Cappato indagato per un nuovo caso di aiuto al suicidio: «La condizione del sostegno vitale una trappola dello Stato»

82 anni, ex giornalista toscano e residente a Peschiera Borromeo, il signor Romano era ormai costretto a vivere con forti dolori dovuti al Parkinsonismo atipico dal 2020, malattia che gli impediva di svolgere una qualsiasi attività in autonomia, ma non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale.

«Mio marito Romano è affetto da una grave malattia neurodegenerativa, una forma di Parkinson molto aggressiva che gli ha paralizzato completamente gli arti e che ha prodotto una disfagia molto severa che lo porterà a breve a una alimentazione forzata», ha affermato la moglie di Romano.

Per questo motivo, la famiglia ha scelto di supportare l’uomo nella decisione di porre fine alla sua vita, chiedendo a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, di procedere con il suicidio assistito in Svizzera.

«Ho sempre fatto le mie scelte e ho sempre pensato che la nostra vita ci appartenga, prima ancora che questa frase diventasse centrale nella campagna dell’Associazione Luca Coscioni. Così ho iniziato ad informarmi sulle possibilità di organizzare il mio fine vita nel modo più dignitoso possibile, ma presto mi è stato chiaro che la situazione italiana è più complicata di come potessi pensare. L’opzione di recarmi in Svizzera in clandestinità mi spaventa perché non voglio assolutamente mettere i miei familiari nella condizione di rischiare di affrontare vicissitudini giudiziarie. Trovo però che sottrarre la libertà di scelta in questi casi sia anacronistico e crudele, e non mi arrendo all’idea di non essere libero».

Le condizioni per l’accesso al suicidio assistito

L’uomo, come più volte sottolineato, non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e quindi non rientrava nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale per l’accesso al suicidio assistito in Italia. Secondo quanto deciso dalla Consulta, infatti, il suicidio assistito sarebbe possibile e legale quando la persona malata che ne fa richiesta risponda a determinati requisiti verificati dal Sistema Sanitario Nazionale:
1) Affetta da una patologia irreversibile.
2) Fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche.
3) Pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
4) Tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale.

L’accusa di aiuto al suicidio

Non è la prima volta che ad un soggetto viene negato il trattamento in assenza di uno dei requisiti: è stato anche il caso della signora Elena Altamira, 69enne veneta malata terminale di cancro, aiutata a porre fine alla propria vita dallo stesso Marco Cappato, che risulta adesso nel registro degli indagati con l’accusa di aiuto al suicidio.

Per questo motivo Marco Cappato si è autodenunciato il 26 novembre presso i carabinieri della Compagnia Duomo a Milano per aver portato in una clinica in Svizzera l’uomo, rischiando fino a 12 anni di carcere.

Il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni però afferma che «la trappola nella quale l’82enne stava per cadere definitivamente era quella di acquisire il cosiddetto quarto criterio previsto dalla Corte costituzionale – diventare dipendente dal trattamento di sostegno vitale, ma allo stesso tempo avrebbe perso la capacità di intendere e di volere che è una delle condizioni indispensabili per ottenere l’aiuto alla morte. Questa è una condizione di oggettiva violenza esercitata dallo Stato».

Ha ribadito nuovamente la sua posizione alla trasmissione di Radio 24 “Uno, nessuno, 100Milan”: «Romano aveva due possibilità: morire come non avrebbe mai voluto, cioè incapace di intendere e di volere, attaccato a una Peg come sarebbe stato a breve, oppure morire potendo salutare senza soffrire le persone che lo hanno amato, ovvero la moglie e i figli. Questo è un suicidio? Per me non lo è».

A riguardo è stata intervistata la figlia del signor Romano, Francesca: «Mio papà ha appena confermato la scelta di morire. Io sono arrivata dalla California per essere qui con lui in questi giorni. In California, la scelta che ha fatto mio papà è legale e, nel caso di una malattia come la sua, avrebbe potuto scegliere di morire in casa, circondato dai suoi cari e dalla sua famiglia. Noi abbiamo dovuto fare questo viaggio per venire in Svizzera perché lui potesse fare questa scelta e io spero che in Italia, presto, sia possibile per le persone poter fare questa scelta a casa propria e morire a casa propria, circondate dalle persone care». 

