Tra storia e mito: nel cuore della città di Messina

La Sicilia è stata fin dall’antichità luogo di conquiste e invasioni. La sua posizione strategica, al centro del Mediterraneo,  ha fatto sì che l’Isola fosse culla di moltissime culture, spesso nate dall’incontro di più popoli. La sua storia appare dunque complessa e porta con sé non solo importanti avvenimenti ma moltissimi miti e leggende, tutt’ora ricordate e amate dai cittadini. Per quanto riguarda la nostra città, moltissimi sono i miti nati per spiegare fenomeni atmosferici e particolarità dello Stretto, ma altrettanti sono quelli legati alla storia e ai personaggi che hanno reso Messina la città ricca di cultura e tradizione come la conosciamo oggi.

Vediamoli insieme.

L’origine di Messina e di Capo Peloro

La città di Messina fu fondata da varie popolazioni provenienti dall’Antica Grecia. Tra queste ultime è importante ricordare i Siculi, popolo a cui si deve l’antico nome della città: Zancle. L’origine del nome ha molto a che fare con la forma a falce (Zanklon in greco) del braccio di San Ranieri, una penisola sabbiosa in cui era ubicato lo storico porto di Messina, famosa oggi per la Statua della Madonna della Lettera, patrona della città.

Il nome attuale si deve invece ad Anassila, tiranno che occupò poco più tardi entrambe le sponde dello Stretto. L’uomo -originario della Messenia- rinominò infatti la città in onore della propria patria.

Il braccio di San Ranieri – Fonte: wikipedia

Messina è però legata anche a un’importante figura leggendaria: il gigante Orione, figlio di Poseidone. Si racconta che fu proprio lui a fondare la città e, in particolare, la zona di Capo Peloro, dove fece ergere un tempio dedicato al culto del padre.

Orione fondatore di Messina (dettaglio della Fontana di Orione) – ©Luciano Giannone, Messina 2019

Questo stesso luogo è inoltre legato alle vicende di Annibale: il condottiero fece uccidere lì uno dei suoi timonieri perché convinto di essere stato tratto in inganno e guidato verso un golfo senza uscita, nel punto in cui le coste di Sicilia e Calabria sembrano, infatti, unirsi. Dopo essersi accorto dell’errore commesso intitolò all’uomo un promontorio e ordinò di costruire una statua, come segnale per i naviganti che sarebbero giunti lì dopo di loro.

Mata e Grifone tra arabi e normanni

Un’altra leggenda conosciuta da tutti i messinesi è quella dei giganti Mata e Grifone, le cui statue di cartapesta vengono portate in processione per le vie della città nel periodo di Ferragosto. La loro storia potrebbe essere legata a ben due importanti avvenimenti che vedono come protagonista proprio Messina.

La prima ipotesi ci riporta al periodo in cui i saraceni, popoli provenienti dalla penisola Araba, invasero la Sicilia, intorno al 970 d.C. Protagonista della storia è un invasore moro, Hassas Ibn-Hammar, che giunto nell’isola si innamorò della cammarota Marta (in dialetto messinese Mata). L’uomo si convertì per poter sposare la donna e tramutò il suo nome in Grifo (da cui appunto Grifone).

I giganti Mata e Grifone – Fonte: archivio di AEGEE-Messina

 

La seconda ipotesi si ricollega invece a un fatto realmente accaduto: l’arrivo nell’isola nel 1190 -in occasione della Terza Crociata- di Riccardo Cuor di Leone, re di Inghilterra. Siamo nella Messina normanna, nel periodo in cui parte del potere è però ancora nelle mani dei greci. È in questo scenario che il re fece costruire una fortezza (oggi Sacrario di Cristo Re) denominata Matagrifone come monito a difesa dei cittadini. Il nome della costruzione prende origine dal verbo latino mateare (“uccidere”) e da grifoni (nome con cui venivano definiti a Messina i greci). Secondo quest’ipotesi le statue non ricorderebbero dunque due innamorati quanto, piuttosto, la “Messina trionfatrice” (Mata) e un servo greco sconfitto (Grifone).

Le donne dei vespri siciliani

Nel 1266 la Chiesa affidò la Sicilia a Carlo I d’Angiò, figlio del re di Francia. Questa scelta creò parecchi malumori e scontri nell’isola tanto da sfociare il 29 marzo 1282 nei Vespri Siciliani: scontri tra i francesi di Carlo e gli aragonesi, chiamati a regnare dagli stessi siciliani.

