Mens Sana in Corpore Sano: la relazione fra mente e corpo

Comprendere il significato dell’esistenza della stretta relazione fra mente e corpo ha rappresentato uno dei più grandi misteri di interesse per gli studi filosofici durante i secoli.
Il ruolo appartenente alla psiche nel determinare l’insorgenza delle implicazioni fisiche venne preso in considerazione dalle scienze mediche solo posteriormente.

Dualismo Corpo-Mente

Fin dagli albori delle indagini sull’animo umano è nata la contrapposizione tra la teoria encefalocentrica e quella cardiocentrica.
Il cardiocentrismo fu una teoria filosofica sostenuta da Aristotele, il quale considerava il cuore sede dell’anima umana e responsabile delle funzioni mentali, sensitive e motorie.
Ben presto si contrappose al cerebrocentrismo sostenuto da Ippocrate e successivamente da Galeno. La teoria identifica il cervello come sede della coscienza, responsabile delle attività sensitive e motorie.

La dimensione psichica del dolore influenza il corpo

Il dibattito aperto da Cartesio sulla descrizione meccanica delle strutture e delle funzioni organiche ha assunto connotazioni puramente materialistiche, ascrivendo definitivamente la localizzazione delle funzioni psichiche al cervello.

Le Passioni dell’Anima (1649) fu una delle ultime opere di Cartesio e venne dedicata alla principessa Elisabetta di Boemia che era molto malata e la cui malattia, secondo il filosofo, rappresentava la conseguenza dell’afflizione dell’anima.

In quest’opera Cartesio connota le passioni come inscindibili dall’essere umano e classifica non solo le loro cause, ma i loro effetti espressi attraverso il corpo.

Le Emozioni nella Genesi dei Comportamenti

A fine carriera Charles Darwin pubblicò L’Espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872) riportando l’origine biologica delle emozioni.
Le emozioni agiscono tramite la motivazione rendendo possibile l’inizio di un movimento necessario per riportare l’organismo alle condizioni di sicurezza ed equilibrio fisico.

I comportamenti per evitare o scappare da un pericolo si sono evoluti per rendere un organismo competitivo in termini di sopravvivenza.
Ma in modo inappropriato una fuga prolungata o un comportamento di evitamento potrebbero mettere l’animale in una condizione di svantaggio.

Se un organismo si sente continuamente minacciato nella propria sopravvivenza, le sue energie non potranno essere impiegate per nutrirsi, curarsi e riprodursi.

Le Emozioni agiscono nella Comunicazione

Le emozioni agiscono nella comunicazione fra gli individui, intervengono nelle dinamiche relazionali caratterizzando il linguaggio non verbale tramite i movimenti del viso e dei muscoli del corpo.
La comunicazione dello stato emotivo tramite la postura e la mimica facciale segnala le proprie intenzioni agli altri e genera in loro una reazione.

La Regolazione del Sistema Nervoso Autonomo

La miriade di variazioni, oscillazioni e segni che si possono notare in modo istintivo nell’interlocutore durante una conversazione, ad esempio i movimenti oculari o il cambio di tono della voce, unitamente alle proprie fluttuazioni interiori, come il battito cardiaco, la salivazione e il respiro, sono prodotte dalla sincronia di un unico sistema regolatore: il Sistema Nervoso Autonomo.

Il Sistema Nervoso Simpatico provvede ad accelerare le funzioni del corpo e a consumare energia per le reazioni necessarie a far funzionare l’organismo.
Il Sistema Nervoso Parasimpatico funge da freno e risponde allo stimolo dell’autoconservazione.

La denominazione di Sistema Nervoso Simpatico “sym pathos” venne attribuito quasi duemila anni fa da Galeno che ne osservava il funzionamento tramite le emozioni.
Infatti, come osservato da Darwin, il Sistema Nervoso Simpatico è responsabile della regolazione dell’arousal. Davanti a un pericolo permette la genesi dei comportamenti contrapposti di attacco e comportamento evitante, espresso tramite la fuga.
Porta il sangue ai muscoli per le azioni rapide, sollecita il rilascio di adrenalina da parte delle ghiandole surrenali che agisce sull’aumento del battito cardiaco e della pressione sanguigna.

Il Sistema Nervoso Parasimpatico promuovendo la secrezione di acetilcolina costituisce il freno inibitorio dell’arousal.
La sua azione permette il rilassamento dei muscoli, il rallentamento del battito cardiaco e il ritorno ad una frequenza respiratoria normale; accelera la digestione e la cura delle ferite.
Le osservazioni di Darwin lo riconducono alle funzioni autoconservative, di accudimento, protezione e accoppiamento.

