SIAE contro META: l’Antitrust avvia un’istruttoria per abuso di dipendenza economica

Nell’ultimo periodo, i nostri feed di Instagram e Facebook non sono più come prima. Video di albe e tramonti, con di sottofondo le più celebri e virali canzoni del cantautorato italiano e non solo, sono silenziati. Ma qual è la ragione?

A fine marzo, la SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori) non ha raggiunto un accordo con la grande impresa statunitense, che gestisce le piattaforme dei due social, METATutta la musica tutelata dalla società italiana, sulle piattaforme di Zuckerberg, è stata bandita.

Le trattative sono aperte, ma sembrerebbe che ancora non sia possibile raggiungere una “meta”. Lo scorso 5 aprile, l’Antitrust ha avviato un’istruttoria nei confronti di META Platform, per un presunto abuso di dipendenza economica nella negoziazione con SIAE della stipula della licenza d’uso, sui due social, dei diritti musicali. Ma cosa sta succedendo? Vediamolo nel dettaglio.

SIAE VS META: L’Antitrust contro le piattaforme di Zuckerberg

Tramite un comunicato, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust), ha dichiarato di aver avviato un’istruttoria, insieme ad un procedimento cautelare, nei confronti di: Meta Platforms Inc., Meta Platforms Ireland Limited, Meta Platforms Technologies UK Limited e Facebook Italy S.r.l. (di seguito, Meta). Sembrerebbe che l’azienda di Zuckerberg, abbia indebitamente interrotto le trattative, per il rinnovo del contratto scaduto. Non fornendo alla società le informazioni necessarie, per svolgere le negoziazioni. Senza rispettare, così , il principio di trasparenza ed equità (qui il comunicato stampa).

SIAE
Fonte: Freepik

L’Autorità indaga sulla veridicità dell’ipotesi che META abbia potuto abusare dello squilibrio contrattuale di cui beneficia, chiedendo a SIAE  un’offerta economica inadeguata. Siete fosse vero ciò potrebbe essere significativa ai fini della tutela della concorrenza nei mercati. Sarebbe un danno per i consumatori, per le capacità competitive di SIAE. Impedirebbe agli autori, rappresentati da quest’ultima, di raggiungere l’ampia categoria di utenti che usufruisce delle piattaforme. Inoltre, ci potrebbero essere effetti negativi sulla remunerazione dei diritti connessi ai produttori, di opere musicali e di tutte le altre posizioni giuridiche, tutelate nell’ambito della legge sul diritto d’autore.

L’interruzione delle trattative tra i due colossi, potrebbe incidere sulle dinamiche competitive tra i diversi soggetti che compongono la filiera dei dei mercati dell’intermediazione dei diritti d’autore sulle opere musicali. Ne consegue, quindi, la necessità di un intervento cautelare, affinché la negoziazione possa andare a buon fine.

SIAE vs META: Quali sono state le reazioni a questo procedimento?

La trattativa con META non si è mai chiusa. Chiediamo però trasparenza per stabilire il giusto compenso agli autori. Il danno che META sta procurando, non è solo economico ma anche culturale.

Questo è quanto dichiarato, quale giorno fa, dal presidente della SIAE, Salvatore Nastasi. Quest’ultimo si era rivolto all’istituzioni con un “non lasciateci soli“. Dopo il provvedimento, preso dall’Antitrust, si dichiarerebbe soddisfatto.

Siamo grati all’AGCM per questa decisione, che ci consentirà di tornare a sederci al tavolo negoziale per confrontarci ad armi pari con il colosso americano. Acquisendo, finalmente, le informazioni necessarie per poter assicurare un’equa remunerazione nell’interesse degli autori rappresentati da SIAE e, più in generale, dell’industria creativa italiana. Del resto, è previsto un incontro presso il Ministero della Cultura, nel quale ci confronteremo con la consueta trasparenza, con l’auspicio di pervenire a un’equa soluzione in tempi brevi.

Il colosso americano non si arresta e ha risposto a queste dichiarazioni, tramite un portavoce:

Siamo pronti a collaborare per rispondere alle richieste dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato. Tutelare i diritti d’autore di compositori e artisti è per noi una priorità assoluta. Per questo rimaniamo impegnati nel raggiungere un accordo con SIAE, che soddisfi tutte le parti.

Ma questo incontro, al Ministero della Cultura, è andato a buon fine?

Dobbiamo difendere l’opera di ingegno degli autori italiani, che è un vero e proprio bene materiale. I colossi transnazionali rispettino l’identità degli Stati e il lavoro di ingegno delle persone. Alta espressione della cultura di una Nazione.

Queste le parole del Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, risalenti a qualche giorno fa. Sembrerebbe, però, che ieri le oltre tre ore di trattative, presso il Ministero della Cultura, non abbiano portato a nulla. META non sembrerebbe essere disposta a fare grandi passi avanti. Nastasi ha commentato di essere ancora molto distanti, poiché «nulla di quello richiesto dell’Antitrust è stato accolto da META». Il sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi, ha aggiunto:

Trovo veramente assurdo che queste piattaforme, che hanno un’incredibile potenza economica, abbiano degli atteggiamenti di non rispetto nei confronti di chi i contenuti li crea.

Mazzi è sconcertato dalla cifra proposta, ritenendola “umiliante per i creatori“. Al tavolo delle trattative si sono sedute anche altre due Autorità: il garante per la Concorrenza e quello delle Comunicazioni. Non è mancato l’intervento politico, dalle parole del presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone:

Il Parlamento non fa più il passa-carte come è stato negli ultimi 5 anni, con i governi di unità nazionale, ma diventa di fatto un organo propulsivo e rivendichiamo il merito di questo riavvicinamento. Meta trovi un accordo, come lo ha trovato Google e che i nostri artisti vengano rispettati.

Le opere tutelate dalla SIAE, rappresentano una componente importante dell’offerta musicale italiana e internazionale. Trovare un’accordo è davvero fondamentale. Si riuscirà a mettere un punto? Di certo servirà un nuovo faccia a faccia, nella speranza che sia quello definitivo.

Marta Ferrato

 

Facebook come Twitter: il caso dei licenziamenti di massa

Le due più grandi aziende tech di social network, Meta e Twitter, hanno annunciato uno dei licenziamenti di massa più grandi degli ultimi due decenni.

Dopo l’annuncio e il successivo licenziamento di almeno metà dei dipendenti di Twitter, mandati a casa tramite email, Elon Musk ha già fatto dietrofront e ha richiamato alcuni di loro perché “l’email di licenziamento partita per sbaglio” oppure “altri sono stati mandati via prima che la direzione si rendesse conto che il loro lavoro e la loro esperienza potrebbero essere necessari all’azienda“.

A cavalcare l’onda mediatica non viene da meno Mark Zuckerberg, aprendo così tanti interrogativi sul futuro dei social network.

