Consigli per Halloween: film e serie TV per sopravvivere alla notte delle streghe

La notte delle streghe è arrivata.

Questo 2020 fa molta paura già di suo, ma inevitabilmente anche quest’anno ci tocca affrontare la notte di Halloween.

Abbiamo scelto pertanto di non parlare dei più spaventosi film horror della storia, come li ha definiti uno studio pubblicato da poco. Andremo invece ad analizzare film e serie TV che rendono giustizia a questa festa anche se non suscitano vero e proprio terrore durante la visione.

Halloween – La notte delle streghe (1978) di John Carpenter

Un film che all’epoca in cui uscì scatenò una paura frenetica negli spettatori. Ad oggi difficilmente potrebbe terrorizzare qualcuno, tuttavia resta il capostipite assoluto dei cosiddetti slasher movies (genere di film in cui un uomo mascherato uccide solitamente un gruppo di adolescenti).

Il film è ambientato nella città di Haddonfield, divenuta una vera e propria icona di questa festa.

Laurie Strode (Jamie Lee Curtis) conduce una vita abbastanza tranquilla fino a quanto uno strano uomo mascherato non comincerà a perseguitarla. Si tratta proprio del crudele Michael Myers (Nick Castle); il criminale che, 15 anni prima, proprio nella notte di Halloween, aveva ucciso la sorella maggiore Judith.

Viene quindi arrestato e trasferito in un ospedale psichiatrico dove è sottoposto alle cure del dottor Sam Loomis (Donald Pleasence). Il medico tuttavia dopo qualche anno decide di non curare più il paziente in quanto ritiene che sia il male fatto persona.

Quest’anno però Michael è riuscito a scappare dal manicomio ed è pronto ad effettuare una carneficina.

Michael Myers leggermente arrabbiato – Fonte: noidegli8090.com

Il film con un budget di 300.000 dollari, in soli 20 giorni ne incassò 70 milioni.

Oltre la trama, ciò che rende questa pellicola un capolavoro dell’orrore è sicuramente la celebre ed inquietante colonna sonora ideata dallo stesso John Carpenter. Straordinarie anche le tecniche di ripresa messe in pratica dal regista, mediante le quali riesce ad alimentare una forte tensione (utilizzate ancora oggi nei più famosi film horror).

Halloween – La notte delle streghe conta la bellezza di 9 sequel e di un prequel, ha dato perciò origine ad una vera e propria saga.

Nightmare before Christmas (1993), Henry Selick

Film realizzato in stop-motion diretto da Henry Selick, ideato e prodotto da Tim Burton. Per i bambini, ma non solo, si tratta di una delle pellicole migliori da vedere nella notte di Halloween (volendo anche a Natale).

Il film narra la storia di Jack Skeletron: uno scheletro molto amato nel Paese di Halloween (il mondo cui vive) dove riveste il ruolo del re delle zucche.

Jack Skeletron in una scena del film – Fonte: ohmy.disney.com

Dopo i festeggiamenti del 31 Ottobre, questa volta Jack è infelice. Si ritrova immerso in uno stato di insoddisfazione personale e comincia a camminare nel bosco per meditare. Ad un certo punto si ritrova davanti ad una serie di alberi di cui ognuno ha disegnato rispettivamente il simbolo di una festa. Jack decide di aprire quella che lo catapulterà nel regno del Natale. Attratto dalle luci, dai regali e dalla figura di Babbo Nachele si innamora perdutamente di questa festa.

Tornato infatti nel suo regno natio è deciso a voler festeggiare il Natale, anche se in un modo del tutto suo, incontrando non poche avversità.

Il film (considerando il periodo in cui uscì) era molto all’avanguardia nell’utilizzo degli effetti speciali. Venne infatti candidato agli Oscar del 1994 nella rispettiva categoria; la scenografia e le musiche sono altri punti di forza.

Le gotiche e tenebrose ambientazioni creano una perfetta atmosfera burtoniana ed enfatizzano esponenzialmente lo stile orrido della pellicola; mentre le canzoni orecchiabili vengono adoperate perfettamente per narrare il racconto ed introdurre nuovi personaggi.

The Hauntig of Hill House/Bly Manor (2018, 2020), Mike Flanagan

La serie tv che vi consigliamo è in realtà un “doppio titolo”: dopo la prima stagione di successo, la serie antologica The Haunting fa il bis con l’attesissima seconda stagione. Pur avendo alcuni punti in comune, tra cast e il topos classico della casa, le due stagioni presentano trame completamente differenti.

Hill House è la casa infestata più famosa degli USA: i fratelli Steve, Shirley, Theo, Nell e Luke Crain si troveranno ad affrontare nuovamente i fantasmi del passato, dopo essere cresciuti nella villa fino a un tragico avvenimento che li ha fatti disperdere in giro per il paese. Di nuovo riuniti (e sempre in occasione di un evento grave) i ricordi d’infanzia si mescoleranno con il presente, in 10 puntate da guardare tutte d’un fiato.

Da sinistra a destra: Theo (Kate Siegel), Steve (Michiel Huisman). Nell (Victoria Pedretti), Luke (Oliver-Jackson Coen) e Shirley (Elizabeth Reasel) di fronte ad Hill House- Fonte: netflix.it

Nella seconda stagione, un lungo flashback dell’educatrice americana Dannielle “Dani” Clayton ci porta nell’Inghilterra di fine anni ’80: la giovane viene assunta da Lord Henry Wingrave per fare da istitutrice ai due nipoti, residenti a Bly Manor. I bambini hanno infatti vissuto una duplice esperienza traumatica, legata alla grande villa in campagna, che ha influito pesantemente sui delicati anni dell’infanzia. La strada per convivere con i bambini e con Bly Manor si rivelerà piena di ostacoli per Dani, che però non si arrenderà facilmente.

Da sinistra a destra: Flora Wingrave (Amelia Bea Smith), Dani (Victoria Pedretti), Miles Wingrave (Benjamin Evan Ainsworth) – Fonte: universalmovies.com

Pur suscitando paura in alcune scene, la vera forza di questa serie risiede nella trama, nei dialoghi e nella caratterizzazione dei personaggi, che avvolgono completamente lo spettatore nelle difficili vite dei protagonisti, facendoli sentire realmente parte dei fatti narrati. Tutte rarità nel panorama horror ordinario.

Non vi resta che mettervi comodi e seguire i nostri consigli per questa notte di Halloween: spesso è difficile trovare qualità nel genere horror, ma siamo certi che l’enorme mole di pellicole e serie tv prodotte saprà tenervi la giusta compagnia.

 

Vincenzo Barbera, Emanuele Chiara

 

Immagine in evidenza: casalenews.it

Roberto Benigni, maestro della risata e della leggerezza

Roberto Benigni, è a lui che dobbiamo alcuni dei ricordi più divertenti ed emozionanti degli ultimi 50 anni del mondo dello spettacolo: Sophia Loren che lo annuncia come vincitore dell’Oscar nel 1999, i suoi racconti strampalati e le sue gag al “David Letterman Show” o al “The Graham Norton Show”, lo scambio di pantaloni con Baudo o l’assalto, con tanto di «Che bella chiappa!», a Raffaella Carrà.

