Momenti di trascurabile felicità

Noie, contrattempi e fastidi. Voto Uvm: 3/5

 

 

 

 

 

Tratto dall’omonimo libro “Momenti di trascurabile infelicità” è un diario delle noie, dei contrattempi e dei fastidi.

L’opera di Francesco Piccolo è il libro che tutti vorrebbero scrivere perché l’arte comunicativa dello sceneggiatore casertano è rendere la normalità, che talvolta diviene banalità, straordinaria attraverso una scrittura semplice ma arguta e soprattutto intrisa di leggiadra ironia, un’impresa letteraria notevole.

 

 

 

Daniele Luchetti e lo stesso Piccolo sono riusciti a rendere il film una creatura altra rispetto ai pensieri sparsi pubblicati nel libro del 2010, perché c’è un protagonista di nome Paolo che non ha sempre la stessa prospettiva di Piccolo, visto che è più indolente, un po’ mediocre, decisamente anaffettivo e più pigro, sebbene risulti simpatico e l’identificazione nel personaggio, a sua volta, immediata.

È un atto di coraggio che si rivela premiante, perché l’autore campano ha saputo estrarre l’anima e lo spirito dai suoi scritti, costruendo una storia leggera e profonda, elegante nella forma e sensibile nei contenuti.

In più il personaggio di Paolo (e l’interpretazione di Pif) aggiungono una nota di tenerezza e di bonaria indolenza “siciliana” che conquistano il pubblico.

 

 

Il resto del cast aggiunge freschezza (Thony nel ruolo delizioso della moglie, Angelica Alleruzzo e Francesco Giammanco in quelli dei figli) e proprietà tecnica (l’imprescindibile Renato Carpentieri, angelo custode di Paolo).

Una commedia semplice e spensierata che gioca ironicamente con la morte per far prendere coscienza delle cose realmente importanti della vita, troppo spesso non adeguatamente comprese e date per scontato.

L’autore premio Strega fotografa magistralmente “quei piaceri intensi e fuggevoli che punteggiano le nostre giornate, mettendo a nudo con spietato umorismo i lampi gioia, le emozione improvvise ed incontrollate con le quali prima o poi tutti dobbiamo fare i conti.

Comprendere la trasposizione cinematografica di Piccolo significa sapersi riconoscere ed accettare poichè si possiede il codice di se stessi, anche attraverso debolezze ed imperfezioni.

Antonio Mulone

 

Vice – L’uomo nell’ombra

L’ascesa politica di Dick Cheney. Voto UvM: 4/5

 

 

 

 

Il potere? Non sempre si mostra in quelle forme spettacolarizzate che ci si potrebbe aspettare.

Il vero potere sta nell’ombra, non si espone, cresce silenziosamente e si insinua in ogni falla del sistema potenzialmente sfruttabile.

Il vero potere è subdolo, ipocrita, opportunista, segue trame e sentieri volutamente ambigui e celati agli occhi dei più.

È questa la verità che Adam McKay mostra con il suo ultimo biopic dal titolo “Vice”, vincitore della statuetta come miglior trucco agli Oscar 2019 e candidato ad altri sette Golden Globe.

Scandito dalle straordinarie interpretazioni di Christian Bale (Dick Cheney) ed Amy Adams (Lynne Cheney), Vice racconta con toni ironici e sferzanti l’ambigua ascesa al potere di Dick Cheney, vicepresidente “imperiale” dell’amministrazione George W. Bush.

 

 

Efficace e pungente, Vice ripercorre con obiettività la storia del più potente vice – presidente degli Stati Uniti d’America, senza mai tuttavia presentarlo agli spettatori come il “cattivo” di turno.

Dick Cheney, dapprima giovane scapestrato e studente ben poco brillante, si mostra in tutta la sua pochezza: è un pessimo oratore, poco attraente, privo di ideali politi o di alcun tipo di acutezza.

Egli è un uomo “banale”, mediocre, dannatamente insulso e perlopiù manovrato dai desideri ambiziosi di una moderna “Lady Macbeth” (la moglie Lynne) ancor più assettata di potere.

 

 

Ma, pur rimanendo un inetto privo di alcuna aspirazione, strisciando silenziosamente tra una occasione e l’altra e approfittando della vicinanza dei “potenti”, egli riesce in pochi anni ad emergere politicamente, a fianco di Donald Rumsfeld e del presidente Ford.