Federica Lizzio

Eutanasia legale, per la Consulta il quesito referendario è inammissibile. “Non tutela la vita”

La Corte Costituzionale, nella giornata di ieri ha bocciato il referendum sull’eutanasia chiesto con la raccolta di 1,2 milioni di firme organizzata dall’Associazione Luca Coscioni. Le motivazioni non sono ancora state rese note ma la sentenza integrale della Corte sarà disponibile nei prossimi giorni. In una nota diramata dall’ufficio comunicazione e stampa si apprende che: (leggi qui il testo integrale)

“La Corte ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”.

L’associazione “Luca Coscioni” non si arrende

La sconfitta non sembra però scoraggiare i membri dell’associazione Luca Coscioni che in una nota hanno commentato la decisione della Corte.

Il cammino verso la legalizzazione dell’eutanasia non si ferma. L’Associazione Luca Coscioni non lascerà nulla di intentato, dalle disobbedienze civili ai ricorsi giudiziari.

Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. (fonte: ilfattoquotidiano)

Un commento è presto arrivato anche da Marco Cappato che da mesi si batte per la raccolta delle firme e la sensibilizzazione sul tema: “Questa per noi è una brutta notizia”, ha dichiarato “credo che sia una brutta notizia per coloro che subiscono e dovranno subire ancora più a lungo sofferenze insopportabili contro la loro volontà. Credo sia ancora di più una brutta notizia per la democrazia del nostro Paese perché sarebbe stata una grande occasione per collegare la realtà sociale con le istituzioni, su questo molto disattente”.

Il referendum abrogativo

Il referendum proponeva di abrogare solo una parte dell’articolo 579 del codice penale, che punisce l’omicidio di una persona consenziente con la reclusione da 6 a 15 anni, con alcune eccezioni: resta un reato se si tratta di un minore e in questo caso si applicano le pene previste per l’omicidio. L’eventuale abrogazione avrebbe lasciato intatta la punibilità in tutti i casi dove non ci sia un esplicito consenso, in presenza di infermità mentale o dove il consenso venga carpito con l’inganno e avrebbe aperto la strada verso l’eutanasia attiva, al momento illegale in Italia, che avviene quando il medico somministra il farmaco necessario a morire.

I promotori del referendum, in diverse sedi, hanno replicato alle contestazioni avanzate dalle organizzazioni pro-vita in merito al rischio di “una totale liberalizzazione della pratica” dovuta all’abrogazione dell’omicidio del consenziente. “Il quesito referendario” rispondono i promotori, “fa salve le tutele poste per le persone più vulnerabili ovvero i minori, gli incapaci anche parzialmente o con una deficienza psichica momentanea e le persone il cui consenso non è libero, ovvero estorto o carpito con l’inganno. In tutte queste circostanze verrà applicata la norma che punisce l’omicidio doloso”.

Dibattito pubblico sull’eutanasia

Il dibattito pubblico sull’eutanasia e il suicidio assistito era stato introdotto dalla Corte Costituzionale quando nel 2019 era intervenuta sulla morte di DJ Fabo, stabilendo che a determinate condizioni non è punibile una forma di eutanasia definita assistenza al suicidio. La sentenza stabilì che in Italia si può aiutare una persona a morire senza rischiare di finire in carcere se quella persona ha una patologia irreversibile che provoca sofferenze fisiche o psicologiche, se la persona è pienamente capace di decidere liberamente e consapevolmente e se è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. La Corte Costituzionale aveva, inoltre, sollecitato il Parlamento ad approvare una legge in merito.

La legge assente

In tema eutanasia e suicidio assistito, il referendum è sempre apparso come l’ultima chance vista l’assenza di una legge in Parlamento che negli ultimi 40 anni non è stato in grado di giungere ad un accordo, nonostante le innumerevoli proposte e pressioni. Una proposta di legge sul suicidio assistito è attualmente in discussione a Montecitorio, ma rischia di vanificare quanto già previsto dalla sentenza della Consulta sul caso di Dj Fabo, che ha già valore di legge. Secondo Cappato, la rigidità del meccanismo di obiezione di coscienza “rischia di portare a una paralisi della struttura sanitaria, che invece deve essere obbligata a rispettare le volontà del malato”.

