Ritorno in presenza: il racconto degli studenti Unime

Si paventava il tramonto dell’istruzione per come la conosciamo. Si paventava un mutamento antropologico che avrebbe persino portato all’estinzione di una specie caratteristica dell’ecosistema delle nostre città: lo studente fuori sede. La pandemia sarebbe stata l’anticamera di una rivoluzione copernicana che si sarebbe giocata su due cardini: smart working ed e-learning.

Eppure a Messina così non è stato: Unime dall’11 ottobre ha ripristinato la frequenza in aula al 100%. La città dello Stretto torna a gremirsi di matricole, treni, tram e aliscafi brulicano di universitari in mascherina, nei condomini risuonano di nuovo dialetti diversi.

Di nuovo insieme: studenti durante una lezione di Economia. © Angelica Rocca

Se chiedessimo a un passante di raccontarci il ritorno in presenza, forse ne uscirebbe fuori questo scenario pittoresco. Ma com’è il panorama visto dagli occhi degli studenti tornati in aula?

Un dipinto alquanto cupo emerge ad esempio dalle parole di Alessia, studentessa di Filosofia: «L’ansia che da un momento all’altro la linea potesse cadere durante le lezioni è svanita. Siamo più tranquilli, più sereni, ma esistono comunque altri disagi: siamo stati trasferiti al Polo di Farmacia, edificio a fianco del nostro dipartimento. Ci ritroviamo spaesati: un vero e proprio incubo. La sede del DICAM (Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne) da quasi due anni, si è trasformata in un cantiere, in tutti noi è sorto un senso di angoscia: quella che chiamavamo “casa” si è rivestita di impalcature e false speranze.»

Miryam, studentessa di Informatica, ci racconta invece l’intera Odissea che compie ogni mattina per arrivare a lezione tra tram e bus interurbani. «Tutte le mattine sono arrivata a lezione con ritardi addirittura di 45 minuti. Nonostante l’annuncio di un potenziamento delle corse ATM, gli orari che si ritrovano nelle tabelle non coincidono con quelli reali. Il bus di linea 24 che porta a Papardo (sede delle facoltà scientifiche) spesso salta la fermata delle 8:05 davanti al terminal Cavallotti (vicino alla stazione centrale). Un’alternativa sarebbe il tram, ma anche quest’ultimo salta parecchie corse. Quando dal Terminal Museo partivano le navette verso i poli del Papardo e dell’Annunziata, la situazione non era così disastrosa. Adesso è diventata ingestibile: i bus di linea, non essendo riservati ai soli studenti e ben più piccoli delle navette, possiedono una capienza ridotta

Un tram ATM alla fermata di Piazza Cairoli. Fonte: archivio UVM

Stesso scenario anche all’Annunziata (sede del già citato Dicam oltre che di Farmacia, Veterinaria e Scienze Motorie). Afferma Domenico, studente di Lettere Moderne: «Da qualche settimana hanno aggiunto qualche corsa, ma continuano ad esserci comunque pochi bus e troppo affollati. Molte volte mi è capitato di arrivare tardi a lezione o addirittura di doverne saltare qualcuna proprio per questo motivo.» Nonostante i disagi, se si tratta di scegliere tra lezioni in presenza e corsi su Teams, questi studenti non manifestano dubbi. «I momenti in presenza che ho vissuto i primi anni sono nettamente migliori e imparagonabili alla didattica a distanza.» risponde Myriam. «Il ritorno in presenza è stato un po’ come ritrovare la quotidianità ormai persa: semplici gesti come la pausa caffè con i colleghi, conversazioni, risate tra una lezione e l’altra, strette di mano. Una delle più grandi mancanze della teledidattica è stato proprio il contatto diretto, tutta quella dimensione della corporeità indispensabile all’uomo.» aggiunge Domenico.

Dello stesso avviso Ilaria, studentessa di Scienze Politiche: «Finalmente possiamo vivere l’università sotto un aspetto più sociale. Mi ha stupito molto però che la ripresa delle attività in presenza non sia stata totale: i laboratori linguistici vengono svolti esclusivamente sulla piattaforma Rosetta Stone, sebbene nella mia facoltà esistano docenti di madrelingua predisposti all’insegnamento della materia. Per poter apprendere correttamente una lingua sarebbe necessario un confronto diretto con l’insegnante.»