La Teoria Polivagale

Le osservazioni condotte da Charles Darwin hanno ispirato gli studi neurofisiologici e neuroanatomici sul Sistema Nervoso Autonomo, portando all’elaborazione della teoria polivagale da parte di Stephen Porges che la presentò nel 1994.

L’indagine dei circuiti vagali ha portato alla conoscenza del loro ruolo nel determinare la condizione di “sentirsi al sicuro“, intervenire nella percezione dello spazio peripersonale e del coinvolgimento sociale.
Sentirsi al sicuro favorisce il mantenimento dell’omeostasi, il principio per cui ogni costituente degli esseri viventi deve trovarsi in equilibrio per poter svolgere correttamente le sue funzioni.

Il Nervo vago con le sue diramazioni è responsabile di tre stati fisiologici che intervengono quando viene turbata l’incolumità. Il ramo vagale ventrale complesso (VVC) è frutto dell’evoluzione verso la costruzione da parte delle specie di una vita di relazione.
Infatti, durante le difficoltà, la richiesta di supporto tramite il coinvolgimento relazionale rappresenta il primo livello di risoluzione del pericolo, se l’ottenimento di aiuto da parte delle persone care risulta inefficace, l’unica strategia per la sopravvivenza rimane la più primitiva di attacco o fuga.
Se si è intrappolati e non si riesce a fuggire interviene il meccanismo di “freezing”, congelamento, in cui l’organismo cerca di preservarsi “spegnendosi” consumando il minor quantitativo di energia possibile.

Porges ha coniato il termine “neurocezione” per descrivere la capacità di valutare il rischio e la sicurezza, insiti nell’ambiente di ognuno di noi.

Quando un evento traumatico non viene elaborato correttamente e non viene ristabilita la condizione di sicurezza nell’integrazione fra corpo e mente si esperisce una neurocezione fallace che provoca l’asincronia nella regolazione delle risposte comportamentali automatiche.

Costanza Brunati

Le monde. Description du corps humain. Passions de l’âme. Anatomica. Varia – Oeuvres de Descartes (vol. XI) (1897-1913)

Le Passioni dell’Anima – Renato Cartesio (1649)

Il Corpo Accusa il Colpo – Bessel Van der Kolk (2015)

The Expression of the Emotions in Man and Animal – Charles Darwin (1872)

Polyvagal Theory: A Science of Safety, Stephen W Porges, Front Integr Neurosci (2022)

Emozioni di pancia: il collegamento fra l’intestino e la nostra mente

Vi è mai capitato di sentirvi meglio dopo aver mangiato una buona lasagna?
Potrebbe sembrare banale ma per la scienza non lo è. Recenti studi stanno facendo sempre più chiarezza sulla relazione che intercorre tra la flora batterica intestinale, chiamata anche microbiota”,  il benessere del nostro corpo e dei nostri stati d’animo.

Indice dei contenuti

  1. Cos’è il microbiota intestinale e che funzioni svolge
  2. Collegamento fra la pancia e la mente
  3. Quali sono i fili che li collegano?
  4. I “computer”
  5. La “tastiera”
  6. La nuova frontiera

Cos’è il microbiota intestinale e che funzioni svolge

Il nostro corpo è la casa di una miriade di microorganismi indispensabili per la vita e, una grandissima parte di essi, è situata nel nostro intestino.
Nell’apparato digerente, infatti, sono presenti numerosissimi batteri che fanno parte di un sistema complesso e organizzato: la flora batterica, di cui abbiamo parlato in un altro articolo.
La costituzione del microbiota intestinale è vastissima e conta circa 400 specie di batteri, ad esempio i lattobacilli.
Uno studio di Hao Wang e colleghi pubblicato nel 2018, mette in evidenza come il microbiota sia importantissimo per il benessere della mucosa intestinale: mantiene integro lo strato di cellule che la compone, protegge dagli attacchi di eventuali batteri patogeni grazie alla secrezione di sostanze antimicrobiche e adempie a funzioni metaboliche di sostanze che altrimenti sarebbero difficili (se non impossibili) da assimilare da parte del nostro corpo.
Da queste premesse ne consegue che la nostra salute passa prima da quella dei nostri graditi ospiti.

