Simòn Bolìvar, ”El Libertador” d’America

Simòn Bolìvar, proclamato ”El Libertador” del Sud America, è una delle personalità più affascinanti e complesse della storia dell’umanità. Il mito e la realtà si fondono nella storia della sua persona e delle sue gesta. La sua stessa vita venne definita esemplare da Santiago Key-Ayala, in un saggio a lui dedicato.

Simòn Bolìvar nacque nel 1783 nella città di Caracas, all’epoca parte del Vicereame della Nuova Granada (territori che oggi sono compresi dentro gli Stati odierni di Panama, Colombia, Ecuador, e Venezuela). Fu un sincero patriota sudamericano e si distinse non soltanto come generale, ma anche come scrittore, politico, statista e tribuno.

Segnato nel profondo fin dall’infanzia dalle vicissitudini della sua vita personale, vide sempre negatagli dalla vita gli affetti di cui ogni essere umano ha bisogno durante la propria esistenza. Bolìvar reagì con la ricerca di un obiettivo all’altezza di dare un senso alla sua vita. Scelse senza mai pentirsene di dedicare la sua esistenza alla causa della liberazione del Sud America dalla dominazione spagnola.

La figura del ”Libertador” sembrerebbe uscita dalla penna di Gabriel Garcìa Màrquez, il cui inchiostro ha dato vita al romanzo ”il generale nel suo labirinto” dove il protagonista è proprio Bolìvar.

La figura storica di Simòn Bolìvar fu talmente audace che la sue azioni sono al pari di una leggenda. Le pagine del romanzo di Màrquez rendono proprio l’idea del genere letterario di cui il premio nobel per la letteratura è uno dei massimi esponenti, ovvero il realismo magico.

Nella vita di Bolìvar, oltre che nel suo pensiero e nelle sue azioni, vi è tanto realismo quanto magia. La magia dei sogni, degli ideali, dei valori che hanno infiammato lo spirito sia di Bolìvar che lo spirito del  tempo.

 

Una vita in cui l’amore è morto

Figlio di genitori aristocratici creoli, appartenenti a due importanti casate fondatrici della città di Caracas (oggi capitale della Repubblica Bolivariana del Venezuela), Simòn Bolìvar venne privato dell’affetto fin da bambino. La vita lo rese orfano del padre al suo terzo anno di vita, e all’età di nove perse anche la madre.

Rimasto orfano, ereditò ampi possedimenti nell’allora Vicereame della Nuova Granada. Per via della giovane età venne affidato a suo nonno, da cui scappò a dodici anni per via del suo carattere ribelle. Andò a rifugiarsi dalla sorella María Antonia.

Successivamente, in seguito a una disputa legale su chi dovesse amministrare l’eredità del bambino, Bolìvar venne forzatamente trasferito nella casa di un insegnante, Simòn Rodrìguez. La figura di questo maestro sarà fondamentale per la formazione culturale e lo sviluppo della personalità di Bolìvar.

All’età dei suoi sedici anni, nel 1799, morì il nonno.

In seguito, venne imbarcato verso la Spagna per ricevere gli insegnamenti necessari per un giovane del suo rango, destinato a governare gli ampi possedimenti per conto della corona di Spagna.

Una volta giunto a Madrid, iniziò a studiare. Lingue straniere, danza, matematica, equitazione e storia.

 

Orfano e vedovo prematuramente

Durante il suo soggiorno a Madrid, conobbe e si innamorò perdutamente di  María Teresa Rodríguez del Toro, la quale sposò nel 1802.

Dopo le nozze decise di tornare a Caracas, ormai adulto, era giunto il momento di prendersi cura dei suoi possedimenti.

Pochi mesi dopo il suo ritorno nel nuovo mondo, però, la sua amata moglie fu colpita dalla febbre gialla, che la uccise.

Questa perdita devastò il cuore del Simòn Bolìvar. Fu forse questo avvenimento che assunse il ruolo di spartiacque tra quello che era stata la sua vita fino a quel momento e l’uomo che sarebbe divenuto.

Probabilmente, la storia di Simòn Bolìvar e di tutto il Sud America sarebbe stata completamente diversa se egli non avesse perso la sua giovane sposa.

 Bolìvar, devastato, giurò che non si sarebbe mai più sposato. Fu il suo primo e ultimo amore.

