Ni cummini quantu a Giufà

In ogni angolo della Sicilia si parla dello sciocco Giufà e delle sue peripezie da credulone.

Un grande personaggio che intratteneva grandi e piccini, prima che il mondo dei cartoni animati e dei social facesse sfumare l’arte del cantastorie e delle tradizioni popolari.

In pochi sanno che Giufà non è soltanto un personaggio popolare della tradizione siciliana, ma anche uno di quella spagnola e soprattutto araba.

L’etimologia del nome 

Si pensa che Giufà provenga dall’arabo, ma a darci qualche informazione in più è l’origine del suo nome.

Una cosa è certa, l’etimologia racchiude le qualità del personaggio.

Dal Nuovo vocabolario siciliano, si evidenzia che comunemente il nome Giufà derivi dal nome Giovanni; tuttavia, a

Nasreddin Khoja Fonte: Wikipedia

 

noi piacciono le storie e siamo andati ad indagare la “vera” etimologia del nome, animati dal desiderio di scovare un significato più goliardico, e così è stato.

Gioieni Giuseppe, nella sua opera interamente dedicata all’etimologia delle parole siciliane, sostiene che il nome derivi dallo spagnolo Ciufà, che indica la burla, lo scherno. Difatti, la tradizione ci tramanda racconti di gesta comiche.

Per altri Giufà non è un personaggio di fantasia inventato dalle mamme per intrattenere i più piccoli, ma in realtà è Nasreddin Khoja, un personaggio storico del XI secolo realmente esistito in Turchia.

 

In letteratura

Se per l’etimologia del suo nome, non vi è alcun dubbio, Giufà è lo sciocco del villaggio, qualche incertezza sussiste circa la sua apparizione letteraria.

Alcuni collocano la sua prima testimonianza scritta nel XVII secolo per mano di due poeti siciliani, Venerandu Ganci e Mamo da Cianciana, che inauguravano un nuovo personaggio da aggiungere alla letteratura umanista tipica di Boccaccio.

Giuseppe Pitrè – Fonte: l’identità di Clio

Altri sostengono che la prima apparizione del personaggio nella letteratura  avvenne grazie allo studioso delle tradizioni popolari, etnologo, medico e scrittore Giuseppe Pitrè intorno al 1845. Calvino, proprio in occasione della trasposizione del personaggio tipico della tradizione orale, disse : «al centro del costume di raccontar fiabe è la persona – eccezionale in ogni villaggio o borgo – della novellatrice o del novellatore, con un suo stile, un suo fascino. Ed è attraverso questa persona che si mutua il sempre rinnovato legame della fiaba atemporale col mondo dei suoi ascoltatori, con la Storia».

È curioso scoprire che diversi scrittori del Novecento hanno trasportato Giufà nelle loro opere.

Italo Calvino, recuperò il nome per soprannominare Gurdulù, lo scemo del villaggio, nella sua opera Il cavaliere inesistente; Leonardo Sciacca intitola un’opera Giufà e il cardinale.

Nelle storie che vedono protagonista Giufà, coesistono l’eroe e l’antieroe, impersonificati in scenari di ironia e beffa, sarcasmo e benevolenza, con temi attuali che invogliano alla critica verso il potere sociale.

Maldestro ma furbo, essere paragonati a Giufà può essere utilizzato in senso positivo, ma anche in senso negativo. Solitamente in Sicilia si usano tra i modi di dire “fari u Giufà” e “ni cummina quantu a Giufà”.

Il personaggio nella tradizione siciliana

Vediamo insieme le sfaccettature di questo personaggio, che si adatta ad ogni contesto culturale.

In Sicilia, il paragone con il personaggio di Giufà serve ad indicare chi è privo di furbizia e in preda ai più disparati malfattori.

Difatti, le storie che ruotano attorno al personaggio di Giufà lo ritraggono vittima di furti avvenuti con estrema facilità.