Benigni agli Oscar del 1999 – Fonte: avvenire.it

Per non parlare poi della sua attività di divulgazione culturale tramite la lettura, il commento della Divina Commedia e dei dieci comandamenti (che gli sono valse svariate lauree honoris causa in lettere e filologia). Insomma, l’attore toscano è entrato nei nostri cuori grazie alla sua leggerezza, alla sua ironia e al suo spirito sempre giovane che ci fa ricordare quanto sia bello ridere di gusto.

Proprio oggi, al compimento dei suoi 68 anni, vogliamo omaggiarlo e soprattutto ringraziarlo per alcune delle sue migliori interpretazioni sul grande schermo.

1) Johnny Stecchino (1991)

Se un film in cui recita Benigni è un capolavoro garantito, come può non esserlo ancora di più un film con un “doppio” Benigni? In Johnny Stecchino lo troviamo ad interpretare sia Dante, uno scapestrato autista di scuolabus, sia – appunto – Johnny, boss pentito della mafia di Palermo. A tenere insieme questi due personaggi c’è Maria (Nicoletta Braschi), la moglie del pentito.

Lei, dopo aver incontrato per caso Dante, comincia a ordire un piano per far fuggire il marito da Palermo approfittando dell’incredibile somiglianza tra i due. Il susseguirsi di un equivoco dopo l’altro ci accompagneranno tra le (dis)avventure di Dante a Palermo, ignaro del perché abbia gli occhi di tutti puntati addosso quando cammina per le strade della città.

Benigni è magistrale nel caratterizzare alla perfezione entrambi i personaggi: Dante, così ingenuo e gentile e Johnny, così rude e crudele.

E poi, chi avrebbe immaginato che rubare una banana a Palermo fosse così pericoloso?

Benigni nei panni di Johnny – Fonte: roberto-benigni.com

2) Il mostro (1994)

Benigni interpreta, come spesso accade nei suoi film, un vinto dalla vita. Lo troviamo infatti nei panni di Loris, un quarantenne disoccupato che tira avanti rubacchiando qualcosa qua e là e facendo dei lavoretti saltuari. Nella zona in cui abita Loris sono ormai alcuni anni che un serial killer, definito “il mostro”, perpetra una serie di efferati omicidi che hanno come bersaglio giovani e belle donne.

Per un malinteso nato durante una festa, Loris verrà sospettato di essere il mostro. La polizia comincerà dunque a investigare su di lui e incaricherà la poliziotta Jessica (ancora Nicoletta Braschi) di avvicinarlo per studiare da vicino le sue mosse. Ne nascerà un’esilarante commedia in cui i doppi sensi e le sfortunate coincidenze la fanno da padrone, e noi vi consigliamo di seguirla fino alla fine per conoscere la sorte del povero Loris.

Loris in una scena del film – Fonte: taxidrivers.it

3) La vita è bella (1997)

Senza tanti giri di parole è il capolavoro di Benigni. L’attore veste i panni di Guido, un libraio di origine ebraica sposato con Dora (la solita Nicoletta Braschi). Dal loro amore nasce Giosuè e la loro famiglia vive felice nonostante il periodo delle persecuzioni fasciste. Questo fino al 1944, quando vengono deportati in un lager.

È a questo punto che l’ingegno del padre si mette in moto: per proteggere il figlio dall’orrore dei campi di concentramento fa credere al bambino che siano stati scelti per partecipare a un gioco a punti, in cui il premio finale è un carro armato vero. Vincitore di 3 premi Oscar (miglior attore protagonista, miglior film straniero e miglior colonna sonora), è stato da alcuni criticato per la leggerezza con cui tratta uno dei capitoli più bui della storia. In realtà sta proprio qui la sua forza, far ricordare che ci può essere del buono in ogni situazione e che la purezza di un bambino non dovrebbe mai essere infangata dagli sbagli dei grandi.

Guido e la sua famiglia. Fonte: rbcasting.com

La lista dei suoi capolavori è veramente lunga tra cinema (basti pensare alla collaborazione con Troisi di cui abbiamo parlato in questo articolo), teatro e televisione. Qualsiasi mezzo decida di usare, noi ci auguriamo che continui a entrare nelle nostre vite per portare un po’ di buon umore come solo lui sa fare. In fondo siamo del parere che ancora nessuno sia in grado di raccogliere la sua eredità. Nessun attore infatti, ad oggi, gli somiglia “pe’ niente”.

Davide Attardo

#OttobreRosa: Allacciate le cinture, una commedia drammatica al femminile

In queste settimane dedicate alla campagna di sensibilizzazione per la prevenzione e la cura del cancro al seno, noi di UniVersoMe ne stiamo trattando ogni aspetto; nell’ambito della rubrica Recensioni abbiamo scelto il film Allacciate le cinture, pellicola proiettata nel 2014 nelle sale italiane e diretta dal regista italo-turco Ferzan Ozpetek.

Trama

Questa commedia drammatica – genere tipico del regista – racconta la storia di Elena (Kasia Smutniak), una giovane barista leccese che a cavallo tra gli anni ’90 e i primi del 2000 ha una relazione con Antonio (Francesco Arca), il fidanzato della sua migliore amica Silvia.

Antonio ed Elena sono dei personaggi un po’ stereotipati ma allo stesso tempo molto diversi tra loro: rozzo, razzista e omofobo lui; indipendente, acculturata e progressista lei.

Fonte: la Repubblica – Elena e Antonio 

L’azione cinematografica subisce un’evoluzione repentina. Dai primi passi della loro relazione, vi è poi uno stacco temporale e le scene giungono subito ad un prossimo futuro in cui vediamo i due personaggi sposati con figli (precisamente un bambino e una bambina). Elena adesso è socia del suo migliore amico Fabio e i due gestiscono un bar.

Le vicende di Elena

Tralasciando le tecniche cinematografiche tanto care ad Ozpetek, come ad esempio l’intersecazione di differenti piani temporali presente anche in questa pellicola, ciò che andremo ad analizzare è la vicenda che coinvolge la protagonista più o meno a metà film.

Elena casualmente si sottopone ad uno screening mammografico e le viene diagnosticato il cancro al seno.

Il regista dedica metà del suo lavoro al racconto della malattia della protagonista e del modo in cui lei la affronterà.

Elena non si abbatte subito, cerca di condurre una vita normale e di trattenere a morsi la sua quotidianità. Fa finta di niente, non mostra un minimo tentennamento neanche quando si dovrà aprire davanti alla sua famiglia raccontando cosa le sta succedendo e le terapie alle quali si dovrà sottoporre.

Ben presto però gli effetti della chemio si scagliano su di lei, ed Elena a questo punto non può più far finta che tutto sia normale (come faceva quando non era ancora a conoscenza di quel mostro si era depositato nel suo seno). Neanche Antonio può continuare a rimanere chiuso in sé stesso e nel suo dolore.

Fonte: La Gazzetta dello Sport – Elena (Kasia Smutniak)

La loro figlia comincia a capire che la madre sta male e che forse potrebbe non vederla crescere; le fa quindi delle foto. Vuole imprigionarvi il ricordo del viso.