E-learning garanzia di democrazia? Questo lo slogan di chi ignora un digital divide che attanaglia tante piccole realtà del Belpaese e trova conferma nelle parole di Maria, studentessa di Lettere Classiche: «La dad ha presentato per me dei limiti. Vivo in un paesino dove spesso la connessione è precaria. Il ritorno in presenza mi ha permesso quindi di essere più costante nell’apprendimento.» E aggiunge: «La connessione particolare che ho con il libro nonché la manualità sono importanti e l’attenzione che pongo in aula è maggiore: ho un problema neurologico che limita la mia concentrazione nonché la capacità di ricordare eventi recenti e attività programmate. Con maggiore lentezza e fatica memorizzavo nuove informazioni attraverso uno schermo. Il ritorno in presenza, nonostante l’iniziale corsa ad ostacoli tra pullman e mezzi vari, è stato primario, essenziale!»

“Seguire” in dad: vignetta satirica. Fonte: l’ecodellascuola.altervista.org

Stando a quanto affermano gli studenti Unime, non sarà la nostra generazione a cestinare l’insegnamento tradizionale a favore dell’Università delle piattaforme. Il futuro della formazione non si dovrebbe decidere in un aut aut tra didattica in presenza ed e-learning: quest’ultima più che mera opzione escludente, potrebbe rimanere un’ottima risorsa integrativa alle lezioni frontali (soluzione già sfruttata da altri atenei italiani).

È di quest’idea Lucia, studentessa di Giurisprudenza: «L’interazione vis a vis tra studenti e professori è imprescindibile nel nostro corso di studi, soprattutto in vista di una futura carriera forense e la dad sotto quest’aspetto è fortemente limitante. Tuttavia si sarebbe potuto ricorrere alla teledidattica in questi giorni di maltempo ed evitare di perdere preziose ore di lezione che verrebbero recuperate a ridosso degli esami.»

Il punto di forza della dad, allora, si può rinvenire non sul terreno dell’apprendimento, ma piuttosto nel suo potere di trascendere – al di là dell’emergenza sanitaria- limiti e difficoltà presenti in quel mondo della fisicità reale cui i giovani tuttavia non vogliono (e non devono!) rinunciare. Assenza di strutture adeguate, insufficienza di mezzi di comunicazione sono alcune problematiche esistenti già da tempo che noi studenti chiediamo di risolvere offline a gran voce. Una voce a cui le politiche territoriali e nazionali dovrebbero prestare ascolto.

Angelica Rocca

 

Articolo pubblicato il 04/11/2021 nell’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud

Esami, lauree, biblioteche e DAD: il Rettore risponde alle nostre domande

In merito alle nuove disposizioni d’Ateneo -in vigore dal 17 maggio- all’interno della comunità studentesca si è aperto un acceso dibattito soprattutto sulla decisione di svolgere gli esami esclusivamente in presenza a partire dal primo appello di giugno. A tal proposito, alcune associazioni (Atreju, Chirone, Gea, Must e Sud) hanno lanciato una petizione per richiedere la possibilità di svolgere gli esami in modalità blended. La petizione, che ha raccolto più di seimila firme, ha trovato anche l’adesione di chi è entusiasta di tornare in presenza a fare esami, ma crede che in un periodo così delicato la modalità mista possa tutelare il diritto degli studenti più svantaggiati.

Per rispondere alle numerose questioni emerse abbiamo deciso di intervistare il Magnifico Rettore.

Il Magnifico Rettore Salvatore Cuzzocrea. Fonte: archivio UVM

Molti atenei italiani stanno ripristinando le attività in presenza affiancandole a quelle online, lasciando la scelta a discrezione dello studente. Perché l’Università di Messina ha escluso a partire a giugno la modalità blended per gli esami? Non sarebbe stato meglio forse ripartire interamente in presenza dal prossimo anno aspettando che tutta la popolazione studentesca sia vaccinata?

Intanto vi ringrazio per avermi dato l’opportunità di interloquire con voi. La risposta sta nella sua domanda: l’Università di Messina come gli altri atenei sta ripartendo in maniera graduale. La modalità telematica viene mantenuta per le lezioni online, quindi i ragazzi, se fuori sede, non avranno nessuna necessità di correre per fare le lezioni in presenza, ma rimarrà la doppia possibilità. Nella stragrande maggioranza degli atenei del Nord Italia, quelli più colpiti dalla pandemia, già dal mese di maggio gli esami sono in presenza. Noi abbiamo ritenuto opportuno prendere tempo per ripartire a giugno. Se abbiamo deciso che vogliamo ritornare alla normalità non capisco quale sia il problema nel sostenere gli esami di presenza, anche perché noi vogliamo realmente dare tutto il supporto possibile. Ho anche chiesto al Ministro, in qualità di vicepresidente della CRUI,  di intervenire per la vaccinazione degli studenti di Farmacia, CTF, Scienze Biologiche che effettuano i tirocini nelle aziende sanitarie e sono in attesa di risposte. Abbiamo un centro vaccinale dell’Università pronto ad accogliere gli studenti per la vaccinazione, ma il problema è una scelta nazionale di categorie che non compete al Rettore.