 

Sistema digerente, nel baloon flora intestinale. Fonte

Collegamento fra la pancia e la mente

Il microbiota ha suscitato notevole interesse nella comunità scientifica. La perturbazione della flora batterica (spesso dovuta anche all’abuso degli antibiotici) è causa di molte condizioni patologiche che variano dall’acuto al cronico, persino gravi conseguenze psicologiche che si riflettono nello spettro della depressione e dei disturbi d’ansia, come spiegato in uno studio del 2020 pubblicato da Klaus e Katharina Lange e colleghi del Department of Experimental Psychology dell’Università di Regensburg in Germania. In questo studio, i ricercatori, hanno evidenziato una differenza nella psiche tra topi normali e topi germ-free (privati di batteri). Questi ultimi soffrivano di ansia e depressione, manifestata come disinteresse nelle attività.

Quali sono i fili che collegano stato mentale e intestinale?

Ma come è possibile che vi sia una così forte connessione tra un gruppo di batteri e le emozioni?
Anche il nostro stato d’animo è completamente controllato dalla biologia e sembrerebbe che il microbiota intestinale abbia un ruolo in prima fila.
Lo stomaco e l’intestino tenue sono due degli organi che costituiscono l’apparato digerente. Per funzionare devono essere sia vascolarizzati che innervati. Il nervo che permette i movimenti muscolari intestinali (come la peristalsi) è il nervo Vago, il 10° nervo cranico a stretto contatto con le reti nervose del Sistema Nervoso Intestinale (SNI), che sembra essere un importante modulatore della struttura di elaborazione delle nostre emozioni: l’Amigdala.

I “computer”

Lo sviluppo delle emozioni (così come di ogni altro stimolo) è deputato al cervello e alle sue strutture che, come computer, elaborano le informazioni provenienti dalla periferia. Nel caso delle emozioni i “computer” sono principalmente l’amigdala, il talamo e la neocorteccia (che costituiscono insieme ad altre strutture il sistema limbico).
Gli organi di senso inviano lo stimolo al talamo che, a sua volta, lo trasferisce all’amigdala dove esso viene sviluppato.
L’amigdala è una struttura a forma di mandorla (da qui il nome) ed è coinvolta nella messa a punto della risposta emotiva. Essa, infatti, permette la traduzione dello stimolo precedentemente incamerato in una risposta che noi percepiamo come paura, stress, ansia, gioia, felicità etc.

 

La “tastiera”

Il microbiota intestinale è in grado di secernere delle sostanze, anche di scarto, che fungono da veri e propri neurotrasmettitori (le molecole che interagiscono con le cellule nervose). Questi, come una tastiera, dicono ai nostri neuroni cosa devono scrivere e come lo devono scrivere per proiettare i segnali ai nostri “computer” che li metteranno insieme.
Queste molecole entrano in contatto con il SNI il quale propaga al Vago influendo sull’amigdala e sulle strutture deputate alla risposta emotiva. L’effetto è anche legato alle molte sostanze prodotte dal microbiota che tengono sotto controllo l’operato di alcune molecole modulatorie nel nostro cervello (i microRNA o miRNA) come messo in luce da un lavoro del 2017 di Alan Hoban e Gerard Clarke. Eventuali alterazioni a carico dell’integrità del microbiota causerebbero, di riflesso, deviazioni del normale flusso di controllo degli stati d’animo, facendoci sentire più tristi, svogliati, meno produttivi e appagati. Dopo le evidenze sperimentali e i lavori sull’argomento, la relazione tra pancia e mente sembra essere sempre più chiara e con sempre più tasselli che si aggiungono al puzzle.

Descrizione anatomica del sistema limbico. Fonte

La nuova frontiera

I batteri intestinali, nostri amici, hanno fondamentale importanza nel mantenimento della salute generale dell’organismo. La ricerca sul microbiota sta prendendo sempre più piede offrendo come fine ultimo una terapia efficiente per contrastare gli effetti di un eventuale deficit di funzionalità della flora batterica, aprendo la via ad una nuova branca: la psicobiotica.
Tuttavia, la terapia più efficace è sempre la prevenzione al fine di  mantenere in salute il nostro micro-mondo senza il quale smetteremmo di esistere. Quindi, come prima cosa, bisognerebbe ridurre l’abuso degli antibiotici, mantenere una vita sana e una dieta equilibrata.