 

La ricerca di un senso degno per la propria vita 

Orfano, vedovo e svuotato di ogni scopo, Bolìvar si imbarcò nuovamente verso la Spagna.

Dopo poco tempo, tuttavia, decise di trasferirsi a Parigi, per scappare dai ricordi dell’amata scomparsa che lo seguivano in ogni angolo delle strade di Madrid.

Giunto a Parigi, si lasciò andare a una vita dissoluta, attingendo al suo patrimonio fino a che non fu raggiunto da una notizia. Il  suo caro ex maetro di Caracas, Simòn Rodrìguez, si trovava anch’egli a Parigi.

Bolìvar lo incontrò e Rodrìguez lo persuase dal buttar il tempo della sua vita nell’effimero, spingendolo a studiare i grandi pensatori del suo tempo, ovvero Montesquieu, Rousseau, Voltaire e gli enciclopedisti.

Fu forse anche lo studio di questi autori che contribuì a rendere Simòn Bolìvar la figura  scolpita nel granito della storia.

 

Il viaggio in Italia e il giuramento sull’Aventino

Rodrìguez, amico e maestro di Bolìvar, gli propose di intraprendere un viaggio insieme per l’Italia, convincendolo che lo avrebbe aiutato a superare la fragilità emotiva che lo attanagliava. Fu proprio in Italia che due eventi cambiarono le prospettive per il futuro del giovane Bolìvar.

Il primo di questi fu l’incontro ravvicinato a Milano con il suo ammirato eroe, Napoleone Bonaparte, all’epoca Re d’Italia. Presto, però, lo rinnegò e criticò aspramente, quando, nel 1804, fu incoronato Imperatore di Francia a Parigi, tradendo agli occhi di Bolìvar gli ideali rivoluzionari che animavano lo spirito del tempo ed avevano entusiasmato il giovane aristocratico ispano-americano.

Successivamente, proseguì il suo viaggio in Italia giungendo nella Città Eterna. Qui vi è il racconto, forse un po’ romanzato dallo stesso Rodrìguez, che diede inizio alla simbiosi tra realtà storica e leggenda.

Il maestro e l’allievo si recarono sul monte sacro dell’Aventino a Roma e proprio lì, secondo il maestro di Caracas, Simòn Bolìvar pronunciò un giuramento, un voto per  il quale spenderà tutta la sua vita e i suoi averi.

Lì, sul monte dell’Aventino,  pronunciò:

                                        Non darò riposo al mio braccio né alla mia spada fino al giorno in cui spezzeremo le catene del dominio spagnolo che ci opprime.

 

Monumento dedicato a Simòn Bolìvar, situato a piazzale Simòn Bolìvar, RomaFonte: https://www.sovraintendenzaroma.it/sites/default/files/Bolivar_1_1024x512.jpg
Monumento dedicato a Simòn Bolìvar, situato a piazzale Simòn Bolìvar, Roma
Fonte: https://www.sovraintendenzaroma.it/sites/default/files/Bolivar_1_1024x512.jpg

Il sottile filo della storia che collega passato e presente

Vi è un sottile filo conduttore, un filo storico-culturale dell’epoca di cui scrivo, che ha rilegato la storia dei popoli del mondo. Un filo conduttore che ci guida fino alle società in cui viviamo oggi.

Questo filo inizia con la Rivoluzione francese e la Guerra d’Indipendenza nordamericana, e si collega direttamente alle guerre d’Indipendenza sudamericane condotte da Simòn Bolìvar e gli altri protagonisti.

Questo filo non si è mai spezzato. Si è spostato in lungo e in largo nel mondo, tornando, ad esempio, in Italia, con le guerre d’indipendenza risorgimentali contro il dominio austriaco, e ha continuato fino alla storia moderna, con le guerre d’Indipendenza che hanno portato alla decolonizzazione europea dell’Africa e dell’Asia, tra le due guerre mondiali fino alla fine del XX secolo.

Un filo che continua a essere il filo che rilega le pagine dell’immenso libro della storia del mondo. Un filo che rilega al giorno d’oggi il capitolo della quasi secolare lotta per l’indipendenza della Palestina.

È il filo d’oro dell’autodeterminazione dei popoli.