Ha parlato di modalità online solo per alcuni casi e su richiesta del singolo studente. Quali categorie potranno beneficiarne? Come dovranno provare di non poter fare esame di presenza (dovranno presentare certificati, referti di tamponi, altra documentazione)?

Ovviamente se sei in quarantena, hai una patologia o sei fragile secondo legge e, quindi, non puoi recarti in sede, soltanto perché c’è la pandemia, puoi fare esame da casa. Se uno studente è positivo, ad esempio o è comunque in quarantena perché ha un parente positivo possiede naturalmente un’attestazione dell’ASP. Cosa può fare in quel caso?  Innanzitutto comunicare al professore di essere in quarantena fiduciaria con tanto di autocertificazione; qualora il professore volesse provare la veridicità della dichiarazione, lo studente può presentare l’attestazione ASP. Stessa cosa per studente in possesso di 104 o con provata disabilità o con patologia grave che può presentare un certificato medico. Naturalmente attenzione con le autocertificazioni: dichiarare il falso è reato.

Gli studenti fuori sede rappresentano una fetta importante dell’utenza dell’Università. Molti di loro però dall’inizio dell’anno accademico non hanno rinnovato un contratto d’affitto nella città di Messina. Come faranno a sostenere l’esame in presenza? Potrebbero richiedere anche loro l’esame online?

No, per una semplice ragione: non avrei un parametro univoco di riferimento. Ad esempio, se concedo la possibilità di fare gli esami online agli studenti fuori regione, alla fine chi sta a Villa San Giovanni o Reggio Calabria (e deve solo attraversare lo stretto) sosterrà l’esame a distanza e chi invece abita a Siracusa (molto più distante) dovrà recarsi in facoltà. Il mio provvedimento ha comunque già esonerato dal recarsi in presenza gli studenti stranieri e gli italiani residenti all’estero. Da parte nostra cercheremo di supportare i fuori sede: a breve avremo una riunione con l’ERSU per definire assieme la possibilità di concedere un alloggio agli studenti che vengono da molto lontano e hanno bisogno d’aiuto per il giorno prima dell’esame.

Ci può spiegare meglio questa proposta degli alloggi ERSU?

La scelta di un accordo con l’ERSU è nata per venire incontro a quei ragazzi che sono molto distanti dalla regione tramite un sistema di prenotazione di camere. Ad esempio, lo studente fuori sede potrebbe prenotare per una notte, arrivare, dormire la sera prima dell’esame e andarsene subito dopo. Altra soluzione sarebbe Villa Amalia, per la quale ho già scritto al Policlinico. Villa Amalia è una struttura che stiamo utilizzando per ospitare i medici e gli infermieri che curano i malati di Covid. Se la situazione migliorerà, la struttura potrebbe essere libera, pronta per la sanificazione e per ospitare i ragazzi che devono sostenere gli esami.

Villa Amalia

 

Molti nostri coetanei aspettano l’allentamento delle misure restrittive. Altri però stanno limitando uscite e contatti perché impauriti o per tutelare i parenti più fragili. In che modo rassicurerebbe, in qualità di Rettore, questi giovani maggiormente colpiti a livello psicologico dalla pandemia?

Innanzitutto tutti noi dobbiamo spingere per la campagna vaccinale perché i vaccini sono l’unica soluzione per difendere i nostri cari. Inoltre, il rischio non risiede soltanto all’Università, dove gli studenti verrebbero a fare esame in presenza, ma anche in altri luoghi frequentati dagli studenti stessi (bar, negozi ecc). Possiamo dire che l’Università proseguirà con le misure anti-Covid necessarie per garantire la sicurezza dei ragazzi (controllo della temperatura, sanificazione con il gel, mantenimento delle distanze). D’altro canto non si può combattere la pandemia non vivendo, ma vivendo con accortezza.

Da molti mesi il DICAM (Dipartimento Civiltà Antiche e Moderne) è stato sottoposto a lavori di ristrutturazione. In quale sede faranno esame gli studenti delle facoltà in merito?