Mark Zuckerberg durante la conferenza sul cambio nome di Facebook del 30 Aprile 2019. Fonte: instanews.it

Il nuovo proprietario di Twitter

Lo scorso 28 ottobre Elon Musk, l’amministratore delegato di SpaceX e di Tesla, nonché l’uomo più ricco del mondo in base alla classifica stilata da Forbes con un patrimonio pari a 219 miliardi di dollari, ha acquistato la piattaforma social Twitter per 44 milioni di dollari.

Inizia la propria scalata per l’acquisizione del social acquistandone il 9% delle azioni. Nonostante la proposta per il consiglio d’amministrazione di Twitter, l’imprenditore rifiuta categoricamente, per poi, il giorno seguente, postare Tweet di critica circa la policy e le sue modalità di funzionamento, giudicata troppo restrittive, troppo lesiva per la libertà di espressione.

La proposta del consiglio di amministrazione per l’entrata in società e il successivo acquisto non tardarono ad arrivare.

Solo dopo una lunga serie di trattative iniziate ad Aprile del 2022, arriva la notizia ufficiale: il 1 Novembre Elon Musk diventa ufficialmente l’amministratore delegato di Twitter, il CEO della piattaforma social.

Non sono in pochi che si domandano come abbia fatto ad acquistare Twitter: a inizio novembre, Elon Musk ha venduto 19,5 milioni di azioni di Tesla, per un totale di 3,9 miliardi di dollari di valore complessivo, come riportato dalle agenzie Bloomberg citando alcune comunicazioni alla SEC.

Nonostante ciò, qualche giorno prima, l’imprenditore rassicura gli utenti del social network e spiega le sue motivazioni:

Il motivo per cui ho acquisito Twitter è perché è importante per il futuro della civiltà avere una piazza cittadina digitale comune, dove un’ampia gamma di opinioni può essere discussa in modo sano, senza ricorrere alla violenza. Attualmente c’è un grande pericolo che i social media si spezzino in camere d’eco di estrema destra e di estrema sinistra che generano più odio e dividono la nostra società.

Il caso del “let that sink in” e dello smart working

Alla vigilia della scadenza imposta dal tribunale per acquistare l’azienda, Elon Musk sorprende tutti con la sua entrata nel quartier generale trasportando a mano un lavandino.  Il CEO di Twitter non perde occasioni di far parlare di sé.

Il momento è stato immortalato proprio con un tweet accompagnato da una frase sibillina: “Let that sink in” (“lascia che affondi!”), giocando col significato di sink, sia lavandino che affondare. Ma si può anche tradurre “fatevene una ragione“, come a sottolineare il proprio potere insinuatosi al momento dell’acquisizione della società.

Proprio per questo, cambia anche lo status del suo profilo pubblico di Twitter in “Chief Twit”, autoaffermandosi capo ancor prima della notizia ufficiale.

Sebbene il tweet abbia fatto scalpore, in realtà Musk aveva già iniziato a visitare gli uffici di Twitter a San Francisco. Afferma il chief marketing officer di Twitter, Leslie Berland, in una comunicazione ai dipendenti riportata dall’agenzia Bloomberg.

Elon è negli uffici di San Francisco questa settimana per incontri. Questo è solo l’inizio di molti incontri e conversazioni con Elon, e avrete modo di sentirlo direttamente da lui venerdì

Come se non bastasse, nella sua prima email ai dipendenti di Twitter, il nuovo proprietario ha confermato l’abolizione della possibilità di lavorare da casa “per sempre” che era stata istituita durante la pandemia di COVID-19 e implementare almeno 40 ore settimanali di lavoro in ufficio.

Nella stessa email ha aggiunto che vuole che gli abbonamenti rappresentino la metà delle entrate di Twitter. Avverte nello stesso scritto i suoi dipendenti di “tempi difficili andando avanti” e che “non ci sono modalità per addolcire la pillola”, presagendo quello che sarà uno dei licenziamenti di massa più grande dell’azienda.

 

Non solo Musk: anche Meta costretta a ridimensionarsi

Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Meta, ha annunciato il licenziamento di oltre 11 mila dipendenti (di cui 22 a Milano) tra Facebook, Whatsapp e Instagram. La notizia era stata anticipata nei giorni scorsi dal Wall Street Journal, ma non era sicuro quale portata avrebbe intrapreso questa azione.

A fronte dei quasi 87 mila dipendenti della società, la decisione di ridurre la forza lavoro del 13% è stata presa a causa dei risultati finanziari molto deludenti nell’ultimo trimestre, registrando un calo delle entrate provenienti dalle pubblicità del 4% circa.

Sfortunatamente, non è andata come mi aspettavo. La recessione macroeconomica, l’aumento della concorrenza e la diminuzione di inserzioni pubblicitarie hanno fatto sì che le nostre entrate fossero molto più basse di quanto mi aspettassi. Ho sbagliato, e me ne assumo la responsabilità.

Sede di Meta in Italia, in Via Missori 2, Milano. Fonte: ilsole24ore.it

I licenziamenti, spiega Mark Zuckerberg, riguarderanno tutti i settori della società, ma in particolare il team che si occupa di reclutamento di nuovo personale e il reparto finanziario.

Meta ha anche annunciato che inizieranno a ridurre i costi in generale, tra cui la riduzione dei budget, dei benefit e degli spazi usati come ufficio.
Per i dipendenti licenziati negli Stati Uniti saranno garantite 16 settimane di retribuzione base più due settimane aggiuntive per ogni anno di servizio, coprirà anche il costo dell’assistenza sanitaria per le persone e le loro famiglie per sei mesi, e fornirà tre mesi di supporto professionale con un fornitore esterno per accedere a nuove offerte di lavoro.

Victoria Calvo

Meta Vs TikTok: Targeted Victory avrebbe cercato di condurre una campagna diffamatoria ai danni del social sempre più usato

Il Washington Post porta alla luce la campagna diffamatoria di Meta contro TikTok condotta dalla società Targeted Victory. Il CEO conferma di essere stato ingaggiato per lo scopo.

Facebook contro TikTok -Fonte:tecnoandroid.it

L’inchiesta, riportata nell’uscita del 31 marzo 2022 del Washington Post, riporta uno scambio di mail. In queste, si dimostra come Meta, proprietaria di Instagram e Facebook, abbia chiesto alla società di consulenza Targeted Victory di mettere su una campagna che influenzasse negativamente, nel target media locali e regionali degli Usa, l’opinione sulla piattaforma TikTok di proprietà della cinese ByteDance.

Cosa è successo

I dirigenti di Meta da tempo manifestano forte preoccupazione per l’escalation di interesse di TikTok tra i più giovani. Il motivo che avrebbe portato azienda di proprietà di Mark Zuckerberg alla decisione di attuare una campagna discriminatoria sarebbe da ricercare sulla preferenza manifestata dal pubblico di Internet.