                                          Giovanni Bruno

 

Bibliografia:

Han, Sang-Kap, and Dong Hyun Kim. “Lactobacillus mucosae and bifidobacterium longum synergistically alleviate immobilization stress-induced anxiety/depression in mice by suppressing gut dysbiosis.” (2019): 1369-1374. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31564078/

Hoban, A.E., Stilling, R.M., M. Moloney, G. et al. Microbial regulation of microRNA expression in the amygdala and prefrontal cortex. Microbiome 5, 102 (2017). https://doi.org/10.1186/s40168-017-0321-3

Hoban, A., Stilling, R., Moloney, G. et al. The microbiome regulates amygdala-dependent fear recall. Mol Psychiatry 23, 1134–1144 (2018). https://doi.org/10.1038/mp.2017.100

Hao Wang, Chuan-Xian Wei, Lu Min & Ling-Yun Zhu (2018) Good or bad: gut bacteria in human health and diseases, Biotechnology & Biotechnological Equipment, 32:5, 1075-1080, DOI: 10.1080/13102818.2018.1481350 https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13102818.2018.1481350

Smith, Kristen S., et al. “Psychobiotics as treatment for anxiety, depression, and related symptoms: a systematic review.” Nutritional neuroscience 24.12 (2021): 963-977. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31858898/

Lange, K. W., Lange, K. M., Nakamura, Y., & Kanaya, S. (2020). Is there a role of gut microbiota in mental health?. Journal of Food Bioactives9. https://doi.org/10.31665/JFB.2020.9213

Flora Batterica Intestinale – My Personal Trainer

Wikipedia: Amigdala

 

Tu chiamale se vuoi Emozioni

É ormai risaputo che la grande famiglia Disney – Pixar non fa cartoni per bambini o comunque non solo per loro; infatti, dietro gli occhi rotondi e i colori sgargianti dei protagonisti si nasconde qualcosa di ben più complesso, ma allo stesso tempo qualcosa di reale e sempre attuale.

Eh si, uno dei suoi più grandi film è proprio Inside Out, film scelto da AEGEE per il cineforum sulla #mentalhealth, e che dire? Sicuramente è un successo intramontabile.

Voto UVM: 5/5; l’inconfondibile matita Pixar riesce a disegnare le nostre emozioni passate, presenti e future

Il genio Pixar

In Inside Out si evidenzia la bravura dei registi – tra cui Pete Docter famoso per essere il cantastorie che ha incantato il mondo con Toy Story, Up e l’attualissimo Soul – nel regalare al pubblico la possibilità di immedesimarsi, di riflettere e forse, di autocriticarsi.

fonte: mymovies.it; Locandina Film 

La vicenda si svolgerà sia dentro (inside) che fuori (out) la mente della protagonista; la bellezza di ciò è rendersi conto di quanto l’out sia influenzato dall’inside. Questo cosa vuol dire? Non perdendoci in ragionamenti psicologici, sicuramente indica l’importanza di dare peso ai sentimenti e alle emozioni perché sono queste che ci permetteranno di affrontare qualsiasi prova che si presenta all’esterno.

Inside

Il cervello di Riley – nome della protagonista del film – ci viene rappresentato come un grande centro di comando (d’altronde cos’altro è il cervello se no?) al cui “capo” c’è Gioia.

Attenzione, perché la gioia qui è capo logistico delle altre emozioni ma non per questo è la più importante. E qui ci viene svelata una delle grandi verità del film: la vita è gioia ma non soltanto… Se non ci fosse Rabbia a far valere i propri diritti o Disgusto ad evitare cibi cattivi, come farebbe Riley a superare la sua quotidianità? Ecco la bellezza nascosta dietro la perfetta matita pixar: la realtà.

fonte: empireonline.com; Le emozioni al centro di comando

Infatti dietro delle figure antropomorfe si nasconderanno le emozioni, ognuna con le sue peculiarità e le sue attitudini, ma soprattutto ognuna con il suo compito. E’ proprio da dietro una scrivania – che ricorda quella di un Talent Show – che gestiranno ogni azione della ragazzina e nel loro insieme creerano un mix complesso ma divertente che va dal goffo al riflessivo.

La dicotomia clue del film – e forse della nostra vita – è quella tra Gioia e Tristezza una non vivrebbe senza l’altra e soprattutto Riley non potrebbe sopportare una perdita del loro equilibrio. Questo sembra porre la tristezza su un altro livello: per una volta non si accetta di essere tristi perché non si può essere felici, bensì perché essere tristi è giusto, è vero e fondamentale.