L’inizio della liberazione Sud Americana

Mappa illustrativa del sistema coloniale europeo nel mondo conosciuto nel XVIII secolo all'alba delle guerre d'indipendenza americane
Mappa illustrativa del sistema coloniale delle potenze europee e del traffico di merci e schiavi da e per le colonie all’alba delle guerre d’indipendenza americane.
[Carta di Laura Canali] https://www.limesonline.com/carte/colonie-europee-traffici-rotte-14656194/

Nel 1806, il patriota venezuelano Francisco de Miranda diede avvio al primo tentativo di liberazione del Sud America. Miranda tentò di liberare la città di Coro, situata vicino la costa venezuelana, ma non ebbe successo. La sua iniziativa, però, fece divampare ancora di più la fiamma del sogno di Bolìvar, che decise di ritornare nella terra patria per dedicare la sua vita al giuramento fatto.

Le concomitanze geopolitiche dell’epoca giocarono a favore dei patrioti ispano-americani, in quanto, nel 1808, Napoleone pose la corona di Spagna sulla testa di suo fratello Giuseppe. Questo atto scatenò una guerra nella penisola iberica che sconvolgerà la Spagna fino al 1814.

La guerra indebolì il potere, l’influenza e la deterrenza spagnola nei territori d’oltre mare.

Le notizie della lotta per il trono spagnolo diedero ulteriore spinta agli ideali indipendentisti che andavano maturando in tutto il Sud America.

Nel 1810, a Caracas, nacque il movimento secessionista, l’anno successivo la città di Caracas dichiarò la sua indipendenza dalla corona di Spagna.

L’ascesa di Bolìvar in politica e nei campi di battaglia

Fu con la creazione della Repubblica di Caracas e la firma dell’atto d’Indipendenza che Bolìvar iniziò a farsi notare.

I suoi interventi fortemente indipendentisti e radicali non passarono inosservati. Inoltre, si unì all’esercito di Francisco de Miranda, con il ruolo di colonnello, per difendere la neonata Repubblica dalla reazione spagnola.

La prima esperienza repubblicana però non superò il biennio. L’esercito realista spagnolo, meglio armato e addestrato, sconfisse i repubblicani venezuelani.

Nella sconfitta pesò anche un errore commesso dall’inesperto Bolìvar, che perse la piazza di Puerto Cabello, dove i repubblicani conservavano la loro scorta di armi e munizioni.

Impossibilitati nella continuazione della guerra, il generale Miranda trattò la capitolazione con gli spagnoli e pose fine all’esperienza della Prima Repubblica Venezuelana.

 

L’assunzione della leadership indipendentista e la “Campagna ammirabile”

L’accettazione senza riserve di tutti i termini della capitolazione, imposti dagli spagnoli al generale Miranda, provocò la fine dell’ammirazione e fiducia da parte dei suoi sottoposti compreso lo stesso Bolìvar che vide in questa condotta una sorta di tradimento alla causa indipendentista. Miranda fu così deposto dalla guida rivoluzionaria e arrestato. Lo stesso Bolìvar partecipò al suo arresto, avvenuto il 31 luglio 1812. Miranda morirà nella prigione Spagnola di La Carraca a Cadice, nel 1816.

Simòn Bolìvar aveva fatto un giuramento e non si diede per vinto. Nel 1812, scappò a Curaçao e nello stesso anno si trasferì a Cartagena de Indias. Il suo progetto era liberare sia la Venezuela che la Nuova Granada.

Proprio a Cartagena, Bolìvar scrisse uno dei suoi più importanti testi politici, il “Manifesto di Cartagena“, nel quale propose la riconquista di Caracas come passo fondamentale per la liberazione dell’intero continente sudamericano, da cui sarebbe dovuto nascere un grande stato unitario chiamato Gran Colombia.

Sulla base ideologica del manifesto di Cartagena, radunò un esercito.

Il 14 maggio 1813, attraversò a cavallo le Ande, conseguendo una vittoria dopo l’altra. Una marcia, tra audacia e strategia, che ricordò quella di Annibale, questa impresa fu chiamata la ”campagna ammirabile”.

In appena tre mesi, entrò trionfalmente nella città di Caracas.

Bolìvar era il capitano generale degli eserciti della Nuova Granada e Venezuela e la città di Caracas gli conferì il titolo di ”Libertador”.

Ebbe così inizio la Seconda Repubblica di Venezuela.