Ozpetek – che è un maestro nel racconto sul grande schermo delle vicende umane – stavolta si concentra sul cancro e su come esso si ripercuote anche tra gli affetti e nella quotidianità della persona che ne soffre. Tutto cambia, le piccole attività non sono più le stesse, anche andare dal parrucchiere è differente; quando Maricla “un’ amica” di Antonio si offre di «farle i capelli», Elena rifiuta:  non ha più bisogno di pieghe, tinte e tagli, sa benissimo che molto presto diventerà calva e avrà – piuttosto – bisogno di una parrucca.

Fonte: La Gazzetta dello Sport, Maricla la parrucchiera (Luisa Ranieri) ed Elena

La giovane donna non viene lasciata da sola nel suo percorso contro la malattia. Forse il messaggio che cerca di veicolare il regista è proprio questo: l’importanza del contatto umano e delle relazioni in un momento così delicato.

Ognuno, nel piccolo mondo di Elena, a proprio modo le è vicino: dall’eccentrica zia all’apparente cinica madre, dall’amorevole amico Fabio alla singolare compagna di letto d’ospedale Egle che condivide la sua stessa sofferenza. Infine c’è Antonio: il loro rapporto oscilla tra alti e bassi, ma forse è l’unico che riesce a trasmettere ad Elena quella tenerezza e quell’ affetto di cui lei ha bisogno, che riesce a farla sentire desiderata nonostante le trasformazioni che il suo corpo sta subendo a causa delle cure.

 

Una storia, quella raccontata in Allacciate le cinture, che mostra purtroppo un dramma che colpisce l’universo femminile; un genere del tutto particolare, la commedia drammatica – come già sottolineato – in cui i tratti di ironia non sono affatto marginali, a differenza di quanto si potrebbe pensare, nemmeno nelle scene in cui si manifesta tutto il dolore di Elena.

Ilenia Rocca

 

The Martian: la fisica strampalata di Hollywood

Un’analisi scientifica del film di Ridley Scott, tra buffe imprecisioni e trovate (poco) geniali.

Avere una laurea in fisica ha diverse ripercussioni. La perdita della sanità mentale? Certo, soprattutto quella. Ma anche guardare un film con occhio critico (anzi, ipercritico). Così è stato quando ho avuto la felice idea di guardare “The Martian – Il sopravvissuto”, prodotto e diretto da Ridley Scott.

Siamo su Marte. L’equipaggio della missione Ares 3 della NASA raccoglie campioni da analizzare. Ancora non ho fatto in tempo a trovare la mia sedia al multisala che noto il primo errore: la camminata degli astronauti. Essendo la gravità marziana, infatti, circa un terzo di quella terrestre, gli astronauti avrebbero dovuto procedere per piccoli balzelli.

L’equipaggio ad un certo punto è costretto a partire a causa di una violenta tempesta. Domanda: ci sono tempeste così violente su Marte?  Parecchio improbabile, quasi impossibile. Questo perché la densità dell’atmosfera marziana è circa 1/100 di quella terrestre. Ma vabbè, partono.

L’astronauta Mark Watney (Matt Damon) viene colpito da dei detriti e trafitto da un palo di metallo; creduto morto a causa dei danni elettronici riportati nella tuta, viene lasciato sul pianeta rosso. Ovviamente, da buon americano, si toglie il palo ben inserito nel suo intestino con estrema facilità, per poi chiudersi la ferita con una spillatrice, senza nemmeno imprecare un po’ per il dolore. Se fossi un medico mi indisporrei un po’, ma sono un fisico, dunque glisso su questa parte e vado avanti.

A questo punto il nostro Superman marziano, conscio che nel breve periodo non c’è nessuna possibilità che la NASA possa tornare a riprenderlo, è costretto ad affidarsi al suo ingegno e alle sue conoscenze scientifiche per sopravvivere all’angusto territorio marziano. Da buon botanico (ma anche ingegnere, fisico, chimico, biologo, Iron man e uomo ragno) pianta delle patate, presenti nella base che avevano costruito, nella notoriamente fertile terra marziana, che concima con un po’ di escrementi dei suoi colleghi et voilà, ecco una coltivazione intensiva di patate!

Watney: passione agricoltore.

“Oh cavolo, manca l’acqua”. Così prende l’idrazina, elemento fondamentale nei carburanti liquidi per i razzi, e la unisce all’ossigeno per creare dell’acqua. Il tutto andrebbe fatto in un ambiente completamente isolato. È interessante sottolineare come, se proprio voleva dell’acqua, poteva riscaldare della terra marziana! Infatti, per ogni metro cubo di terra marziana ci sono circa 35 litri di acqua sotto forma di ghiaccio. Ma effettivamente fa meno figo.

Le patate crescono, Watney balla e se la spassa nella sua beata solitudine, trova anche il modo di mettersi in contatto con la Terra. Qui il regista sottolinea come la comunicazione fra i due pianeti sia un po’ problematica, e questo è più che giusto. Infatti, i segnali che trasportano le informazioni, per percorrere il tragitto Terra-Marte possono impiegare dai 6 ai 40 minuti. Finalmente una cosa fisicamente corretta, direte. Si, è vero. Ero contento.

La gioia di Watney sapendo che su Marte non c’era la suocera.

A questo punto Ridley Scott si è accorto che il suo capolavoro stava diventando un film della Disney e inserisce di prepotenza un colpo di scena. A causa di un malfunzionamento, si stacca il portellone che manteneva la base spaziale pressurizzata e con una temperatura umanamente accettabile. Infatti, la temperatura di Marte può andare da un minimo di -140 °C in “inverno” fino ad un massimo di 20 °C in “estate”. Ora, ammesso che fosse estate, comunque il nostro astronauta sfortunato si ritrovava a dover risolvere il problema della forte differenza di pressione (pari circa ad una atmosfera) tra il dentro e il fuori della base spaziale. E lui ci riesce! Come? Con un telo di plastica e un po’ di scotch. È una cosa possibile? Manco per scherzo. Con una tale differenza di pressione nemmeno la colla di Giovanni Mucciaccia poteva tenere il telo ancorato alla base.

“Cos’altro potrebbe andare storto?” e si stacca il portellone.

Ah, nel frattempo si vede un bellissimo tramonto così simile a quello terrestre. Anzi, aspetta, troppo simile: il tramonto sulla Terra è rosso perché i raggi solari vengono deviati in un certo modo dalle particelle presenti nell’atmosfera, ma avendo l’atmosfera marziana densità e composizione molto differenti da quella terrestre il tramonto sarebbe dovuto apparire di colore blu-indaco.

I compagni di avventura del buon Watney vengono poi informati del fatto che lo hanno lasciato solo a marcire su Marte. Dato che si sentivano più in colpa di me quando mangio la pizza al primo giorno di dieta, allora decidono di tornare a prenderlo. Atterrare sulla Terra e ripartire costerebbe troppo e gli farebbe perdere troppo tempo, così sfruttano l’effetto fionda per prendere velocità e tornare su Marte. Questa manovra è corretta e spesso usata nei viaggi spaziali per far prendere velocità alle navicelle: in poche parole, ci si avvicina abbastanza al pianeta per essere attirati dal suo campo gravitazionale, ma non troppo da caderci dentro e schiantarsi al suolo. In questo modo, come suggerisce il nome, si viene catapultati a velocità maggiore, proprio come funzionerebbe con una fionda. Nel frattempo gli astronauti, per alcune riparazioni, si avventurano in passeggiate spaziali senza nessun tipo di imbracatura o sostegno. Tanto, se sbagli di un millimetro puoi solo fluttuare per l’eternità nello spazio, che sarà mai.

