare. La realizzazione del parco verrà preceduta da una riqualificazione con messa in sicurezza della corrispettiva zona dell’ex Fiera che consisterà in intervento di manutenzione e di restauro, la cui gara è ancora in corso.

Lo scopo ulteriore dell’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto sarebbe di portare all’unisono l’intero waterfront della città con degli interventi di riqualificazione architettonica e paesaggistica dei compendi edilizi e delle aree demaniali esistenti tra il torrente Boccetta ed il torrente Giostra, sulla base di una progettazione che si trova nelle fasi finali di aggiudicazione.

MaXXI Med

La cultura che scende da Roma e si colora di blu e d’azzurro, i colori del Faro. Le Torri Morandi, testimonianza di una remota architettura industriale, diverranno quel ponte figurativo tra l’Italia insulare e continentale che accoglierà un polo museale incentrato sull’arte contemporanea denominato “Polo della Creatività del Mediterraneo”, sede distaccata del MAXXI Med di Roma.

Il museo MAXXI di Roma e le Torri Morandi a destra

L’area della riserva di Capo Peloro, già luogo di numerose manifestazioni culturali (si pensi al Festival degli Aquiloni e ai diversi concerti estivi ospitati proprio dove sorgeva la vecchia zona Sea Flight), sarà protagonista assieme ai Laghi di Ganzirri di un progetto quadriennale di riqualificazione che prevede non solo la manutenzione ordinaria a cadenza mensile, ma anche continui lavori di spazzamento e pulizia manuale dei fondali e delle sponde. Un progetto, quindi, volto a dare nuova vita alla bellezza naturale della zona.

Restyling del Viale San Martino e della linea tranviaria

Abbiamo già parlato delle opere di collegamento che verranno realizzate in concomitanza col ponte, ma anche il manto stradale cittadino avrà un aspetto tutto nuovo.

Per migliorare la viabilità cittadina, infatti, il Consiglio comunale ha deciso di partire dalla totale pedonalizzazione del Viale San Martino, che quindi verrà portato ad un unico livello; seguirà la riqualificazione della linea tranviaria inaugurata nel 2003 e che da quel momento non è mai stata oggetto di grandi innovazioni.

Rendering del Viale San Martino pedonalizzato e livellato. Fonte: LetteraEmme

L’intero impianto sarà per questo motivo soggetto ad un’opera di “restyling”, con il rifacimento dei due capolinea, Bonino e Annunziata, e delle pensiline. Proposto anche il passaggio al binario unico, che però è in attesa di un parere del Ministero delle Infrastrutture.

Lo scopo principale dell’opera sarà ridurre i disservizi causati dagli innumerevoli ritardi delle vetture e dovuti, in parte, al percorso tranviario ricco di curve e semafori che ne ostacolano la circolazione. Anche per questo l’ATM Messina sta continuando a dotarsi di nuove vetture che suppliscano ad eventuali malfunzionamenti di quelle più vecchie.

Riqualificazione Messina
Il parco Aldo Moro. Fonte: Gazzetta del Sud

La stessa Cortina del porto potrebbe cambiare grazie all’abbattimento delle barriere per favorire l’accesso al mare. Potremmo vedere più interventi dedicati all’ampliamento del verde pubblico, come quello che di recente ha interessato il parco Aldo Moro.

Servizi di sharing

Da ultimo (ma non meno importante), l’intensificazione dei servizi di sharing potrebbe scrivere la storia di una città più verde e più sostenibile. Da qualche giorno circola la notizia dell’arrivo di mille nuovi mezzi dalla società Verde Mercurio, la prima a fornire il servizio cittadino già dallo scorso ottobre.

A Verde Mercurio si aggiungeranno altre tre aziende: Voy Technology, Toogo e Vento.


Non possiamo ancora definire con chiarezza che piega prenderanno i progetti appena elencati, né quelli che verranno presentati in futuro. Dopotutto, la storia di Messina è una storia di occasioni mancate. È la cosiddetta “città dei rendering”, di progetti che solo in piccola percentuale vengono poi realizzati.

Se il cambiamento infrastrutturale sfugge dai poteri dalla cittadinanza messinese, lo stesso non vale per l’atteggiamento psicologico di fatalismo e immobilismo che spesso ci definisce. In fin dei conti, riuscire anche solo ad immaginare una Messina del futuro ci spinge a non ignorare più il grande potenziale che cela il bel territorio peloritano.

Valeria Bonaccorso

Alzheimer: sarà possibile diagnosticarlo tramite un esame del sangue?