 

Ande venezuelane
Ande Venezuelane
Fonte: https://lacgeo.com/sites/default/files/valle_de_mifaf%C3%AD_opt.jpg

 

Tra nemici interni ed esterni si spegne la Seconda Repubblica di Venezuela

Conclusasi l’ebrezza della vittoria, Bolìvar  si trovò ad affrontare i gravi problemi in cui versava la nuova Repubblica di Venezuela. Mancanza di organizzazione, anarchia, rivalità interne e sete di potere nel nuovo Stato crearono coalizioni di nemici interni, i quali si sommarono alla minaccia Spagnola che era ancora ben lontana dall’essere debellata.

Alla fine, la situazione per Bolìvar e i suoi fedeli fu insostenibile e fu costretto ad emigrare nell’Est del paese, seguito da quasi tutta la popolazione di Caracas.

Fu la fine della Seconda Repubblica di Venezuela.

I viaggi dalla Colombia alla Jamaica fino all’isola di Haiti e la lotta alla schiavitù

Bolìvar era stato sconfitto, ma in cuor suo aveva perso una battaglia, non la guerra.

Così, si spostò a Cartagena e poi a Bogotà.

Ormai, Bolìvar era ridotto in povertà, avendo speso tutte le sue fortune per la causa indipendentista.

Decise di imbarcarsi per la Jamaica e giunse alla città di Kingston. Era in cerca di appoggio finanziario e militare dalla corona inglese.

Nell’attesa della risposta inglese, decise di partire alla volta della giovane Repubblica di Haiti, che aveva ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1804, divenendo il secondo Stato indipendente delle Americhe dopo gli Stati Uniti.

Haiti fu il primo Stato nato da una rivoluzione anti-schiavista, portata avanti proprio da un gruppo di schiavi liberati che si opposero al sistema schiavista francese e al suo sistema coloniale.

Fu proprio la missione di abolire la schiavitù in tutte le Americhe e liberarle dal gioco coloniale europeo che il Presidente haitiano, Alexandre Pétion, offrì rifugio a Bolìvar e appoggiò la sua causa indipendentista, fornendogli un generoso aiuto in uomini e mezzi.

L’aiuto venne concesso a patto che Bolìvar abolisse la schiavitù in tutto il Sud America.

Bolìvar divenne anch’egli un fervente rivoluzionario, non solo in chiave anti-coloniale ma anche anti-schiavista.

Bolìvar, forte dell’appoggio haitiano, salpò alla conquista dell’isola venezuelana di Margarita.

Il 16 giugno 1816 dichiarò l’abolizione della schiavitù in tutta la Venezuela e ottenne, di riflesso, l’appoggio della popolazione nera, che si arruolò nelle file repubblicane.

La battaglia di Vertières, tra haitiani e francesi
La battaglia di Vertières

La liberazione della Nuova Granada e  Venezuela e la creazione della Gran Colombia

Nel 1817, Bolìvar era riuscito a dare nuovamente slancio alla causa indipendentista.

Conquistò la regione venezuelana della Guayana, rendendola una roccaforte repubblicana inespugnabile. Lì, fondò il giornale ”Correo del Orinoco”, che fu pubblicato dal 1818 al 1821.

Stampato nella città di Angostura (oggi Ciudad Bolìvar), sarà il primo giornale sovrano di tutto il Sud America e le sue copie verranno diffuse anche in Europa.

Sempre nella città di Angostura, nel 1819, convocò un congresso dove pronunciò il più celebre dei suoi discorsi politici.

Organizzò un nuovo esercito indipendentista, forte di tremila uomini, e consacrò alla storia per una seconda volta la sua audacia.

Replicò la traversata del 1813 delle Ande, durante la stagione delle piogge. La sua strategia si rivelò vincente e colse alla sprovvista gli spagnoli, che furono sconfitti nella battaglia decisiva di Boyacá, il 7 agosto 1819.

Il 10 agosto Bolìvar entrò trionfalmente a Bogotà. La Nuova Granada era stata liberata.

Bolìvar tornò nella sua roccaforte di Angostura e riuscì a far approvare una nuova Costituzione, dando vita alla Repubblica di Colombia (o Gran Colombia).

La nuova repubblica accorpava i territori di quello che oggi sono la Venezuela e la Colombia odierna. Tuttavia la Venezuela rimaneva ancora sotto il dominio spagnolo.

Nel 1821, l’esercito indipendentista sconfisse gli spagnoli nella pianura di Carabobo, vicino Caracas, consacrando l’indipendenza venezuelana dalla Spagna per la terza volta.