Le reazioni della politica 

La bocciatura del primo degli otto quesiti referendari da parte della consulta ha nell’immediato scatenato le reazioni della compagine politica che insiste affinché il Parlamento si impegni ad approvare una legge sul suicidio assistito. Il segretario del Pd, Enrico Letta ha commentato:

“La bocciatura da parte della Corte costituzionale del referendum sull’eutanasia legale deve ora spingere il Parlamento ad approvare la legge sul suicidio assistito, secondo le indicazioni della Corte stessa”

Così Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del Pd: “Prevedibile l’inammissibilità di un quesito estremo, ma non si usi impropriamente come alibi contro la legge necessaria e urgente sul suicidio assistito già in aula alla Camera”. Anche il segretario della Lega, Matteo Salvini, nonostante non abbia mai nascosto la propria contrarietà all’eutanasia si è detto “dispiaciuto, la bocciatura di un referendum non è mai una buona notizia”.

 

Elidia Trifirò 

“Verso il diritto di non soffrire?”: Il deputato Trizzino alla conferenza sull’eutanasia

Sabato 27 novembre, nell’Aula Magna del Padiglione F del Policlinico si è tenuto un importante dibattito riguardante l’eutanasia il suicidio assistito.

L’evento dal titolo “Verso il diritto di NON SOFFRIRE?” è stato organizzato dall’Associazione Universitaria Ares con il patrocinio di UniMe.

Lo stesso permetteva il riconoscimento di 0,25 CFU a tutti gli studenti partecipanti.

Le tematiche

I temi affrontati sono stati innumerevoli: si è parlato del Referendum sull’Eutanasia, della sentenza Cappato, degli aspetti penali e di quelli deontologici di queste pratiche e di molto altro ancora. L’obiettivo dell’incontro era quello di porre al centro del dibattito una tematica scottante che chiede a gran voce una soluzione in tempi brevi, ma che purtroppo continua a essere “rimbalzata” dai palazzi del governo.

Marco Cappato: uno dei volti al centro del dibattito.

L’intervento fondamentale in apertura è stato quello dell’onorevole Giorgio Trizzino, eletto alla camera dei deputati nel 2018 con il Movimento 5 Stelle (partito che ha abbandonato lo scorso marzo). Trizzino è stato in prima linea nei reparti e si è interessato personalmente delle pratiche legate al suicidio assistito. L’intervento del deputato si è focalizzato nel chiarire i punti fondamentali da cui partire per poter dibattere di queste tematiche: le definizioni di suicidio assistito, eutanasia e cure palliative. L’onorevole Trizzino ha infatti sottolineato l’errore molto diffuso che vede queste tre pratiche come un unicum.

Il deputato ha iniziato il discorso rimarcando l’importanza delle parole, che, a detta sua, troppo spesso assumono significati diversi da quelli reali, soprattutto nel mondo di internet. Ha poi lanciato un accusa contro l’ignoranza che indebolisce e sterilizza il dibattito riguardo queste tematiche. In molti infatti, a detta dell’onorevole, si lanciano nella discussione pur essendo poco informati sui fatti e che facendo spesso confusione nel distinguere i singoli casi. Lo stesso Trizzino nel suo intervento ha infatti cercato di chiarire meglio le differenze tra le diverse pratiche, parlando dell’eutanasia come di “un’azione o omissione volontaria da parte di un terzo che procura la morte di un malato per alleviarne le sofferenze”. Ha poi specificato come invece il suicidio assistito, sussista “quando un malato si auto-somministra un farmaco con l’aiuto di un soggetto terzo (spesso un medico o un infermiere)”.

L’onorevole ha quindi sottolineato come l’astensione o sospensione di trattamenti non siano eutanasia, e come questo valga anche per la rinuncia all’accanimento terapeutico.

L’onorevole Giorgio Trizzino. Fonte: il Fatto Quotidiano.

Ha poi chiarito l’ultimo concetto, quello inerente alle cure palliative, di cui egli stesso si è occupato lungo il suo percorso lavorativo. Il deputato ha chiarito come questo tipo di cure siano un approccio integrato che mira ad “aiutare il malato in fase avanzata al fine di prevenire dolori e altri problemi, non solo fisici ma anche psicosociali e spirituali”.

In questo senso possono considerarsi cure palliative le terapie specifiche, ma anche alcuni tipi di riabilitazione, sostegno psicologico e quello religioso, tutte pratiche che mirano ad aiutare i pazienti e le loro famiglie.