L’Alzheimer è una malattia cronico-degenerativa, caratterizzata da un progressivo impoverimento cognitivo: ad oggi, si stima che il 5% dei cittadini italiani con un’età superiore ai 60 anni, soffre di questa patologia, che comporta enormi difficoltà anche nello svolgere le attività della vita quotidiana.

Durante il decorso di malattia si osserva una progressiva degenerazione neuronale a carico delle aree celebrali. È stato dimostrato come questa degenerazione sia causata dall’accumulo di due proteine tossiche: la beta-amiloide e la tau, con conseguente atrofia delle aree celebrali e compromissione totale.

La sintomatologia dell’Alzheimer

L’esordio di questa malattia è solitamente subdolo, inizialmente non è facile riconoscere i sintomi, che spesso vengono confusi con dimenticanze dovute alla stanchezza o all’eccessivo stress. La patologia è infatti caratterizzata da una progressiva perdita di memoria, che però si manifesta con una sintomatologia talmente sfumata da essere difficilmente riconosciuta e diagnosticata in tempo.

Segno evidente di malattia è invece la progressiva degenerazione delle funzioni cognitive che si manifesta con: perdite di memoria riguardo parole, volti ed eventi recenti o ancora difficoltà prassiche, disturbi comportamentali, alterazione della personalità, disturbi della deambulazione, fino ad un quadro di demenza severa che comporta spesso l’allettamento.

Tali sintomi però sono rilevabili solo quando la patologia è già giunta a uno stadio avanzato, tanto da rendere i trattamenti ad oggi impiegati poco efficaci.

Alzheimer (demenza): disturbi e cause – ISSalute

Come viene trattato clinicamente ad oggi

Anche se non esistono attualmente farmaci in grado di curare la malattia o di arrestarne il decorso, è stato provato da diversi studi come l’utilizzo degli inibitori dell’acetilcolinesterasi all’insorgere della patologia sia particolarmente efficace.

Oltre ai trattamenti farmacologici esistono trattamenti di natura terapeutico-riabilitativa che si sono dimostrati efficaci nel rallentare il deterioramento cognitivo; tuttavia anche in questo caso l’inizio precoce di tali interventi determina maggiori benefici.

Ad oggi è possibile fare diagnosi di Alzheimer ragionando solo in termini di esclusione, con accertamenti medici che aiutano a scartare altre possibili cause, che possono scatenare la stessa sintomatologia. Ad esempio, si utilizzano Tac celebrali e test neuropsicologici, per escludere la presenza di un tumore celebrale, o di qualsivoglia lesione.

La blood biomarker challenge

Per provare a rispondere alle difficoltà diagnostiche e cliniche legate a questa patologia, alcuni istituti di ricerca medica britannici hanno intrapreso una collaborazione per un ambizioso progetto: la sfida dei marcatori sanguigni.

L’obiettivo di questa ricerca è riuscire a individuare nel sangue dei marcatori specifici per la patologia di Alzheimer, così da poter intervenire quando la patologia si trova ancora in una fase iniziale.

Diverse sono le ipotesi dei ricercatori: alcuni di questi esami ricercano nel sangue le tracce delle proteine beta amiloide e tau, altri individuano molecole ad esse connesse o proteine legate alla morte neuronale. Già una parte di questi test, ha mostrato di avere la stessa accuratezza ad oggi garantita dai prelievi di liquido spinale, che fa parte dell’iter diagnostico attuale; tuttavia, servono ulteriori ricerche per assicurarsi che tali esami siano effettivamente in grado di cogliere la giusta combinazione di biomarcatori nel liquido analizzato, a prescindere dalle differenze fisiologiche che caratterizzano ognuno di noi, senza restituire diagnosi errate.

Blood-based biomarker discovery points to early-stage Alzheimer’s test (newatlas.com)

Prospettive future della lotta all’Alzheimer 

La riuscita di questo progetto permetterebbe di accorciare i tempi necessari per dare un nome alla patologia e per intervenire clinicamente: infatti, come già evidenziato, tutti i trattamenti per rallentare il decorso di malattia danno migliori risultati se intrapresi precocemente, quando il danno neurale è ancora contenuto. L’obiettivo di questo progetto da 5 milioni di sterline è di somministrare ai pazienti lo strumento specifico entro 5 anni, ed è quello che ci auguriamo.