Ci insegna a voler bene alla tristezza e ad essere gentili con lei e questo, in fondo, ci spinge ad essere più tolleranti nei nostri stessi confronti.

fonte: huffingtonpost.it; Gioia ci insegna ad essere gentili con Tristezza

Così, il film riesce a sintetizzare la fisiologia del cervello – nello specifico delle emozioni e dei ricordi – e la pratica quotidiana.

Out

Visto da fuori, il mondo di Riley si disgregherà gradualmente; a poco a poco la ragazzina passerà dalla solita vita ad una tutta nuova e sconosciuta, e dopo l’entusiasmo per la novità si renderà conto di essere stata sradicata dalla sua quotidianità. Nonostante la causa del trasloco sia stata un’ esigenza lavorativa del padre, per lei non fa differenza e la tristezza prende il sopravvento.

La scelta di un trasferimento e della protagonista undicenne è geniale: momenti di transizione esterni, quali il trasloco, che si verificano in un momento di cambiamento interno, come la vicina pubertà. Ancora una volta inside e out: l’importanza e la differenza tra dentro e fuori.

fonte: disney-planet.fr; Riley rattristata 

Quindi possiamo confermare quanto Inside Out abbia meritato il premio Oscar nel 2015; in effetti il film ha incantato gli spettatori di tutte le età, dai bambini agli adulti, e ha riempito le sale cinematografiche (che ricordiamo con un pizzico di nostalgia). Ha lasciato uno strano ottimismo e una maggiore consapevolezza in ognuno; come a voler dire che se Riley è riuscita da sola a superare quel momento in balia delle sue emozioni goffe e disorganizzate possiamo farlo anche noi.

E’ un film che fa scendere una lacrima ma suscita anche una sana risata: il suo intento non è solo quello di commuovere –  ci riesce senza ombra di dubbio – ma anche di far riflettere ed è questo che emoziona lo spettatore.

Trasportandoci letteralmente nella mente della ragazzina fa capire quanto sia complesso il nostro mondo interno, quanto sia giusto provare ogni emozione, quanto sia importante ricordare e forse, saper dimenticare.

 

                                                                                                       Barbara Granata

 

Stamattina non ti sei svegliato!

Stamattina non ti sei svegliato!

No, non ero in camera tua questa mattina, se te lo stessi chiedendo.

Sta’ tranquillo, non so neanche dove abiti.

Magari proprio tu che stai leggendo sei in piedi dalle 07, e magari scrivendo così non sto guadagnando simpatie.

Capita, non posso sempre individuare il target di chi legge.

In ogni caso…

Stamattina non ti sei svegliato! E neanche io!

Aspetta, aspetta che ti spiego, ma prima…sappi che quest’articolo è solo per persone mature e responsabili. I piagnoni non sono i benvenuti.

Libero di continuare, ma poi non dirmi che non ti avevo avvisato!

Tornando a noi…

 

Ciò che sto per dirti potrebbe far venire un cortocircuito al tuo cervello e la tua visione del mondo ne risulterebbe completamente modificata.

La ricompensa però vale il rischio, te lo assicuro. 

La sola conoscenza di questo concetto che sto per spiegarti mi ha consentito di prendermi la responsabilità della mia vita.

Ti pare poco!?

Certo, detta così non vi è nessun vantaggio, ma andiamo con ordine.

Quello che voglio spiegarti oggi è la Metafora della carrozza, ideata dal filosofo Gurdjeff.

Troppe cose che non vanno?

 

So che tutto ciò che è legato alla filosofia può risultare poco pratico, e a volte anche inutile, ma in questo caso parliamo di qualcosa di pratico, sperimentabile sulla tua pelle.

 

Secondo questa metafora l’essere umano è un veicolo destinato al trasporto di un passeggero.

 

Sei mai salito su una carrozza?

Sai bene che questo veicolo è trainato da una coppia di cavalli. Questi sono legati alla struttura su cui siedono il cocchiere e il passeggero.

 

Ecco, questi siamo noi.

Ma in che senso?

 

È necessaria una premessa

 

Ognuno di noi dispone di un corpo, all’interno del quale si trova una mente. Molto spesso proviamo emozioni.

Questi (corpo, mente, emozioni) messi insieme fanno…ciò che siamo.

 

Tutto chiaro? Bene.

 

Adesso arriva la parte delicata

Questo è il punto in cui mollano tutti, qui l’entusiasmo va scemando, qui il pregiudizio vince su tutto.

Ma se sei arrivato fin qui, nonostante l’avvertimento iniziale, sei un temerario!