Successivamente, fu indetto il congresso di Cúcuta, che elesse Bolìvar Presidente della Colombia e gli conferì ampi poteri esecutivi, ratificando il suo modello di Stato centralizzato che scongiurava gli estremi sia della monarchia sia dell’anarchia democratica.

 

La cacciata definitiva degli spagnoli dal Sud America

Le ambizioni di liberazione di Bolìvar non erano terminate.

Insieme ai suoi più fidati generali, liberò i territori dell’attuale Ecuador, Bolivia e Perù.

In concerto con un altro rivoluzionario e patriota sudamericano, l’argentino José de San Martín, che liberò il Cile e l’Argentina dal gioco spagnolo.

Alla fine del 1824, si concludevano le guerre d’indipendenza sudamericane, combattute contro gli spagnoli nell’arco di dodici anni.

Gli spagnoli non riconquisteranno mai più territori sudamericani continentali e, entro la fine del secolo, perderanno gli ultimi possedimenti insulari di Cuba e Puerto Rico.

 

La guerra contro il colonialismo era finita, ma quella per il potere interno era appena iniziata

Bolìvar vide il  sogno a cui aveva dedicato la vita realizzarsi nel concreto. Era all’apice della sua popolarità. Lui, il Libertador di tutto il continente sudamericano, era celebrato in tutte le città.

Ben presto, però, molti dei suoi amici divennero nemici. Iniziarono a formarsi fazioni contrapposte e intrighi.

La Gran Colombia, da lui presieduta, comprendeva la metà settentrionale del Sud America. Gli attuali stati di Venezuela, Colombia, Ecuador, Panama, Perù e Bolivia, liberati da lui e dal suo fidato generale Sucre. Bolìvar, però, andò ancora oltre.

Già presidente della Gran Colombia, sognava una “lega americana” che avrebbe unito le sue repubbliche con gli altri stati ispano-americani indipendenti (Messico, Cile e Argentina). Sognava una federazione che avrebbe avuto una propria presenza nella politica internazionale, capace di contare sullo scacchiere geopolitico e confrontarsi alla pari con le potenze europee, come iniziavano a fare i giovani Stati Uniti nordamericani.

 

La fine di un sogno e la frammentazione in piccoli stati sud americani

El Libertador fu accusato dai suoi rivali di aspirazioni imperiali. I suoi ex compagni d’armi rivendicavano per se stessi il potere nelle nuove repubbliche costituite.

I suoi rivali interni fecero franare il sogno di Bolìvar. Era esausto dei numerosi attentati alla sua persona e di una vita in lotta per un sogno che sì, era suo, ma anche del popolo sudamericano che tanto amava.

Decise così di arrendersi alle lotte intestine che stavano corrodendo la nuova società costituita. Frustrato dagli eventi, dichiarò di

”aver arato il mare”.

Nel gennaio del 1830, rassegnò le dimissioni definitive da Presidente della Gran Colombia e si ritirò dalla scena pubblica.

Nel giro di pochi mesi, la sua Gran Colombia si sciolse e sorsero dalle ceneri una serie di staterelli indipendenti governati da leader militari, tradizione sudamericana che continuò fino e per tutto il ‘900.

 

La fine di Simòn Bolìvar

Fedele a se stesso e alle sue parole, come uomo d’altri tempi quale è stato, Bolìvar dedicò la sua vita e il suo intero patrimonio a mantenere il giuramento prestato al suo maestro ai piedi dell’Aventino.

Morì a Santa Marta il 17 dicembre 1830, a quarantasette anni. In povertà, lontano dalla vita pubblica, calunniato dall’accusa di mire imperiali. Perseguitato in maniera accanita dai suoi nemici invidiosi della sua gloria.

L’ultimo desiderio, espresso nel suo testamento politico, rivela il suo valore e la figura storica eccezionale che è stato fino alla fine dei suoi giorni.

El Libertador nelle sue ultime parole scrisse:

Se la mia morte contribuirà alla cessazione delle fazioni e al consolidamento dell’unione, scenderò serenamente nella tomba. 

Così si concluse la storia di Simòn Bolìvar, l’eroe del nuovo mondo, El Libertador che per venti anni a cavallo ha percorso il Sud America per liberare quella terra che per secoli era stata sotto il dominio spagnolo.

Può essere considerato il primo anti-imperialista del continente sudamericano.

 Viva la memoria di  Simòn Bolìvar!

Antonino Giorgio Saffo.