Watney è estasiato (e giustamente direi, dopo tutti quei mesi a mangiare patate). Per poter effettivamente ricongiungersi al resto dell’equipaggio, Watney necessitava, ovviamente, di una navicella: fortuna che su Marte c’era già quella destinata alla missione successiva ad Ares 3, che riesce a raggiungere grazie ad un Rover marziano vicino alla sua base. Dalla NASA, però, gli dicono che deve alleggerirlo parecchio per far sì che parta. Bene, praticamente lo smonta tutto, e la parte finale del razzo, smontata anche quella, la copre con un telo di plastica attaccato con dello scotch (si, lo so, la fantasia non è il suo forte).

Rover marziano.

Gli altri astronauti nel frattempo arrivano in soccorso e Watney parte. Piccola parentesi: sapete cosa sono quelle stelle cadenti che vedete la notte di San Lorenzo? Sono piccoli detriti che entrano nell’atmosfera terrestre e, viaggiando ad alta velocità a causa dell’attrazione gravitazionale, prendono fuoco a causa dell’attrito con l’aria. Ora, va bene che l’atmosfera marziana è molto più rarefatta di quella terrestre, ma può un telo di plastica sopportare la velocità e il calore prodotto dall’attrito dovuto dal contatto telo-atmosfera? No. Lo scotch non avrebbe retto e il telo avrebbe preso fuoco.

Il signor Scott ha voluto inserire un ultimo colpo di scena. I fisici della NASA hanno sbagliato i calcoli di 200 metri. Possono sembrare pochi, ma a quelle velocità, anche solo qualche metro può risultare decisivo. Watney non sa come raggiungere i suoi compagni. Allora gli viene l’idea: “Buchiamo la tuta, in modo da sfruttare il getto d’aria come propulsore”. Dopo essermi ripreso dallo shock, con la mia ragazza che mi assicurava che presto sarebbe finito tutto, ho analizzato la situazione. Le tute spaziali sono pressurizzate e isolanti. Se fai un buco nella tuta, oltre a morire subito di freddo, a causa della fortissima differenza di pressione i polmoni collasserebbero. Quindi, in effetti, non gli rimane che scegliere come morire.

Inoltre, ci sono due piccole e insignificanti leggi della fisica che cozzano con questa genialata: i principi di conservazione della quantità di moto e del momento angolare. Infatti, una volta bucata la tuta, Watney doveva calcolare l’angolo di uscita del getto con elevatissima precisione, perché una volta stabilita la direzione del getto d’aria (e quindi una certa direzione del moto in un sistema isolato, come lo spazio) non la si può più cambiare in virtù del fatto che la quantità di moto si conserva. La stessa cosa vale per la conservazione del momento angolare: sempre se non fosse morto subito, una volta bucata la tuta molto probabilmente avrebbe cominciato a girare intorno ad un asse del tutto casuale. Anche se avesse raggiunto il comandante della missione, che nel frattempo si era fiondata a prenderlo, avrebbero cominciato a girare insieme senza riuscire a fermarsi, come nel tagadà della fiera. Tutto ciò perché lo spazio è vuoto e non si ha l’attrito.

Alla fine il nostro eroe, dopo mille peripezie, torna sano e salvo a casa ad insegnare come sopravvivere mangiando patate su Marte.

Nonostante i continui mancamenti durante la visione del film, devo dire che tutto sommato mi è piaciuto. Pieno di errori, certo, ma da un film di Hollywood non pretendo l’accuratezza scientifica dei documentari di Alberto Angela. Quindi gustatevelo, ma con occhio critico… da fisico.

 

Giovanni Gallo

Giulia Accetta

Viggo Mortensen: il dettaglio fa la differenza

Quanto può essere determinate per un attore esaminare tutte le sfumature di un personaggio?

Viggo Mortensen può fornirci la risposta.

In occasione del suo 62esimo compleanno, appena trascorso, andremo ad esaminare alcune delle sue interpretazioni più convincenti.

Viggo Mortensen – Fonte: cinema.everyeye.it

Il Signore Degli Anelli (2001-2003) di Peter Jackson

L’avventura fantasy per eccellenza, l’epopea tolkieniana che ha definito e consacrato il genere. All’interno della storia Viggo Mortensen ricopre il ruolo di Aragorn, ramingo del Nord (ciò che rimane dell’antica stirpe reale degli uomini).

Aragorn, attraverso il viaggio che  intraprenderà con gli altri personaggi – al fine di distruggere l’anello del potere – vivrà un percorso di crescita e redenzione del nome degli uomini, infangato da Isildur (uno dei re degli uomini). Isildur, nel momento di porre fine all’esistenza del male distruggendo il suddetto anello, cede alla tentazione di appropriarsene e porterà così al declino la stirpe degli uomini.

Close Up Poster Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re (68cm x 98cm): Amazon.it: Casa e cucina
La locandina del terzo film – Fonte: Amazon.it

Viggo Mortensen incarna perfettamente il personaggio in ogni suo aspetto, rendendolo così il ruolo che lo eleverà come attore di altissima fascia.

Riesce a far suo il ruolo a tal punto da improvvisare alcune scene e creandole dagli errori di altri attori: è famosa la scena dove riesce a deviare con la spada – per puro istinto – un pugnale lanciatogli troppo vicino e che lo avrebbe altrimenti ferito.

Viggo Mortensen non interpreta Aragorn, lui è Aragorn.

Capitan Fantastic (2016) di Matt Ross

Capitan Fantastic narra la storia di una famiglia che decide di vivere in una foresta, opponendosi allo stile di vita di un qualunque americano medio.

Ben (Viggo Mortensen) sottopone i suoi figli ad allenamenti altamente pericolosi per abituarli alle insidie di madre Natura. Oltre a questa sorta di educazione siberiana, il padre li interroga quotidianamente sui libri che gli ha incaricato di leggere: sono testi particolarmente complessi per la loro età, tuttavia nessuno si farà trovare mai impreparato.

Un fatto molto grave costringerà l’intera famiglia ad interrompere questa routine e li costringerà ad intraprendere un viaggio verso la civiltà; per cui alla fine i ragazzi e Ben stesso, dovranno trovare il giusto compromesso tra il loro stile di vita e quello a cui noi tutti siamo abituati.

Ben Cash (Viggo Mortensen) e i suoi figli nel film Capitan Fantastic – Fonte: kumparan.com

Viggo Mortensen è autore di un’interpretazione magistrale: completamente immerso nel ruolo, riesce in più occasioni a manifestare il proprio stato d’animo mediante delle microespressioni facciali che solo un grande attore è in grado di poter effettuare.

Viggo ha compreso perfettamente il proprio personaggio. Ben è un individuo estremamente complesso, per tutto il film pretende che i figli sviluppino una forte coscienza critica verso qualsiasi cosa; ma nel momento in cui comprende di non poterli tenere per tutta la vita lontano dalla civiltà, si sentirà letteralmente sconfitto.