La trama della storia che fece la sua prima comparsa nell’opera di Pitrè prende spunto da consuetudini bucoliche nella Palermo del tempo, quando briganti e malfattori invogliavano i ragazzi a scambi di prelibatezze, sottratte furtivamente dalle dispense di casa, con promesse mai mantenute.

D’altronde, Giufà è il tipico fanciullo di campagna poco istruito che si esprime in modi di dire, racconti tramandati dalla madre e vive alla giornata in modo ingenuo, cacciandosi sempre nei guai.

Nella tradizione reggina

Nella tradizione reggina troviamo una piccola eccezione al Giufà siciliano, pur rimanendo nel background di un fanciullo sciocco. In questa versione, Giufà, al momento opportuno, si difende dagli attacchi, impersonando i caratteri della tradizione giudaico-spagnola del ragazzetto sciocco ma furbo, che si adatta alla circostanza in cui si trova.

Insieme a Giangurgolo e alle storie di Fata Morgana, diventa un volto amatissimo dal popolo calabrese.

Nella tradizione giudaico-spagnola

Nella tradizione giudaico-spagnola, viene presentato come un personaggio dal carattere ambivalente, passando dal non saper acquistare neanche da mangiare al nutrire chi avesse fame, ed è anche il ribelle che si prende a cuore le questioni sociali.

Il Giufà della tradizione giudaico-spagnola è un cavallo il cui valore si vede a lunga corsa.

Essere Giufà

Giufà è anche il titolo di un ciclo di racconti tragicomici interminabili e autoconclusivi. È sicuramente un personaggio del Novecento pensato come comico ma estremamente riflessivo.

È un personaggio che si ama per le sue sciocchezze e ingenuità, e ci sorprende per le sue risposte secche e furbe. Per questo vogliamo lasciarvi con due brevi storie che racchiudono il senso del “sii nu Giufà”:

Il barbiere maldestro

Giufà andò da un nuovo barbiere per radersi i capelli.

Il barbiere, non avendo molta pratica ed avendo una mano malferma, ad ogni taglio gli procurava una ferita che veniva prontamente saturata con un batuffolo di cotone. Ben presto una prima metà del capo di Giufà fu ricoperta da tanti batuffoli per evitare la fuoriuscita di sangue.

Quando il barbiere prese a radere l’altra metà della testa, Giufà gli chiese sarcasticamente: “Visto che già metà della mia testa l’hai seminata a cotone, cosa pensi di coltivare nell’altra parte?”.

 Giufà e i ceci

Giufà e i tre ceci
Giufà e i tre ceci
Fonte: colapisci.it

Un giorno la madre di Giufà andando a Messa raccomandò al figlio di mettere due ceci in pentola a bollire in modo tale che quando tornava sarebbero stati pronti.

Dopo un poco che la madre era uscita Giufà eseguì l’ordine ricevuto. Quando la madre tornò trovò la pentola che borbottava sul fuoco ma quando alzò il coperchio si accorse che dentro l’acqua i ceci non c’erano.

Infuriata, rimproverò aspramente il figlio per non averla ascoltata ma Giufà si difese dicendo: “Ho fatto più di quanto mi hai detto, ho messo in pentola ben tre ceci invece di due! Poi per controllare la cottura ho assaggiato il primo, per vedere come era di sale ho mangiato il secondo ed infine per vedere se era ancora duro ho mangiato il terzo! Per questo sono finiti!”. La madre, allora, esasperata, cominciò a picchiarlo con un cucchiaio di legno sulle gambe senza aggiungere altro.

 Elena Zappia

Fonti

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuf%C3%A0

https://www.treccani.it/enciclopedia/giufa_%28Enciclopedia-Italiana%29/

https://www.tempostretto.it/news/cultura-giuf-eroe-siciliano.html

https://www.e-genius.it/Trinakria/sicilianelcuore.info/tradizioni/index.php?content=giufa

https://www.sololibri.net/Storie-di-Giufa-origine-varianti-riscontri.html

https://www.experiences.it/archives/7324

Egon Schiele: tormento e malinconia

Egon Schiele è stato uno dei protagonisti dell’Espressionismo austriaco, noto per il suo stile grafico e la distorsione delle figure, sfidando le norme di bellezza. 