Il caso Cappato

Poi, attraverso un’introduzione del famigerato caso Cappato, Trizzino si è espresso sul pessimo trattamento che viene riservato a queste tematiche dai suoi colleghi in parlamento, parlando di un vero e proprio “ostruzionismo” della discussione che ne esaspera la situazione.

L’onorevole Trizzino ha poi concluso così il suo intervento.

Il parlamento non ha il coraggio di affrontare questi temi, voi lo avete e io vi ringrazio per questo. Il parlamento non può però sottrarsi a questo obbligo soprattutto se incentivato dalla corte costituzionale”.

Uno degli interventi durante la conferenza.

Il dibattito

In seguito i vari docenti si sono susseguiti in diversi interventi mirati sulle singole materie di interesse.

Il Professore Stefano Agosta, ordinario di Diritto costituzionale è intervenuto sul quesito referendario, provando ad intercettare gli scenari futuri che si profilano per il prossimo anno. Il professore Agosta ha dunque chiarito che l’eventuale abrogazione, prevista dal referendum, colpirebbe solo una parte dell’articolo 579 e che in ogni caso la corte costituzionale potrebbe comunque rifiutare l’abrogazione.
 La Professoressa Marianna Gensabella si è invece occupata degli aspetti etici e morali che sono al centro di una discussione di questo tipo.

La Professoressa Tiziana Vitarelli ha parlato dell’approccio penalistico, sfruttando la vicenda Cappato e dj Fabo come caso di studio.

Il Professore Vincenzo Adamo ha fatto riferimento alla sua lunga esperienza da medico oncologo per riportare la differenza che ha potuto cogliere tra la scelta suicidaria e quella dell’eutanasia in un paziente oncologico affetto da depressione.

Il Professore Alessio Asmundo ha infine trattato gli aspetti deontologici e medico legali di queste pratiche, avvolti da altrettante problematiche e punti oscuri.

Le parole dell’Associazione Ares

Giovanni Savoca e Gabriele Portaro, studenti portavoce di Ares, hanno così commentato il loro evento:

È davvero bello e sorprendere vedere tanti ragazzi impegnarsi in prima persona per la realizzazione di un progetto di questo tipo . In un periodo come quello che abbiamo appena trascorso , in cui la socialità è stata messa da parte a causa della Covid , riuscire a creare un gruppo forte e interessato alle tematiche attuali non è per nulla scontato . Oggi abbiamo dimostrato come da parte dei giovani ci sia sempre un maggior interesse verso tematiche attuali , maggior interesse che si dimostra tramite la nostra partecipazione, impegno e disponibilità al dialogo e all’ascolto . oggi abbiamo avuto l’opportunità di conoscere i punti di vista e le opinioni di diversi esperti .
Alla luce di ciò auspichiamo che si trattino sempre più spesso tematiche così attuali rendono partecipi i giovani favorendone il confronto e la crescita.

Antonio Ardizzone

Una svolta nella storia dei diritti: il primo sì al suicidio assistito in Italia

“Dopo oltre un anno dall’inizio di questa battaglia, anche legale, Mario ha finalmente ricevuto il parere che attendeva: il Comitato Etico ha riscontrato i requisiti delle condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale per l’accesso al suicidio assistito. È la prima volta in Italia.”. Scrive, così, tramite i propri canali social l’associazione Luca Coscioni, per comunicare che in Italia, per la prima volta, una persona potrà usufruire del suicidio assistito.

(fonte: notizie.it)

Si tratta di Mario, marchigiano di quarantatré anni, di cui gli ultimi undici vissuti da tetraplegico. La colpa di un incidente stradale.

Da oltre un anno, precisamente nell’agosto 2020, Mario aveva inoltrato una richiesta, all’Azienda sanitaria delle Marche, perché fossero verificate le sue condizioni di salute e poter poi accedere, legalmente, ad un farmaco letale per porre fine alla sua sofferenza.

Nel 2019 fu, infatti, approvata la sentenza della Corte Costituzionale in merito al caso di Marco Cappato, il politico e attivista, Tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, il quale era stato accusato di istigazione al suicidio, in base all’articolo 580 del Codice penale. Aveva aiutato Fabiano Antoniani, più noto come dj Fabo, a raggiungere la Svizzera e sottoporsi alla procedura di suicidio assistito.