 

Trailer del film The Liberator (2014), basato sulla vita di Simòn Bolìvar, di Édgar Ramírez

Fonti:

https://www.storicang.it/a/simon-bolivar-il-liberatore-dellamerica_16872

Vita esemplare di Simon Bolìvar, Santiago Key-Ayala, Oaks Editrice, 2021

https://it.wikipedia.org/wiki/Sim%C3%B3n_Bol%C3%ADvar

https://it.wikipedia.org/wiki/Jos%C3%A9_de_San_Mart%C3%ADn

https://it.wikipedia.org/wiki/Haiti

https://it.wikipedia.org/wiki/Francisco_de_Miranda

https://www.storicang.it/a/gabriel-garcia-marquez-il-maestro-realismo-magico_16634

 

 

La Kefiah, un simbolo tra resistenza, radici e tradizioni

La kefiah è il simbolo del popolo palestinese e della lotta per la liberazione della Palestina.

La kefiah è un copricapo tradizionale, diffuso anche tra le altre popolazioni dell’Asia Occidentale, le quali hanno prodotto la propria variante. In Giordania, ad esempio, la kefiah viene chiamata “hatta”. La si può trovare anche in Siria e in Iraq, dove la chiamano “shemagh”. Nei paesi del Golfo Persico, come il Qatar o l’Arabia Saudita, viene chiamata “gutrah”.

La kefiah è un indumento distintivo del mondo arabo, sia storicamente che per l’immaginario collettivo. Essa però non porta con nessun significato religioso. Da sempre è indossata da arabi di fede cristiana e drusa, oltre che da chi professa la fede islamica.

Nel corso dei decenni è divenuto il vessillo non solo del popolo palestinese, ma anche di tutte le donne e uomini liberi nel mondo che si oppongono alle guerre, e all’imperialismo occidentale.

 

Da indumento tradizionale a simbolo di autodeterminazione e resistenza

Tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso, con lo scoppio della guerra del Vietnam, negli Stati Uniti e in tutto il mondo occidentale emerse il movimento pacifista. Un’onda internazionale che si mosse dal basso, un movimento che diventò il ”megafono” che rappresentò le istanze di tutti i popoli oppressi del mondo. Dal Vietnam alla Palestina, dall’embargo di Cuba da parte statunitense al colpo di stato fascista in Cile. Dall’Angola al Mozambico che lottavano per l’indipendenza, dal Portogallo fino al Sud Africa dell’apartheid. Il movimento pacifista, tra marce di folle oceaniche e azioni dimostrative, si mostrò come l’impersonificazione della vera opinione pubblica che denunciava le barbarie dei nostri tempi. 

Così la kefiah oltrepassò i confini levantini per divenire un simbolo di solidarietà internazionale. Il simbolo di chi ha a cuore la libertà dei popoli.

Nessuno è libero fino a che non siamo tutti liberi

recitavano i cartelloni tra le mani dei manifestanti.

Nelson Mandela con la kefiah in segno di solidarietà al popolo palestineseFonte: https://www.aljazeera.com/wp-content/uploads/2023/12/afp.com-20060304-PH-PAR-ARP1559147-highres-1701775047-e1701777815420.jpg?resize=770%2C513&quality=80
Nelson Mandela con la kefiah in segno di solidarietà al popolo palestinese

La kefiah fu indossata sia dalle persone comuni che protestavano per la pace sia dai leaders dei popoli in rivolta. Da Fidel Castro a Nelson Mandela In particolare, tutti i leaders di sinistra nel mondo indossarono la kefiah. Indossarla era già di per sè un’azione politica. La chiara espressione del sostegno alla causa palestinese. Nei decenni, anche Che Guevara si recò in visita a Gaza varie volte, prima del suo assassinio.  

 

La forza di un popolo e i suoi simboli  

Originariamente, la kefiah in Palestina non era indossata indistintamente da tutta la comunità palestinese. Storicamente, infatti, indossavano la kefiah coloro che vivevano nelle zone rurali, contadini, e beduini.

Nelle città palestinesi, per via dell’influenza della dominazione ottomana, era diffuso il “tarbouchè ottomano“, un copricapo di forma conica di colore rosso.

Nel 1917, durante la Prima guerra mondiale, con la sconfitta ottomana, la Palestina passò dall’occupazione ottomana a quella britannica, durata fino al 1948.