Marta Scuderi

Fonti:
  • Neurologia per le professioni sanitarie (Padovani, Borroni, Cotelli);
  • Focus: https://www.focus.it/scienza/salute/il-primo-esame-del-sangue-per-l-alzheimer-potrebbe-essere-pronto-tra-cinque-anni

Auto a levitazione: un nuovo studio sulle strade del futuro

L’idea delle auto a levitazione ( chiamate auto Maglev o hovercar) sta iniziando a consolidarsi realmente nel nostro millennio. Non si tratta della concretizzazione di idee ispirate a libri e film di genere fantascientifico, l’utilità di questi mezzi non si limita all’estetica. Discuteremo degli ultimi traguardi ottenuti dalla ricerca mondiale e vedremo i punti a favore per questa tecnologia dal sapore futuristico. Attenzione: prenderemo in considerazione le hovercar, ben diverse dalle overcraft, in quanto le prime aleggiano dal manto stradale di soli pochi centimetri grazie alle forze magnetiche, mentre i secondi si sospesi grazie alla propulsione dell’aria.

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I superconduttori e i magneti

L’idea più conosciuta si basava sulla costruzione di tracciati con linee magnetiche sul quale i veicoli, dotati di dispositivi a base di superconduttori, ci sarebbero passati sopra. I superconduttori sono dei materiali che a temperature molto fredde danno luogo al fenomeno della superconduzione, quello che permette loro di essere dei perfetti conduttori elettrici, oltre che quello della levitazione spontanea; quindi, sopra un magnete il superconduttore riesce a sollevare oggetti. Le temperature in questione sono davvero molto basse, stiamo parlando di valori inferiori a – 200°C. Detto questo è evidente che il problema fondamentale è quello di ottenere queste temperature e produrre auto con macchinari del genere sarebbe troppo costoso per le case automobilistiche.

Circuito a base di materiale superconduttivo. Fonte: Vakaliuk et al.

Il nuovo approccio

Dall’Università di Huston arriva la proposta di invertire i ruoli: investire sulla costruzione di nuove strade ove sotto il manto stradale viene fatto passare il superconduttore. Anche questo porterebbe a costi elevati, ma questi verrebbero ammortizzati poiché questi materiali potrebbero trasportare energia elettrica ad alta velocità e in maniera estremamente efficiente (ovvero senz’alcuna perdita di energia). Toccherà, quindi, sviluppare dispositivi a base di superconduttori adeguati per queste applicazioni e riprogettare le strade in modo da rendere i costi di installazione e manutenzione il più conveniente possibile. Ci sarà molto lavoro da fare, ma come giustificare tutti questi investimenti?

Considerazioni generali

I veicoli mossi dalla levitazione (auto Maglev) non avrebbero più motivo per cui fare uso di motori a scoppio o perlomeno il sistema di propulsione potrebbe funzionare tramite un sistema differente. L’energia necessaria per la spinta potrebbe essere di natura elettrica e questo potrebbe spingere ulteriormente il settore dei trasporti verso la sua elettrificazione dato che rispetterebbe gli attuali (e i futuri) standard sulle emissioni di CO2. È chiaro come l’idea di automobile verrebbe rivoluzionato, molte sue componenti non avrebbero motivo di esistere (sospensioni, ammortizzatori) mentre altre dovrebbero essere riviste (ad esempio il sistema frenante) alterando pesantemente il prezzo di mercato di questi mezzi.

Il motivo principale per cui gli studi sulle auto a levitazione vanno a intensificarsi è l’assenza di ruote: in questo modo non vi è spreco di energia in quanto sappiamo che le gomme delle classiche automobili disperdono parte dell’energia di locomozione sotto forma di calore. Potremmo anche pensare alla congestione del traffico, non sarebbe come lo viviamo adesso e probabilmente non esisterebbe. Gli spunti al riguardo sono molti, ma i punti a sfavore per questa tecnologia sono tutt’ora un grosso problema. Cosa succederebbe se il mezzo uscisse dalla tracciato? Che modi vi sono per controllare il movimento del veicolo? Dopotutto, solo l’aria agisce per rallentare l’auto e questo è sia un vantaggio che un svantaggio. Ovviamente i costi per lo sviluppo di questi e per la costruzione di nuove strade intimorisce le aziende automobilistiche, anche se non proprio tutte.

Illustrazione di un’auto Maglev. Autore: Daniel Cardozo. Fonte: Coroflot

Chi è interessato a produrre in scala questo auto?

