Dagli studenti per gli studenti: Il narcisismo e l’io deviante

Nella normalità del sano amor proprio che tutti gli esseri umani dovrebbero avere ci si può imbattere in soggetti che, a causa di un disturbo del senso di sé che si riflette nelle relazioni , tendono ad amarsi in maniera egocentrica, talvolta fino a provare indifferenza nei confronti delle condizioni altrui.
Si tratta di quello che noi definiamo Narcisismo.

Indice dei contenuti

  1. Narciso nel mito 
  2. Il narcisismo: uno tra i più importanti disturbi della personalità
  3. Dalle prime considerazioni psichiatriche all’interpretazione di Freud
  4. Narcisismo primario e secondario
  5. Narcisismo sano e patologico
  6. Diagnosi e trattamento terapeutico

Narciso nel mito

“Io ho bisogno che qualcuno abbia bisogno di me, ecco cosa. Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male allo stesso tempo”.

-Chuck Palahniuk

Narciso dipinto da Caravaggio. Fonte

Nelle Metamorfosi di Ovidio appare per la prima volta la figura di Narciso. Ciò che oggi è conosciuto come un fiore, che nel mito emergeva dall’acqua, diventa simbolo della bellezza di Narciso impossibilitato a toccare la propria immagine di cui si era perdutamente innamorato.
Il mito propone il tema complesso della mancanza di autostima, che è al centro anche del disturbo di cui parleremo.

Il narcisismo: uno tra i più importanti disturbi della personalità

La psicologia clinica, individua nel soggetto una ferita radicale nella propria identità, un’impossibilità di trovare una risposta alla domanda che tutti ci poniamo: “chi sono io e cosa ci faccio qua?“. Questa ricerca è condotta nella più profonda solitudine che genera un distacco dal mondo e che determina l’incapacità di amare, un vero e proprio blocco affettivo.

È proprio la perdita delle proprietà cognitive, affettive, emotive e comportamentali a determinare un disturbo della personalità, che non permette al soggetto di riconoscersi nella realtà del proprio Io, ma che mira all’esaltazione autoreferenziale di sé.

Essendo tutto ciò dannoso, l’individuo tenta, attraverso dei meccanismi di difesa, di mettere da parte le pulsioni e le esperienze che hanno come oggetto di desiderio l’Io corporeo. Tutte queste sedimentazioni creano una struttura cognitiva, dentro cui il soggetto si inserisce.

Il narcisismo spiegato. Fonte

Dalle prime considerazioni psichiatriche all’interpretazione di Freud

Una prima interpretazione del narcisismo viene proposta dallo psichiatra H. Ellis per descrivere un aspetto patologico della vita sessuale legato all’autoerotismo, oggettualizzazione sessuale del proprio corpo, fonte di desiderio e di piacere.
Successivamente lo psichiatra H. Nacke utilizzerà il termine riferendosi alle perversioni sessuali: disturbi che il soggetto è consapevole di avere e di cui però ne è appagato. 

Freud, in un primo momento, riprese questa tesi in riferimento alla scelta oggettuale degli omosessuali: infatti, studiando l’infanzia di Leonardo Da Vinci, trovò che era presente un meccanismo per cui l’investimento libidico, che porta alla scelta omosessuale, era dovuto alla fissazione sui bisogni erotici della madre nella cui figura il bambino si era identificato al punto da assumerla come modello a somiglianza della quale scegliere l’oggetto dell’amore.

Un’altra interpretazione fu quella secondo cui il narcisismo è il completamento libidico dell’egoismo della pulsione di autoconservazione dell’uomo; non viene dunque considerato come una condizione psicopatologica, ma come un carattere appartenente in maniera diversa a tutti gli uomini, una struttura sviluppatasi all’origine della formazione dell’Io a cui si legano le pulsioni prima caotiche e disorganizzate.

Narcisismo primario e secondario

Con la costruzione della seconda topica (Es, Io, Super-Io) Freud ovviò ad una distinzione tra due forme di narcisismo:

  • il primario è legato alla prima fase dello sviluppo del bimbo, che immerso nell’ “onnipotenza del pensiero”, assume il proprio Io corporeo come oggetto d’amore, mentre gli oggetti esterni esistono solo per soddisfare le pulsioni stesse (si fa riferimento alla libido narcisistica);
  • il secondario si sviluppa nella fase genitale a causa del fallimento del narcisismo primario nel tentativo di ricostruire l’illusione di completezza, di sicurezza e di piacevolezza. Incapace di soddisfare le proprie fantasie, il soggetto rivolge l’energia libidica verso un oggetto esterno, che al tempo stesso viene controllato come fosse il proprio Io; dunque il bambino trasforma la libido dell’Io in libido oggettuale (i primi oggetti d’amore sono i genitori a causa dello sviluppo nel piccolo di incestuose fantasie edipiche che nel più dei casi svaniscono nella crescita).

