Suffragette

Londra, inizi del ‘900 storia dell’emancipazione femminile

Il film “Suffragette” è ambientato a Londra all’inizio del ‘900 , Carey Mulligan interpreta Maud Watts ventiquattrenne che da quando aveva sette anni lavora in una lavanderia il cui capo, uomo viscido ed arrogante, abusa quotidianamente delle lavoratrici più giovani.

Maud entra , tramite una collega, in contatto col movimento delle “suffragette”.

Inizialmente intimidita da questo mondo di uomini , dopo aver assistito ad un discorso pubblico di Emmeline Pankhurst , diverrà una militante decisa a rivendicare i propri diritti e a riscattarsi dalle violenze subite in primis sul luogo di lavoro.

Sarah Gravon e Abi Morgan raccontano la storia, fino ad ora taciuta, della battaglia delle donne inglesi che oltre a chiedere ad alta voce il suffragio universale, combatterono per la parità salariale e per l’uguaglianza di genere.

E’ un film che racconta le vicende che quotidianamente le donne dovevano sopportare, le violenze della polizia, i continui arresti, il disagio e la disparità di trattamento sul luogo di lavoro, che dopo anni di reazioni non violente virano verso la disobbedienza civile.

Donne che sacrificarono la loro vita per assicurare un futuro migliore alle generazioni, chi come Emily Davison , che potremmo definire una martire nella lotta delle suffragette, perde la propria vita affinché i media parlino della questione.

Carey Mulligan con quel suo viso da ragazza pulita all’inizio recita in sottrazione, nonostante le inquadrature che puntano il focus su i suoi occhi e bocca, incarna le tribolazioni e la crescita del suo personaggio : prendendo coscienza della situazione attorno a sé fino a diventare sicura e sprezzante.

L’accompagnano Helena Boham Carter , che abbandonati i panni di Bellatrix Lestrange e della Fata Madrina in Cenerentola, veste quelli della farmacista Edith Ellyn (la quale si ispira liberamente alla donna realmente esistita di Edith Garrud , maestra di jujutsu , insegnava l’autodifesa alle suffragette) donna determinata e senza paura e Annie Marie Duff , molto convincente, nel personaggio di una compagna lavandaia.

Ciliegina sulla torta l’apparizione di 3 minuti di Meryl Streep nei panni di Emmeline Pankhurst.

Belle le riprese e le inquadrature, anche in movimento che danno più intensità.

Abi Morgan ha scritto dei vigorosi ritratti femminili, come aveva giù fatto con la Thatcher di “The Iron Lady” e con il Michael Fassbender in “Shame”, esplorando con finezza l’animo umano.

Sarah Gavron ha messo in scena la Storia , senza riuscire ad essere incisiva come avrebbe potuto essere un film del genere. Fortunatamente c’è un cast d’eccezione.

Il film si conclude con l’elenco delle date in cui le donne hanno potuto votare nei vari stati, notiamo che l’Arabia Saudita nel 2015 ha semplicemente promesso il voto alle donne.

Spesso godendo dei diritti ed essendo in una posizione privilegiata pensiamo che le cose vadano abbastanza bene per noi donne, invece questa volta usciamo dalla sala con la coscienza che la strada è ancora lunga , ma con la stessa forza e determinatezza delle nostre “madri-sorelle” , la percorreremo.

Con le parole di Pankhurst/Streep : “Non sottovalutate mai il potere che noi donne abbiamo di essere artefici del nostro destino. Noi non vogliamo violare la legge, vogliamo fare la legge.”

Arianna De Arcangelis

Il piccolo principe, una storia senza età

È uscito nelle sale italiane lo scorso 1 Gennaio il film di animazione tratto dall’omonimo romanzo di Antoine de Saint-Exupéry, “Il Piccolo Principe”.
Quando ci troviamo di fronte alla trasposizione cinematografica di un libro, di conseguenza, ci troviamo di fronte ad un ampio dibattito. Ad esaltare l’animo degli spettatori è la presunta fedeltà o meno del film in relazione all’opera prima, il libro. Figuriamoci per un opera così inflazionata e conosciuta a tutti come può essere “il Piccolo Principe”. E questo film ce l’ha fatta?
La pellicola era stata presentata lo scorso festival di Cannes fuori concorso, con un buon responso da parte della critica. Alla regia troviamo Mark Osborne, conosciuto soprattutto per aver diretto per la Dreamworks il primo capitolo di Kung Fu Panda. Il film è realizzato in tecnica mista: stop motion e computer grafica. La parte in stop motion è quella che si rifà alla storia di Saint-Exupéry, quindi al libro; mentre la parte realizzata in CGI è relativa alla storia di contorno, quella moderna. Infatti il film è realizzato in maniera tale da contestualizzare una storia così fantastica e semplice con la frenesia e le difficoltà della vita moderna.
Ci troviamo, pertanto, di fronte alla storia di una bambina, Prodigy. Figlia di una madre scrupolosa che non vuole lasciare niente al caso per il suo futuro ma che allo stesso tempo non trova mai il tempo per lei sommersa dai mille impegni di lavoro, e di un padre che vive lontano e che nella pellicola è appena nominato. Insomma il classico stereotipo moderno della famiglia alla deriva. La storia di Prodigy prende una svolta quando incontra l’aviatore, che le fa conoscere il piccolo principe. Lei inizialmente respinge questa fantastica storia in quanto crede di essere una bambina troppo matura per certe storielle, in seguito però sarà sempre più affascinata dal piccolo principe e instaurerà una bella amicizia con l’aviatore. Così alla storia di Prodigy si unisce quella del piccolo principe che chiunque abbia letto il libro conosce bene.
Nel momento stesso in cui la bambina scopre la storia del piccolo principe, lo spettatore (soprattutto lo spettatore adulto) riesce ad immedesimarsi nell’approccio a metà tra l’incredulo e l’affascinato che appartiene alla bambina. Questa storia, così semplice e pura, non convince Prodigy all’inizio e viene vista allo stesso modo dallo spettatore. Una semplice storiella raccontata ai bambini che non ha niente a che fare con la vita reale. E in quel momento noi siamo veramente come Prodigy. Ci sentiamo maturi e distaccati da questa storia ma in realtà siamo dei bambini che si ricordano cosa voglia dire essere bambini. “Tutti i grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne ricordano)”.
Quindi per rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio, la risposta è sì. Sì perché questa pellicola non tenta solamente di rappresentare sul grande schermo una semplice storia, fa molto di più. Ci fa vedere quello che questa semplice storia ha rappresentato per generazioni e generazioni. Il film diventa così non una mera trasposizione della storia ma uno specchio di fronte al quale è seduto il nostro alter ego che per la prima volta ha letto il libro. Non importa se questo alter ego sia un bambino con di fronte un libro di narrativa delle medie o un adulto che soltanto recentemente ha scoperto quest’opera. Il risultato è sempre lo stesso: “Il Piccolo Principe” ci mette nella condizione di approcciarci ad esso con la purezza e la semplicità di un bambino.

Nicola Ripepi