La Volkswagen già nel 2012 presentò alcune bozze e idee che erano il risultato di un connubio tra studi della comunità scientifica e quelle proprie. A quanto pare l’azienda crede nel progetto ma in quel tempo le tecnologie non erano sufficienti e il progetto rimase in stallo. Qui in alto vi presentiamo una di quelle bozze. Attualmente sembra la Cina sia la più interessata al progetto, assieme agli imprenditori Richard Branson della Virgin Hyperloop One ed Elon Musk.

Conclusioni

L’idea di un mondo futuristico sembra combaciare con le attuali esigenze green. Sembra che il progetto possa acquisire maggiore interesse in questo decennio e forse ne sentiremo parlare maggiormente grazie alle ultime ricerche. È chiaro che ci vorranno molti anni prima di poter vedere questi veicoli in commercio, ma possiamo sempre sperare che la forte richiesta di nuove tecnologie verdi possa accorciare l’attesa.

Salvatore Donato

Approfondimenti:

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/energia/2023/04/24/con-i-superconduttori-autostrade-super-veloci-a-levitazione-_54d013da-b6fe-4b21-a72c-55ebb0d467c5.html

https://www.geopop.it/superconduttori-cosa-sono-come-funzionano-e-a-cosa-servono/

www.automoblog.net

 

 

 

Optimus: il Robot Antropomorfo di Elon Musk

Elon Musk il visionario “pazzo” che non si smentisce mai, in occasione del Tesla AI Day tenutosi il 30 settembre scorso ha presentato Optimus, il robot umanoide che promette di rivoluzionare la vita quotidiana.

 

https://www.hdmotori.it/

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Tesla Bot

Leggi della robotica

Possibili utilizzi

Differenza con Atlas di Boston Dynamics

Futuro

 

Tesla Bot

Optimus, così battezzato dalla casa automobilistica tesla, ha fatto il suo ingresso sul palco simulando un saluto al pubblico. Si è trattato di un primo impatto un po’ rudimentale, visto che è stato trasportato sul palco e non ha fatto l’ingresso in maniera autonoma.
In realtà sono stati presentati due prototipi, Optimus e Bumble-C (Transformers?). Quest’ultimo, realizzato con componenti standard, ha fatto la sua entrata camminando in autonomia ed effettuando una serie di movimenti con le braccia.

https://www.dday.it/

Rappresenta il primo prototipo funzionante realizzato da Tesla che utilizza come software di intelligenza artificiale (AI), una variante del SoC dell’ autopilot installato nelle auto elettriche prodotte dalla medesima azienda, adattata per le nuove esigenze.
Le caratteristiche del robot sono le seguenti: altezza di 173 cm, peso 56,6kg, può trasportare carichi di 20kg camminando alla velocità di 8km/h con autonomia sufficiente per un’intera giornata di lavoro essendo alimentato da una batteria da 2,3KWh a 52Volt con un sistema di raffreddamento a liquido.
Presenta 28 attuatori (articolazioni) che possono piegarsi o girare a seconda del movimento da attuare, il tutto gestito da 12 motori. Presenta inoltre connettività WiFi e LTE per essere sempre connesso e disponibile.
Il punto forte su cui gli ingegneri si sono concentrati è il pollice opponibile per afferrare gli oggetti. Esso permette di compiere movimenti fini, simili a quelli umani.
Inoltre, presentano un meccanismo fisico esterno di spegnimento, per fermarli con un meccanismo di override non aggiornabile attraverso internet in caso di malfunzionamento.

https://insideevs.it/

Leggi della Robotica

Lo sviluppo sempre più imperante di dispositivi utilizzanti AI, impone l’utilizzo di regole per evitare che l’essere umano possa essere messo in pericolo.
Queste regole nella fantascienza sono denominate “leggi di Isaac Asimov“, un insieme di precetti ai quali obbediscono i robot positronici (robot dotati di cervello positronico).

Esse sono:

  • Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
  • Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge.
  • Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge

Lo stesso Ceo di Telsa ha affermato che i robot saranno governati da alcune leggi della robotica impossibili da bypassare, iniziando dall’impossibilità per il bot di fare del male ad un essere umano, facendo riferimento alle suddette leggi.

https://www.isaacasimov.it/

 

Possibili utilizzi

Il lancio dello scorso settembre, è il primo test in diretta reale. Attualmente, secondo i video presentati durante l’evento, il robot è in grado di eseguire compiti semplici come annaffiare piante e trasportare scatole.
Ovviamente il suo utilizzo non si limita a questo. In futuro esso sarà in grado di aiutarci in tutti i compiti giornalieri, grazie all’utilizzo dell’AI autoapprendente, permettendo al robot di adeguarsi ad una serie di impervietà giornaliere. Questo si deve anche ai progressi compiuti in termini di mappatura tridimensionale dell’ambiente, di capacità di labeling (catologazione delle informazioni raccolte) e accuratezza nella capacità di leggere le situazioni e reagire di conseguenza, sviluppati per l’autopilot.