L’occupazione britannica portò alla grande rivolta araba del 1936, conseguenza della brutalità coloniale che assecondava l’insediamento di coloni sionisti provenienti da tutto il mondo.

Il susseguirsi di attacchi alle comunità palestinesi rurali provocò la rivolta delle classi contadine. Gli insorti erano facilmente identificabili. I partigiani palestinesi, per non farsi identificare, durante le rivolte iniziarono a coprirsi tutto il volto con la kefiah. Di conseguenza, chiunque indossava una kefiah divenne sospetto e passibile di arresto da parte delle autorità coloniali. 

I leaders palestinesi dell’epoca, come risposta, invitarono tutta la popolazione ad abbandonare il tarbouchè ottomano, divenuto “il copricapo dei traditori”.  Esortarono tutta la popolazione a indossare la kefiah.

Questa strategia rese impossibile l’individuazione dei ribelli da parte delle autorità coloniali.

L’apice della kefiah, adottata come simbolo della Palestina per antonomasia, si ebbe però solo nel 1967. Dopo la sconfitta degli Stati Arabi contro il neo Stato sionista nella guerra dei sei giorni, e l’occupazione anche di Gaza e di tutta la Cisgiordania da parte del nuovo stato coloniale.

Il fallimento della repressione e la censura della bandiera della Palestina e i suoi colori

Una delle prime conseguenze della totale occupazione della Palestina fu che la bandiera palestinese venne vietata da una legge varata dall’occupante israeliano.

Nel 1980, Israele varò un’ulteriore legge che vietava le opere d’arte di “significato politico”; altresì vietava le opere d’arte composte dai quattro colori della bandiera palestinese. I palestinesi vennero arrestati per aver esposto tali opere d’arte.

Fu così che la kefiah sostituì la bandiera palestinese, equivalendosi nel suo significato di resistenza al colonialismo.

Oltre alla kefiah, per sfidare la legge imposta dagli israeliani ai palestinesi, iniziò a diffondersi la pratica tra chi protestava di portare  con alle manifestazioni delle angurie, frutto che contiene i quattro colori della bandiera palestinese.

Il divieto di esporre la bandiera della Palestina verrà abolito solo nel 1993, con gli accordi di Oslo firmati dal leader della resistenza palestinese dell’epoca, Yasser Arafat, anch’egli uno dei maggiori sponsor della kefiah. Questi non si è mai mostrato in pubblico senza indossarla.  

 

Anguria simbolo di protesta e diritto all'autodeterminazioneFonte: https://www.bing.com/images/search?view=detailV2&ccid=lMP3TQyP&id=370A6588D30BB16F932B5DF4AC0EC44D9D779096&thid=OIP.lMP3TQyPP-2ZmlmQTejhMwHaE8&mediaurl=https%3a%2f%2fwww.indy100.com%2fmedia-library%2fpalestinian-farmers-in-the-northern-gaza-strip-in-2021.jpg%3fid%3d50420812%26width%3d1200%26height%3d800%26quality%3d85%26coordinates%3d0%252C0%252C0%252C0&cdnurl=https%3a%2f%2fth.bing.com%2fth%2fid%2fR.94c3f74d0c8f3fed999a59904de8e133%3frik%3dlpB3nU3EDqz0XQ%26pid%3dImgRaw%26r%3d0&exph=800&expw=1200&q=watermelon+protest+palestine&simid=608045122402729502&FORM=IRPRST&ck=1B5D1F658A32DC2443C2933507EA3E33&selectedIndex=83&itb=0&ajaxhist=0&ajaxserp=0
Manifestanti palestinesi che hanno reso anche il frutto un simbolo del loro diritto all’autodeterminazione

 

La mercificazione della grande industria della moda ha decostruito il significato di lotta della kefiah

Negli anni 2000, la kefiah ha vissuto un momento di appropriazione e mercificazione da parte del mercato della moda mondiale. Questo, tendendo a spogliarla del suo profondo significato storico, culturale e di lotta, decostruì l’implicazione simbolica di chi la indossava e la trasformò in un indumento comune, l’ennesimo prodotto fashion.

Il mercato fu esondato da svariati tipi di kefiah, che differivano per forma colore e dimensione. Marchi come Balenciaga arrivarono a produrre la propria versione nel 2007, al prezzo di tremila euro al pezzo e anche Chanel e Fendi proposero la loro variante.

Ciò nonostante, la kefiah ha continuato a essere il simbolo della Palestina e della sua lotta per la liberazione.