Una vita breve, vissuta in totale libertà di pensiero e di creatività, al contempo dura e sprezzante, ma piena di arte e d’amore. Finito per essere considerato anticonvenzionale, eroico, eretico ed erotico, forse un genio pazzo o visionario, chi lo sa…  

Allora vediamo insieme un po’ la folle vita e l’arte di Egon Schiele. 

Devo risvegliare la mia vita… Gerti

Egon Schiele nasce nel 1890 a Tulln an der Donau (in Austria) e ben presto, la sua infanzia viene offuscata dal progredire della malattia mentale del padre, morto di sifilide.  Questa esperienza traumatica segna profondamente tutta la sua pittura, dandogli un’immagine del mondo tetra e malinconica, oltre che segnare in modo indelebile anche il suo rapporto con le donne. 

Ho pianto spesso in autunno, con gli occhi socchiusi.
E nell’estate magnifica, poi, ho sorriso e riso,
dipingendomi d’estate il bianco dell’inverno.

Schiele inizia a dipingere autoritratti e frequenta l’Accademia di belle arti di Vienna nel 1906, dove però i metodi conservatori lo deludono. Cerca quindi ispirazione altrove, nella sua desolazione,  trovandola nei caffè artistici di Vienna e in figure come Gustav Klimt, il quale lo influenza profondamente e lo introduce a ricchi mecenati.

Questo supporto gli permette di esporre le sue opere già nel 1908. Il suo stile espressionista si consolida rapidamente, caratterizzato dalla rappresentazione aggressiva della fisicità e della sessualità. Schiele mostra subito una passione per le figure femminili, soprattutto infantili. Le sue modelle preferite sono donne cui era unito da un profondo legame personale. In gioventù e nei primi anni di attività artistica è soprattutto la sorella Gerti ad assumere questo ruolo; in lei Egon osserva nell’adolescenza lo sbocciare di un corpo di donna che gli si mostra semplicemente senza veli.

Egon Schiele
Egon Schiele, Autoritratto con alchechengi, 1912, olio su tavola, 39,8 x 32,2 cm, Vienna, Leopold Museum. Fonte: finestresullarte.info

 

In opere come quelle esposte alla Kunstschau del 1909, Schiele mostra già la sua tendenza a raffigurare il corpo umano in modo distorto ed emotivamente carico. Utilizza una linea tagliente per esprimere angoscia e distorsione fisica e morale, con colori autonomi e non naturalistici.

Amo la morte e amo l’amore… Wally

Nel 1911, Egon Schiele incontra la diciassettenne Wally Neuzil, con la quale intreccia una relazione sentimentale e che diventa modella per alcune delle sue opere migliori.

Arde, brucia, si diffonde dopo la battaglia, – spasimo cardiaco.
Pesare – follemente animato da eccitata lussuria.

In cerca di ispirazione, Schiele e Wally decidono di lasciare Vienna e si stabiliscono inizialmente nella piccola città boema di Krumau, città natale della madre di Schiele. Tuttavia, gli abitanti del posto disapprovano il loro stile di vita, essendo i due non sposati, e li costringono a partire. Si trasferiscono allora a Neulengbach, un paesino vicino a Vienna.

Nel 1912, Schiele viene accusato da un certo Von Mosig, ufficiale della marina in pensione, di aver sedotto sua figlia Tatjana Georgette Anna, non ancora quattordicenne. Schiele viene così incarcerato per un breve periodo con l’accusa di aver traviato la minorenne, di aver avuto rapporti con lei e di averla rapita. Alla fine del processo, viene ritenuto colpevole soltanto di aver esibito opere considerate pornografiche.