L’occasione per esercitare finalmente il potere assoluto, pur restando comodamente nell’ombra, gli si presenta grazie al presidente Bush junior, interpretato da Sam Rockwell, dipinto nel film come un imbecille facilmente manovrabile, incapace di governare, che ottiene la poltrona quasi “per via ereditaria”.

Debole e incompetente, il piccolo Bush è la preda perfetta per Dick Cheney, che ne diventa presto il burattinaio.

George W. Bush: Ti voglio come vicepresidente. Io, George Bush, voglio te.
– Dick Cheney: Io ti ringrazio, ma sono già l’amministratore delegato di una multinazionale, sono già stato segretario della Difesa e sono già stato Capo di Gabinetto della Casa Bianca, quindi la vicepresidenza non è che una carica simbolica. Se invece trovassimo un diverso accordo, se mi dessi le deleghe per cose più… banali… amministrazione, esercito, energia e politica estera…”

 

 

Dick Cheney, approfittando delle informazioni ottenute in qualità di vicepresidente e piazzando i propri uomini in ruoli chiave dell’amministrazione, diviene, all’insaputa della popolazione americana, il vero cuore pulsante della Casa Bianca.

È Dick il solo ad impartire ordini l’11 settembre 2001, approfittando dell’assenza del presidente, è Dick a dirottare tutti sulla necessità di muovere guerra in Medio Oriente, è Dick a rendere praticabili alcune forme di tortura nei confronti dei prigionieri politici, ed è ancora Dick ad aggirare le leggi per mettere in pratica la teoria dell’esecutivo unitario e a favorire le multinazionali.

Vice non è semplicemente la trasposizione cinematografica della vita di Dick Cheney, esso è la chiara dimostrazione di come l’attuale crisi politica, la nascita dell’ Isis, l’aggressiva gestione del terrorismo furono in gran parte causate dalle azioni occulte di quell’uomo che, paradossalmente, fece del restare nell’ombra il proprio unico e grande punto di forza.

 

Giusy Mantarro

 

https://youtu.be/PkdnBmUHAYg

Il primo Re

Film italiano che sfiora lo stile hollywoodiano. Voto UvM: 4/5

 

 

 

 

 

 

 

 

Con “Il primo re”, il regista Matteo Rovere ha avuto l’ardire di spingersi oltre, addentrandosi in territori  più vicini a quelli della fantascienza.

Snodo narrativo è la vicenda di Romolo e Remo, i due fratelli ai quali racconti mitici e testi storici fanno ricondurre la nascita di Roma nel 753 a.C.

 

 

Rovere si serve della Storia per infondere verità e credibilità ai personaggi e al mondo antico, selvaggio e repellente, che porta in scena.

L’uso del latino e di elementi scenografici aderenti alla realtà storica sono da intendersi come dettagli fondamentali per una messinscena che punta tutto il suo potenziale espressivo sull’immersione dello spettatore.

E Il primo re non si limita certo alla superficie del mondo che rappresenta; non è, cioè, un kolossal storico tradizionalista.

Il regista romano scomoda il passato per ripensare al presente, senza confinare la pellicola all’appartenenza ad un contesto temporale limitato dal ricordo storico.

 

 

“Il primo re” rappresenta il conflitto spirituale tra Romolo e Remo, rispettivamente l’uomo pio e rispettoso ed il rivoluzionario.

Accanto, trovano spazio anche spunti non meno significativi, come l’inscindibile rapporto tra uomo e natura o l’espressione di un istinto di sopravvivenza naturale nell’uomo.

Ci sono la furia e la veemenza visiva di The Revenant, la violenza brutale dell’uomo sull’uomo di Apocalypto, tutto focalizzato su una linea narrativa molto semplice di un fratello che ne protegge un altro in difficoltà mentre tutto il mondo complotta per dividerli perché “così vogliono gli dei”.

L’arte cinematografica italiana con “Il primo re” torna su parametri hollywoodiani, senza sforzi economici o imitativi, ma con l’efficacia comunicativa caratteristica di un lavoro brillante, firmato Matteo Rovere.

 

Antonio Mulone

 

DAMS e LUX in collaborazione per il bene del mondo: il buon cinema in sala

26 febbraio 2019. Messina. Via Largo Seggiola. Si è svolta la giornata pilota della seconda edizione della rassegna cinematografica “il DAMS in sala”, a cura del prof. Federico Vitella, insegnante di Storia del Cinema presso il Dipartimento di scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli studi culturali, in collaborazione con Umberto Parlagreco, gestore dei cinema LUX  e IRIS di Messina. Rassegna dedicata ai grandi classici della storia del cinema.