Solo quando i suoi figli metteranno in discussione perfino i suoi insegnamenti, realizzerà di essere riuscito nei suoi intenti.

Tutto ciò ci viene mostrato soltanto tramite i silenzi e gli sguardi di Viggo stesso. Per questa pellicola l’attore ha ricevuto la nomination agli Oscar del 2017 come miglior attore protagonista.

Green Book (2018) di Peter Farrelly

La pellicola narra la storia di Tony “Lip” Vallelonga, un italoamericano che fa il buttafuori in un nightclub del Bronx. Quando il locale viene chiuso per un periodo, Tony inizia a cercare un lavoro momentaneo.

Gli giungono varie offerte, tra cui alcune direttamente dalla mafia, ma lui decide di accettare quella del musicista di colore Don Shirley (interpretato da Mahershala Ali). Vallelonga dovrà fargli da autista e da guardia del copro in un tour nel sud degli Stati Uniti dove aleggia ancora lo spietato segregazionismo.

I due, visceralmente diversi, nel corso del viaggio instaureranno una profonda amicizia.

Viggo Mortensen e Mahershala Ali in Green Book – Fonte: stanzedicinema.com

Il film, basato su una storia vera, è un capolavoro di regia. Impostato con gli schemi classici della commedia, denuncia gli orribili effetti del più becero razzismo.

Le interpretazioni di Mortensen ed Ali sono meravigliosamente complementari: da un lato Viggo ricopre il ruolo di uomo burbero, ignorante ma comunque dal cuore tenero; e dall’altro Mahershala interpreta un personaggio colto, sofisticato ma a tratti eccessivamente maniaco del bon ton.

In alcuni momenti della pellicola i due formano una coppia comica perfetta.

Mortensen è ingrassato di 20 kg per questo ruolo ed ha studiato profondamente per imparare a gesticolare durante un discorso proprio come un italiano (come abbiamo visto in The Irishman con Joe Pesci).

Green Book ha ottenuto varie nomination agli Oscar 2019 trionfando come miglior film, miglior sceneggiatura originale e miglior attore non protagonista con Mahershala Ali; mentre Viggo si è dovuto accontentare ancora una volta solo della nomination come miglior attore protagonista.

Possiamo dire che Viggo Mortensen rientra di diritto in quella cerchia di attori d’elitè, le cui abilità permettono di interpretare ruoli decisi ed introspettivi in pellicole dall’indiscusso pregio.

La sua carriera sfortunatamente non è sempre stata così brillante e al centro dei riflettori, avendo preso parte anche a pellicole dalle dimensioni più contenute e modeste. Tuttavia ciò non ha inficiato alla sua scalata verso quei ruoli che lo hanno reso ciò che è oggi: uno degli attori più acclamati del panorama hollywoodiano.

 

Vincenzo Barbera e Giuseppe Catanzaro

Cineforum Universitario: al via le proiezioni

Mercoledì 14 ottobre, alle ore 21:00, presso il Cinema Apollo, i ragazzi dell’associazione universitaria “Orione” vi aspettano per la rassegna “Cineforum Universitario”, con la prima proiezione: Joker.

Il Cineforum universitario è un’occasione di confronto e di aggregazione pensata per tutti gli studenti dell’Università di Messina. Attraverso la visione di varie pellicole, verranno affrontate numerose tematiche di attualità legate al mondo giovanile. In più, ci sarà tempo per un dibattito libero che consentirà a ciascuno di poter esprimere le proprie opinioni sugli argomenti trattati.

Il primo film della rassegna sarà Joker di Todd Phillips, con un’immensa interpretazione di Joaquin Phoenix. Costante durante il film è il suono di una risata isterica e nevrotica, che erompe inquietante e, inutilmente strozzata dal protagonista, si fa più intensa nelle situazioni meno adeguate, quando maggiore è la volontà di reprimerla, allontanando Arthur Fleck da una società già di per sé indifferente alla sua condizione e di chi, come lui, è relegato in un ghetto di Gotham dimenticato dalla politica, della quale Thomas Wayne è il simbolo.

La risata è  sintomo dell’instabilità psichica che porterà alla metamorfosi di Arthur Fleck in Joker ed è tema centrale del film, tant’è che lo stesso Phillips dichiara che l’idea di questo Joker nasce da L’homme qui rit, opera di Vitor Hugo, trasposta in pellicola nel primo dopoguerra. E proprio Phoenix afferma che, con l’obiettivo di rendere al meglio la sua performance, ha studiato dei video di persone affette da risata incontrollata: si tratta infatti di un disturbo assolutamente patologico e reale. Crisi di risa involontarie? Ma di che razza di malattia si parla? Scoprilo cliccando qui.

Nel corso del film assistiamo ad una lenta ma costante evoluzione del personaggio, ed è proprio questo viaggio verso la follia ad interessare realmente lo spettatore. L’attore è riuscito a manifestare il disagio di un uomo tramite piccole azioni, probatorie delle profonde problematiche di Arthur Un esempio emblematico è lo sguardo assunto dal protagonista quando ride in maniera incontrollata, che trasmette tutta la disperazione ed il malessere del personaggio semplicemente con gli occhi. Per leggere la recensione di UniVersoMe del film Joker, clicca qui.

I film in programmazione per i mesi di ottobre e novembre sono: Joker di Todd Phillips , Il Traditore di Marco Bellocchio, The Truman Show di Peter Weir e Quo Vado? di Checco Zelone.

Per ogni proiezione saranno attribuiti o,25 CFU agli studenti spettatori (per ogni dipartimento del nostro Ateneo).

Locandina Evento

Mappa per arrivare al luogo dell’evento:

Tanti auguri Christoph Waltz: tre ruoli che ce l’hanno fatto amare

Oggi compie 64 anni uno degli attori più talentuosi del panorama internazionale.

Christoph Waltz in poco tempo è riuscito a scalare le gerarchie hollywoodiane e a collaborare con registi di prim’ordine come Quentin Tarantino e Roman Polanski.

Noi di UniVersoMe vogliamo rendergli omaggio andando ad analizzare i suoi più grandi successi.

Christoph Waltz – Fonte: pinterest.it

Inglourious Basterds (2009) di Quentin Tarantino

Un primo ruolo ricoperto da Waltz, che si può considerare il suo biglietto per la ribalta, è quello del colonnello Hans Landa.

Il film, ambientato nella Francia nazista del ‘41, racconta diverse storie indipendenti che, secondo un tipico schema del regista, finiscono per intrecciarsi e contaminarsi a vicenda.

Se non si fosse capito, Waltz interpreta il nazista.

Cristoph Waltz in una scena del film – fonte: sarascrive.com

Tale ruolo, contrapposto a quello di Aldo Raine (Brad Pitt), lo renderà icona del film stesso (forse anche più del bravissimo e già conosciuto Pitt) e gli darà ampio spazio per esibire il proprio talento; basti solo accennare che arriverà a parlare perfettamente quattro lingue: inglese, tedesco (lingua madre dell’attore), francese principalmente e anche un po’ d’italiano, all’interno di una delle scene più famose e spiritose del film.