Differenza

Sebbene Optimus sia ancora in fase di sviluppo iniziale e altre concorrenti come Boston Dynamics sono molto più avanti nella progettazione di robot umanoidi, l’entusiasmo deriva dal fatto che Optimus sarà commercializzato su grande scala entro 3-5 anni al modico prezzo di 20000$, stando a quanto afferma Elon Musk (difficilmente le sue previsioni sulle tempistiche si avverano). Ha inoltre ribadito il cambio di direzione di Tesla, da casa automobilistica ad azienda di robotica avanzata. Inoltre, altri robot come Atlas di Boston Dynamics non sono pensati per rendere la vita quotidiana più semplice, ma sono stati progettati per fini bellici, potendo sostituire in futuro la fanteria umana.

https://www.bostondynamics.com/

 

Futuro

Il futuro ci riserverà grandi novità nel campo della robotica.
Optimus in particolare, in base alla roadmap fissata dallo stesso Musk, sarà in grado di sostituire completamente l’essere umano nei lavori manuali più comuni come in agricoltura e nelle fabbriche, abbassando il costo di produzione e apportando maggiore ricchezza in tutto il globo (anche se questo aspetto è molto controverso).
Inoltre l’ibrido uomo-macchina è sempre più vicino!
Grazie ai lavori di Neuralink (azienda sempre dello stesso Elon Musk), sta avanzando la possibilità di permettere l’utilizzo del robot come un’estensione di sé.
Siamo sicuri che sia tutto positivo? Avete dimenticato di Io Robot? È anche vero che l’evoluzione ed il progresso non si possono fermare solamente per paura.

 

Livio Milazzo

Bibliografia

https://www.gqitalia.it/tech/article/robot-elon-musk-flop

https://www.ilpost.it/2022/10/04/robot-optimus-tesla/

https://tech.everyeye.it/notizie/tesla-optimus-come-atlas-boston-dynamics-non-proprio-principali-differenze-612113.html

https://www.focus.it/scienza/scienze/focus-next-30-ibrido-uomo-macchina-e-sempre-piu-vicino

https://insideevs.it/news/613850/tesla-robot-optimus-ai-day/

https://insideevs.it/news/589829/tesla-bot-robot-elon-musk/

https://www.dday.it/redazione/43910/tesla-ha-mostrato-il-primo-prototipo-di-optimus-robot-umanoide-che-costera-meno-di-20000-dollari

I segreti di Sagittarius A*: Fotografato il buco nero al centro della via lattea

Gli scienziati sono riusciti a fotografare per la prima volta il buco nero Sagittarius A* al centro della Via Lattea, la nostra galassia. Una scoperta sensazionale, che conferma la teoria della relatività generale di Einstein.

Indice dei contenuti:

Cos’è un buco nero?

La scoperta

Differenze con M87

L’immagine

Metodologie della scoperta

Futuro

Conclusione

Cos’è un buco nero

Il buco nero è un luogo nello spazio in cui la gravità è talmente attrattiva che nemmeno la luce può uscirne. Questo perché la materia è stata schiacciata in uno spazio minuscolo e ciò può accadere quando una stella sta morendo. Abbiamo già affrontato una spiegazione più dettagliata in un precedente articolo.

Fonte https://tg24.sky.it/

La scoperta

Durante le cinque notti nell’aprile 2017, la collaborazione EHT, ha utilizzato otto osservatori in tutto il mondo per raccogliere dati sia dal buco nero della Via Lattea sia da M87*. Le posizioni dell’osservatorio andavano dalla Spagna al Polo Sud e dal Cile alle Hawaii. Hanno raccolto quasi 4 petabyte (4.000 terabyte) di dati che, essendo troppi per poter viaggiare su internet, sono stati trasportati in aereo su dischi rigidi.