Mark Zuckerberg -Fonte:titulares.ar

Risulta infatti che una grande fetta di questo preferisce navigare sulla piattaforma orientale, registrando un utilizzo di essa che supera di due o tre volte quello di Instagram. Lo stesso Zuckerberg aveva riconosciuto:

“Le persone hanno molte scelte su come vogliono trascorrere il loro tempo e app come TikTok stanno crescendo rapidamente.”

Ciò testimonia, appunto, nel trimestrale, il primo calo del numero di utenti nella storia di Facebook e che ha generato di riflesso il tonfo delle azioni di Meta.

TikTok -Fonte:citynow.it

Il boom di TikTok

La piattaforma di proprietà della cinese ByteDance ha visto una crescita esponenziale. Nonostante non siano mancati i legami con la cronaca e le indagini, i dati registrati da Sensemakers-Comscore, una società leader specializzata nella misurazione cross-platform a livello globale di audience, brand e comportamenti di consumo, ha visto risultati sbalorditivi. Le rivelazioni effettuate fra il novembre 2019 e il novembre 2021 pongono, nella fascia d’età 18-24, un livello di diffusione dell’app dal 43% al 70%. Nello stesso periodo è sceso dal 92% al 71% quello di Facebook.

Khaby Lame -Fonte:newsroom.tiktok.com

La campagna diffamatoria

La tattica usata, in realtà, non ha nulla di nuovo e straordinario come sottolinea WaPo, le pressioni sulla stampa per vessare i legislatori fanno ormai parte di strategie comuni nel mondo della politica. Tale competizione per la rilevanza culturale si fa viva in un momento in cui Facebook fatica a riconquistare i giovani utenti, divenendo così un mezzo che sta più comunemente prendendo piede all’interno dell’industria tecnologica.

Targeted Victory -Fonte:targetedvictory.com

L’affidamento all’agenzia Targeted Victory per indebolire TikTok attraverso l’uso di una campagna mediatica e di lobbying a livello nazione, serviva per far passare l’app cinese come pericolosa. Secondo le mail intercettate si doveva ritrarre la piattaforma come “insicura” per i bambini e per la società americana.

Un esempio di bufala architettato da Targeted Victory che, di certo, negli anni ha influito molto su alcuni scandali. Bisogna riportare alla memoria vicende come quella trattata dal giornale di proprietà di Jeff Bezos. Nello scorso ottobre, ha raccontato una presunta challenge che invitava gli utenti a prendere a schiaffi i loro insegnanti, ma una rapida ricerca sull’app, smentiva quanto affermato. Ciò ha notevolmente allarmato la piattaforma cinese, la quale ha riportato in una nota

“Ci preoccupa profondamente che la sollecitazione di media locali attorno all’esistenza di presunti trend, che non trovano riscontro in piattaforma, possa causare danni concreti nel mondo reale.”

Anche la lettera pubblicata sul Denver Post di un genitore preoccupato per l’impatto di TikTok sulla salute mentale dei bambini e sul rispetto della privacy è frutto del lavoro svolto dall’agenzia. Secondo Lorenz e Harwell, la lettera avrebbe contribuito alla decisione del procuratore generale del Colorado, Phil Weisner, di entrare in una coalizione che indaga sugli effetti dell’app sui più giovani.

Il nodo della battaglia si sarebbe dovuto incentrare proprio in relazione alla minaccia dei dati che l’app raccoglie sui giovani utenti iscritti, risultando essere un mezzo per deviare l’attenzione pubblica sugli ultimi problemi di Meta riguardo il rispetto della legge della privacy e alla legge antitrust.

La risposta di Zac Moffatt

Zac Moffatt -Fonte:twitter.com

Il CEO di Targeted Victory, Zac Moffatt, ha deciso di rispondere alla questione dedicando un thread su  Twitter. Nella discussione viene affermato il tentativo di contatto con il Washington Post al fine di integrare l’inchiesta con la sua visione alla quale però, il quotidiano non avrebbe risposto. Il CEO dell’agenzia continua:

“Il lavoro del Washington Post caratterizza erroneamente il nostro lavoro, ma i punti chiave sui quali si basa sono falsi…Siamo un’azienda di centro destra, ma le squadre che gestiamo in squadre bipartisan, comprese quelle menzionate nell’articolo, anche entrambi gli autori sono democratici.”

Se da un lato si sottolinea l’orgogliosa collaborazione con Meta da diversi anni, nella parte finale del thread si fa riferimento agli screenshot di diversi articoli del quotidiano che farebbero riferimento proprio ai “rumors” che starebbero alla base dell’attacco di Meta a TikTok. Ciò evidenzia ulteriormente la poca sufficienza con la quale vengono diffusi contenuti pericolosi.

Giovanna Sgarlata

Apple ha fatto perdere miliardi di dollari a Facebook e altre piattaforme

Il nuovo sistema ATT rende più difficile tracciare gli utenti e mostrare loro annunci pubblicitari personalizzati

Secondo un’analisi realizzata dall’azienda di pubblicità online Lotame, poi ripresa dal Financial Times, dal mese di aprile 2021, Apple ha fatto perdere miliardi di dollari in ricavi a Facebook e ad altre piattaforme come Snapchat, Twitter e YouTube. Il tutto a causa dell’introduzione di un nuovo sistema, l’App Tracking Transparency (ATT). Questa nuova funzionalità permette agli utenti iOS di bloccare il tracciamento delle app di terze parti durante l’utilizzo delle applicazioni, con la conseguente impossibilità di mostrare loro gli annunci pubblicitari personalizzati solitamente più redditizi per le aziende.

Tim Cook, ceo di Apple  (fonte: iphoneitalia.com)

Cos’è l’ATT e perché è stato introdotto

La Apple con l’aggiornamento iOS 14.5, nell’aprile 2021, ha introdotto il suddetto ATT, una nuova funzionalità del sistema operativo che assicura nuovi criteri di privacy. L’App Tracking Transparency prevede che ogni applicazione consenta agli utenti di scegliere tra la possibilità di essere tracciati o meno, in modo da ricevere annunci pubblicitari personalizzati oppure generici. Una volta aggiornato il sistema operativo, le applicazioni quindi potranno ottenere i dati degli utenti solo previa autorizzazione, richiesta tramite notifica all’apertura dell’app.

“Privacy. This is iPhone”

Gli effetti dell’ATT, gli utenti non vogliono essere tracciati

Una scelta totalmente in controtendenza rispetto a quella di alcune tra i giganti dell’high tech, tra cui Facebook, i cui introiti derivano in gran parte dalle aziende che decidono di fare pubblicità sulla piattaforma. Come riporta il Financial Times, in seguito al nuovo aggiornamento, molti inserzionisti hanno ridotto i propri investimenti pubblicitari dirottandone i rimanenti verso Android, le cui regole sulla privacy sono diverse. Nonostante la scelta della Apple sia stata criticata dai maggiori competitor, il comportamento adottato dagli utenti ha però dimostrato un certo grado di apprezzamento circa la nuova linea dell’azienda, confermando dunque l’effettiva utilità della nuova funzione.