 

Non so se tu sia credente, ateo o agnostico. Adesso non ha importanza.

Qui non c’entra Dio, la religione o il moralismo.

 

Semplicemente credo che anche tu sia d’accordo sul fatto che sei qualcosa di più 

 

-del corpo che muovi

-delle emozioni che provi

-dei pensieri che fai

 

Per comodità chiameremo questo “essere qualcosa di più” Coscienza (puoi chiamarlo Anima, Io o Essere. Sii libero, è solo una questione di termini).

 

Bene, adesso lasciamo la parola alle immagini.

 

Boom.

 

Questa è la metafora della carrozza.

Come vedi ci troviamo su una carrozza, che è il nostro corpo, trainata da dei cavalli che sono le nostre emozioni.

Il cocchiere, la nostra mente, li guida.

La Coscienza è trasportata da questo veicolo.

 

La domanda da 1 milione di dollari adesso è: chi guida la carrozza su cui sei seduto?

 

Rifletti bene, anche se vorresti dire che a guidarla è la Coscienza perchè ti fai sentire a posto 😉

 

Se scopri che il/la tuo/a ragazzo/a ti ha tradito e ti infuri o soffri, chi sta guidando? Non sono forse i cavalli (le emozioni) che perdono le staffe e ti trascinano di qua e di là?

 

Se si presentasse l’occasione della tua vita e per coglierla dovresti trasferirti in un altro paese e lasciare immediatamente la tua famiglia, il tuo partner, la tua città e tu decidi di no perchè “sai cosa lasci ma non sai cosa trovi” o perchè “non so se andrà bene”, non è forse il cocchiere (la mente) a seguire sempre il solito e tranquillo percorso?

E questi sono solo due esempi.

 

Adesso il titolo dell’articolo risulterà più chiaro.

 

Il vero tu è la Coscienza! 

Corpo, mente ed emozioni non sono cattivi, non fraintendere. 

Anzi sono strumenti fondamentali che “Tu Coscienza” devi usare per vivere al meglio. Ma tu non sei gli strumenti!

 

Ecco perchè ti dico che stamattina non ci siamo svegliati.

 

Stamattina il cocchiere avrà seguito sempre lo stesso percorso meccanicamente oppure i cavalli ti avranno sballottato qua e là. 

Tu non c’eri, tu non hai dato loro indicazioni. Ti sei lasciato trasportare.

 

Già solo sapere questa cosa dovrebbe darti una “svegliata”.

Ricordatene quando starai male per qualcosa o avrai un pensiero fisso, o in qualsiasi altra situazione.

Se vivi dormendo, non stai vivendo davvero.

Il mondo, la nostra vita sono davvero meravigliosi ma noi non siamo presenti per goderceli.

 

Angela Cucinotta

“Tutto è possibile… basta crederci” – intervista a Fabio La Rosa e Titti Mazza

“Tutto è possibile… basta crederci” è lo spettacolo teatrale che andrà in scena sabato 15 giugno ’19 alle ore 21:00 presso il Palacultura a Messina.

Promosso dall’associazione culturale teatrale “I giovani di Pirandello”scritto da Titti Mazza con la regia di Fabio La  Rosa, terzo spettacolo nella loro collaborazione, è caratterizzato dall’integrazione spontanea e completa tra ragazzi diversamente abili, operatori del settore e studenti del Dipartimento Cospecs dell’Università di Messina.
Uno spettacolo fondato sul corpo che domina il palco, che affronta temi delicati, quasi denunciando una società assente e molto più apparente, ancora utopica ed anacronistica.
Noi di UVM abbiamo avuto il piacere di assistere alle prove e scambiare quattro chiacchiere con loro.

©GiuliaGreco, Fabio La Rosa e Titti Mazza – Messina, 2019

“I Naviganti” ed il diritto alla felicità, “La libertà di essere folle” ed a breve “tutto è possibile…basta crederci”: c’è un filo che lega le storie dei tre spettacoli?

Titti: In effetti si e riguarda la dignità della persona, quello che sente di essere e di voler dimostrare senza il timore del giudizio, del peso della società.

Fabio: Il filo conduttore sicuramente è il viaggio. Gli spettacoli sono frutto di un percorso laboratoriale, non si tratta di un semplice spettacolo ma viene applicato un metodo ben preciso per affrontare l’avventura che vivono i nostri attori e poter sfruttare la forza che accumulano nella loro vita quotidiana. È un viaggio emozionale, già i titoli possono suggerire il movimento che si crea attraverso la fantasia, le emozioni ed il tempo.