Differenze con il precedente buco nero della galassia M87

I dati di Sagittarius A* erano più difficili da analizzare. I due buchi neri hanno all’incirca la stessa dimensione apparente nel cielo, perché M87* è quasi 2.000 volte più lontano ma circa 1.600 volte più grande. Qualsiasi massa di materia che ruota attorno a M87* copre distanze molto maggiori, più grandi dell’orbita di Plutone attorno al Sole, e la radiazione che emettono è essenzialmente costante su scale temporali brevi. Ma Sagittarius A* può variare rapidamente, anche in poche ore. “In M87*, abbiamo visto pochissime variazioni in una settimana […] Sagittarius A* varia su scale temporali da 5 a 15 minuti”, afferma Heino Falcke, co-fondatore della collaborazione EHT ed astrofisico della Radboud University di Nijmegen, nei Paesi Bassi.

Fonte:
https://www.focus.it/scienza

L’immagine

A causa di questa variabilità, il team EHT ha generato non un’immagine del Sagittarius A*, ma migliaia, la cui immagine svelata qualche giorno fa, è la risultante di molte elaborazioni. Oltre a mostrare un anello di radiazione attorno a un disco più scuro, l’immagine elaborata conteneva tre “nodi” più luminosi. “Vediamo nodi in tutte le immagini che abbiamo creato”, dice Issaoun, astrofisico dell’Harvard and Smithsonian Center for Astrophysics a Cambridge, Massachusetts “ma ognuna aveva i nodi in punti diversi. I nodi mediati che appaiono nell’immagine sono probabilmente artefatti della tecnica di interferometria utilizzata dall’EHT”.

Ricostruisce le immagini da una parabola radiofonica idealizzata delle dimensioni della Terra, ma in cui solo minuscoli frammenti della parabola sono in grado di acquisire dati in un determinato momento. L’aspetto è diverso da quello di M87*, per il quale la regione più luminosa nell’immagine aveva una forma più a mezzaluna, il che potrebbe indicare una massa di materia più densa che viene accelerata lungo la direzione della linea di vista. Come affermato da Gomez, il team EHT ha condotto simulazioni di supercomputer per confrontare i propri dati. Ha così concluso che il Sagittarius A* sta probabilmente ruotando in senso antiorario lungo un asse che punta all’incirca lungo la linea di vista della Terra.

FONTE: https://tech.ifeng.com/

“Quello che mi fa impazzire è che lo stiamo vedendo di fronte”, dice Regina Caputo, astrofisica al Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland.

Il telescopio spaziale Fermi Gamma-ray della NASA, con cui Caputo lavora, aveva precedentemente rilevato gigantesche caratteristiche luminose sopra e sotto il centro della galassia, che potrebbero essere state prodotte dal Sagittarius A* durante periodi di intensa attività in passato. Ma quelle caratteristiche, note come bolle di Fermi, sembrano richiedere che la materia ruoti attorno al buco nero di taglio, piuttosto che di fronte, come si vede dalla Terra.

Metodologie della scoperta

Il Sagittarius A* è praticamente invisibile ai telescopi ottici a causa della polvere e del gas sul disco galattico. Ma a partire dalla fine degli anni ’90, Falcke e altri, si sono resi conto che l’ombra del buco nero poteva essere abbastanza grande da essere ripresa con brevi onde radio in grado di perforare il velo. Ma i ricercatori hanno calcolato che ciò avrebbe richiesto un telescopio delle dimensioni della Terra. Fortunatamente, la tecnica  dellinterferometria, che  implica il puntamento simultaneo di più telescopi lontani sullo stesso oggetto, potrebbe rivelarsi utile perchè, in effetti, i telescopi funzionano come frammenti di una grande parabola (vedi immagine di seguito).

Mappa illustrativa della costituzione dell’EHT ©Jacopo Burgio

I primi tentativi di osservare il Sagittarius A* con l’interferometria, hanno utilizzato onde radio di 7 millimetri relativamente lunghe e osservatori a poche migliaia di chilometri di distanza. Tutti gli astronomi potevano vedere un punto sfocato. I team di tutto il mondo hanno quindi perfezionato le loro tecniche e adattato i principali osservatori che sono stati aggiunti alla rete. In particolare, i ricercatori hanno adattato il South Pole Telescope e l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array in Cile da 1,4 miliardi di dollari per svolgere il lavoro. Nel 2015, i gruppi hanno unito le forze come collaborazione EHT. La loro campagna di osservazione del 2017 è stata la prima a coprire distanze abbastanza lunghe da risolvere dettagli come le dimensioni del Sagittarius A*.