Appena qualche settimana dopo il rilascio, i dati di Flurry Analysis riportavano che su un campionamento di 2,5 milioni di utenti iOS attivi ogni giorno negli Usa e di 5,3 milioni di utenti nel resto del mondo (Italia inclusa), solo il 4% degli utenti iPhone negli Usa e il 12% nel resto del mondo aveva scelto il monitoraggio delle app di terze parti.

Mark Zuckerberg, creatore di Facebook (fonte: Forbes Italia)

Quale piattaforma ne ha più risentito?

Secondo quanto riportato da The Verge, Gizmodo e Financial Times, le nuove policy adottate dalla società di Cupertino hanno comportato perdite miliardarie per i colossi del mondo del Web. YouTube, Facebook, Twitter e Snapchat avrebbero perso circa 9,85 miliardi di dollari nella seconda metà del 2021.

Facebook sembra essere la realtà più colpita in assoluto. Le app di Zuckerberg vantano un bacino di utenti più grande delle altre piattaforme. Inoltre, gli aumenti dei costì per gli annunci sul social network hanno indotto molti inserzionisti a ridurre i propri investimenti e dirottarli presso altre piattaforme più economiche, come Tik Tok. Il secondo gradino del podio lo occupa Snapchat in quanto dotato di un sistema fortemente incentrato sugli smartphone. Twitter, invece, sembra essere stato interessato poco dalla nuova policy. Questo perché l’app di Dorsey mostra gli annunci sulla base dei contenuti e non tiene conto delle abitudini di navigazione degli iscritti.

Elidia Trifirò 

Facebook diventa ‘Meta’ e punta alla realtà virtuale. Grandi novità per il colosso dei social

(fonte: ilpost.it)

 

Facebook ha cambiato nome, da oggi è ‘Meta’. L’annuncio è arrivato nella giornata di ieri, 28 Ottobre, durante la conferenza annuale “Connect”. “C’è un’altra cosa di cui voglio parlare con voi oggi” ha esordito Mark Zuckerberg. “In questo momento, il nostro brand è così strettamente legato a un prodotto che non può assolutamente rappresentare tutto ciò che stiamo facendo oggi, figuriamoci in futuro. La nostra mission rimane la stessa, ma ora abbiamo una nuova stella polare: portare in vita il Metaverso”.

Ma attenzione perché a cambiare nome è la società Facebook Inc. e non il social network che con il rebrand diventa quindi uno dei prodotti controllati dalla società.

 

“Il metaverso sarà il successore di Internet mobile”

 

Mark Zuckerberg (fonte: Forbes Italia)

 

Il cambio del nome arriva in un momento difficile per la galassia Zuckerberg, dopo il blackout costato oltre 6 miliardi e le accuse lanciate dalla ex dipendente France Haugen riguardo i presunti rischi per i più giovani e per la democrazia. “Oggi siamo visti come una società di social media” ha spiegato Zuckerberg nel corso della conferenza, “ma nel nostro Dna siamo un’azienda che costruisce tecnologia per connettere le persone e il metaverso è la prossima frontiera proprio come lo era il social networking quando abbiamo iniziato”.

 

Mark Zuckerberg (Fonte: Wired)

 

 

Il metaverso spiegato da Zuckerberg

“Lo chiamiamo metaverso e toccherà ogni prodotto che costruiamo” scrive Zuckerberg in un lungo post pubblicato proprio su Facebook. “In futuro saremo in grado di trasportarci istantaneamente come un ologramma per essere in ufficio senza fare il pendolare o ad un concerto con gli amici”.

Nel metaverso saremo quindi in grado di fare quasi tutto ciò che finora ci limitiamo ad immaginare; potremo vivere esperienze che trascendono la realtà. Il metaverso consentirà agli utenti di sentirsi in presenza di qualcun altro, come se realmente si trovasse in sua compagnia. “Sentirsi veramente presenti con un’altra persona è l’ultimo sogno della tecnologia sociale. Ecco perché ci concentriamo sulla concezione di questo”.

L’obiettivo del fondatore e CEO di Facebook è che il metaverso nei prossimi 10 anni raggiunga 1 miliardo di persone, ospiti centinaia di miliardi di dollari di eCommerce e supporti posti di lavoro per milioni di creatori e sviluppatori.

“Si tratta di rendere migliore il tempo che già trascorriamo”

 

Nuovo ticker dal 1° dicembre

Facebook dal 1° dicembre sarà scambiata a Wall Street con il nuovo ticker ‘MVRS’. Il nuovo ticker, codice utilizzato per identificare in modo univoco le azioni di un determinata azienda quotata in borsa, risponde al cambio di nome della società in ‘Meta’ per riflettere il ruolo centrale del metaverso. Intanto l’annuncio come primo effetto ha avuto quello di mettere le ali ai titoli della società di Zuckerberg in Borsa, dove è arrivata a guadagnare il 4,3%.

“Non costruiamo servizi per fare soldi; facciamo soldi per costruire servizi migliori”

Facebook sulle orme di Google

Facebook non è la prima grande azienda a cambiare nome. Già nel 2015 Google si era svincolata dal solo motore di ricerca, riorganizzandosi in Alphanet, una holding nella quale ricadono tutte le varie attività aziendali. A seguire anche Snapchat aveva cambiato nome in Snap Inc. nel 2016. E ora Facebook Inc che con il nome ‘Meta’ inaugura una nuova stagione per portare in vita il Metaverso.

 

Elidia Trifirò

 

 

 

 

 

L’antitrust francese sanziona Google con una multa da 200 milioni di euro: i motivi e i nuovi impegni del colosso statunitense

Fonte: Startmag

Dopo il caso Facebook nel Regno Unito e in UE, i garanti della concorrenza si abbattono ancora una volta sulle Big Tech: Lunedì 7 giugno, l’autorità di vigilanza sulla concorrenza francese – informalmente chiamata “Antitrust“- ha inflitto una multa di 200 milioni di euro al colosso Google, per aver abusato del suo potere di mercato nel settore della pubblicità online.

Si tratterebbe, a livello globale, di uno dei primi casi antitrust nel settore del cosiddetto digital advertising. L’azienda statunitense ha comunque accettato di pagare la multa, promettendo inoltre di impegnarsi affinché simili abusi non si ripetano più.

L’inchiesta Google per abuso di posizione dominante

L’inchiesta avviata dalla Autorité de la Concurrence (Antitrust francese) ha rilevato la riservazione di un trattamento preferenziale da parte di Google ad uno dei principali sistemi di vendita della pubblicità, DoubleClick for Publishers, da esso posseduto, il quale consente di vendere i propri spazi pubblicitari a editori di siti e applicazioni. Il colosso USA avrebbe poi garantito vantaggi anche alla sua piattaforma di venditaAdX“, che invece gestisce le aste utilizzate dagli editori per vendere agli inserzionisti impressions o inventari pubblicitari.