Federico Vitella e Umberto Parlagreco spiegano come nasce la loro collaborazione ed il perché:

“la nostra collaborazione nasce innanzitutto perché siamo appassionati di cinema e poi come avrà ben notato facciamo dei mestieri in linea con questo progetto che stiamo portando avanti, io sono per l’appunto un professore di Storia del Cinema e Umberto è un esercente. Il nostro obiettivo comune – commenta ironicamente il Prof. F. Vitella – è lavorare per il BENE DEL MONDO! Perché abbiamo sempre più bisogno di cinema e sempre più bisogno di BUON cinema; Ci teniamo molto affinchè il cinema venga visto al cinema soprattutto ora, in un momento come questo, di grande difficoltà, ove le sale cinematografiche chiudono un giorno sì e l’altro pure, pensare di riportare i grandi classici sul grande schermo è quasi un atto rivoluzionario, anzi, è un atto rivoluzionario.

La collaborazione è questa, ma chiaramente non finisce qui, faremo molto altro…abbiamo solo deciso di iniziare dai  Fratelli Lumière poiché sono considerati gli inventori del cinema, gli inventori dell’apparecchio cinematografico, i primi grandi produttori cinematografici, che hanno fatto film per un decennio, dal 1895 al 1905. In sala è stato proiettato un montaggio di oltre 100 film restaurati dagli archivi francesi del Centre National de la Cinématographie ad opera dell’Istituto Lumière di Parigi.”

Umberto Parlagreco interviene dando maggiori delucidazioni tecniche e spiegando che non è un evento esclusivo e riservato o di nicchia, anzi, è aperto all’intero pubblico cittadino ad un prezzo modico per far sì che i grandi capolavori di ogni tempo tornino ad essere prime visioni:

“La struttura del LUX ospiterà in totale 6 appuntamenti che ripercorrono tutta la storia del cinema, i film sono aperti a tutti gli studenti universitari e gli studenti delle superiori con una corsia preferenziale che consiste in un prezzo ultra scontato di € 3.50. Per chi non appartenesse a queste due categorie il prezzo sarà di € 5.00 con la possibilità di fare anche un abbonamento di € 15.oo per tutta la rassegna.”

Attraverso la visione condivisa davanti a un grande schermo si recupera l’aurea magica di questi film. Si tratta di pellicole restaurate negli ultimi anni con tecnologia digitale, pertanto risultano di una nitidezza visiva mai raggiunta prima. Ogni proiezione è introdotta e commentata da docenti del dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli studi culturali specializzati in materia. I prossimi appuntamenti saranno: Metropolis di Fritz Lang, Luci della città di Charlie Chaplin, Ladri di biciclette di Vittorio de Sica, Il disprezzo di Jean-Luc Godard e Toro scatenato di Martin Scorsese.

Gabriella Parasiliti Collazzo

 

Il ragazzo più felice del mondo

“Quando c’ho una storia per le mani e quell’entusiasmo lì io sono discretamente contento, era lui quando riceve i disegni, penso sia Gero quando troviamo l’idea giusta per far un corto. Penso che sia un fenomeno che si verifica ogni volta che la tua passione prende una concretezza e nel mio caso annulla tutto quello che c’è attorno”. Così esordisce Gian Alfonso Pacinotti, in arte Gipi, alla mia domanda su chi fosse questo famigerato ragazzo tanto felice.

Sabato 16 febbraio alla Multisala Iris di Messina è stato proiettato il film “Il ragazzo più felice del mondo” di Gipi. Presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, il film affronta vicende tratte da una storia vera: un fumettista, con un’innata passione per le riprese, decide di girare un documentario dai toni più leggeri che si focalizza in particolare su una domanda su cui oggigiorno in pochi si fermano a riflettere: “essere prima un uomo o un avvoltoio?”

Date del tour in Sicilia, con intervento di Gipi e Gero Arnone

Nel film vediamo un ragazzo, o meglio, quella di un ragazzo è la realtà in cui egli si rifugia; da 20 anni, reiteratamente, scrive ai suoi fumettisti preferiti elogiandoli. Tuttavia, c’è una peculiarità che accomuna queste lettere: a tutti viene recapitata la medesima, dallo stesso ragazzo, con la stessa età, gli stessi apprezzamenti, l’unica cosa che cambia è il tema del disegno che richiede, che naturalmente varia a seconda dell’artista.