Intanto monitoriamo giorno per giorno l’andamento dei lavori da qui a giugno. L’alternativa principale sarebbe ricorrere alla sede di Farmacia, situata sempre all’Annunziata, ma considereremo eventualmente anche soluzioni quali l’Aulario, i locali di Economia o qualsiasi altro spazio disponibile per garantire a professori e studenti il corretto e agevole svolgimento egli esami.

Qualche anticipazione sulle lauree? Si faranno in presenza? Quanti spettatori saranno consentiti? Si potrà ricorrere a una diretta streaming?

La laurea, trattandosi pur sempre di un esame, si svolgerà in presenza. Finché non cambiano le cose, sono previsti solo 5 parenti per ogni candidato. Ma possiamo anche organizzare le dirette streaming, anzi, si sta pensando di organizzarle e ne discuteremo in Senato.

Si è parlato di far ripartire l’accesso alle biblioteche. Naturalmente gli studenti necessitano di ampi spazi da poter utilizzare in totale sicurezza. A che punto è il progetto dell’ex Banca d’Italia?

Me ne occuperò la settimana prossima quando assieme alla mia squadra valuterò una bozza di progetto. Verificata la fattibilità, potremo procedere con i lavori.

Ex Banca d’Italia

Qualcuno ha parlato della possibilità di utilizzare la didattica a distanza anche nel futuro post- pandemia. Lei cosa ne pensa? Quali a suo avviso vantaggi e limiti delle Dad?

L’Università italiana sta riflettendo molto a proposito e così stiamo facendo al nostro interno. Probabilmente istituirò un tavolo tecnico, coordinato dal professore Moschella, con i direttori dei dipartimenti per affrontare la questione. La tecnologia ci può agevolare, può essere un’ottima risorsa per le facoltà umanistiche dove non c’è obbligo di frequenza o per i master online che consentono di raggiungere una marea di persone attraverso il sistema digitale. Il discorso cambia per facoltà come Biologia, Farmacia, Ingegneria ecc. dove la presenza è necessariamente richiesta e fondamentale è l’attività pratica. La Dad non sarà totalmente cestinata: si utilizzerà per garantire registrazioni di lezioni in presenza a studenti che non possono partecipare, ma ad ogni modo non sarò io il Rettore che trasformerà l’Università di Messina in un’Università telematica. Continuo ad essere convinto che la vita accademica all’interno delle strutture universitarie è occasione di crescita imprescindibile tramite cui non si smette mai di imparare, confrontandosi a tu per tu, guardandosi negli occhi. 

Università di Messina: sede centrale

La pandemia ha stravolto i paradigmi della nostra società. Come potrà l’Università di Messina guidare i giovani nel processo di ricostruzione? Si creerà un legame ancora più stretto tra Università e Pubblica Amministrazione?

Certamente sì. Ho partecipato come vicepresidente del CRUI a un evento Microsoft dedicato alla questione. Ad oggi nel mondo del lavoro sono richieste determinate competenze tecnologiche che il 60 % degli studenti non possiede. Dobbiamo cambiare paradigma perché la formazione che ho avuto io oggi non è più adeguata e anche chi studia medicina deve avere nozioni di digitale, di informatica. Perciò lo slogan con cui mi sono candidato “insegniamo ciò che serve, non ciò che sappiamo” diventa conditio sine qua non per formare voi che sarete i Rettori del domani, i dirigenti del domani, i professionisti del domani.

Ringraziamo il Rettore per la consueta disponibilità nel fornire chiarimenti e anticipazioni sulle scelte e sulle novità che coinvolgono il nostro Ateneo.

Angelica Rocca, Mario Antonio Spiritosanto

La nuova normalità post Covid e la distanza che diventa una risorsa

Quando torneremo alla normalità? È la domanda più gettonata dell’ultimo anno. Ma non solo. È il segno evidente di che cos’è il tempo presente oggi: proiezione nel futuro del ritorno del passato. Eppure, mentre la sogniamo, la normalità ci è già sfuggita di mano. La pandemia, infatti, ha innescato un processo di trasformazioni tanto rapido da necessitare una ridefinizione del concetto di normalità. Scopriamo il velo di Maya: la normalità, così come la conoscevamo, non tornerà mai più. E no, non si tratta dell’osservazione pessimistica di un animo retrivo, piuttosto di un’affermazione di fiducia nella storia e nei suoi eventi: ogni crisi porta con sé non solo distruzione ma anche uno scenario di possibilità.