Tale favoreggiamento dei propri servizi, insieme con l’incoraggiamento agli inserzionisti di comprare pubblicità direttamente da Google, avrebbe dunque finito col danneggiare i servizi rivali, motivo per cui erano già partite delle denunce da parte di alcuni grossi editori, tra cui Newscorp e l’editore del Figaro.

Isabelle de Silva. Fonte: Le Revenu

‘’La sanzione di Google ha un significato molto speciale perché è la prima decisione al mondo che esamina i complessi processi delle aste algoritmiche attraverso i quali funziona la pubblicità online. L’indagine particolarmente rapida ha rivelato processi attraverso i quali Google, basandosi sul suo notevole dominio negli ad server per siti e applicazioni, ha superato i suoi concorrenti sia su ad server che su piattaforme SSP. Queste pratiche molto gravi hanno penalizzato la concorrenza nel mercato emergente della pubblicità online e hanno permesso a Google non solo di mantenere ma anche di aumentare la sua posizione dominante. Questa sanzione e questi impegni consentiranno di ristabilire condizioni di parità per tutti gli attori e la possibilità per gli editori di sfruttare al meglio i propri spazi pubblicitari.’’, ha dichiarato Isabelle de Silva, presidente dell’Autorità della concorrenza francese.

Gli accordi con l’authority francese

Google ha accettato le sanzioni dell’autorità Antitrust senza alcuna contestazione, dopo che quest’ultima aveva verificato la pratica concorrenziale del motore di ricerca, chiedendo il rispetto di determinate condizioni.

L’azienda di Mountain View ha quindi annunciato miglioramenti dell’interoperabilità tra i servizi Ad Manager con Ad server e piattaforme di terze parti, spiegando come non verranno più riservate corsie preferenziali per l’acquisto degli spazi pubblicitari dagli editori nel momento in cui tutti i compratori riceveranno accesso agli stessi dati delle aste. Oltre a ciò, i publisher saranno liberi di negoziare termini o prezzi specifici direttamente con altre piattaforme lato vendita (SSP), senza alcun impedimento.

Tali impegni, secondo quanto dichiarato dall’Antitrust, hanno permesso la riduzione dell’entità della multa.
Nonostante vincolanti solo in Francia (per tre anni), i provvedimenti presi da Google potrebbero diventare un modello per consentire all’azienda di risolvere dispute simili anche altrove.

L’indagine europea del 2019

Google aveva già attirato l’attenzione dell’Antitrust francese nel 2019, sempre nel settore della pubblicità online: allora il motore di ricerca era stato sanzionato per concorrenza sleale con una multa da ben 150 milioni di euro.

Fonte: Wired

La multa si riferiva a Google Ads, vale a dire il servizio che consente di inserire degli spazi pubblicitari all’interno delle pagine di ricerca Google. Questo perché secondo l’autorità francese, la società statunitense aveva agito in maniera poco chiara nei confronti degli inserzionisti, accusata, in particolare, di aver sospeso o bloccato ingiustificatamente alcuni di loro, e di avergli oltretutto imposto condizioni particolarmente svantaggiose.

«Google ha potere di vita o di morte per molte società che vivono di pubblicità», ha detto durante una conferenza stampa Isabelle de Silva, a capo dell’autorità. «Noi non contestiamo a Google il suo diritto di imporre regole. Ma le regole devono essere chiare e uguali per tutti gli inserzionisti».

A quel punto Google spiegò che il caso aveva riguardato Gibmedia, un’azienda che usufruiva della piattaforma con inserzioni pubblicitarie discutibili e a volte ingannevoli. L’account di quest’ultima era stata sospeso proprio per tali ultime ragioni.

Il caso Facebook

Qualche giorno fa, la Commissione europea ha aperto un’indagine antitrust formale – simile a quella più recente di Google – su Facebook, per valutare se il social network avesse violato le regole di concorrenza dell’Ue mediante l’utilizzo di dati pubblicitari raccolti specialmente dagli inserzionisti, per competere con loro nei mercati dove Facebook è attivo, come ad esempio gli annunci economici.

Fonte: Everyeye Tech

Facebook potrebbe, ad esempio, ricevere specifiche informazioni sulle preferenze dei suoi utenti dalle attività degli annunci dei suoi concorrenti, per poi usare quei dati per adattare al meglio il suo servizio di annunci Marketplace.

‘’Nell’economia digitale di oggi, i dati non dovrebbero essere utilizzati in modi che distorcono la concorrenza”, ha detto Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione Ue e responsabile della concorrenza.

Un portavoce di Facebook commenta così l’indagine antitrust aperta dalla Commissione Ue:

“Continueremo a collaborare pienamente alle indagini per dimostrare che non hanno fondamento. Lavoriamo per sviluppare costantemente servizi nuovi e migliori che possano soddisfare le esigenze in evoluzione delle persone che usano Facebook. Marketplace e Dating offrono alle persone più scelta ed entrambi i prodotti operano in un contesto altamente competitivo, che presenta altri grandi player”.

Gaia Cautela

WhatsApp: modifiche sulla privacy e scatta l’allarme. Ecco perchè possiamo stare tranquilli

A partire dal 7 gennaio, moltissimi utenti di WhatsApp hanno cominciato a ricevere sui loro cellulari, all’apertura dell’app, un avviso che recita: «WhatsApp sta aggiornando i propri termini e l’informativa sulla privacy». E ancora: «Toccando “accetto”, accetti i nuovi termini e l’informativa sulla privacy, che entreranno in vigore l’8 febbraio 2021. Dopo questa data, dovrai accettare questi aggiornamenti per continuare a utilizzare WhatsApp. Puoi anche visitare il centro assistenza se preferisci eliminare il tuo account e desideri ulteriori informazioni».

L’avviso potrà inizialmente essere accantonato, per poi riapparire ad un’apertura successiva, dicendo chiaramente che chi non accetta non potrà più usare WhatsApp a partire proprio dall’8 febbraio.

(fonte: DDay.it)

Il complottismo generato

Sicuramente se fate uso della piattaforma social più popolare al mondo, questo avviso lo avrete già ricevuto, avviso che ha creato un po’ di preoccupazione su cosa possa succedere a chi usa WhatsApp, dato soprattutto dal fatto che viviamo in un periodo dove il complottismo e la paura di essere controllati da “entità superiori” dilagano indisturbate. Anche perché quel “dopo tale data dovrai accettare i termini per continuare a usare WhatsApp” ha scatenato tutta una serie di reazioni.

Addirittura, alcuni siti e pseudo-siti di news, anche in Italia, hanno scritto che Facebook, che possiede WhatsApp, si starebbe preparando a gravi violazioni della privacy degli utenti.