 

La storia di dj Fabo, l’inizio di tutto

Fabo (fonte: ANSA)

Fabo era rimasto paralizzato e cieco dopo un incidente stradale. Marco Cappato aveva percepito tutta la sua sofferenza e così decise di correre lo stesso il rischio, andando contro la Legge italiana e incontro alla possibilità di finire per 12 anni in carcere.

“Sono arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato” scrisse Fabo su Facebook, nel suo ultimo messaggio, concludendo con un grazie a Cappato. Il dj che, con la sua vicenda, ha dato inizio a un profondo cambiamento nel nostro Paese, era diventato già da molti mesi prima il simbolo della lotta per l’approvazione di una legge sull’eutanasia e sul testamento biologico in Italia. Marco, invece, stava portando avanti da tempo la campagna “Eutanasia legale”.

Nel 2017, anno della vicenda, la discussione alla Camera dei deputati per il testamento biologico era stata posposta per tre volte, fino a essere rimandata al marzo, mentre le proposte di legge sull’eutanasia erano bloccate in Commissione da circa un anno. Davanti a questo, Cappato non si era trattenuto da dichiarazioni durissime contro i politici, convincendosi sempre più che la vita debba essere giudicata qualitativamente e non quantitativamente e, soprattutto, battendosi ancora più forte, in nome di Fabo e molti altri italiani che sono dovuti fuggire dall’Italia per poter morire, tramite le procedure esistenti, ma qui ancora illegali.

Due procedure diverse

Prima di procedere, vogliamo ricordare che il suicidio assistito e l’eutanasia sono due pratiche distinte: infatti, perché si tratti della prima delle due, il farmaco necessario a provocare il decesso viene assunto dalla persona malata in modo autonomo; per l’eutanasia, invece, è fondamentale il ruolo del medico, poiché, nel caso in cui essa sia “attiva”, è quest’ultimo a somministrare il farmaco letale, mentre per quella “passiva” sospende le cure o spegne i macchinari che tengono in vita la persona.

Dopo che Fabo se n’è andato, l’eutanasia passiva è stata resa legale con una legge sul testamento biologico, del gennaio 2018. Non ci sono, invece, mai state norme che regolamentassero l’eutanasia attiva e il suicidio assistito, ma entrambe si possono praticare in seguito all’emanazione della suddetta sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato. Questa prevede che vi siano necessariamente determinate condizioni.

 

Più di un anno di attesa perché Mario usufruisse di un suo diritto

Per il 43enne di Ancona, Mario, è stata una lunga battaglia, anche legale, perché si desse inizio alla procedura. La decisione in merito spettava all’Asl marchigiana, la quale respinse la richiesta, rifiutandosi, inoltre, di attivare le procedure previste dalla sentenza del 2019, a partire da quella di verifica delle condizioni del malato.

Le condizioni che verranno ricercate ogni qualvolta verrà presentata una richiesta, delineate dalla Corte Costituzionale, prevedono che: il malato che formula la richiesta sia «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale», sia «affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili» e sia «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

Mario allora presentò un’istanza al Tribunale di Ancona, lo scorso marzo. Si diede ragione all’Asl: pur riconoscendo che il paziente aveva i requisiti previsti dalla Corte Costituzionale, non era possibile obbligare l’azienda e gli operatori sanitari a garantire il diritto al suicidio assistito.

Poi una svolta. L’uomo aveva, quindi, presentato un reclamo, e il Tribunale, a giugno scorso, ha ribaltato la precedente decisione, ordinando che l’Asl marchigiana verificasse la sussistenza dei criteri che avrebbero reso la richiesta accettabile.

 

Uno storico sì

Così, ieri, è arrivato quello che è stato definito uno storico sì. Il Comitato Etico dell’Azienda sanitaria marchigiana – un organismo indipendente formato da medici e psicologi che ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti dei pazienti – ha deciso che la situazione di Mario rientra nelle condizioni stabilite. Ora restano da definire, però, le modalità di attuazione della procedura.

“Mi sento più leggero, mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni. – ha dichiarato in un video Mario, una volta appresa la notizia – “Sono stanco e voglio essere libero di scegliere il mio fine di vita. Nessuno può dirmi che non sto troppo male per continuare a vivere in queste condizioni, condannarmi a una vita di torture. – per poi tuonare – Si mettano da parte ideologie, ipocrisia, indifferenza, ognuno si prenda le proprie responsabilità perché si sta giocando sul dolore dei malati.”.