Egon Schiele
Egon Schiele, La morte e la fanciulla, 1915, olio su tela, 150×180 cm, Vienna, Österreichische Galerie Belvedere. Fonte: wikipedia.it

 

Dopo questa esperienza, Schiele ritorna a Vienna. Grazie all’aiuto del suo amico Klimt, riesce a ottenere diverse commissioni, tornando alla ribalta sulla scena artistica austriaca e partecipando a molte mostre internazionali. Le sue opere del periodo, in gran parte autoritratti e ritratti, presentano figure nude in pose insolite, spesso caricaturali, che richiamano la morte e l’erotismo. Il suo disegno è caratterizzato da un tratto netto, energico e sicuro, talvolta persino violento. Queste opere cercano di provocare lo spettatore, suscitando un certo malessere.

Esisto perché anche io amo… Edith

Nel 1914, Edith Harms, figlia di un fabbro, diventa la terza e ultima importante modella nella vita di Egon Schiele.

Per diventare sua moglie, Edith pone come condizione di essere l’unica musa ispiratrice di Schiele, esigendo la fine del suo rapporto con Wally Neuzil. Schiele accetta e lascia Wally, che morirà successivamente al fronte come crocerossina.

Il matrimonio con Edith porta a Schiele una serenità che si riflette nei suoi dipinti, caratterizzati da una forza composta, influenzati anche dalle opere monumentali di Ferdinand Hodler.

Nel 1914, mentre la sua fama artistica cresce, scoppia la prima guerra mondiale, segnando la fine di un’epoca e il crollo dell’impero asburgico. Nel 1915, Schiele è chiamato alle armi, ma grazie a superiori comprensivi e amanti dell’arte, può continuare a dipingere. In questo periodo realizza ritratti di ufficiali russi e disegni di interni, mostrando una trasformazione nella sua concezione artistica verso una rappresentazione più naturalistica.

Venne la ragazza, trovai il suo viso,
il suo inconscio, le sue mani da lavoratrice;
tutto di lei ho amato.

Nel 1918, Schiele viene trasferito definitivamente al museo militare di Vienna. Questo anno segna un cambiamento di stile che gli porta fama e riconoscimenti, inclusa la partecipazione di successo alla quarantanovesima mostra della Secessione viennese.

Nell’autunno del 1918, l’epidemia di influenza spagnola, che uccide più di venti milioni di persone in Europa, raggiunge Vienna. Edith, incinta di sei mesi, contrae la malattia e muore il 28 ottobre. Durante la sua agonia, Schiele la ritrae più volte. Anche Egon viene contagiato e muore tre giorni dopo, il 31 ottobre, all’età di 28 anni.

“L’arte non può essere moderna. L’arte è eternità”

Schiele traspone su tela, quelli  che sono i meandri della sua mente, caricandoli di un’estrema tensione erotica esistenziale e psicologica, usata come mezzo per diffondere un messaggio di critica sociale contro la falsità borghese.

Egli rivendica l’importanza della esperienza interiore e delle sue manifestazioni più o meno violente. Scava nei propri personaggi per metterne a nudo la loro anima, sonda nelle figure angosciate prive di riferimento storico e contesto sociale le “pulsioni represse” di freudiana matrice.

Quindi, l’arte di Schiele ci consente di perderci nell’infinito esistenziale e ritrovarci a tu per tu con il senso della vita, che sfugge a ogni ordine e si ferma nel magma emozionale di una macchia di colore.

Gaetano Aspa

 

Le citazioni sono tratte dal libro Io eterno fanciullo di Egon Schiele

Marefestival Salina: dove cinema e cultura sono di casa

Nel punto dove la cultura si fonde con la bellezza estatica mediterranea, tra spiagge paradisiache e panorami mozzafiato, Salina si fa cornice per uno degli eventi più speciali dell’estate: il Marefestival

Tredici anni di Marefestival

Il Festival, giunto alla XIII edizione, si svolgerà dal 14 al 16 giugno presso il comune di Malfa, anticipato da una serata-anteprima il 13 giugno, sulla terrazza del porto turistico Capo d’Orlando marina, con la partecipazione di Cucinotta, Bouchet, Inaudi e Azzollini.