Una delle lettere scritte dall’ammiratore

Gipi, insieme alla sua estroversa ed improvvisata troupe, parte all’insegna di un viaggio alla ricerca di quello che la nostra realtà –  ahimè – definirebbe tranquillamente uno squilibrato; incontrano sensitivi e grafologi i quali gli permettono di tracciare un profilo psicologico della preda perfetta.

Arrivati nella tanto attesa cittadina sul mare, casa del collezionista misterioso, Gipi sta per dare un volto al nostro fatidico ragazzo, ma c’è un problema: Gipi ci delude. Si ricorda di essere prima un uomo, e non un avvoltoio! Prende il suo pullman e sceglie di tornare sui suoi passi, decidendo di chiudere così il film.

“Per una volta ho voluto provare ad essere buono”, questa è la sua risposta alla domanda da parte di alcuni spettatori presenti in sala, forse anche un po’ delusi per un finale meno interessante delle aspettative.

Tutto sommato Gipi decide di lasciarci qualcosa. Ha conservato in una scatola tutti gli apprezzamenti di quell’ingannevole ammiratore, di un giudice che a volte può risultare distruttivo per un artista, che con le sue insicurezze, fa dello spettatore una droga quotidiana, quelle lettere che per il nostro caro regista erano divenute del tutto illusorie. Così facendo non ci ha lasciato qualcosa di effimero, non si è comportato da sciacallo e ha evitato di dare in pasto a noi, infami giudici, il piccolo uomo.

E allora mi riferisco a Te, piccolo uomo di questo film, che ti trovi tutti i giorni ad affrontare i postumi di quello che la vita ti ha riservato, sii ancora felice quando scrivi una lettera, sii felice con i tuoi disegni, non aver paura, continua a scrivere per sentirti più libero dalle costrizioni della vita. Fin quando ci saranno uomini che gioiranno per un messaggio trasmesso a pochi, più che per una cascata di “mi piace”, tu potrai continuare a gioire quando alla tua porta arriverà ancora un disegno.

Gipi, il tuo tuffo nel mondo dei buoni è riuscito, per questa notte potrai fare sogni tranquilli. In una piccola sala, come quella dell’Iris, non solo hai lanciato l’ennesimo film, ma con una buona dose di umiltà mista a spirito pratico hai anche lasciato un grande messaggio di tolleranza.

Mattia Castano

Apollo Spazio Cinema: la narrativa siciliana sul grande schermo

Una sequenza di capolavori restaurati, da Luchino Visconti a Elio Petri, ispirati ai romanzi dei grandi autori siciliani

La programmazione del cinema Multisala Apollo, dal 10 gennaio, ha avviato un ciclo di proiezioni che ha al centro il doppio filo tematico che unisce letteratura siciliana e trasposizione in chiave cinematografica. La rassegna, alla prima edizione, è intitolata “Apollo Spazio Cinema” e presenta, da gennaio a giugno, due appuntamenti fissi sul calendario, il primo e l’ultimo giovedì di ogni mese. I film introdotti da Marco Oliveri, giornalista e critico cinematografico, sono stati scelti su iniziativa dell’Associazione Apollo Spazio arte, con il patrocinio di Cineforum Don Orione, Dams di Messina, Messina Film Commission e UniversiTeatrali – Università di Messina.

Un’occasione imperdibile per vedere sul grande schermo alcune eccezionali pellicole che hanno fatto la storia del cinema italiano e internazionale. “Si tratta di una prima esperienza nel segno della proposta culturale, in vista di nuove edizioni, data la varietà di titoli legati al prolifico e variegato mondo letterario siciliano e non solo. Tutti possono contribuire ad arricchire il dibattito e il confronto prima e dopo il film in programmazione”, specificano il curatore Oliveri e Loredana Polizzi. Dopo La terra trema di Luchino Visconti (1948), proiettato il 10 gennaio, basato su I Malavoglia di Giovanni Verga e girato, non a caso, ad Aci Trezza, il prossimo appuntamento, giovedì 31, porterà nella Catania borghese di inizio anni ’60.