Futuro

Feryal Özel, astrofisico dell’Università dell’Arizona a Tucson, in una intervista svoltasi a Washington, ha affermato che il prossimo obiettivo del progetto è generare un filmato del buco nero per saperne di più sulle sue proprietà fisiche.

I ricercatori sperano di scoprire se Sagittarius A* ha i getti astrofisici. Molti buchi neri, incluso M87*, mostrano due fasci di materia che escono rapidamente in direzioni opposte. Essi sono ritenuti il ​​risultato dell’intenso riscaldamento del gas in caduta e alimentati dalla rotazione del buco nero. Il Sagittarius A* potrebbe aver avuto grandi getti in passato, come suggeriscono nubi di materia riscaldate sopra e sotto il centro galattico. I suoi getti sarebbero ora molto più deboli, ma la loro presenza potrebbe rivelare dettagli importanti sulla storia della nostra Galassia. “Questi getti possono inibire o indurre la formazione stellare, possono spostare gli elementi chimici in giro” e influenzare l’evoluzione di un’intera galassia […] e ora stiamo guardando dove sta succedendo.” afferma Falcke.

Conclusione

Ciò che abbiamo osservato non è una scoperta fine a se stessa, poichè avrà certamente implicazioni nel domani e nelle tecnologie future della vita di tutti i giorni. Quindi non ci resta che aspettare con il naso puntato all’insù.

Livio Milazzo & Gabriele Galletta

Fonti: Nature,   Eso

COVID e adolescenti: la pandemia oltre il virus

L’Italia non è un Paese per giovani, e la pandemia in corso ne da ulteriore conferma.
Scarsa considerazione è stata data a chi rappresenta il futuro, generando una pandemia silenziosa tra i giovanissimi. Affrontiamo insieme la questione! Continua a leggere “COVID e adolescenti: la pandemia oltre il virus”

Il fotovoltaico dell’ISS: cosa cambierà?

  1. Quando nasce l’ISS?
  2. La rivoluzione del fotovoltaico… nello spazio
  3. I pannelli dell’ISS tra passato e presente
  4. Più energia!
  5. Tante idee attorno al fotovoltaico

Dalla sua costruzione ad oggi l’International Space Station (ISS) ha rappresentato il punto di riferimento per molte missioni spaziali.

I comandanti Bill Shepherd e Soyuz Yuri Gidzenko e l’ingegnere di volo Sergei Krikalev sono stati i protagonisti della prima missione verso l’ISS. Da allora 293 sono stati gli astronauti che finora vi hanno fatto ingresso, ognuno dei quali ha svolto numerosi esperimenti, ognuno dei quali ha portato un pezzo di spazio qui sulla Terra, segnando la storia della stazione. Tra questi, Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano.

Quando nasce l’ISS?

La storia dell’ISS e la sua stessa esistenza, oltre ad essere il riflesso di un grande traguardo scientifico, sono il simbolo di un momento storico in cui ogni tentativo di avvicinarsi sempre più allo spazio sembrava fallire.

Si tratta di progetti nati in seno alla guerra fredda e ogni idea in quegli anni era strettamente correlata alla politica.

Agli inizi degli anni Ottanta, la Nasa aveva già immaginato la costruzione della stazione spaziale chiamata Freedom, come  risposta alle stazioni russe Saljiut e Mir. Ma il progetto fallì e il bisogno di trovare un punto d’unione tra i Paesi coinvolti nell’esplorazione spaziale divenne sempre più forte.

Prende così vita l’idea di una stazione spaziale costruita coinvolgendo più parti.
Il governo statunitense strinse accordi con la Russia, con l’Europa, con il Giappone. Sulla base dei progetti delle stazioni Freedom e Mir2 e dei laboratori Columbus e Kibo,  nasce l’International Space Station.

Nel 1998 si lancia il primo modulo, Zarja, ma sono state necessarie 41 missioni per giungere al completamento della stazione. Missioni che si sono concluse nel 2011 con l’arrivo alla stazione del Multi-Purpose Logistics Module “Raffaello”, adibito a “deposito”.

 

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Breve riassunto della struttura dell’ISS.

La rivoluzione del fotovoltaico… nello spazio

Negli anni duemila uno di questi viaggi verso l’ISS ha portato all’installazione del primo set di pannelli solari della stazione. Ulteriori aggiunte sono state poi fatte nel 2006 e nel 2009, anno in cui si installa l’ultimo segmento della struttura energetica, per un totale di 16.400 celle fotovoltaiche.