Ma cosa rende quello di Waltz il ‘Landa’ per eccellenza?

Il  personaggio è un acutissimo investigatore a cui non sfugge letteralmente alcun dettaglio ed il cui compito è quello di rintracciare tutti gli ebrei che si nascondono presso famiglie francesi, da qui deriva il soprannome che gli è stato affibbiato: Cacciatore di ebrei.

Ciò che più cattura è la sua incredibile capacità di tenere l’interlocutore – e lo spettatore – sospeso in uno stato di angoscia; mentre attorno s’innesca un meccanismo d’ansia che condurrà la vittima di turno alla rovina, lui rimane calmo e posato e mai rinuncia alle proprie maniere: questa caratteristica lo rende un predatore a sangue freddo. A sostenere il peso di un tale ruolo giunge l’interpretazione offerta dall’attore che, tramite gesti anche minuscoli (come nella prima sequenza del film in cui sistema minuziosamente i propri oggetti sul tavolo), getta lo spettatore in un tipo di suspense dilaniante.

Altra tipicità del personaggio è l’umorismo: asciutto, cupo, da brividi. Il modo in cui sa mettere a proprio agio chi ha davanti per poi gettarlo nel panico con una semplicissima battuta, facendo appunto scattare quel meccanismo d’ansia prima accennato; le espressioni facciali offerte da Waltz; la totale assenza di umanità, per cui le persone che lo circondano sono solo giocattoli da spremere fino all’osso per poi eliminare.

Sono tutti segni della grandezza di un personaggio incarnata da un attore altrettanto grande.

Ecco perché, peraltro, nel 2010 vinse con questo ruolo anche l’Oscar come migliore attore non protagonista. 

Carnage (2011) di Roman Polanski

Della trama ne abbiamo già parlato qui.

In questa pellicola l’attore interpreta Alan Cowan, un avvocato eccessivamente preso dal suo lavoro e apparentemente incurante di ciò che è accaduto al proprio figlio.

Christoph Waltz e Kate Winslet nel film Carnage – Fonte: scattidigusto.it

Nel film notiamo un Waltz diverso da come siamo abituati.

Per ragioni di sceneggiatura il suo personaggio non deve spiccare sugli altri, ma deve essere inserito all’interno di un sistema in cui gli interpreti devono riuscire a coordinarsi tra loro ma senza prevalere gli uni sugli altri.

Concretamente, l’attore in questo caso deve autoimporsi di non eccellere durante la propria performance; è l’esatto l’opposto di quello che Christopher invece ha fatto – nei film con Tarantino – riuscendo tuttavia a prestare una magnifica interpretazione.

Ciò è la prova della sua versatilità.

Django Unchained (2012) di Quentin Tarantino

Seconda collaborazione tra Tarantino e Waltz.

L’attore ricopre i panni del dottor King Schultz, un ex dentista (forse) divenuto cacciatore di taglie che aiuterà Django (Jamie Foxx) a ritrovare la sua amata.

Christoph Waltz e Jamie Foxx in Django Unchained – Fonte: collider.com

Così come con Landa, lo stesso Schultz cattura l’attenzione del pubblico mediante i sontuosi dialoghi tarantiniani. Mentre udire i discorsi del colonnello nazista creava un un senso di terrore, in questa pellicola la brillante parlantina del dottore suscita ilarità, seppur con il medesimo fine cioè ammaliare l’interlocutore della scena per poi ucciderlo.

Per questo film l’Academy lo ha premiato nuovamente con l’Oscar per il miglior attore non protagonista nel 2013.

Christoph Waltz ancora una volta è riuscito ad interpretare un ruolo in maniera eccellente, sfruttando tutte le sue doti tecniche e lasciando – questa volta – uno spazio più ampio al suo istinto.

 

Vincenzo Barbera e Valeria Bonaccorso

 

Malèna: cronaca di una morte

Malèna (2000), regia di Giuseppe Tornatore, è una pellicola carica di crudezza ed apatia. Un film che grida alla denuncia di una mentalità chiusa e corrotta che, se esisteva nei lontani anni Quaranta del Novecento, non è sicuramente cambiata – almeno in determinati contesti –  ai giorni nostri. Una denuncia, dunque, che risulta più che attuale, specie se proveniente da una donna.

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Monica Bellucci nei panni di Malèna – Fonte: spietati.it

Sinossi

La protagonista è Malèna (Maddalena) Scordia (Monica Bellucci): un nomen loquens, potremmo dire. Co-protagonista e voce narrante è invece il giovane Renato Amoroso (il nostro concittadino Giuseppe Sulfaro), un ragazzino nel pieno della pubertà che inizia a provare una passione struggente per la statuaria Malèna, innamorandosene al primo sguardo.

Tramite le sue parole, ma ancor più i suoi gesti, ci viene raccontata la parabola di una donnada santa a puttan*“:l’ascesa e poi il declino. Guardandola tramite gli occhi languidi del ragazzino, ci accorgiamo che il realismo magico delle scene erotiche non lascia spazio al romanticismo, a tratti inquietando lo spettatore, con l’incredibile effetto di sottoporci continuamente allo stress di quella situazione verosimile.

I personaggi

Seguendo i protagonisti nel loro percorso sentiremo chiaramente ogni sensazione da loro provata (e voluta dal maestro Tornatore): disagio, angoscia, rabbia, rassegnazione. Ed in effetti, la bellissima Maddalena è una donna rassegnata: a non vedere più il volto del marito, ad essere sola nella gabbia dei leoni. Disprezzata e rumoreggiata da tutti, passeggia per le strade della piccola cittadina siciliana quasi senza una meta.

Dopotutto, quale meta dovrebbe avere un personaggio spogliato di ogni dinamismo, cristallizzato nell’essere la valvola di sfogo dell’intero mondo costruitogli attorno?

Se notiamo bene, i personaggi secondari che ci vengono presentati sono della peggiore fattispecie e vili: una popolazione che sconcerta, raccapriccia, ma che descrive con incredibile finezza la mentalità bislacca della Sicilia d’altri tempi; mentalità, peraltro, talvolta ancora radicata nella nostra isola. In mezzo al questa accozzaglia di gente, si elevano le Erinni della donna. Il paragone non è casuale: la giovane viene perseguitata dalle altre signore del suo paese per un motivo semplice quanto banale: l’invidia.

Ma il male è sempre banale.

Fonte: webpage.pace.edu

L’urlo

E allora, dalle prime scene d’innocenti bisbigli, si passa alla scena più dura, intrisa di cattiveria del film: il linciaggio pubblico. Malèna – ormai divenuta la “prostituta del paese” – viene picchiata in pubblica piazza al cospetto di tutti gli uomini. Quegli stessi uomini che le facevano la corte, che facevano a gara per accenderle la sigaretta, che abusavano della sua dignità.

Chiave del film è il momento in cui la donna, malmenata, si rivolge agli omuncoli che erano rimasti a guardarla con ripugnanza. Nessuno di loro si fa avanti per offrire una mano a lei che striscia e cerca aiuto. Anche Renato, profondamente innamorato di lei, rimane a guardare come paralizzato. Ed allora un urlo: tutto il dolore accumulato negli anni, la rabbia, la depressione. Un urlo che mira a risvegliare le coscienze, non solo quelle della folla indisturbata, ma anche degli spettatori.