Bene avete così anticipato la mia prossima domanda: leggendo mi sono incuriosita del vostro modus operandi, in che consiste il teatro emozionale?

Fabio: il teatro emozionale è un percorso particolare che unisce gli aspetti tecnici del teatro e il mondo della psiche. Parte da Grotowski (Jerzy Grotowski – regista teatrale polacco ndr), il quale affermava che il teatro deve essere povero e spoglio di scenografie e costumi, dando spazio all’anima dell’attore e quindi proprio questo è il fulcro: che cos’ha l’attore come arma per poter arrivare al pubblico? L’emozione, e proprio questa è qualcosa che non si può non avere, perché si nasce con i sentimenti, e chiunque li ha. Automaticamente se si punta sulle emozioni nessuno ne è deficitario, non si può parlare più di disabilità, anzi in questo caso i ragazzi diventano guida per gli operatori del settore perché loro sono in grado di vivere le emozioni allo stato puro.

Come è nata la vostra collaborazione?

Titti: la nostra collaborazione è nata per caso, diciamo: io ero nella giuria di un percorso teatrale, e Fabio fece uno spettacolo. Quando lo vidi ne rimasi particolarmente impressionata perché si percepiva una persona con un animo forte e peculiare, sia dal punto di vista lavorativo che umano.

Qual è il riscontro che vedete da parte del pubblico? E qual è la risposta della società al vostro lavoro…

Fabio: Chi viene a vedere lo spettacolo è sempre poco rispetto alle nostre aspettative, e non perché siano alte ma perché, sfortunatamente, ci si è un po’ più abituati a criticare che a vedere ed osservare. Credo che queste siano realtà che bisogna necessariamente vedere perché è difficile spiegare a parole il percorso affrontato ed i risultati raggiunti, vederlo con i propri occhi sicuramente è più esaustivo, si parla sempre di emozioni ed ognuno ha la propria percezione. Quando si spengono le luci sul palco chi è venuto a vedere lo spettacolo, spesso ci dice che non si è accorto dove fosse la disabilità degli attori, il che significa che il percorso effettuato riesce ad arginare il disagio che viene additato ricoprendolo della dignità che merita.

©GiuliaGreco – Attori dello spettacolo “Tutto è possibile… basta crederci” , Messina, 2019

 

 

Giulia Greco

Un Diluvio di musica per Messina: Michelangelo Falvetti, compositore dimenticato

Se c’è una categoria di personaggi con la quale la Storia è stata più ingiusta, almeno per quanto riguarda Messina, è quella dei musicisti. Tra i pittori, tutti si ricordano del grande Antonello; tra gli scultori, del Montorsoli; tra i letterati, di La Farina, Cannizzaro, Maurolico, Bisazza; tutti, questi ultimi, “numi tutelari” di altrettanti licei cittadini. Se si parla invece di musicisti, subentra il vuoto più totale: l’unico conservatorio cittadino è intitolato ad Arcangelo Corelli, brillante compositore e violinista del periodo barocco, che con Messina non ebbe mai nulla a che spartire; solo i più colti si ricorderanno di Antonio Laudamo, compositore ottocentesco cui è dedicata l’omonima Filarmonica, nonchè la sala che porta il suo nome al teatro Vittorio Emanuele; a Mario Aspa, contemporaneo e collega, è andata peggio, dovendosi accontentare di una stradina secondaria poco lontana dal teatro stesso.

Un musicista che non ha avuto invece neppure questa fortuna (eppure se ne meriterebbe eccome), è invece Michelangelo Falvetti: compositore sconosciuto e geniale di origini calabresi, operò a

Messina alla fine del Seicento, come Maestro di Cappella della Cattedrale; la recente riscoperta di alcune delle sue opere, proprio risalenti al periodo messinese, ci ha permesso di gettare una luce su questa grande e complessa mente musicale che altrimenti sarebbe rimasta abbandonata all’oblio.

Della vita e delle opere di Michelangelo Falvetti sappiamo veramente poco e quel poco che sappiamo lo dobbiamo soprattutto a due musicologi contemporanei: Niccolò Maccavino e il messinese Fabrizio Longo.

Apprendiamo così che Michelangelo Falvetti nacque nel piccolissimo paesino di Melicuccà, nell’entroterra calabrese, nell’anno 1642. Della sua formazione musicale non sappiamo nulla, anche se possiamo supporre, dato che prese gli ordini sacerdotali, che ricevette i primi rudimenti musicali in seminario, come era comunissimo all’epoca.