Cappato ha commentato la vicenda definendola un “calvario dovuto allo scaricabarile istituzionale”:

“Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che ha a tutti gli effetti legalizzato il suicidio assistito, nessun malato ha finora potuto beneficiarne, in quanto il Servizio Sanitario Nazionale si nasconde dietro l’assenza di una legge che definisca le procedure. Mario sta comunque andando avanti grazie ai tribunali, rendendo così evidente lo scaricabarile in atto.”.

Cappato, rischiò 12 anni di carcere per aver aiutato dj Fabo (fonte: today.it)

Questa rimane comunque una tematica oggetto di numerose e anche aspri dibattiti. Basti pensare alle pesanti critiche da parte della Chiesa, da sempre attivamente contraria e che, nelle ultime ore, ha rilasciato comunicati in cui invita gli italiani gravemente malati, ad affidarsi, invece, alle cure palliative. Esempio è l’episodio che ha visto protagonista, qualche giorno fa, l’Arcivescovo di Perugia Gualterio Bassetti, che, aprendo la sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente, ha criticato il referendum sulla morte assistita: “Propone una soluzione che rappresenta una sconfitta dell’umano”. Anche il mondo della politica rimane profondamente diviso.

Dal 2006, i casi più noti che hanno scosso le coscienze (fonte: ANSA)

Inoltre, rimangono in sospeso punti fondamentali, per i quali la sentenza della Corte Costituzionale resta solo un’iniziale conquista in tema di suicidio assistito. Infatti, i relatori alla proposta di legge, testo di attuazione della sentenza del 2019, hanno accolto la richiesta del centrodestra di prevedere la possibilità di obiezione di coscienza per il personale sanitario. Dunque, innanzitutto, bisognerà capire se ciò potrà configurarsi come un grosso impedimento per tutti coloro che vorranno fare la stessa scelta di Mario o di Fabo.

 

Rita Bonaccurso

Nuovi passi per nuova legge sull’eutanasia ma la maggioranza si mostra divisa. Ecco in cosa si articolerà il testo base

È stato compiuto il primo passo a Montecitorio a favore dell’approvazione di un testo base per la legge sul suicido assistito. La nuova norma, però, divide la maggioranza. Nel frattempo l’Associazione Luca Coscioni raccoglie le firme per indire un referendum.

Suicidio assistito –Fonte:ilmanifesto.it

Dopo mesi di stallo, lo scorso 6 luglio la Commissione Giustizia della Camera ha accolto il testo base della nuova legge per l’eutanasia. Nonostante debba essere ancora candelarizzata, la sua accettazione segna un importante passo in avanti volto a smuovere la situazione di incertezza che vigeva fino a poche settimane fa. Le polemiche pronunciate, ricalcano uno scenario molto simile a quello in corso per il ddl Zan.

Il voto dei partiti

Il maggiore assenso è provenuto dal fronte del centro sinistra, primamente dal Movimento 5 Stelle, sostenuto da PD, Liberi e Uguali, Azione e +Europa. Pur trattandosi di un testo base, il provvedimento dovrà passare attraverso le votazioni degli emendamenti sia della commissione che dell’aula. I reazionari che hanno votato contro sono stati Lega e Forza Italia, sostenendo il contesto di sospetti, sgambetti e presunte prevaricazioni.

Muro contro muro su eutanasia: le destre frenano il Parlamento –Fonte:lanotiziagiornale.it

A dare l’annuncio del “via libera” è stato il Presidente della Commissione Affari Costituzionali, Giuseppe Brescia (M5S), esponendo che

“Dopo la sentenza della Corte Costituzionale il Parlamento ha il dovere di intervenire con coraggio, il M5S è in prima linea per una legge di civiltà, attesa da troppi anni. Vedremo se chi oggi ha votato a favore manterrà il suo impegno durante il percorso. Non si può giocare su questi temi.”

La sentenza della Corte costituzionale del 2019

La possibile regolamentazione dell’eutanasia, permetterebbe di risolvere il problema costituzionale. Essa infatti, fino ad oggi è stata acconsentita solo in pochissimi casi. Importantissima fu la sentenza della Corte Costituzionale del 2019, il cui intervento riguardava la morte di Fabiano Antoniani, noto come “DJ Fabo”.