Studiare in Dad – Fonte: www.noidellascuola.it

Non bisogna andar lontano con il pensiero per rendersi conto che le risorse messe in moto dalla pandemia rappresentano un potenziale per il futuro. Guardiamo a quanto ci è più vicino: il sistema universitario. Le lezioni online si sono rivelate, per molti versi, un beneficio a cui le università postpandemiche non possono più rinunciare, nel nome di un accesso alla cultura più libero e democratico. Si pensi ai vantaggi per gli studenti lavoratori che riuscirebbero più agevolmente a conciliare lavoro e università. Stesso discorso vale per gli studenti genitori. Per non parlare poi di quanti, per frequentare la facoltà che prediligono, sono costretti a cambiare città, il che implica dei costi ai quali non tutti possono far fronte, o degli studenti pendolari che in un giorno di pioggia rinunciano alle lezioni. La didattica a distanza consente di superare barriere e disuguaglianze e di pensare davvero ad un’università che dia a tutti le stesse possibilità.

Nel mondo del lavoro, lo smart working ha spalancato nuovi orizzonti: una gestione più autonoma dei tempi di lavoro e dei tempi di vita, la riduzione dei costi di trasporto casa-lavoro e dello stress causato dagli spostamenti, la possibilità di lavorare in un ambiente familiare e costruito a propria misura. Che lo smart working sia un’innovazione destinata ad occupare il futuro postpandemico, lo conferma un’indagine condotta da Rete del lavoro agile, secondo la quale il 95% degli intervistati vorrebbe mantenere la flessibilità garantita dal lavoro in remoto anche dopo l’emergenza. A tal proposito, nelle ultime settimane, molte imprese, come Unicredit, Bayer, Sanofi, Rina, hanno stipulato accordi con i sindacati per regolamentare l’uso di questo importante strumento nel post coronavirus, puntando l’attenzione soprattutto sul diritto alla disconnessione.

Il diritto alla disconnessione – Fonte: www.lavorosi.it

Anche il settore sanitario, messo alla prova dalla pandemia, si è aperto ad una nuova frontiera: la telemedicina. Un ottimo strumento per rispondere all’esigenza di ridurre l’afflusso in ospedale, soprattutto per proteggere dal contagio soggetti fragili o con malattie croniche, e che nel futuro postpandemico può rappresentare un importante tassello di un sistema medico più inclusivo e presente nel territorio. La telemedicina faciliterebbe l’accesso alle cure mediche a quanti vivono in zone remote o non dotate di adeguate strutture sanitarie; permetterebbe ad anziani o malati cronici di curarsi direttamente da casa; renderebbe più agevole al paziente il consulto medico; garantirebbe interventi repentini e personalizzati.

Un esempio di telemedicina – Fonte: www.saluteatutti.it

Lo smart working, la didattica a distanza e la telemedicina si collocano in uno scenario più ampio: la digitalizzazione. Questo processo, accelerato fortemente dalla pandemia, si dimostra oggi più che mai, contro ogni forma di resistenza, inesorabile e onnipervasivo. In tal senso, il Corona virus rappresenta un punto di non ritorno: se prima le vecchie generazioni guardavano nostalgicamente al passato, oggi anch’ esse si sono rese conto dell’effettivo potenziale insito nel mondo virtuale. La stessa politica si sta ritrovando a fronteggiare una sfida lanciata proprio dalla digitalizzazione: la disuguaglianza digitale. Basta pensare al Recovery fund e al fatto che prevede l’erogazione di 40 miliardi in favore dell’educazione digitale, per comprendere che esiste una nuova consapevolezza: senza un’equa distribuzione degli strumenti digitali, quella per la democratizzazione della cultura, del lavoro e della salute rischia di essere una battaglia persa.

Da una parte l’evoluzione del digitale, dall’altra il progresso della scienza: la pandemia, come fenomeno sociale, non può essere letta se non a partire dal binomio scienza-tecnologia. Le trasformazioni evolutive che hanno investito la scienza riguardano, in modo particolare, due campi. Il primo è quello della ricerca sui vaccini: la tecnica dell’Rna messaggero, usata dai vaccini Pzifer-Biontech e Moderna, verrà utilizzata per sperimentare nuovi vaccini, come quello contro il citomegalovirus e l’HIV. Lo ha confermato Noubarn Afeyan, presidente di Moderna: “Penso che questa tecnologia resterà protagonista anche in futuro”. Il secondo campo è quello del rapporto con le istituzioni: la pandemia ha sancito l’inizio di un fecondo dialogo tra scienza e politica e, di conseguenza, tra scienza e opinione pubblica; un dialogo che deve essere coltivato per costruire società più informate, consapevoli e mai più impreparate ad affrontare crisi di questo tipo.