Durante questa serata, sarà proiettato il film Gli agnelli possono pascolare in pace. Il programma sarà ulteriormente arricchito dalla presentazione del romanzo storico Il grano nero dello sceneggiatore e scrittore Ignazio Rosato, con un dialogo tra Rosato e Fabio Agnello, inviato de Le Iene.

Il Premio Troisi è organizzato dai giornalisti Massimiliano Cavaleri, direttore artistico, e Patrizia Casale, direttrice organizzativa, in collaborazione con Francesco Cappello, Giovanni Pontillo e Nadia La Malfa. La scenografia e l’immagine sono curate da Tina Berenato.

Come ogni anno, la madrina d’eccezione sarà la bravissima attrice siciliana Mariagrazia Cucinotta, la cui storia è legata a Salina e a Troisi, per il suo ruolo nel film il Postino, dove interpretava Beatrice, la musa di Mario (il personaggio di Troisi).

 

Massimo Troisi e Mariagrazia Cucinotta in una scena del film il Postino. Fonte: Cinema amore mio (facebook)

Premio Troisi

 

Voi volete dire allora che il mondo intero è la metafora di qualcosa?

 

Il Premio Troisi, assegnato dal Marefestival Salina, onora figure di spicco del cinema, dello spettacolo e della cultura. Insieme al Festival, questo premio è diventato un tributo significativo, ricco di valore culturale e personale, celebrando le carriere degli artisti.

Nel ricordo di Massimo Troisi, attore straordinario e persona eccezionale, che ha saputo esprimere con semplicità e genialità i  piccoli e grandi problemi  esistenziali, affermandosi come uno dei grandi maestri del cinema italiano.

L’isola di Salina e il film Il Postino, quest’anno particolarmente nel 30° anniversario, rappresentano l’eredità cinematografica di Troisi e il momento della sua definitiva affermazione internazionale.

Ai già 82 premi consegnati in questi ultimi dodici anni, si aggiungono i protagonisti di questa XIII edizione del Festival nelle varie categorie:

Attrici: Barbara Bouchet, Carla Signoris, Francesca Inaudi

Attori: Francesco Pannofino, Alessio Boni, Sergio Friscia

Cantautori: Mario Incudine e Alberto Urso

 Comici: Uccio De Santis

 Produttori: Corrado Azzolini.

 

Marefestival X UniME

Inoltre, quest’anno, è stata stipulata una convenzione per uno stage con l’Associazione “Prima Sicilia” al fine di coinvolgere gli studenti dell’Università di Messina nelle fasi di preparazione e nelle attività del Festival, che si terrà dal 13 al 17 giugno (alla fine della pagina troverete il link per la candidatura).

Gli studenti potranno partecipare a diverse attività, tra cui:

  • Comunicazione, promozione e ufficio stampa
  • Segreteria organizzativa e produzione
  • Direzione artistica

Questa esperienza permetterà agli studenti di acquisire rapidamente competenze specifiche in vari campi, lavorando a stretto contatto con professionisti e personalità di spicco non solo del mondo del cinema. 

 

Gaetano Aspa

 

https://www.unime.it/notizie/marefestival-salina-2024-possibilita-di-stage-studenti-unime

 

Il Museo MAXXI di Roma aprirà una sede in riva allo Stretto di Messina

Messina ospiterà il Polo della creatività del Mediterraneo. Questo è quanto emerso lunedì 23 ottobre dall’incontro tra il sindaco della città Metropolitana Federico Basile e il presidente della Fondazione MAXII Alessandro Giuli, alla presenza del direttore generale del comune Salvo Puccio.