Pertanto nella teoria di Freud, libido narcisistica e libido oggettuale sono diversamente proporzionali: maggiore è l’interesse verso se stessi, meno energia è disponibile per l’attaccamento agli altri.

Raffigurazione del narcisismo primario. Fonte

Narcisismo sano e patologico

Nel “Narcisismo di vita, narcisismo di morte” André Green ha messo in luce gli aspetti negativi del narcisismo quali incapacità di amare, di coltivare le proprie risorse e di vivere una vera soddisfazione nel raggiungimento di un qualche risultato.

Tra le varie configurazioni patologiche, la più nota è quella descritta da Green come Il complesso della madre morta (definito “lutto bianco”): non si tratta di un lutto reale, ma di una depressione materna insorta a causa di eventi di vita dolorosi e improvvisi, a seguito dei quali la madre ha distolto, bruscamente, il proprio investimento affettivo nei confronti del figlio.

Per il bambino questo distacco emotivo, a cui non riesce ad attribuire un senso, rappresenta una vera e propria catastrofe che crea un “buco” nella trama psichica soggettiva; egli da adulto potrà avere una vita relazionale apparentemente soddisfacente, ma dentro di sé continuerà a tenere inconsciamente in vita l’immagine della “madre morta”, identificandosi con lei.

Al contrario, il narcisismo sano  è dato dalla capacità di un individuo di mantenere un “equilibrio oscillatorio” tra un amore per sé e amore per gli altri.

Diagnosi e trattamento terapeutico

Secondo i criteri clinici per la diagnosi, contenuti nel DSM-V del disturbo narcisistico della personalità i pazienti devono avere un modello persistente di grandiosità, necessità di adulazione e mancanza di empatia.

Questo modello è evidenziato dalla presenza delle seguenti:

  • un’esagerata, infondata sensazione della propria importanza e dei propri talenti;
  • la convinzione di essere speciali e di doversi associare solo a persone di altissimo livello;
  • un bisogno di essere incondizionatamente ammirati;
  • una sensazione di privilegio;
  • sfruttamento degli altri per raggiungere i propri obiettivi;
  • invidia degli altri e c0nvinzione di essere invidiati.

Il trattamento generale del disturbo narcisistico è lo stesso di quello applicato a tutti i disturbi i personalità: la psicoterapia psicodinamica che analizza l’inconscio e il rimosso, concentrandosi sui conflitti di fondo con l’obiettivo di comprenderli e superarli.

Vi sono però alcuni approcci sviluppati per il disturbo borderline di personalità che possono essere efficacemente adattati ai pazienti con disturbo narcisistico.

Essi comprendono:

  • Trattamento basato sulla mentalizzazione, che consente di lavorare sulla capacità del soggetto di riflettere sul proprio stato d’animo al fine di riuscire a controllare le proprie emozioni.
  • Psicoterapia focalizzata sul transfert, centrata sulla relazione tra paziente e terapeuta, che aiuta i primi a riflettere sulle loro relazioni in modo che possano esaminare le immagini non realistiche del sé.

Talvolta inoltre si ricorre anche alla farmacoterapia con la prescrizione di stabilizzatori dell’umore ed antipsicotici.

 

Tipici farmaci usati per il disturbo narcisista. Fonte

                                                                                                                                                                                                                           

Laura Sciuto

 

Bibliografia

Metamorfosi di Ovidio

https://matteomannucci.it/2021/08/27/il-mito-di-narciso-e-la-ricerca-dellidentita-archetipica/

Lezioni del professore Settineri

https://www.msdmanuals.com/it/professionale/disturbi-psichiatrici/disturbi-della-personalità/disturbo-narcisistico-di-personalità

Diagnosticare patologie analizzando il respiro: realtà e prospettive

L’associazione più immediata che operiamo quando ci viene menzionata la parola “analisi”, in ambito medico, è certamente il prelievo di sangue.