31 gennaio (ore 20.00): Il bell’Antonio (1960)Mauro Bolognini (105 minuti)

Antonio Magnano (Marcello Mastroianni) è un giovane dall’aspetto piacevole ed elegante. Per qualche tempo ha vissuto a Roma e, dopo gli studi, è tornato nella casa di famiglia a Catania. Le ragazze molto sovente sono attratte da lui e una più di tutte, Barbara (Claudia Cardinale), attira la sua attenzione. I due presto, con il consenso dei genitori, si sposano, ma il matrimonio non viene consumato e l’onore della famiglia di Antonio sarà messo in discussione agli occhi della società, pettegola e avvinta al mito del Don Giovanni. Tratto dal romanzo omonimo di Vitaliano Brancati, scrittore originario di Pachino, dal quale si discosta in alcuni punti della trama, il film riprende gli ambienti corali del libro, echi di una Sicilia che nasconde sotto il valore della virilità e della potenza sessuale la propria meschinità e arretratezza.

PROGRAMMA:

Giovedì 10 Gennaio: La terra trema (1948) di Luchino Visconti, da I Malavoglia di Giovanni Verga.

Giovedì 31 gennaio: Il Bell’Antonio (1960) di Mauro Bolognini, dal romanzo omonimo di Vitaliano Brancati.

Giovedì 7 febbraio: Don Giovanni in Sicilia (1967) di Alberto Lattuada, dal romanzo omonimo di Vitaliano Brancati.

Giovedì 28 febbraio: A ciascuno il suo (1967) di Elio Petri, dal romanzo omonimo di Leonardo Sciascia.

Giovedì 7 marzo: Enrico IV (1984) di Marco Bellocchio, dall’omonimo dramma di Luigi Pirandello.

Giovedì 28 marzo: Cadaveri eccellenti (1976) di Francesco Rosi, dal romanzo Il contesto di Leonardo Sciascia, preceduto dal documentario Il cineasta e il labirinto (Italia, 2002, 55’) di Roberto Andò (inizio proiezione alle 19.30).

Giovedì 4 aprile: Todo Modo (1976) di Elio Petri, dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia.

Giovedì 18 aprile: Porte aperte (1990) di Gianni Amelio, dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia.

Giovedì 2 maggio: Kaos (1984) di Paolo e Vittorio Taviani, da Novelle per un anno di Luigi Pirandello.

Giovedì 30 maggio: Il gattopardo (1963) di Luchino Visconti, dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Giovedì 6 giugno: Il manoscritto del principe, sceneggiatura originale da testi di Francesco Orlando e Gioacchino Lanza Tomasi.

 

Eulalia Cambria

Oscar 2019: tutte le candidature!

“It’s party time” direbbero dall’altra parte dell’oceano.

E’ tempo di champagne, smoking elegantissimi e scollature da brivido lungo la schiena.

Le stelle più luminose di Hollywood, come ogni anno, stanno per tornare in scena per la 91° volta nella “notte degli Oscar” promossa dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, che riunisce circa ottomila professionisti del settore (registi, attori, direttori della fotografia e costumisti, e così via).

La cerimonia dove saranno annunciati i film vincitori, si terrà il prossimo 24 febbraio nel magico Dolby Theatre di Los Angeles.

Allestito per l’evento, con il consueto eterno fascino, un “red-carpet” da sogno pronto ad accogliere e coccolare le celebrità più acclamate.

Dopo la rinuncia di Kevin Hart, in seguito al polverone di polemiche generatosi per via di alcune “uscite social poco garbate” contro la sfera omosessuale pubblicate dallo show-man nove anni fa, per la prima volta nella storia delle statuette cinematografiche più antiche del mondo, la serata non sarà presentata da nessun conduttore

Le pellicole più nominate sono: “La Favorita” di Lanthimos (tra cui le tre attrici Olivia Colman già Coppa Volpi e Golden Globe, Rachel Weisz e Emma Stone) e “Roma” di Cuaròn con ben 10 candidature (tra cui miglior film e miglior film straniero).

L’inatteso Black Panther, con sette nomination, rompe le rigide consuetudini hollywoodiane attraverso un cine-fumetto rivoluzionario per le tematica dell’eroe anti-razziale e l’efficacia comunicativa.

Sei candidature per “BlacKkKlansman” di Spike Lee che, dopo trent’anni di carriera, è riuscito finalmente ad essere nominato nella sezione miglior regista oltre che per miglior film.