Federico Basile - fonte: Instagram
Federico Basile – fonte: Instagram

La firma

Dopo i primi contatti e gli accordi stabiliti dal Protocollo di Intesa firmato a Roma lo scorso 20 luglio tra Comune, Università di Messina e la fondazione sopracitata, è stata resa ufficiale la realizzazione di una sede distaccata del Museo delle Arti contemporanee di Roma, importantissima realtà italiana ed europea che ospita mostre di arte, architettura, design e fotografia, ma anche progetti di moda, cinema, musica, performance di teatro e danza.

Il distaccamento, voluto fortemente non solo dal presidente Giuli ma anche da Fabio Longo, consigliere del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, e dal Senatore della Lega Nino Germanà, sorgerà in due zone distinte della città. L’atto integrativo prevede, infatti, la creazione di un distaccamento nei pressi di Torre Faro, precisamente nell’edifico di archeologia industriale noto come “Torri Morandi” di proprietà del Comune dal 2021, e a Villa Pace, edificio storico risalente al 1853, di proprietà dell’Università.

Il progetto

La realizzazione del MAXII Med sarà possibile grazie ai fondi messi a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e rientrerà nel finanziamento per il Piano Urbano Integrato. Il costo si aggirerà intorno agli 8 milioni di euro. La Fondazione MAXXI si farà carico dello studio preliminare per definire il progetto museale da realizzare e avrà l’edificio in comodato d’uso per 15 anni.

I lavori del polo, che sarà dedicato alla scena artistica contemporanea del Mediterraneo e delle culture dei Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum e  punta a divenire un punto d’incontro tra Europa, Maghreb e Medio Oriente, facilitando il dialogo interculturale e formando nuove professionalità di settore, dovrebbero concludersi entro la fine del 2025, anche se durante l’incontro avvenuto nel Salone delle Bandiere, a Palazzo Zanca, vi è stata la promessa di impegnarsi affinché terminino nel minor tempo possibile.

Torri Morandi – Fonte: gazzettadelsud.it

Le parole dei protagonisti

Il sindaco Federico Basile si è detto molto contento della realizzazione di tale progetto, dichiarando che:

Questa collaborazione è molto importante, è una grande opportunità per tutta l’area di Capo Peloro e per la città che ribadisce il ruolo strategico. Si tratta di una operazione che rientra nell’ambito degli interventi di rigenerazione urbana finalizzata a trasformare il volto della città e della provincia in una visione di lungo termine, attraverso la nascita di un centro di ricerca e di formazione per le nuove professionalità nel settore della cultura per restituire a Messina il ruolo di baricentro del Mediterraneo.

Anche Giuli ha espresso la propria felicità per l’accordo raggiunto, affermando:

Ringrazio Messina e l’invito che l’Amministrazione comunale ha rivolto al MAXXI, nell’ottica della volontà del Museo nazionale delle arti del XXI secolo di irradiare la propria azione a livello internazionale. Per questa ragione non potevamo non essere qui, perché il MAXXI del Mediterraneo non può non nascere proprio a Messina, capitale naturale del Mediterraneo. La firma di oggi è la prova di quanto crediamo in questo progetto.

Infine, anche il senatore della Lega Nino Germanà ha rilasciato parole di ringraziamento per coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto:

Un grazie al sindaco della città metropolitana di Messina, Alessandro Basile, e a Salvatore Cuzzocrea, (ex rettore dell’Università, ndr,) per aver colto questa opportunità. Avanti così collegando la Sicilia all’Europa: questo è il potere delle infrastrutture e dell’Italia del sì.

L’attesa

Adesso non resta che attendere la realizzazione del progetto ufficiale e l’apertura dei cantieri che avranno il compito di dare alla luce questo nuovo Polo museale che diverrà una vera e propria attrazione per tutto il Mediterraneo.