Un tassello importante per tutto l’ambiente scientifico. Generare energia tramite fotovoltaico è stata una delle rivoluzioni del Novecento;  tra il 1954 e il 1980 si realizzano grandi imprese. Fra queste, il lancio del veicolo spaziale Vanguard I, il primo ad essere alimentato da celle fotovoltaiche, e del razzo Explorer 6, costituito da quattro pannelli solari.

Negli anni novanta il fotovoltaico diventa il simbolo di una nuova “era” di libertà energetica.

Spazio e produzione di energia solare sono strettamente legate.

I pannelli dell’ISS tra passato e presente

L’ISS è alimentato tramite pannelli solari fotovoltaici (SAW, Solar Array Wings), i quali assorbono le radiazioni del Sole convertendole in energia. Quei pannelli che immediatamente ci ricordano la famosa immagine della stazione.

I pannelli sono montati lungo l’Integrated Truss Structure e sono fatti ruotare da una struttura ad anelli (Beta Gimbal Assembly) che con il Solar Alpha Rotary Joint  fa sì che essi seguano la direzione del Sole.

Viene così garantita la massima energia.
I pannelli sono la principale fonte della stazione, sono il suo “sostentamento”.

Hanno funzionato e continuano a funzionare. Ma c’è pur sempre un limite alla loro resilienza. Così potenti e così preziosi da richiedere un continuo controllo, che ultimamente ha evidenziato segni di degradazione. Quindi, a inizio 2021 la NASA ha deciso di aggiungere nuovi pannelli solari, per riottenere una giusta fornitura di energia e un giusto funzionamento della stazione. E tutto ciò diventa ulteriormente importante in vista del programma Artemis che vede nell’ISS un “modello”  sulla quale affidarsi per eventuali dimostrazioni tecnologiche.

Più energia!

A fornire i pannelli sarà l’industria Boeing con la sussidiaria Spectrolab e la Deployable Space System e il risultato finale vedrà la combinazione dei pannelli originari con i nuovi, più piccoli ed efficienti.

I pannelli saranno del tipo ROSA (Roll Out Solar Array), una recente tipologia di pannelli solari fotovoltaici che ha già dimostrato la sua efficienza nel 2017, quando un loro prototipo è stato dispiegato sulla ISS.

I pannelli ROSA vengono trasportati in un cilindro per poi essere “srotolati” sulla stazione. Sono in grado di raggiungere grandi estensioni e quindi quantità di energia molto elevate. Seguiranno la “rotta” dei vecchi pannelli, il loro stesso sistema di tracciamento del Sole e di canalizzazione dell’energia.

I pannelli originari sono in grado di produrre fino a 160 kW di elettricità. Con i nuovi si raggiungeranno circa i 215 kW.
Una struttura innovativa, una delle tante piccole rivoluzioni dal mondo dello spazio.

Si prevedono tre missioni di rifornimento e il trasporto avverrà dentro la capsula cargo Dragon della SpaceX.
Il 2021 prevedibilmente sarà l’anno in cui avverrà la prima di queste missioni.

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Tante idee attorno al fotovoltaico

L’uso del fotovoltaico ha segnato un momento di rinnovo. Portarlo nello spazio ha segnato uno dei momenti in cui la scienza e la tecnologia sono cambiate.

In futuro, le idee sviluppate per lo spazio potrebbero diventare ancora più connesse con ciò che accade sulla Terra.

L’agenzia spaziale giapponese (JAXA) ha in mente di progettare un enorme impianto fotovoltaico che produrrà energia elettrica da trasferire al nostro pianeta. Un progetto gigantesco che dovrebbe realizzarsi entro il 2037 e che Focus ha definito “il più ambizioso programma sulle energie rinnovabili delle prossime due decadi”.

Si basa su idee nuove, ma anche su idee già pensate in passato. Per esempio, la realizzazione dei Solar Power Satellite, in grado di assorbire l’energia solare, è un’idea che la Nasa ebbe negli anni Settanta e quest’anno dovrebbe essere realizzata una loro nuova versione, dopo quella messa a punto nel 2018.  E il piano di volo per il trasporto dei vari elementi prenderà spunto dalle manovre di aggancio (docking) dell’ISS.

Il 2021 sarà un anno di ripartenza per il mondo dello spazio, un anno di avvio per le grandi novità del futuro.

Giada Gangemi

Bibliografia:

https://www.astronautinews.it/2021/01/nuovi-pannelli-solari-per-linternational-space-station/

https://www.focus.it/scienza/energia/impianto-fotovoltaico-spaziale-giapponese