Sentenza Corte Costituzionale –Fonte:associazionelucacascioni.it

Concretamente è stato stabilito che in Italia si può aiutare una persona a morire senza rischiare ripercussioni penali, solo se il soggetto si ritrovi in determinate condizioni irreversibili, se la patologia generi sofferenze fisiche o psicologiche per il paziente intollerabili, se la persona si trova in uno stato in cui è capace di intendere e di volere e se è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Si definisce così una forma di eutanasia non punibile.

Il contenuto del testo base

Nei mesi precedenti alla sentenza appena detta, il Parlamento ha più volte tentato ad approvare una legge sull’eutanasia ottenendo però scarsi risultati. Il testo base accolto in questa settimana combacia a grandi linee con i parametri richiesti per il suicidio assistito dalla Corte Costituzionale, prevedendo altresì la clausola di una prognosi infausta, ossia di una malattia terminale che esclude la sopravvivenza del soggetto.

Il testo e la proposta di legge –Fonte:corriere.it

Affinchè la pratica per la richiesta del suicidio assistito venga accolta, il documento prevede la creazione di una commissione volta ad esaminare ciascuna richiesta. Attraverso un comunicato il Presidente della commissione Giustizia alla Camera, Mario Perantoni (M5S) fa comprendere come l’esistenza di un ottimo testo, possa realmente chiarificare ogni perplessità e appianare le differenze.

Il ruolo dell’Associazione Luca Coscioni

Associazione Luca Coscioni –Fonte:quotidianosociale.it

L’Associazione Luca Coscioni è un’associazione no profit di promozione sociale nata nel 2002, che rientra in quelle associazioni ed enti per i quali è stata riconosciuta la legittimazione ad agire per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni. Tra le sue priorità vi sono:

  • l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita;
  • l’abbattimento della barriere architettoniche;
  • le scelte di fine vita;
  • la ricerca sugli embrioni;
  • l’accesso alla procreazione medicalmente assistita;
  • la legalizzazione dell’eutanasia;
  • l’accesso ai cannabinoidi medici;
  • il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.

La segretaria dell’associazione, Filomena Gallo e il tesoriere Marco Cappato, però hanno criticato il testo base, in quanto esclude di fatto sia i malati di tumore, in quanto nella maggioranza dei casi non sono sottoposti a trattamenti di sostegno vitale, sia perché elude la possibilità dell’eutanasia attiva, cioè il compimento di un “omicidio mirato” a ridurre le sofferenze di un’altra persona. Il medico o un terzo somministra intenzionalmente al paziente un’iniezione che conduce direttamente alla morte.

L’associazione prevede altresì l’indizione di un referendum abrogativo di una parte dell’articolo 579 del codice penale, volto a punire l’assistenza al suicidio. In tal modo si acconsentirebbe anche all’eutanasia attiva, oltre che un ampliamento di applicazione del suicidio assistito. La raccolta firme già avviata resterà attiva fino al 30 settembre, con l’obiettivo di riuscire ad ottenere 500 mila firme da presentare presso la Corte di Cassazione. Se tale pronostico si dovesse realizzare la Corte Costituzionale, in seguito al controllo di legittimità della legge, potrebbe indire il voto entro il 2022.

Giovanna Sgarlata

 

Suicidio assistito, prima storica applicazione della Sentenza Cappato

Era il 25 settembre 2019 quando la Corte Costituzione italiana stabiliva che non sempre è punibile chi aiuta un’altra persona a morire. Il provvedimento, che prese il nome di Sentenza Cappato, aprì per la prima volta nel nostro ordinamento la strada alla possibilità di ricorrere al suicidio assistito. E questa settimana quella strada è stata praticata per la prima volta. Il Tribunale di Ancona ha infatti accolto la richiesta di un 43enne tetraplegico di ricorrere a tale pratica.

fonte: TuttoVisure.it

La Sentenza del Tribunale di Ancona

L’uomo, 43enne marchigiano, è ormai da 10 anni immobilizzato a letto. Una condizione irreversibile e dovuta a un incidente stradale. Quest’ultimo però non ha intaccato la sua capacità di intendere e di volere. Ben conscio del proprio stato e venuto a sapere dell’esito del processo a carico di Marco Cappato, l’uomo ha infatti fatto richiesta all’Azienda Sanitaria Locale (ASL) di potere accedere al suicidio assistito. Richiesta però respinta dalla struttura che si è rifiutata di attivare le procedure previste all’interno della stessa sentenza della Corte Costituzione.