Svariate celebrità l’hanno indossata come messaggio di solidarietà per il popolo Palestinese, come Roger Water dei Pink Floyd. Tuttavia, nonostante gli accordi di Oslo siano falliti e benchè dal 2007 la striscia di Gaza sia divenuta il piu grande campo di concentramento della storia dell’umanità, la causa palestinese è caduta nell’ombra. Forse, più che cadere, sono stati i riflettori dei media occidentali ad essersi girati dall’altra parte, contribuendo a far cadere nell’oblio la causa palestinese.

 

Nuovamente attorno al collo di milioni di persone in tutto il mondo

Proteste pro PalestinaFonte: https://www.wlrn.org/government-politics/2023-10-13/palestinian-supporters-speak-out-in-south-florida-as-israel-hamas-conflict-rages-in-middle-east
Protesta pro Palestina
Fonte: Al Diaz Adiaz, @Miamiherald.com

Con l’inizio del genocidio a Gaza, iniziato il 7 ottobre 2023 e vergognosamente ancora in corso, il mondo ha preso nuovamente coscienza della causa palestinese e del paradosso dell’unica colonia occidentale esistente ancora al mondo, ovvero lo stato di Israele.

Le cronache del genocidio del popolo Palestinese hanno fatto che la kefiah tornasse attorno al collo di milioni di persone in tutto il mondo, indossata in solidarietà col popolo palestinese. Di conseguenza, è tornata protagonista negli schermi dei media.

Purtroppo, come nel 1967, assistiamo a tentativi da parte di chi sostiene il regime di appartaheid israeliano di criminalizzare questo indumento, tentando in tutti i modi di far associare la kefiah con il terrorismo nell’immaginario collettivo.

Tristemente assistiamo ad atti di repressione e anche arresti da parte della polizia in Stati democratici, come la Germania e l’Austria, nei confronti di attivisti colpevoli di indossare la kefiah. Svariati sono stati anche i casi di persone allontanate da locali pubblici perché indossavano una kefiahanche una semplice spilletta con la bandiera palestinese. Altri hanno perso il proprio impiego per il sol fatto che indossavano sul posto di lavoro tali simboli.

L’atteggiamento repressivo a cui assistiamo anche fuori dalla Palestina ha incoraggiato la protesta in tutto il mondo. Le piazze delle maggiori metropoli del mondo pretendono la fine del genocidio, il cessate il fuoco e la fine dell’occupazione israeliana, perpetrata impunemente  da oltre settantasei anni.

Non è una questione solo politica, è anche e sopratutto una questione etica, alla base dei valori e dei diritti umani su cui si basa la civiltà moderna.

Come scrisse Vittorio Arrigoni, attivista italiano per i diritti umani e giornalista, ucciso a Gaza nel 2011.:

Restiamo umani.

 

Vittorio ArrigoniFonte: https://www.bing.com/images/search?view=detailV2&ccid=9jgtv5D5&id=AA96DD11936B800EE24B5FA85FD0DE9C4763A275&thid=OIP.9jgtv5D5vQR28dw0pBfvVAHaF-&mediaurl=https%3a%2f%2f3.bp.blogspot.com%2f-6nyTzQE8tk8%2fVT3sColrgFI%2fAAAAAAAADQQ%2ff6-VT2yUDYY%2fs1600%2fVittoro-Arrigoni.jpg&cdnurl=https%3a%2f%2fth.bing.com%2fth%2fid%2fR.f6382dbf90f9bd0476f1dc34a417ef54%3frik%3ddaJjR5ze0F%252boXw%26pid%3dImgRaw%26r%3d0&exph=646&expw=800&q=vittorio+arrigoni&simid=608048511106972670&FORM=IRPRST&ck=6C8E8BF42A7AA283ED10C503D3A71EA4&selectedIndex=72&itb=0&ajaxhist=0&ajaxserp=0
Vittorio Arrigoni 

  

Fonti :

https://orientxxi.info/va-comprendre/perche-la-kefiah-e-il-simbolo-della-resistenza-palestinese,7111#:~:text=Uno%20strumento%20della%20Grande%20Rivolta&text=In%20Palestina%2C%20la%20kefiah%20%C3%A8,nero%20che%20circonda%20la%20testa

https://www.middleeasteye.net/discover/palestine-keffiyeh-resistance-traditional-headdress