Immaginare il futuro post Covid alla luce di risorse e possibilità rappresenta il tentativo di ripensare la pandemia come un momento storico epocale, un evento pregnante di schemi interpretativi nuovi per comprendere le trasformazioni del presente e quelle del futuro, nell’ottica di una realtà che si evolve nel lasso di tempo che intercorre tra la rottura di equilibri vecchi e l’affermazione di equilibri nuovi.

Chiara Vita

Articolo pubblicato l’ 8 aprile 2021 sull’inserto NoiMagazine di Gazzetta del Sud

Alla (ri)scoperta delle scuole superiori di Messina: Jaci, Verona-Trento e Caio Duilio

Procede la didattica in presenza, alternata alla Dad, per le scuole superiori messinesi, dopo la riapertura di qualche settimana fa. Tra le varie difficoltà si cerca un pò ovunque di ristabilire la normalità, anche se la strada è ancora lunga e tortuosa. In questo clima incerto torna il nostro spazio dedicato ai personaggi a cui sono intitolate le scuole messinesi. Come preannunciato, oggi è il turno degli altri celebri istituti del centro: l’Istituto Tecnico Economico “Jaci”, l’I.I.S. “Verona-Trento” e l’I.T.T.L. “Caio Duilio”.

Istituto Tecnico Economico Statale “Jaci”

Iniziamo il nostro viaggio con l’Istituto Tecnico “A. M. Jaci”, fondato nel 1862. L’attuale edificio – che affaccia su via Cesare Battisti – fu inaugurato nel 1923 e fu progettato da un ex allievo della scuola, l’ingegnere Rosario Cutrufelli (1876-1949).

Tra i suoi numerosi ex allievi compaiono celebri personalità che diedero lustro alla città di Messina. Stiamo parlando, tra gli altri, di Giorgio La Pira, Salvatore Quasimodo e Salvatore Pugliatti. Inoltre, tra tanti docenti, il più illustre fu il naturalista Giuseppe Seguenza.

Nel 1883 l’istituto fu intitolato al matematico e astronomo Antonio Maria Jaci (1739-1815).

L’Istituto “Jaci” – Fonte: strettoweb.com

Nato a Napoli da madre messinese, A.M. Jaci, rimasto orfano, si trasferì a Messina, dove si laureò in matematica, fisica e medicina presso l’Università cittadina.

Jaci è ricordato soprattutto per due importanti invenzioni. La prima fu la meridiana centrale del Duomo, costruita nel 1804 su commissione dell’Accademia dei Pericolanti, di cui era socio. Danneggiata dal terremoto del 1908 fu, purtroppo, definitivamente distrutta a causa di un bombardamento durante la seconda guerra mondiale.

La seconda invenzione fu la cosiddetta “ampolletta mercuriale“, importante per il calcolo della longitudine in mare aperto.

Per entrambe le invenzioni e per altri suoi meriti scientifici divenne socio della celebre Accademia di Londra.

Nonostante i suoi numerosi contributi, rimase sempre molto povero e visse parte della sua vita in una baracca da lui stesso costruita dopo il terremoto del 1783 e situata dove oggi sorge Piazza Casa Pia.

Dopo la morte fu tumulato nella Chiesa di Santa Maria di Porto Salvo. Sfortunatamente le sue spoglie sparirono a causa di un’alluvione.

Oltre alla scuola, la città di Messina ha intitolato a A.M.Jaci una via vicino al luogo in cui ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.

Ritratto di A.M. Jaci – Fonte: messinaweb.eu

Istituto di Istruzione Superiore “Verona-Trento”

Spostiamoci ora nel centro commerciale cittadino, dove sorge, a pochi passi dal Viale San Martino, uno storico isituto citadino: l’IIS “Verona–Trento”, l’unica scuola superiore di Messina non legata a una personalità celebre. L’istituto, infatti, è intitolato alle due città che più di tutte si erano impegnate all’interno del Comitato Veneto-Trentino per la ricostruzione dell’edificio in seguito al terremoto del 1908.

La scuola accolse i suoi primi studenti nel 1877, con la denominazione “Arti e Industrie”. Nel 1884 lo Stato riconobbe l’istiuto, che mutò il suo nome in “Scuola di Arti e Mestieri”.

L’ultima e definitiva ricostruzione dell’edificio – dopo un nuovo crollo nel 1943 a causa dei bombardamenti della guerra – è avvenuta nel luogo dove sorge tutt’oggi, nella via Ugo Bassi.