Quella comunicata a tutti i suoi due miliardi di utenti tramite questo avviso è semplicemente una modifica contrattuale unilaterale dei termini e delle condizioni di servizio, una cosa che succede spesso, con le piattaforme online gestite da società private. Il reale punto d’interesse riguarda l’interazione che WhatsApp vuole, e può, avere con Facebook, altra applicazione posseduta da Mark Zuckerberg a partire dal febbraio del 2014, quando stessa Facebook ha acquistato, per una cifra vicina ai 19 miliardi di dollari, WhatsApp; da quella data è sempre stato nell’interesse di Zuckerberg favorire l’interazione fra le due app.

Tuttavia, poiché negli ultimi mesi, proprio questa interazione, è stata oggetto di controllo da parte di regolatori di mezzo mondo, si è reso necessario l’aggiornamento e l’avviso da parte di WhatsApp. In quanto questo aggiornamento mira proprio a tutelare Facebook che continuerà a usare i dati in arrivo dall’app di messaggistica istantanea, e a condividerli anche con Messenger e Instagram.

A ciò deve essere oltretutto aggiunto, a prescindere dal parere personale su tale modifica, che in Italia (e nel resto d’Europa) questo aggiornamento non avrà effetti.

Da questa situazione hanno tratto vantaggio aziende rivali come Signal e Telegram: la prima è un’app di messaggistica concorrente molto rispettosa della privacy, consigliata anche dall’imprenditore americano Elon Musk, ed è balzata in cima alle classifiche delle app più scaricate; la seconda ha registrato 25 milioni di nuovi utenti nelle ultime 72 ore (dati dichiarati dallo stesso fondatore Pavel Durov)

Pavel Durov, ceo di Telegram
Pavel Durov, ceo di Telegram (fonte: MobileWorld)

Differenze tra USA e UE

Negli Stati Uniti e in altri paesi del mondo, ad eccezione dell’Europa, i nuovi termini di cui WhatsApp chiede l’approvazione prevedono che il servizio di messaggistica intende rendere obbligatoria la condivisione di alcuni dati dei suoi utenti con Facebook per scopi commerciali al fine di migliorare l’esperienza utente. Questo significa che tra i dati che Facebook utilizza per mostrare pubblicità personalizzata ce ne saranno anche alcuni che provengono da WhatsApp, tra cui per esempio il numero di cellulare, la rubrica dei contatti, i messaggi di stato ed altre informazioni.

Questo tipo di condivisione esisteva già prima, ma si poteva escludere; ora sarà obbligatoria.

In Europa invece, le modifiche che hanno fatto preoccupare molti utenti americani, compreso Elon Musk, come già detto, non valgono.

Questo è dato da due nette differenze:

  • i due enti che gestiscono sono differenti: WhatsApp Ireland per gli utenti europei e WhatsApp Inc per il resto del mondo.
  • i cittadini dell’UE sono protetti dal GDPR, il regolamento europeo per la protezione dei dati personali entrato in vigore nel 2018, che è una delle leggi sulla privacy più avanzate del mondo, a cui sia Facebook che WhatsApp devono sottostare.

Basta mettere a confronto l’avviso che WhatsApp ha mandato agli utenti internazionali e quello degli utenti europei: nel secondo manca un punto, quello legato appunto alla condivisione dei dati con Facebook.

(fonte: Screensite)

Come chiarisce un portavoce di WhatsApp, «non ci sono modifiche alle modalità di condivisione dei dati di Whatsapp nella Regione europea, incluso il Regno Unito, derivanti dall’aggiornamento dei Termini di servizio e dall’Informativa sulla privacy. Non condividiamo i dati degli utenti dell’area europea con Facebook allo scopo di consentire a Facebook di utilizzare tali dati per migliorare i propri prodotti o le proprie pubblicità». Quindi, se mai un giorno WhatsApp volesse condividere i dati degli utenti europei, dovrebbe trovare un accordo col regolatore europeo.

La sicurezza di WhatsApp

WhatsApp non legge e non usa informazioni provenienti dalle chat degli utenti, né negli Stati Uniti né in Europa né in nessuna parte del mondo. A partire dal 2014, infatti, WhatsApp ha applicato alle sue chat un sistema di protezione chiamato crittografia end-to-end che rende i contenuti delle chat inaccessibili a chiunque non sia il mittente o il destinatario. Quindi WhatsApp, anche volendo, non potrebbe accedere alle chat dei suoi utenti.

Bisogna comunque dire che anche in Europa, WhatsApp condivide con Facebook alcuni dati degli utenti: ma lo fa da anni. La differenza principale con il resto del mondo è che in Europa non può farlo per scopi commerciali o di marketing, ma soltanto per scopi tecnici e di sicurezza.

Insomma, se vivete nell’Unione Europea e non eravate preoccupati per WhatsApp prima, non ci sono ragioni per esserlo adesso.

Manuel de Vita

Elezioni USA: new e old media si schierano. Ecco come i social stanno combattendo contro Trump

Donald J. Trump non sembra voler rinunciare al titolo di Presidente degli Stati Uniti e continua a dichiarare “illegittimo” l’esito delle elezioni tenutesi lo scorso 3 novembre, da cui è uscito vincitore Joe Biden. Fino a ieri, l’attuale presidente degli Stati Uniti ha ribadito per l’ennesima volta di aver vinto le elezioni ma i social network e i media americani non la pensano come lui e hanno scelto di inserire degli avvisi nei contenuti rilasciati del presidente uscente.

Twitter

Ogni cinguettio pubblicato dal presidente uscente riceve la stessa sorte: l’oscuramento e/o l’avviso di essere un contenuto “controverso”. Nel suo ultimo tweet, Trump cinguetta un semplice: “Ho vinto le elezioni“; tuttavia Twitter avvisa i suoi utenti che: “Le fonti ufficiali danno un esito diverso delle elezioni“.

Secondo la politica del social network, questi tweet dovrebbero essere rimossi dalla piattaforma ma Trump è un presidente americano, quindi ci sono delle regole “speciali” per chi ricopre questo incarico: i politici con più di 250.000 seguaci sono personaggi di un certo rilievo e non subiscono la censura ma vengono semplicemente oscurati. Questa regola non vale per tutti i politici, ma solo per quelli che ricoprono una carica. Twitter stesso ha confermato ciò a Bloomberg, sottolineando che le regole meno rigide valgono solo per i leader mondiali in carica.

Questo significa che Trump può continuare a pubblicare ciò che vuole sulle elezioni fino al 20 gennaio 2021, quando ci sarà il cambio del presidente e Biden potrà incominciare il suo mandato. Da quel giorno, inoltre, tutti questi tweet “controversi” verranno cancellati poiché permettono il diffondersi delle fake news.

Tuttavia, la libertà di Trump di pubblicare ciò che vuole non limita la libertà del social network di apporre avvisi alla sua utenza. In questi giorni, ha twittato:

Lui (N.d.A. Biden) ha vinto solo per i NEWS MEDIA FALSI. Io non concedo NULLA! Abbiamo molta strada da fare. Queste sono state ELEZIONI TRUCCATE.