È importante ricordare il 5 luglio di quell’anno, giorno in cui Carlo giunse nell’isola e pose l’assedio a Messina. A quest’avvenimento sono infatti legate moltissime leggende che vedono, questa volta, protagoniste delle donne coraggiose alla difesa della propria città.

Tra queste è inevitabile ricordare Dina e Clarenza, due dame messinesi ma soprattutto due eroine che si opposero alle minacce degli angioini durante la notte dell’8 agosto: le due donne respinsero gli attacchi dal Colle della Caperrina, Dina lanciando sassi contro i nemici e Clarenza suonando le campane del campanile per avvertire l’intera città.

Dina e Clarenza nel campanile del Duomo di Messina – Fonte: discovermessina.it

Sempre in relazione all’assedio di Messina è importante nominare la leggenda della Dama Bianca. Si racconta infatti che apparve ai soldati una donna che con il suo mantello bianco respinse le frecce dei nemici proteggendo la città. Qualche anno dopo un frate ricevette in sogno la richiesta della donna di far costruire un santuario in suo onore nel luogo in cui avrebbe fatto volare una colomba bianca. Il giorno seguente una colomba volò proprio sul Colle della Caperrina e fu lì che venne costruito il Santuario della Madonna delle Vittorie, conosciuto oggi come Santuario della Madonna di Montalto.

Sia Dina e Clarenza che la colomba con il santuario sono raffigurate nel campanile del Duomo di Messina.

Colle della Caperrina e Santuario della Madonna di Montalto – Fonte: immaculate.one

 

Il ruolo delle tradizioni

Come spesso accade non è semplice distinguere la realtà dal mito, perché la storia della città li racchiude entrambi ed è capace di suscitare un sentimento di appartenenza nel cuore dei cittadini: tendiamo a riconoscerci in quelle storie, in quei personaggi, in quelle vicende che, seppur così lontane e intrise di miti, riusciamo facilmente a sentire profondamente vicine e totalmente nostre. A cosa servono dunque le tradizioni? Non a rimanere ancorati al passato, senza riconoscerne gli errori, quanto piuttosto a ritrovare un senso di appartenenza nel presente e riconoscere quei valori necessari per il futuro.

Cristina Lucà

Fonti:

discovermessina.it

gazzettadelsud.it

athenanova.it

Immagine in evidenza: I vespri siciliani di Francesco Hayez – Fonte: wikipedia

Quando “nacque” Piazza Duomo: il ruolo della fontana di Orione

La piazza è per definizione luogo di ritrovo e riunione per i cittadini e favorisce l’incontro, un aspetto importante tutt’oggi negato dalla pandemia. Ogni messinese può dirsi legato alla piazza principale della sua città, Piazza Duomo, ma è curioso sapere come questa per moltissimo tempo fu sottovalutata proprio dai suoi cittadini: era chiamata chianu (letteralmente pianura) e considerata luogo informe, senza coerenza architettonica. Questo proprio perché piazza è anche

“area libera (…) limitata da costruzioni, spesso architettonicamente importanti” (Treccani).

Fino al 1500, invece, questo spazio mancava proprio di unità architettonica e di stili ed era privo di un disegno prospettico.

Un cambiamento importante in questo senso si deve a un religioso, scultore e architetto rinascimentale italiano: Giovanni Angelo Montorsoli. Il frate infatti, giunto a Messina nel 1547, realizzò un progetto che avrebbe finalmente dato una dignità architettonica – su stampo rinascimentale – alla città e che avrebbe visto protagonista una delle sue opere più importanti: la fontana di Orione.

©Luciano Giannone – La fontana di Orione – Messina, 2019

Messina ai tempi del Montorsoli

Ma qual era il contesto in cui si trovò a lavorare il Montorsoli?

Nel Cinquecento si diffonde ovunque l’importanza dell’arte e della letteratura e si comincia a parlare di Rinascimento, di una nuova rappresentazione dello spazio – basato su regole geometriche e prospettiva – e di un ritorno ai classici.

In questo periodo la Sicilia è governata da Carlo V d’Asburgo, re di Spagna. A seguito dello sviluppo artistico e letterario nascono qui le prime accademie, spesso segrete poiché non particolarmente apprezzate dalle potenze straniere e dalla Chiesa. Tra queste è importante nominare l’Accademia della Fucina, epicentro della vita intellettuale e politica della città, sostenuta persino dal Senato messinese.