Attesissimi “Green Book” di Ferrelly con Ali e Mortensen candidati come migliori attori e “Se la strada potesse parlare” di Jenkins.

“Bohemian Rapsody”, primo per incassi e gradimento emotivo da parte del pubblico, merito anche delle straordinarie musiche dei Queen, riceve 5 candidature tra le quali spiccano miglior film e miglior attore a Rami Malek che pare essere leggermente indietro al favoritissimo Willem Defoe protagonista della trasposizione cinematografica della personalità artistica complessa ed affascinante del pittore Vincent Van Gogh.

Binomio romantico di nomination nella sezione migliori attori per “A star is born” di e con Bradley Cooper e Lady Gaga, vincitori annunciati nella categoria di miglior canzone con la struggente Shallow.

Da segnalare sono le prestazioni attoriali del solito camaleontico Christian Bale in “Vice” e della straordinaria 72enne Glenn Close in “The wife”.

Sale l’ansia dei fan da tutto il mondo per la notte del cinema più attesa e sognata.

Saranno la potenza emozionale della settima arte, quel soffio di magia, l’incertezza e l’esclusività che vestono gli Oscar di un fascino intramontabile.

Del resto, il cinema, motore culturale di idee e sogni, è la reinterpretazione della vita.

Antonio Mulone

Mostre a Palermo: Vittorio Storaro e Antonello da Messina

A Palermo è stata accolta presso il Palazzo Chiaramonte Steri la mostra dedicata a Vittorio Storaro dal titolo “Scrivere con la luce”. Ha rappresentato un’occasione innovativa per scoprire la maestria di un importante autore della fotografia cinematografica.

Vincitore di numerosi premi tra cui tre premi Oscar per Apocalypse Now, Reds e L’ultimo imperatore, Vittorio Storaro ha lavorato con diversi registi come Bernardo Bertolucci e Francis Ford Coppola, e curato la fotografia di film rimasti nella storia (“Il Conformista”, “Ultimo tango a Parigi”, “Giordano Bruno”, “Novecento”, “Il tè nel deserto”). 

Innanzitutto, un po’ di chiarezza. Chi è l’autore della fotografia cinematografica? Una figura professionale, fondamentale per un set di un film, che ne cura la resa visiva, cioè l’aspetto dell’immagine in movimentoLa mostra è stata distribuita all’interno della Sala delle Armi e la Sala delle Verifiche, ed è stata allestita partendo dalla trilogia di libri scritti dall’artista per poi fare un confronto tra opere pittoriche (dal ‘700 in poi) e la cinematografia dei vari film.

La speranza è quella che in futuro verranno ideate ulteriori esposizioni riguardo alla settima arte, cercando anche di coinvolgere personalità della realtà cinematografica siciliana, in modo da fare sempre meglio e da espanderne la conoscenza con ampia risonanza.

L’Annunciazione, Antonello da Messina

La mostra di Antonello da Messina al Palazzo Abatellis invece è forse la più frequentata dal pubblico, nella quale sono presenti diverse opere provenienti da musei sparsi in molte città italiane e non solo.

Il percorso è suddiviso in diverse sale e presenta una sequenza cronologica della carriera artistica dell’autore. A partire dalla giovane età con dipinti del periodo fiammingo, per poi arrivare al periodo veneziano, che comprende la collaborazione con il figlio Jacobello nell’opera la Madonna col Bambino. Il tragitto viene seguito da grandi pannelli didattici che mostrano la vita e la storia delle opere dell’artista.

Questa monografica è una prova di come sia possibile realizzare mostre di grandi autori che, anche se spesso considerati minori, non hanno nulla da invidiare a quelli europei. L’unica nota negativa di questa mostra è l’assenza di altri lavori altrettanto rilevanti realizzati dal pittore, che rimangono visionabili solo fuori porta.

Avendo assistito nello stesso giorno a due mostre di impostazione e tipologia diverse, ma ugualmente interessanti, ho maturato alcune riflessioni. Sorge dunque spontaneo proporre il seguente confronto: la mostra di Antonello da Messina è organizzata sulla base di un ordinato orientamento spaziale; quella di Storaro, pur rispecchiando parzialmente questi canoni, risulta a tratti dispersiva, aspetto probabilmente attribuibile all’ampiezza delle sale.