“Voi che mi avete derisa ed usata per il vostro intrattenimento, vedete come mi avete ridotta? Siete soddisfatti?”: suona così, tradotta in parole, la mia mia interpretazione della scena.

Ed ho capito anche che Tornatore ha svolto un lavoro incredibile nel momento in cui, anche solo per un secondo, mi sono sentita parte di quelle Erinni.

La cruda realtà

Malèna è un film che, nel suo asettico silenzio, parla di una morte spirituale con lucidità e cinismo e ci fa realizzare come siamo tutti aguzzini: lo siamo ogni volta che ignoriamo il grido d’aiuto di una persona bisognosa e lo siamo ancor di più quando giustifichiamo le violenze con la “disinvoltura dei costumi”.

Se da un lato è vero che la donna aveva effettivamente abbracciato la vita che non meritava, dall’altro dobbiamo renderci conto che tale scelta è stata spinta da un climax di sciagure di cui è la vittima inerme, inserita nella scena col solo fine di dimostrare quali livelli paradossali di malvagità si possano raggiungere.  E la strepitosa Bellucci impersona Malèna con preoccupante naturalezza.

Fonte: cineturismo.it

D’altro canto le rimane solo un ragazzino. Un ragazzino un po’ codardo, sì, ma che dal proprio errore (non aver prestato soccorso alla donna che, per due ore di film, ci ha ribadito di amare) ha attraversato un percorso di maturazione, mentre il resto delle grottesche figure tornerà a ricoprire, a fine film, il ruolo che aveva all’inizio, come se la vicenda si svolgesse dentro un carillon destinato a ripartire ogni volta che se ne gira la manovella.

Tutti tornano al loro posto, compresa Malèna (che a quel principio non è poi così estranea), ma non Renato. Lui, sin dal primo momento una voce fuori dal coro, si distinguerà per essere stato l’unico di quel paesello disgraziato ad aver conosciuto gli effetti devastanti della passione amorosa. Una passione che rimarrà impressa a vita, racchiusa in un nome maledetto ed abusato, ma che nei pensieri del ragazzo sarà sempre sinonimo di “amore”: Malèna.

Valeria Bonaccorso

Aspettando Tenet: tutte le volte che Nolan ci ha stupiti

Per tutti gli amanti del cinema il periodo del lockdown è stato estremamente triste, vista l’impossibilità di andare in sala a vedere un buon film. A rincuorare molti era la prospettiva che uno dei primi titoli a uscire dopo la riapertura fosse l’attesissimo Tenet di Christopher Nolan. Purtroppo non tutto è andato come previsto: per via dell’alto numero di contagi in America e della situazione ancora parecchio instabile in tutto il mondo, la data d’uscita del film ha subito una lunga serie di rinvii.

Christopher Nolan – Fonte: indiewire.com

Warner Bros si è tuttavia dimostrata molto ferma nell’intenzione di voler far uscire il film, almeno in Europa, entro la fine dell’estate. Ed è proprio di pochissimi giorni fa la decisione di nuove date ufficiali per l’arrivo in sala di Tenet, che debutterà il 26 agosto in Europa e il 3 settembre negli Stati Uniti.

Che fare nell’attesa di poter finalmente gustare Tenet? Ci pensiamo noi di UniVersoMe: vi consigliamo qualche pellicola dalla filmografia di Nolan per tenervi impegnati fino alla sua prossima opera.

1) Memento (2000)

“Ricordati di non dimenticare”

Dopo aver subito un’aggressione, il protagonista Leonard Shelby (Guy Pearce) riporta un danno della memoria a breve termine che non gli consente di immagazzinare nuovi ricordi. Questo complicherà la ricerca dei suoi aggressori, gli stessi che hanno anche violentato e ucciso la moglie. Per ovviare al suo problema, Leonard inizierà ad appuntare ogni informazione utile su polaroid e post-it che porta sempre con sè e persino sulla sua pelle tramite tatuaggi. Il racconto si districa attraverso due linee temporali opposte che andranno in seguito a confluire in un’unica storia. Questo espediente, insieme alla frammentarietà e alla sconnessione di alcune scene, ci catapulta dentro la testa del protagonista e ci fa vivere gli eventi attraverso i suoi occhi.

Guy Pearce in una scena del film – Fonte: nospoiler.it

2) Batman Begins (2005), Il cavaliere oscuro (2008), Il cavaliere oscuro – Il ritorno (2012)

Dietro l’abito da cinecomic si nasconde una trilogia capace di farci riflettere su noi stessi e sulla nostra società. È probabilmente la più famosa e miglior trasposizione su pellicola del supereroe di casa DC Comics. Il merito di ciò è da attribuire a un ottimo Christian Bale che ha vestito per tutti e tre i film i panni di Bruce Wayne/Batman, ma soprattutto alla qualità dei tre villain che si susseguono nella trilogia. 

Nel primo film Ra’s al Ghul (Liam Neeson), dapprima mentore di uno smarrito Bruce Wayne, si scopre essere a capo di una setta dagli oscuri propositi. Un gas tossico che si diffonde per le vie, il caos che dilaga nella città. Sarà Batman a dover riportare l’ordine a Gotham.

“Ti sembro davvero il tipo da fare piani? Lo sai cosa sono? Sono un cane che insegue le macchine. Non saprei che farmene se le prendessi!”.

Nel secondo capitolo il compianto Heath Ledger da vita a uno dei più iconici Joker del cinema e sono queste le parole con cui l’agente del caos si descrive. Il pipistrello si troverà dunque a dover combattere contro la follia umana nella sua massima espressione.

Nell’ultimo film troviamo Tom Hardy che interpreta Bane, un terrorista rivoluzionario che attenta alla pace costruita a Gotham. Bruce dovrà quindi indossare nuovamente il mantello per salvare ciò che ha costruito col proprio sacrificio. Gli ideali dell’eroe saranno più forti di quelli di Bane?

Batman ne “Il cavaliere oscuro”. Fonte: movieplayer.it

3) Interstellar (2014)

La Terra sta diventando sempre più inospitale e il genere umano sembra destinato all’estinzione. Joseph Cooper (Matthew McConaughey) è un ex ingegnere e pilota della NASA che un giorno si imbatte, insieme alla figlia, in una base segreta dell’agenzia spaziale. Qui viene a conoscenza dell’esistenza di un wormhole vicino Saturno e della preparazione di alcune missioni spaziali per cercare un pianeta ospitale dove trasferire l’umanità. Deciderà quindi di prendere parte alle missioni nella speranza di poter salvare la sua famiglia e tutto il genere umano. Vivremo la straziante separazione di Joseph dalla figlia e le difficoltà di un viaggio che mette a dura prova i corpi e le menti dei nostri astronauti. Il tutto accompagnato da un’esperienza visiva unica e spettacolare come solo Nolan sa offrirci. Il risultato è un film così emozionante da perdonargli qualche inesattezza scientifica qua e là.