Il social dell’uccellino ha immediatamente apposto un’avvertenza sotto: “Questa affermazione riguardo la frode elettorale è controversa“.

Lo stesso avviso è apparso in molti dei recenti tweet pubblicati dal (quasi ex) presidente: in un altro cinguettio, egli aggiunge che ai seggi «non erano ammessi osservatori e il voto è stato “tabulato” da una società privata della Sinistra Radicale, Dominion, che ha una cattiva reputazione e attrezzature inadeguate che non sarebbero neppure ritenute sufficienti in Texas (dove ho vinto di gran lunga)». Ha successivamente ribadito che la notte elettorale sono stati “rubati dei voti” ed ha definito i voti postali “uno scherzo malato“.

Facebook

Trump è solito pubblicare gli stessi contenuti sia su Facebook che su Twitter. Anche sul social network di Zuckerberg le stesse frasi subiscono l’oscuramento e spunta anche qui un avviso all’utenza. Questo recita: “Gli Stati Uniti hanno leggi, procedure e istituzioni che garantiscono l’integrità delle elezioni“.

https://it-it.facebook.com/DonaldTrump/posts/10165823531240725?__xts__%5B0%5D=68.ARAyqEELnSt7qDz9BtjCUe-QlJAIguVJQmWcS5gnrrsx5SLl2SvaPUQg_4_amno9g666EVPg6BG7wvJmgp7uMiuoFQuftgCg-C07nPGUINFxP7fof7-vg4PfVBi1nDgvZ7BPrgYrUdtWfl4nQTCLWC87E2B_WGEv3-k_STrMXAQT34VzJpzuxxVezAB0-mPZHBX9WLWlsOGG52DLQ8qCW0mQUPh9ADNbyQ3dPzMIMVmascnOHAzBdHsXbNidkiAa0C9cXTmzDfBpI4sN37rmahojj98mqIg9YYledQGpMB59CXF4KVYI9Y0mFCZtJJ7gCL455QaY2E_Z6Htl&__tn__=-R

Questo non è l’unico strumento usato da Facebook per combattere la disinformazione trumpiana: sono stati chiusi importanti e numerosi gruppi e pagine pro-Trump che diffondevano teorie e prove fasulle riguardo la vittoria elettorale di Biden. Il più importanti tra questi gruppi era Stop the steal (trad. Fermate il furto) e, una volta chiuso, Facebook ha dichiarato:

In linea con le misure eccezionali che stiamo intraprendendo in questo periodo di rafforzata tensione, abbiamo rimosso il gruppo ‘Stop the steal’, che stava creando eventi nel mondo reale. Il gruppo era organizzato attorno alla delegittimazione del processo elettorale e abbiamo assistito a preoccupanti chiamate alla violenza da alcuni suoi membri.

Facebook non è nuovo nella lotta alle fake news. Nel 2018 ha firmato il “Codice di buone pratiche sulla disinformazione” promosso dalla Commissione europea e ha assunto oltre 35.000 persone che si occupano di sicurezza della piattaforma. L’obiettivo di questo Codice è di contribuire ad aumentare la consapevolezza degli utenti oltre a quello di combattere la disinformazione.

L’oscuramento riguarda anche i media tradizionali

Le sue idee riguardo le elezioni sono state inserite anche nei discorsi trasmessi in diretta TV, ma il tutto si è svolto in maniera insolita e ha dell’incredibile. Canali TV come ABC, CBS e NBC hanno interrotto il collegamento mentre il presidente in carica degli Stati Uniti stava parlando. NBC ha tagliato il collegamento affermando: “Interrompiamo il discorso del presidente perché ciò che sta dicendo, in larga parte, è assolutamente falso. E non possiamo consentire che vada avanti“. Fox News ha trasmesso solo parte del discorso di Trump. La CNN non ha censurato nulla, ma ha definito il discorso “il più disonesto della sua presidenza” e ha aggiunto in sovraimpressione che “senza prove, Trump sostiene di essere vittima di una frode“.

News networks face backlash for cutting away from Trump speech | Daily Mail Online
Gli anchorman di vari canali TV americani che hanno interrotto la diretta di Donald Trump. Fonte: Daily Mail

È la prima volta nella storia degli Stati Uniti che un suo presidente viene censurato in diretta televisiva.

Parler, Free Speech Social Network

Tutto questo oscuramento social non piace però ai fan di Trump che potrebbero aver trovato una via di fuga. Negli Stati Uniti infatti sta spopolando un nuovo social network, “Parler“. È sostanzialmente la copia in rosso di Twitter, senza cuori o like ma con frecce che puntavo verso l’altro. L’obiettivo della piattaforma è quello di rispettare il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti (quello che tutela la libertà di espressione) e di creare quindi una piattaforma in cui poter pubblicare tutto ciò che si vuole senza subire censure. I repubblicani che sostengono Trump hanno bisogno di uno spazio del genere e, per questo motivo, stanno abbandonando i grandi social per spostarsi su Parler e analizzare e diffondere le loro idee infondate sui brogli elettorali.

5 things to know about Parler, the right-wing-friendly social network - HoustonChronicle.com
Esempio di schermata di Parler, un nuovo social che sta spopolando in America. Fonte: Houston Chronicle.

Piccolo fun fact su questo nuovo social: pare esista un profilo chiamato @mattysalviny con la foto di Matteo Salvini, il leader della Lega. La bio dell’account però esclude il fatto che si tratti del vero Salvini.

Im a girl, pro lgbtq+ rights, blm, kinda acab, fuck ice, pro choice, anti trump and luckily non american. Conservatives are trash

Sono una ragazza, a favore dei diritti lgbtq+, sostenitrice del movimento Black Lives Matter, contro la polizia violenta, contro la violazione dei diritti umani, anti Trump e fortunatamente non americana. I conservatori fanno schifo

 

Sarah Tandurella

È caos in casa Facebook: ecco perché i dipendenti protestano contro Zuckerberg

I dipendenti di Facebook prendono le distanze dalle decisioni di Zuckerberg di non intervenire a oscurare i post di Trump. Su Twitter continuano le polemiche.

Il Presedente Americano Donald Trump il 28 maggio ha firmato un ordine esecutivo con l’intento di ridurre la possibilità, da parte dei social network, di segnalare o eliminare i contenuti dei propri utenti.  Il provvedimento prevede di non censurare neppure i contenuti falsi o che incitano all’odio.

Con la nuova normativa imposta dalla casa bianca, social network come Twitter e Facebook non godranno più di una sorta di “immunità”. Infatti, qualora dovessero eliminare un post le autorità competenti dovranno valutare se hanno leso o meno la libertà di espressione. Il decreto è stato presentato pochi giorni dopo che Twitter ha segnalato due post del presidente, considerandoli come “potenzialmente fuorvianti”. I contenuti non sono stati rimossi, ma è stato allegato un link dove era possibile approfondire i fatti che sono stati riportati erroneamente.
Trump prima di firmare il provvedimento ha affermato che l’esecutivo è volto a

«difendere la libertà di espressione da uno dei pericoli più gravi che si sia dovuto affrontare nella storia americana».