“Scrivere con la luce” Vittorio Storaro, Palazzo Steri

Nonostante sia sicuramente una scelta valida confrontare i vari film con opere pittoriche che risalgono a epoche dal ‘700 in poi, questo aspetto rimane poco comprensibile e accessibile a quella parte di pubblico che non ha già visto preventivamente tutti i film.

Se le stampe dei frame fossero state sostituite con l’installazione di pannelli virtuali proiettanti pochi secondi di film, si sarebbe garantita maggiore dignità al maestro della luce Vittorio Storaro, mostrandola in tutta la sua interezza.

“Il cinema non è un’opera singola. Il cinema è un linguaggio di immagini attraverso cui si esprime un concetto, essendo l’immagine rilevata dal conflitto e dall’armonia dell’ombra e della luce e, come li chiamava Leonardo da Vinci, dei loro diretti figli: i colori. Infatti una diversa impostazione della luce, comporta nel film una differente struttura figurativa.”  Vittorio Storaro

 

Marina Fulco

Van Gogh – Sulla Soglia dell’Eternità

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Sono stati tanti i registi che ispirati dal folle genio di Vincent Van Gogh ne hanno proiettato la vita e le opere sul grande schermo.

Questa volta a farsi carico della responsabilità di rappresentare al meglio l’arte del visionario pittore è stato Julian Schnabel; lo statunitense regista, trascorsi vent’anni dal suo esordio (un biopic sull’artista Basquiat), torna nuovamente a parlar d’arte.

Van Gogh – Sulla Soglia dell’Eternità verte sugli ultimi anni della vita del pittore, concentrandosi sulla sua figura di uomo, sul rapporto viscerale che lo lega al fratello Theo, su quello con l’amico e collega Paul Gauguin (Oscar Isaac), concludendosi con la tragica morte.

Il film si apre con Vincent, interpretato da un eccellente Willem Dafoe, che ormai stanco ed esasperato dalla vita nella capitale francese, proprio su consiglio del suddetto amico, decide di trasferirsi a sud della Francia, nella città di Arles.  Ed è qui che, lontano dal grigiore di Parigi, Vincent si darà alla libera ricerca di quella luce e di quel calore che ispireranno sempre i suoi dipinti.

Il film è pervaso interamente da un malinconico sentimento di bonaria rassegnazione. L’artista sa che la sua arte è destinata al successo, ma è inconsciamente consapevole che, finché sarà in vita, mai questo successo gli verrà riconosciuto. Tutto ciò che nella sua vita è stato è un cammino che porterà i posteri a poter godere della sua immensa arte. Grazie ad un saggio uso dei filtri che se nei momenti di crisi e sconforto, sono freddi, cupi, nei momenti di gioia sono colorati e luminosi, è facile per lo spettatore immedesimarsi in quelle atmosfere e nei sentimenti dello stesso Vincent.

Funzionali a questo proposito anche l’ottima sceneggiatura e l’ottima regia che, senza sbavatura alcuna, riescono pienamente a trasportarci in un visionario mondo pittorico. Doveroso citare quindi le speciali musiche per violino e pianoforte composte da Tatiana Lisovkaia che seguono i variabili stati d’animo del tormentato pittore, e sono ora concitate, movimentate, ora pacate e mistiche. Willem Dafoe con la sua bravura, la sua straordinaria mimica, riesce a interpretare perfettamente il dolore e il dramma del pittore, emozionando e commuovendo. Quest’opera non ha nulla da invidiare ai suoi predecessori; raggiunge pienamente il suo intento di raccontare in maniera innovativa e quasi sperimentale la travagliata vita di Van Gogh, pittore e uomo complesso, nonché l’immensa grandezza della sua arte.

Benedetta Sisinni

Resta con me: un viaggio che si è tramutato in naufragio

Resta con me. Un titolo, uno scenario che ha fatto sognare un milione di persone, con mille emozioni che richieggiavano nelle sale cinematografiche. Un film che ci fa sembrare il Titanic solo un ricordo lontano. Lo scontro con un violento uragano per raggiungere Thaiti.

Due giovani sfidano il mare ma non sanno cosa troveranno o se si ritroveranno loro stessi, in un’avventura che si è trasformata in un drammatico naufragio. Una storia vera accaduta a una giovane coppia che, durante un viaggio verso Tahiti, a bordo di una barca a vela, dovette affrontare un uragano. In Italia al Box Office Resta con Me ha incassato 3,2 milioni di euro.

“Non aver paura di spiegare le tue vele”

Dalila De Benedetto