Da qualche anno il “Verona-Trento” ha inglobato i plessi dell’Istituto “Majorana-Marconi”.

L’Istituto “Verona-Trento” – Fonte: normanno.com

Istituto Tecnico Trasporti e Logistica”Caio Duilio”

A pochi isolati di distanza –  su via La Farina – si erge l’I.T.T.L. “Caio Duilio”, comunemente conosciuto come Istituto Nautico. Fondato con un Regio Decreto, datato 30 ottobre 1862, il “Caio Duilio” l’unico istituto di settore nella provincia di Messina e vanta un’importante tradizione marinaresca, alla quale è dovuta la sua antica affermazione sul territorio.

La scuola è intitolata al celebre politico e militare romano Caio – o Gaio – Duilio (260-258 a.C).

L’Istituto Nautico “Caio Duilio” – Fonte: nauticomessina.edu.it

Appartenente alla Gens Duilia, Caio Duilio, pur non facendo parte dell’aristocrazia tradizionale romana, divenne console nel 260 a.C., durante la Prima Guerra Punica. A seguito della Battaglia delle Isole Lipari e alla cattura del suo collega Scipione Asina – comandante della flotta -, rimase da solo al comando della guerra.

Essendo i romani esperti nella guerra sulla terraferma, Duilio fece costruire un ponte mobile con uncini, detto corvo, su ogni nave da guerra, per contrastare efficacemente la flotta nemica. Questa mossa si rivelò astuta e decisiva, poiché permise ai romani, durante la Battaglia di Milazzo, di riversarsi sulle navi nemiche e combattere corpo a copro. I romani riuscirono a sconfiggere i cartaginesi e si impadronirono del Mediterraneo occidentale.

In onore al comandante Caio Duilio – primo romano a vincere in mare- fu innalzata una colonna all’interno del Foro, edificata con i resti delle navi nemiche sconfitte.

Oltre al consolato, il suo cursus honorum è arricchito dalla carica di censore nel 258 aC. e di princeps senatus (236 – 230 a.C.).

Busto di Gaio Duilio – Fonte: romanoimpero.com

Alla prossima!

Concludiamo dandovi appuntamento al prossimo articolo, in cui conosceremo la storia e i personaggi delle due scuole situate nel quartiere Annunziata: il Liceo Artistico “E. Basile” e l’I.S.S. “F. Bisazza“.

 

 

Emanuele Paleologo, Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

nauticomessina

wikipedia.org/Gaio_Duilio

storia.camera.it/rosario-cutrufelli

jaci.edu.it

wikipedia.org/Antonio_Maria_Jaci

veronatrento.it

wikipedia.org/Istituto_di_istruzione_superiore_Verona_Trento

Immagine in evidenza:

Gaio Duilio (a sinistra) e Antonio Maria Jaci (a destra)

Il musicale dell’Ainis in protesta. L’intervista: “Vogliamo quel 25%. La videocamera uccide la musica.”

(fonte: gazzettadelsud.it)

Arrivano nuove reazioni alle misure restrittive imposte, a partire dal 24 ottobre, dall’ultimo DPCM e dalle ordinanze dei vari consigli regionali. Avevamo già parlato qui delle proteste dei lavoratori; oggi sono le scuole a prendere la parola.

In particolare, gli studenti dell’indirizzo musicale del Liceo Emilio Ainis di Messina si sono assentati per due giorni, 26 e 27 ottobre, dalle lezioni in via telematica in segno di protesta contro la D.A.D. (Didattica a Distanza). Hanno inoltre emesso un comunicato, firmato da 87 degli studenti in questione, che è stato pubblicato da diverse testate giornalistiche.

Per approfondire meglio la questione, abbiamo deciso di ascoltare i pareri di alcuni dei diretti interessati.

Come nasce l’iniziativa

“Tengo a sottolineare che è un iniziativa degli studenti del musicale e non sono stati affatto indirizzati dai docenti. Dal punto di vista logistico, ci sono delle discipline che presuppongo il contatto diretto con lo strumento, della presenza dell’insegnante che fa strumento o musica d’insieme, forme laboratoriali per cui hanno delle difficoltà in più.”

Afferma il professore Cesare Natoli, insegnante di storia e filosofia presso l’indirizzo musicale del Liceo Ainis.

“Noi viviamo di musica e fare una lezione di strumento in D.A.D. non è la stessa cosa. In primo luogo perché sarebbe necessaria una strumentazione costosissima, dal momento che le classiche attrezzature tendono a ‘tagliare’ frequenze, sia alte che basse, per comprimere il suono. Dunque, non si sentirebbe allo stesso modo. Le materie che più ne risentono, oltre Strumento, nell’ambito musicale sono – ad esempio – tecnologie musicali. Anche Teoria di analisi e composizione è una materia che necessita di un approccio di presenza.”