Cooper e la figlia Murph – Fonte: medium.com

Insomma, il materiale lasciatoci da Nolan è di altissima qualità e in sua compagnia di certo non ci si annoia mai. Proprio per questo siamo certi che qualsiasi attesa sarà giustificata da un risultato strabiliante. Non ci resta che aspettare fine agosto, nella speranza che la situazione sanitaria rimanga sotto controllo.

 

Davide Attardo

L’essenza della risata

Le persone durante la propria vita cercano di raggiungere obiettivi diversi. Normalmente, durante questo viaggio si incontrano ostacoli ed avversità, le quali indubbiamente rendono il percorso ben più arduo del previsto. Ciò inevitabilmente destabilizza e crea conflitti tra la gente stessa.

Una delle rare cose capace di accomunare ogni individuo proveniente da qualsiasi parte del mondo è la risata. Questa non appartiene ad alcun colore politico o credo religioso, ma è un elemento grazie al quale chiunque manifesta il proprio divertimento e la propria felicità.

Robin Williams è stato uno degli attori più esilaranti della storia del cinema.

Oggi avrebbe compiuto 69 anni e noi di UniVersoMe vogliamo omaggiarlo andando ad analizzare quelli che – a nostro avviso – sono i suoi 5 più grandi film.

Robin Williams – Fonte: novilunio.net

Good Morning, Vietnam di Barry Levinson (1987)

Robin Williams interpreta Adrian Cronauer, un soldato statunitense durante la guerra del Vietnam. Adrian in passato aveva fatto il dj sull’isola di Creta, quindi gli viene affidata la conduzione della trasmissione mattutina.

Inizia sempre il suo show pronunciando la frase “Goodmorning Vietnam!” e per tutta la durata della messa in onda esprime qualsiasi ragionamento parlando molto velocemente e modificando in maniera buffa la propria voce. Nel corso del suo programma ironizza sulle tematiche più disparate: sulla moda del tempo, sul presidente Nixon, sulla guerra stessa e tante altre. Inoltre decide di trasmettere musica rock, che era stata precedentemente bandita.

Robin Williams in Goodmorning Vietnam -Fonte: nospoiler.it

L’ironia puntigliosa e la scelta delle canzoni non viene ben vista dai superiori, in quanto essi ritenevano che fosse pericoloso per il morale delle truppe mandare in onda uno show così esuberante. Tuttavia Adrian riesce a riscuotere un grande successo tra i soldati.

La prova d’attore di Robin Williams è eccellente e grazie ai lunghi “monologhi” recitati nel film, l’interprete ha avuto modo di mostrare il suo talento e di farsi conoscere tra le grandi produzioni di Hollywood.

L’attimo fuggente di Peter Weir (1989)

L’attore qui interpreta il professore di letteratura John Kesting, un docente appena trasferito al collegio Welton.

L’insegnante si distingue fin dall’inizio per i suoi metodi didattici alquanto singolari. Il fine ultimo del professore è quello di far comprendere ai ragazzi che la poesia è lo strumento uber alles capace di renderli liberi così da poter prendere qualsiasi decisione in maniera del tutto autonoma.

Robin Williams in L’attimo fuggente – Fonte: rollingstone.it

Il personaggio di John Keating è entrato nell’immaginario di tutti per la grande interpretazione di Williams, ma soprattutto per la celebre scena in cui gli alunni, imitando il docente, salgono sui banchi e pronunciano le parole “O capitano, mio capitano” dimostrando di aver compreso pienamente i suoi insegnamenti.

Mrs Doubtfire – Mammo per sempre di Chris Columbus (1993)

Robin Williams ricopre i panni di Daniel Hilland, un doppiatore che ama la sua famiglia. A causa del suo carattere fortemente indisciplinato ed infantile, Daniel divorzia dalla moglie e va a vivere da solo potendo vedere i suoi figli solo poche volte a settimana. Un giorno, l’ex moglie decide di assumere una tata per badare ai bambini.

Daniel ha l’idea geniale di travestirsi da donna fingendo di essere un’anziana tata chiamata Mrs Doubtfire. Riesce ad ottenere il lavoro e così facendo potrà stare accanto ai suoi bambini per crescerli ed aiutarli.

Robin Williams nei panni di Mrs Doubtfire – Fonte: cinematographe.it

Il film essenzialmente è incentrato sugli effetti che un divorzio può scatenare su una famiglia. Tuttavia, anticipa anche altre tematiche come ad esempio quella del travestimento, mostrandosi di fatto una pellicola lungimirante.

Robin Williams è stato autore di un lavoro magistrale. Quando veste i panni di Mrs Doubtfire riesce a modificare la voce, le movenze e le proprie espressioni dando vita ad un’anziana donna in modo perfettamente realistico.

Will Hunting – Genio ribelle di Gus Van Sant (1997)

La pellicola narra la storia di Will (Matt Damon), un ragazzo della periferia di Boston dalla mente brillante. Egli riesce a risolvere problemi estremamente complessi di matematica con molta facilità. Un giorno viene notato dal professor Lambeau, un luminare che crede molto nelle sue potenzialità. Will però conduce una vita allo sbando e dopo l’ennesima rissa il professore decide di farlo seguire da uno psicologo.

Dopo un primo tentativo fallimentare – dato che sarà proprio Will a psicanalizzare lo psicologo – Lambeau contatta il suo vecchio collega di università Sean (Robin Williams).

Proprio quest’ultimo sarà l’unico in grado di entrare nella mente di Will e di fargli affrontare i lati più oscuro del suo inconscio.

Robin Williams e Matt Damon in Will Hunting – Fonte: cinematographe.it

Nella pellicola vediamo un Robin al di fuori dei suoi schemi classici, in quanto è completamente immerso in un ruolo profondamente triste ma al quale è riuscito a donare una forte umanità. In alcuni momenti comunque riesce a far ridere gli spettatori nonostante la drammaticità del film.

La sua interpretazione in Will Hunting gli è valso un premio Oscar come miglior attore non protagonista nel 1998 .

Patch Adams di Tom Shadyac (1998)

Il film racconta la storia di Hunter “Patch” Adams, un uomo che sceglie di auto-internarsi in un ospedale psichiatrico dopo aver tentato il suicidio. Stando a contatto con gli altri pazienti scopre che tramite l’umorismo le malattie vengono affrontate con meno pesantezza e decide di studiare medicina. Patch non ritiene corretti i metodi operati dai suoi colleghi in quanto trattano i pazienti con troppa indifferenza.

Di nascosto quindi va a trovare i malati terminali facendoli divertire e cercando di alleviare le loro sofferenze.

Robin Williams nel film Patch Adams – Fonte: mam-e.it

La pellicola è una tragicommedia che offre numerosi spunti di riflessione sui rapporti umani tra medico e paziente. L’interpretazione di Robin è ancora una volta incentrata sulla risata, anche in contesti profondamente commoventi.

 

Robin Williams è stato uno di quegli attori capaci di poter mostrare tutto il suo potenziale in teatro, nel cinema e nella televisione.

Oltre alle grandi prove attoriali, lo ricordiamo per la persona che era: in qualsiasi testimonianza pervenutaci di questo interprete, che sia un film o anche una piccola apparizione in un talk show, lo vediamo sempre ridere e soprattutto fare ridere.

Vincenzo Barbera