La volontà del Presidente Americano di non censurare i contenuti degli utenti, accade in virtù della norma conosciuta come “Sezione 230” contenuta all’interno del Telecommunications Act statunitense del 1996. Il provvedimento è stato istituito negli anni del boom tecnologico ed emanata per regolarizzare i contenuti pedopornografici, poi modificata nel 2018. La normativa però, esenta le piattaforme dalla responsabilità dei contenuti pubblicati dai propri utenti.

«Sui social media» –afferma Trump – «una manciata di realtà controllano una vasta porzione di tutte le comunicazioni pubbliche e private negli Stati Uniti. Hanno avuto il potere incontrollato di censurare, limitare, modificare, modellare, nascondere, alterare, praticamente qualsiasi forma di comunicazione tra cittadini privati».

Ci sono però dei limiti decisionali da parte di Trump; l’ordine esecutivo prevede infatti che il Dipartimento del Commercio e il procuratore generale William Barr modifichino la legge dalla Federal communications commission (Fcc). L’agenzia governativa è indipendente dal governo e può decidere se modificare o meno le norme vigenti, considerando i social network al pari del giornali.

Ciò che appare chiaro è che Trump punta a diminuire il potere delle grandi piattaforme, cambiando una legge del 1996 che le tutela a livello legale.

Il caso Twitter

L’antefatto tra Twitter e Trump, riguarda due tweet del Presidente considerati fuorvianti dal social network.
Nel primo affermava, senza alcuna prova, che le votazioni per posta avrebbero portato una diffusa frode fiscale nei confronti degli statunitensi. Trump ha prontamente reagito all’accaduto, scrivendo che quest’atto si può considerare censura, e anche quest’ultimo post è stato considerato come “non veritiero”.

Il decreto voluto dal Presidente infatti, cita direttamente Twitter affermando che questo applichi una selettiva che considera, erroneamente, i post come inaffidabili. Nel provvedimenti vengono citati anche Google che, secondo il parere di Trump, aiuterebbe la Cina a spiare i cittadini americani e Facebook che riceverebbe un cospicuo guadagno dalle pubblicità cinesi.

Dipendenti di Facebook in protesta

Il provvedimento di Trump ha creato all’interno dell’aziende del Network abbastanza scompiglio. I dipendenti manifestano contro il rifiuto di CEO, Mark Zuckerberg, di sanzionare i post incendiari del presidente americano. Alcuni dipendenti, infatti, si astengono dal lavorare per contrastare l’imparzialità da parte di Zuckerberg. «Riconosciamo la sofferenza che molti della nostra gente sta provando ora, in particolar modo la nostra comunità nera» affermano i dipendenti, incoraggiando altri lavoratori «a parlare apertamente quando non sono d’accordo con i vertici dell’azienda».
Parlando a Fox News, però, il fondatore del colosso ha affermato che i social privati non dovrebbero essere arbitri della verità di quanto le persone sostengono online.

Il Presidente Americano ha ritwittato l’intervista, dopo che i suoi post che incitavano alla violenza contro i manifestanti non sono stati censurati per incitamento all’odio. Anche il direttore dei prodotti Facebook si discosta dal modo in cui Zuckerberg sta gestendo la situazione e afferma:

«Non sono fiero di come si sta muovendo l’azienda e molti colleghi con cui ho parlato la pensano come me. Dobbiamo far sentire la nostra voce».

Nel corso di una conferenza, tenuta nella giornata di ieri, il numero uno di Facebook Zuckerberg parlando ai suoi dipendenti ha affermato che è stata “una decisione difficile” ma “approfondita” e aggiunge

«Sapevo che avrei dovuto mettere da parte la mia opinione personale, conscio che decisioni come questa avrebbero turbato molti all’interno della compagnia e avrebbero attirato critiche dai media».

Paola Caravelli

https://www.lifegate.it/persone/news/trump-contro-twitter (03/06/2020)

https://www.lastampa.it/esteri/2020/06/02/news/usa-zuckerberg-non-interviene-su-post-di-trump-in-sciopero-i-dipendenti-di-facebook-1.38918721 (03/06/2020)

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2020/06/02/zuckerberg-si-difende-su-trump-decisione-difficile-_799835fe-3bb8-433f-a2b2-416293fe3650.html (03/06/2020)

 

L’appello di Zuckerberg, nuove regole e governi più attivi

 

 

“Internet ha bisogno di nuove regole”.

È questo l’appello di Mark Zuckerberg, CEO di Facebook, in una lettera aperta pubblicata dal Washington Post, quotidiano statiunitense del collega Jeff Bezos, proprietario di Amazon.

Forse scottato dagli ultimi scandali che hanno visto debole il suo social network su fake news e sicurezza degli utenti, Zuckerberg esorta ora i governi a un “ruolo più attivo” contro i “contenuti dannosi” e per “garantire l’integrità del processo elettorale, la privacy della gente e la portabilità dei dati”.

Sulla protezione degli utenti, il numero uno di Facebook è per “un quadro armonizzato globale” e per questo ha invitato tutti i paesi ad adottare un regolamento completo sulla privacy come il GDPR (General Data Protection Regulation, ndr) dell’Unione Europea:

“Dovrebbe proteggere il diritto di scegliere come vengono utilizzate le tue informazioni, consentendo alle aziende di utilizzarle per scopi di sicurezza e di fornitura di servizi. Non dovrebbe richiedere che i dati siano conservati localmente, che li rende più vulnerabili. E dovrebbe stabilire un modo per considerare le aziende come Facebook responsabili imponendo sanzioni nel caso facciamo degli errori. Credo anche che un quadro globale comune piuttosto che regolamento che varia significativamente per paese e paese garantirà che internet non si sfilacci, che gli imprenditori possano fare il loro lavoro, e tutti ottengono le stesse protezioni. Abbiamo bisogno di regole chiare”.

Zuckerberg vorrebbe inoltre rendere più semplice e sicura la portabilità dei dati per dare la “scelta alle persone” e per permettere agli sviluppatori di “innovare e competere”, ma anche questo “richiede regole chiare su chi è responsabile di proteggere le informazioni quando l’utente si muove tra i vari i servizi”.

Il CEO di Facebook parla poi di “proteggere le elezioni” – data l’influenza che un social potrebbe avere se usato in maniera scorretta – e di “garantire l’efficacia dei sistemi di revisione dei contenuti”, dato che “le aziende dovrebbero essere responsabili dell’osservanza delle norme sui contenuti dannosi”.

“La tecnologia – scrive sempre Zuckerberg – è una parte importante della nostra vita, e le aziende come Facebook hanno enormi responsabilità”.

Antonino Giannetto