In pochi penseranno che ad essere analizzato possa essere proprio il loro respiro e le molecole che lo compongono, al di fuori ovviamente dell’alcol test.

Eppure, la cosiddetta “breath analysis” è una pratica ormai consolidata nella diagnosi di alcune patologie e nuove e interessanti prospettive si stanno affacciando nella pratica clinica.

Intolleranza al lattosio

Una delle condizioni più frequenti che può giovare di un breath test è sicuramente l’intolleranza al lattosio.

Una quantità standard di lattosio viene ingerita dal soggetto esaminato e successivamente si analizza la concentrazione di idrogeno nell’aria espirata attraverso un apposito strumento. Un eventuale aumento indica infatti la carenza dell’enzima lattasi, che normalmente metabolizza il lattosio: lo zucchero è così preda dei batteri intestinali che lo fermentano con formazione di vari gas, tra i quali, appunto, l’idrogeno.

Gastrite ed Helicobacter pylori

Tale batterio è associato a gastrite, ulcera duodenale, ma anche a cancro gastrico.  La ricerca dei prodotti del metabolismo di questo microrganismo è ormai diventata di routine. Tuttavia, per vedere direttamente H.pylori è necessaria una gastroscopia con biopsia della mucosa gastrica, non esattamente l’esame più comodo per un’analisi iniziale.

Questa volta a essere ingerita è l’urea-C13, ovvero contenente carbonio radioattivo: ciò permette di distinguere l’anidride carbonica (CO2) prodotta dal batterio dalla normale quota eliminata con la respirazione (che non contiene C13). Infatti, il microrganismo produce ureasi, enzima che scinde l’urea in CO2 e ammoniaca.

Nuove prospettive

Ma cosa accade se proviamo a spingerci oltre?

Sebbene le condizioni sopra esposte siano abbastanza frequenti, se precocemente diagnosticate, non comportano particolari problematiche per il paziente (il cancro gastrico si sviluppa a distanza di molti anni).

In altre parole: è possibile diagnosticare patologie gravi quali i tumori esaminando l’aria che espiriamo?

L’intuibile “labilità” di un campione biologico gassoso rispetto a liquidi e solidi (sangue, urine, feci, porzioni di tessuto, ecc.) e la mancanza di tecniche e strumentazioni validate ha fortemente limitato tale pratica.

Eppure c’è chi, come la regione Puglia, decide di investire sulla breath analysis non solo in ambito di ricerca ma anche nella pratica ospedaliera di tutti i giorni.

Dopo una serie di studi sperimentali è da poco stato aperto il Centro regionale di Breath Analysis, all’interno dell’Istituto Tumori di Bari.

L’intento è completare gli studi precedenti sperimentando quotidianamente questa nuova tecnica, grazie allo strumento campionatore Mistral.

In particolare, i tumori presi in esame sono:

  1. Mesotelioma pleurico: neoplasia associata all’esposizione all’asbesto, il cui uso è oggi proibito. Presenta bassissime possibilità terapeutiche e la diagnosi è gravata da procedure molto invasive e difficoltà nel distinguerlo da patologie benigne (più frequenti, sempre asbesto correlate) e altri tumori.
  2. Carcinoma del colon-retto: tra i 3 tumori più frequenti in Italia sia nell’uomo che nella donna. Richiede comunque una colonscopia per la diagnosi.
  3. Carcinoma polmonare: prima causa di morte per tumore, da anni si stanno cercando procedure di screening da usare su ampia scala.

Appare evidente come, in termini di costi e praticità, sia molto più semplice far soffiare una persona dentro un tubicino di metallo, rispetto a proporgli una TC o una colonscopia.

Ma quali sono i presupposti scientifici di tale metodica?

Le cellule tumorali rilasciano numerosi prodotti nel circolo sanguigno.

Parte di essi, i VOCs (composti organici endogeni volatili) raggiungono il polmone per essere poi eliminati attraverso la respirazione. Inoltre, anche sostanze non volatili come le proteine possono essere espulse in particelle di vapore (EBC, aria espirata condensata).

L’immagine, tratta dall’articolo “Exhaled volatile organic compounds in nonrespiratory diseases”, mostra come potenzialmente numerose altre patologie possano correlare con alterazione dei VOCs

Da un lato, il metabolismo aberrante del tumore porta a un’alterazione dei VOCs; dall’altro, le mutazioni genetiche delle cellule neoplastiche comporteranno l’espressione di proteine differenti da quelle normali, ovvero un EBC alterato.