Il motto virgiliano dell’Accademiaformas vertit in omnes (si trasmuta in tutte le forme) – deriva dalle Georgiche e fa riferimento al dio Proteo, inafferrabile perché mutabile. La frase riprende inoltre Ovidio e la rappresentazione del dio etrusco Vertumno, anch’esso capace di mutare la propria forma e sovrapponibile, dunque, a Proteo stesso. Questa scelta potrebbe chiaramente dipendere dalla capacità dell’Accademia di cambiare la sua identità e mantenerla segreta per poter sopravvivere nel tempo.

 

La fontana di Orione

Ritorniamo al 1547 e all’arrivo del Montorsoli a Messina. In quell’anno fu ufficialmente inaugurato un complesso intervento di ingegneria idraulica per condurre le acque del Camaro a servizio della città. La fontana di Orione fu commissionata al Montorsoli proprio dal Senato e dall’Accademia per onorare l’avvenimento.

©Luciano Giannone – Dettaglio della fontana di Orione raffigurante il fiume Camaro – Messina 2019

La fontana può anche essere letta in chiave politica, come esaltazione della potenza locale. Essa riprende infatti simbolicamente l’Accademia della Fucina: i bassorilievi, raffiguranti scene delle Metamorfosi di Ovidio, ci riportano al motto legato alla trasformazione. Troviamo inoltre il dio etrusco Vertumno, legato anche qui al dio marino Proteo, da cui prende il tridente.

©Luciano Giannone – Dettaglio della fontana di Orione raffigurante il dio etrusco Vertumno – Messina, 2019

 

Quando il chianu divenne una piazza

Non sarebbe però bastata la realizzazione dell’opera montorsoliana per far sì che quel chianu divenisse una vera piazza. A Messina il Montorsoli, come detto precedentemente, fu costretto a fronteggiare vari ostacoli e si rese subito conto di quanto fosse importante un progetto che andasse ben oltre la fontana: una renovatio urbis che poteva essere tale solo grazie alla contaminatio (contaminazione) rinascimentale, basata principalmente su regole geometriche e prospettiva.

Per far sì che ciò accadesse sembrava essere fondamentale e necessario l’abbattimento di due delle tre navate di una delle chiese più frequentate del periodo, la chiesa medievale di S.Lorenzo, situata a fianco della Cattedrale normanna (spazio occupato oggi in parte dal Salotto Fellini) e che occupava una sezione dello spazio in cui il Montorsoli avrebbe poi collocato la fontana.

Chiesa di S.Lorenzo e fontana di Orione per opera del Montorsoli – Fonte: Biblioteca regionale universitaria di Messina 

La fontana monumentale guida lo sguardo dell’osservatore verso l’alto: un esempio sono la mano destra di Orione (leggendario fondatore della città) e lo sguardo del cane Sirio che favoriscono il verticalismo. Ma il genio del Montorsoli si nota soprattutto nel legame tra la fontana, la chiesa e un’ulteriore struttura (presente solo nel progetto): il sistema di gradini della fontana tracciava, infatti, gli assi di simmetria di queste strutture. Il Montorsoli aggiunse inoltre dei dettagli alla chiesa medievale – delle colonne ioniche, un timpano e la cupoletta – così da creare una continuità ottica con la fontana.

©Luciano Giannone – Dettaglio della fontana di Orione raffigurante Orione e il cane Sirio – Messina, 2019

 

Piazza Duomo: luogo di incontro e di libertà

Appare dunque chiaro – soprattutto ora che un ritorno alla vicinanza e al contatto è ciò che forse più desideriamo – l’importanza dell’opera del Montorsoli. Lo scultore ci ha donato, seppur oggi vi siano differenze importanti rispetto al progetto iniziale della piazza, quel luogo che conosciamo noi oggi: tappa obbligatoria dei turisti ma ancor più spazio di incontro, quell’area libera che ogni vera piazza dovrebbe essere per i suoi cittadini.

 

 

Cristina Lucà

 

Fonti:

Aricò Nicola, Architettura del tardo Rinascimento in Sicilia. Giovannangelo Montorsoli a Messina (1547-57)

Archivio storico messinese 73 

 

Immagine in evidenza:

©Luciano Giannone – La fontana di Orione – Messina, 2019