Una fonte indiretta ci suggerisce infatti la sua presenza nella città peloritana, nel 1669, a 27 anni: si tratta della dedica fattagli da un suo collega musicista, il violinista Giovanni Antonio Pandolfi Mealli, attivo nella Cappella Senatoria del Duomo di Messina, che nel 1669 dà alle stampe a Roma un libro di sonate, ciascuna dedicata a un suo collega diverso della cappella senatoria.

Nel 1670, Falvetti è chiamato a Palermo, dove diventa maestro di cappella e scrive numerose composizioni, soprattutto oratori. Il suo ruolo nel contesto musicale della città non era affatto marginale, tanto che, nel 1679, lo troviamo tra i fondatori dell’“Unione dei Musici”, una sorta di associazione di mutuo soccorso per i musicisti. In questo periodo è anche documentata la sua presenza a Catania, dove sono eseguiti alcuni suoi lavori.

Nel 1682, Falvetti torna a Messina, succedendo al conterraneo Domenico Scorpione nel ruolo di Maestro di Cappella del Duomo. Certo, Messina non è più quella della sua giovinezza: è appena uscita dalla violenta repressione della rivolta antispagnola ed è una città distrutta, disonorata, umiliata. Forse non è un caso che la sua prima opera del periodo messinese, quella che compose per il proprio insediamento e che è oggi considerata il suo capolavoro, sia un oratorio a cinque voci intitolato “Il Diluvio Universale”; il tema della giusta ma implacabile punizione divina, forse metafora della vendetta degli Spagnoli verso la città, domina l’intero lavoro, che solo alla fine si riapre con uno spiraglio di luce e speranza nella riconciliazione fra la terra e il cielo.

Sono diverse le opere che Falvetti scrive a Messina, ma solo il “Diluvio” e il successivo “Nabucco” (1683) ci sono rimaste per intero e sono ad oggi state eseguite e registrate almeno una volta. Si tratta di un piccolo, ma eloquente saggio delle capacità artistiche di questo brillante compositore: in un periodo storico in cui la musica è quasi una forma di artigianato, Falvetti da sapiente maestro padroneggia tutte le risorse armoniche e contrappuntistiche che la tecnica del periodo gli offre e le sfrutta al servizio di una scrittura estremamente espressiva, drammatica, teatrale in senso lato.

Come spesso accade nell’estetica barocca, tutto è giocato in funzione dell’impatto emotivo, della capacità della musica di rappresentare un “affetto”, una emozione; se i testi abbondano di prosopopee e personificazioni (concetti astratti che diventano personaggi, come la Morte, la Giustizia Divina, l’Idolatria, la Superbia), alla musica va il ruolo di rivestire di “carne ed ossa”, di emozioni umane questi concetti astratti, e di avvicinare il dramma dell’episodio biblico alla comprensione empatica dello spettatore, facendogli provare ciò che i personaggi provano. Anche quando la scrittura musicale vira verso la complessità del contrappunto, non c’è astrazione: tutto è tangibile, concreto, carnale, a volte persino sensuale, come quando il ritmo accenna dei movimenti di danza.

Della vita di Falvetti, passato il 1695, anno in cui cede il posto di Maestro di Cappella, si perdono le tracce. Restano oggi le sue opere, lentamente uscite dalle paludi dell’oblio per andare prima a finire sugli scaffali polverosi delle biblioteche, sotto forma di studi musicologici, e poi, finalmente, a trasformarsi di nuovo in musica, per le orecchie degli ascoltatori. È nel 2010 che il direttore argentino Leonardo Garcia Alarcòn riscopre questi due oratori, li mette in scena la prima volta dopo secoli e li registra, con grande successo di pubblico e critica, soprattutto all’estero.

In Italia questo successo è più lento ad arrivare, e negli 8 anni successivi sono state pochissime le esecuzioni di questo autore. In Sicilia, terra che lo vide fiorire, Falvetti è tornato, dopo 300 anni, solo pochi giorni fa, quando a Palermo al Teatro Massimo è stato messo in scena “Il Diluvio Universale”, a cura di Ignazio Maria Schifani. Da Palermo a Messina il passo è breve: c’è da chiedersi quanto ancora dovremo attendere per sentire le sue note risuonare, di nuovo, nella città del Diluvio…

Gianpaolo Basile