Pertanto, la breath analysis si propone come arma doppiamente efficace, almeno in linea teorica.

Le difficoltà maggiori derivano dalla selezione del tipo e della quantità delle molecole da analizzare: infatti, solo combinazioni di più marcatori sono efficaci nel rivelare il tumore. In più, tale metodica non sostituirebbe le indagini standard, ad oggi considerate irrinunciabili, ma selezionerebbe i soggetti che necessitino realmente di ulteriori esami.

Da non trascurare è la grande potenzialità in termini di diagnosi precoci, che corrispondono a maggiori possibilità terapeutiche e riduzione della mortalità. Da ciò nasce “l’obbligo” per la ricerca di trovare sempre nuove indagini che invoglino i soggetti a sottoporvisi, a maggior ragione se essi sono sani e non avvertono la necessità di essere esaminati.

Nell’attesa che i risultati trovino ulteriori riscontri scientifici, l’iniziativa pugliese rappresenta certamente un passo avanti verso una medicina più smart. Lo studio sistematico su un grande numero di pazienti permetterà di vagliare attentamente la validità di questa interessante e nuova tecnologia.

A trarre vantaggi da approcci sempre più semplici e meno invasivi non sarà soltanto il Sistema Sanitario Nazionale in termini costi e risorse, ma soprattutto il paziente che si vedrà accompagnato, e non più forzato, nelle procedure diagnostiche.

In parole povere: un classico esempio di come prendere due piccioni con una fava.

Emanuele Chiara

 

Bibliografia:

Breath Analysis: A Systematic Review of Volatile Organic Compounds (VOCs) in Diagnostic and Therapeutic Management of Pleural Mesothelioma

Detection of cancer through exhaled breath: a systematic review

È possibile diagnosticare un tumore con un prelievo di sangue?

Una delle maggiori problematiche della medicina moderna è la diagnosi precoce dei tumori maligni: identificarli in uno stadio iniziale corrisponde a dare ottime chance di guarigione al paziente. I metodi oggi a disposizione per ottenere tale scopo sono essenzialmente 2 ed entrambi presentano grossi limiti:

  1. Metodiche di imaging: ecografia, radiografia, TC (ex TAC), risonanza magnetica e altre, che ci permettono di visualizzare strutture all’interno del corpo umano. Tuttavia, neoplasie molto piccole sfuggono costantemente a queste metodiche, nonostante un tumore sia considerato tale già quando composto da poche cellule.
  2. Dosaggio di marcatori tumorali: sostanze che se rilevate su un campione di sangue in quantità elevate indicano la presenza di un tumore. Esempio noto è il PSA (Antigene Prostatico Specifico) per il cancro della prostata. Tuttavia questi markers mancano spesso sia di specificità (ovvero si riscontrano elevati anche in patologie benigne) sia di sensibilità (anche se è presente una neoplasia sono a livelli normali).

Moderna TC

Inoltre, per evitare indagini inutili e costose, l’utilizzo di entrambi deve essere mirato a quei soggetti che seppur sani presentano dei fattori di rischio (condizioni ambientali o ereditarie/familiari) che aumentano la possibilità di sviluppare un cancro.

In altre parole: sarebbe impensabile sottoporre annualmente tutta la popolazione a TC total-body nel tentativo di evidenziare una neoplasia, considerando anche che questa metodica usa radiazioni ionizzanti e quindi è potenzialmente dannosa se usata indiscriminatamente.

Ma veniamo al dunque: è possibile identificare tumori con tecniche non invasive per il paziente e allo stesso tempo efficaci?

Da qualche anno ormai si sta puntando sulla cosiddetta biopsia liquida. Questa tecnica non è altro che un prelievo di sangue, adeguatamente processato in laboratorio. Permette di rilevare molecole rilasciate dal tumore (ccDNA, DNA circolare circolante) e in alcuni casi cellule neoplastiche.

Comporta per il paziente un disagio minimo (per coloro i quali hanno timore del prelievo ancora la scienza non offre molte alternative), se confrontata alla biopsia classica. Questa consiste nel prelevare mediante un ago un campione di tumore, presenta rischio di complicanze e certamente chiunque preferirebbe fare un prelievo sanguigno piuttosto che vedere un ago abbastanza lungo bucare la propria pelle.