Aggiunge lo studente Emanuele Arena, rappresentante degli studenti del Liceo Emilio Ainis.

Le richieste degli studenti

Quando gli abbiamo chiesto a cosa mirasse la loro iniziativa, la risposta è stata secca:

“Noi puntiamo tutto su quel 25%. Uno schermo, una videocamera uccidono la musica.”

Ed in effetti, il 25% è la percentuale che il DPCM aveva concesso per le lezioni in presenza. Gli istituti superiori siciliani si sono tuttavia dovuti conformare all’ordinanza regionale del presidente Musumeci che prevede un 100% di D.A.D. fino al 13 novembre. La richiesta è proprio quella di adeguarsi alla normativa nazionale. D’altro canto, una recente comunicazione del Presidente Regionale prevede che, per motivi logistici di particolare esigenza (e potrebbe rientrarvi il caso del liceo musicale) e per gli studenti con gravi disabilità sia possibile svolgere la didattica in presenza. Sarebbe per loro un risultato già significativo.

Alla protesta dei ragazzi si sono uniti anche molti genitori e professori, che continuano ad accompagnarli in questa situazione di criticità. A tal proposito, il professor Natoli, portavoce del gruppo ‘Scuola in presenza’, assieme ai colleghi intende organizzare una manifestazione di protesta che si svolgerà – nel rispetto delle misure anti-covid – giorno 7 novembre presso Piazza Unione Europea (Municipio). I dettagli sono reperibili sull’omonimo gruppo Facebook. Essa intende coinvolgere il mondo della scuola (docenti, studenti, personale ATA, genitori), dell’università e gli operatori culturali del teatro e della musica (ricordiamo le associazioni concertistiche messinesi come l’Accademia Filarmonica, la Filarmonica Laudamo e l’Associazione Bellini. Questi ultimi settori, colpiti dall’ultimo DPCM, sono stati costretti a chiudere dopo aver compiuto molti sacrifici per adattarsi alle misure anti-virali promosse negli ultimi mesi dal Ministero della Salute e dal comitato tecnico scientifico.

“Il fatto che siano stati minati i centri di cultura come i teatri, per noi che amiamo la musica e lo spettacolo e tutto ciò che è annesso, è stato un colpo. Noi rendiamo di questo, dopotutto.”

Continua Emanuele, tenendo in considerazione anche i risvolti che tali misure potrebbero avere sul futuro lavorativo di questi studenti.

(fonte: tg24.sky.it)

Il futuro della società e l’importanza dell’arte

Il professore si abbandona poi ad una riflessione: “Quale umanità stiamo difendendo?”, si domanda, prendendo spunto dalla riflessione di uno dei maggiori filosofi italiani, Giorgio Agamben.

“Il bios, il restare in vita, è senza dubbio sacrosanto. Tuttavia, non possiamo limitarci solo a questo poiché l’umano eccede il bios, va oltre il semplice restare in vita. Se tutto il resto viene trascurato, allora ci stiamo degradando. Il covid, probabilmente, ha semplicemente scoperchiato la questione. Ma si tratta di un processo che affonda le proprie radici lontano nel tempo.”

(fonte: stateofmind.it)

Nell’esprimere la propria preoccupazione per il futuro della cultura e dell’uomo come animale sociale, il professore ha offerto anche una propria visione di quelli che potranno essere i possibili scenari di una società post-covid. Ad una visione (considerata ‘idilliaca’) del ritorno alla normalità si accosta la possibilità che, da scelte così drastiche e necessarie, derivino conseguenze altrettanto importanti anche per la vita in società.

“Bisogna fare in modo che l’emergenza rimanga emergenza”

Ossia che non si trasformi in normalità. Fondamentale è ben soppesare i rischi derivanti da un non adeguato controllo dell’epidemia ai rischi derivanti da altre cose, come le questioni legate allo sviluppo relazionale dell’individuo.

Ed in tal senso, si sa, l’arte ha la straordinaria capacità di unire oltre ogni barriera.

“L’arte è libertà d’espressione.”

Afferma, infine, Emanuele alla domanda su cosa essa rappresenti per un qualsiasi ragazzo.

Guai a dimenticare il valore dell’arte, linguaggio universale capace di unire i popoli laddove l’incomprensione li divide.

 

Valeria Bonaccorso