In seguito al rifiuto da parte dell’ASL delle Marche, l’uomo si è quindi rivolto al tribunale del capoluogo marchigiano. I giudici hanno però respinto in primo grado la richiesta. Questo perché, per i giudici, sebbene il 43enne possedesse tutti i requisiti previsti all’interno della sentenza Cappato la sussistenza degli stessi non comporta automaticamente un obbligo nei confronti della struttura sanitaria e del suo personale di garantire la procedura di assistenza al suicidio. Posizione del Tribunale che però è cambiata successivamente alla presentazione di un reclamo da parte dello stesso paziente e che adesso obbliga l’ASL a procedere all’erogazione della procedura previa la verifica della sussistenza dei requisiti indicati.

 

Eutanasia (attiva e passiva) e suicidio assistito nell’ordinamento italiano

Nel nostro Paese manca una legge che riconosca l’eutanasia attiva e il suicidio assistito. Pratiche che permetterebbero, rispettivamente, la somministrazione di un farmaco letale da parte del personale della struttura sanitaria e l’assunzione del farmaco autonomamente da parte del paziente. Ad essere invece garantito è il diritto all’eutanasia passiva che prevede unicamente lo spegnimento dei macchinari che tengono in vita il soggetto e la sospensione delle cure.

fonte: AGI

Marco Cappato e la battaglia per i diritti civili

Nome che si è legato inscindibilmente alla lotta per il riconoscimento in Italia proprio dell’eutanasia e del suicidio assistito è quello di Marco Cappato. Da anni attivo nella lotta per i diritti civili, la sua figura è balzata agli onori della cronaca con il cosiddetto “caso Dj Fabo“. Cappato ha infatti accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani per mettere fine alla sua vita come da lui richiesto più volte. Rientrato successivamente in Italia, questi si è consegnato alle autorità autodenunciandosi per il reato di aiuto al suicidio (art.580 del codice penale per cui è prevista una pena tra i 6 e i 12 anni). Dal processo che ne è seguito, come da lui stesso voluto, si è originato un notevole dibattito che si sperava potesse portare il nostro legislatore a produrre una legge sul fine vita. Purtroppo però la legge ancora non vi è. Come spesso accade quando l’oggetto del dialogo rappresenta un tema divisivo e rischioso per il consenso la classe politica si è defilata da qualsiasi presa di posizione. Ma dove i partiti non arrivano spesso i giudici sono già avanti. La Corte Costituzionale, chiamata in causa dal Tribunale di Milano proprio nell’ambito del caso Cappato circa la legittimità costituzionale della non distinzione nell’articolo 580 del codice penale dell’aiuto e dall’assistenza al suicidio, ha emesso la famosa sentenza 242 del 2019 denominata per l’appunto “Sentenza Cappato”.

Marco Cappato durante il processo a suo carico, fonte: Avvenire

La Sentenza Cappato

La sentenza Cappato, la n°242 del 2019, riconosce un’area di “non punibilità” all’interno del 580 c.p. Viene infatti esclusa la punibilità di chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale”. 

Sostanzialmente il suicidio assistito può essere concesso al paziente nel caso in cui questi:

  • sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale;
  • sia affetto da una patologia irreversibile la quale procuri al paziente sofferenze fisiche e psicologiche reputate dallo stesso intollerabili;
  • che nonostante le proprie condizioni il paziente sia capace di intendere e di volere in maniera libera e consapevole.

Le implicazioni della sentenza sono importantissime perché, grazie ad essa, chi si trova in condizioni simili a quelle di Dj Fabo o del 43enne marchigiano ed esprime l’intenzione di porre fine alla propria esistenza non sarà più costretto a recarsi all’estero per realizzare la sua volontà. Così facendo, inoltre, chi lo assiste non solo non dovrà sobbarcarsi le spese necessarie (trasporto, alloggio, clinica) ma non rischierà nemmeno una pena non indifferente (tra i 6 e i 12 anni; la medesima per il reato di violenza sessuale ex. art.609bis del c.p.) solamente per un atto di civiltà.

Filippo Giletto