Se fino ad ora vi è sembrata una metodica promettente, è inutile sottolineare che -come tutte le cose belle- presenta notevoli difficoltà (soprattutto tecniche). Pertanto ad oggi più che per la diagnosi è usata per monitorare i pazienti con una neoplasia già nota, evitando l’esecuzione di più biopsie invasive.

Ma come è possibile isolare componenti del tumore in mezzo a tutte le altre cellule del sangue?

E se in quel campione specifico non fossero presenti?

A questi problemi ha provato a dare delle risposte il team di ricerca italiano dell’Università degli studi di Catanzaro, guidato dalla dottoressa Malara, in uno studio pubblicato su Nature (sezione oncologia di precisione) nel novembre 2018. Lo studio si concentra non sulla rilevazione di cellule o ccDNA, ma ha un approccio totalmente nuovo: la valutazione delle modificazioni del secretoma. Sicuramente ognuno di voi avrà sentito parlare di genoma, l’insieme di tutti geni presenti nel nostro DNA. Il secretoma non è altro che l’insieme di tutte le proteine secrete, ovvero immesse nei liquidi al di fuori delle cellule, dalle cellule stesse. In particolare, in caso di neoplasia è stato riscontrato un aumento della protonazione, ovvero della quantità di protoni legati a tali proteine.

Questa variazione è spiegata dalla predilezione delle cellule neoplastiche per la glicolisi , via metabolica che ha come risultato:

  1. La produzione di sostanze che rilasciano protoni che quindi si legheranno alle proteine secrete.
  2. La produzione di sostanze che alterano la struttura delle proteine, facilitando il legame ai protoni

In breve: cellula tumorale → glicolisi esclusiva → più protoni → proteine secrete maggiormente protonate. La tecnica prevede una biopsia liquida (5 ml di sangue), la successiva eliminazione delle cellule del sangue (globuli rossi e bianchi, piastrine) e la coltura del materiale rimanente per 14 giorni.

Dalle cellule rimanenti, che nel tempo si moltiplicano, si estrae il campione per l’analisi del secretoma: questo verrà analizzato da un dispositivo all’avanguardia facente parte delle nanotecnologie. È stato inoltre confrontato il campione così ottenuto con campioni estratti direttamente dal tessuto tumorale: le componenti sono risultate essenzialmente identiche, convalidando l’ipotesi che anche da piccole quantità di sangue si possa risalire alla presenza di una neoplasia.

Nei 36 soggetti sottoposti allo studio, alcuni dei quali con neoplasia maligna nota ma non trattata e altri sani, è stata ritrovata una corrispondenza del 100% tra aumento protonazione e cancro.

Non solo: di due pazienti con valori intermedi di protonazione ,uno ha poi effettivamente sviluppato un melanoma (tumore maligno della cute).

Tra gli svantaggi di questa tecnica ci sono la laboriosità ed il costo. Inoltre un risultato positivo indica soltanto la presenza di un tumore, ma non il tipo e la localizzazione. Tuttavia, studiando il singolo soggetto è possibile valutare il rischio personale cancerogenico ed eventualmente approfondire con altre tecniche diagnostiche.

Questa interessante metodica può rappresentare un punto di svolta nella diagnosi precoce di cancro.

In fondo basta solo un po’ di sangue!

Emanuele Chiara

La diagnosi di cancro non è mai stata così precoce

Sanjiv Gambhir, direttore del Canary Centre at Stanford for Cancer Early Detection

Un gruppo di ricercatori della Stanford University School of Medicine ha messo a punto un nuovo metodo per diagnosticare precocemente il cancroLo studio è stato pubblicato il 18 marzo su Nature Biotechnology e vede tra i suoi autori principali Sanjiv “Sam” Gambhir, direttore del Canary Centre at Stanford for Cancer Early Detection, e Amin Aalipour, uno specializzando. 

“Abbiamo seguito la diagnosi precoce del cancro per anni, ma questa volta ci siamo arrivati da un’altra angolazione, ha annunciato Sam Gambhir. E forse, in un terreno già molto battuto ma ancora arduo, è questo il segreto, cambiare prospettiva. 

L’arma migliore che ad oggi la medicina offre per la cura dei tumori è la diagnosi precoce. Basti pensare a come un frequentissimo cancro al seno al primo stadio assicuri una sopravvivenza a 5 anni di oltre il 95%. Lo stesso tumore, diagnosticato al quarto stadio, abbassa l’aspettativa al 5%. Da qui l’importanza della prevenzione e dei controlli di routine, e di pari passo la necessità di strumenti sempre più precisi e complessi.

La ricerca ha fatto innumerevoli passi in avanti in quest’ambito, ma probabilmente non saranno mai abbastanza. Per la diagnosi di tumore, accanto ai mezzi radiologici (TC, PET, RMN), vengono ricercati dei biomarcatori tumoralimolecole che sono associate alla presenza di un tumore. Sono esami poco invasivi e possono essere di grande aiuto per il clinico, sia per la diagnosi che per la terapia. Hanno però una specificità ed una sensibilità poco affidabile, per questo necessitano sempre di una convalida con i mezzi tradizionali. Il gruppo di ricercatori guidati da Sam Gambhir ha sperimentato un curioso metodo per incrementare in modo significativo l’efficienza della diagnosi precoce per alcuni fra i tumori più frequenti e temibili per l’uomo: il carcinoma mammario ed il cancro del colon.

Alcuni dei più comuni marker tumorali

La squadra ha giocato sui punti di forza insiti nei macrofagi, cellule del sistema immunitario; molte cellule immunitarie, compresi i macrofagi, cambiano a livello genetico quando si preparano a svolgere compiti immunologici. Alcuni geni si attivano quando un macrofago entra in contatto con l’ambiente tumorale, aiutandolo ad eliminare le cellule morte o anomale. Nello specifico, i macrofagi possiedono due fenotipi: M1, associato all’infiammazione comune (come per una ferita), ed M2, associati ad una neoplasia. 

Quando uno di questi macrofagi incontra il tumore e muta l’aspetto verso un fenotipo M2, si avvia un meccanismo molecolare che porta all’attivazione di vari promotori (il promotore è una sequenza di DNA che innesca l’attivazione genica). Una volta che un promotore viene attivato, il gene viene espresso sotto forma di una molecola.

Nello studio, tramite tecniche di ingegneria genica, si è utilizzato il promoter del gene arginasi-1 come attivatore di un gene diverso dal normale, quello per la luciferasi (molecola luminescente, la stessa che fa brillare le lucciole!). I macrofagi, opportunamente stimolati dal tumore, liberano questa molecola che può essere rintracciata da immagini a bioluminescenza e quantificata nel sangue tramite un semplice prelievo.  

Gambhir e il suo team hanno testato i macrofagi modificati nei topi, scoprendo che potevano rilevare tumori alla mammella di solo 4 millimetri di diametro. In particolare, rilevano: tumori fino a 50 mm³ nel 100% dei casi, tumori tra i 25-50 mm³ nel 85%, tumori sotto i 25 mm³ nel 70%.

Questo metodo di immunodiagnostica ha avuto risultati eccezionali rispetto ad altri metodi convenzionali: il cfDNA (molecole di DNA tumorale liberate nel sangue) raggiunge un significato diagnostico quando il tumore ha un volume di 1500-2000 mm³; una scansione PET è capace di rilevare tumori con un volume minimo di 200 mm³; il CEA (antigene carcino embrionale) è alterato quando il tumore ha già superato i 100 mm³ (e presenta molti limiti di specificità).

Tuttavia non è tutto cancro ciò che luccica! Anche se una fiala di prelievo è fluorescente e si registrano livelli anomali di luciferasi, non può ancora essere posta una diagnosi di certezza. Infatti i macrofagi possono attivare questi geni modificati anche quando stimolati da una manciata di cellule atipiche o da una semplice ferita: si possono avere falsi positivi. 

Gli studiosi pongono come prossimo obbiettivo quello di rendere la metodica più specifica, così da poter eliminare il rischio di avere questi errori e sopravvalutare o sottovalutare la reale patologia. Inoltre il metodo può essere implementato con altre cellule immunitarie, come i linfociti T e B, e con altri stimoli target. L’intenzione è quella di estendere l’utilizzo dello strumento a tumori e patologie diverse. All’orizzonte i ricercatori immaginano di poter rendere questo strumento il più versatile ed economico possibile, così da poter essere utilizzato su larga scala.

Antonio Nuccio

 

Bibliografia: https://www.nature.com/articles/s41587-019-0064-8