Giuseppe Cannistrà

Dante Alighieri: ritratto umano del Sommo Poeta

Permaloso, acuto e sempre con la battuta pronta. Tu, che hai letto e studiato il Sommo Poeta sin dai banchi di scuola, ti sei mai chiesto che carattere avesse? Come trascorresse le sue giornate al di fuori della scrittura?

Ebbene, Dante Alighieri, padre della lingua italiana a cui è dedicata la giornata del 25 Marzo, attinse al nostro ricercato dialetto per la stesura del suo capolavoro.

UniVersoMe e, in particolare la redazione di cultura locale, intende celebrarlo in maniera inedita, partendo da un racconto legato al suo spiccato senso dell’umorismo.

 

Dante e la prontezza di spirito

Un biografo del Cinquecento racconta che il poeta, quando veniva importunato da qualcuno, rispondeva con battute taglienti che lasciavano i riceventi a bocca asciutta.

Il particolare evento a cui si riferisce il biografo pare sia uno dei tanti in cui Dante perse la pazienza e rispose all’uomo che lo tempestava di interrogativi: “Avanti che io risponda alle tue domande, vorrei che tu prima mi chiarissi qual tu creda sia la maggior bestia del mondo.”

Quell’uomo rispose che egli credeva che la maggior bestia terrestre fosse l’elefante. Dunque Dante così lo apostrofò: “O elefante, adunque non mi dar noia.”

 

Ritratto allegorico di Dante Alighieri di Agnolo Bronzino. Fonte: gettyimages,it

 

 

Spiritoso quanto suscettibile…

Uno scrittore del Quattrocento, il Sercambi, racconta che quando il re di Napoli Roberto D’Angiò decise di conoscere il poeta organizzò un magnifico banchetto a corte a cui Dante si presentò vestito in maniera umile e con il volto stanco.

Il Re lo scambiò per un mendicante e lo fece accomodare al tavolo riservato ai miserabili. Dante si offese e se ne andò.

Quando il Re venne a conoscenza che colui era Dante Alighieri inviò un consigliere a porgergli le sue scuse e ad invitarlo a cena la stessa sera. Il poeta per ripicca tornò a corte vestito di tutto punto, così elegante che non era possibile scambiarlo per un uomo di umili origini!

Suscettibile il nostro Dante eh?

 

Io non ho altr’arte e tu me la guasti

A proposito di suscettibilità, un altro aneddoto questa volta fornitoci da Franco Sacchetti, scrittore del Trecento, riguarda un fabbro appassionato di canto e di versi.

Dante sentì dalla bottega del fabbro declamare i versi della sua più grande opera: La Divina Commedia. 

No, ma che orrore! Il fabbro non aveva azzeccato un verso corretto! Dante irritato, entrò impulsivamente nella bottega e cominciò a gettar via tutti gli strumenti da lavoro del fabbro che sgomento reagì:“Che diavol fate voi? Siete voi impazzito?”

Il poeta prontamente rispose: “Se tu non vuoi che io guasti le cose tue, tu non guastar le mie. Tu canti il libro, e non lo dì come io lo feci; io non ho altr’arte e tu me la guasti.”

Il fabbro, non sapendo cosa rispondere, tornò all’arte sua, questa volta cantando di Tristano e Lancillotto.

 

Dante con la Divina Commedia, dipinto di Domenico di Michelino. Fonte: gettyimages

 

 

Dante nel suo Inferno

In quale girone dell’Inferno collochereste il Sommo? Vi stupirà sapere che diversi aneddoti ci fanno pensare che potrebbe essere condannato a quello dei lussuriosi!

Sulla lussuria di Dante circolano diversi racconti. Si narra che quando egli era ospite del signore di Ravenna, Guido Novello da Polenta, si scoprì che Dante aveva trascorso la notte con una “donna di mercato” che intendeva sapere se Dante fosse bravo oltreché come poeta anche come amatore

La cortigiana confessò che “poco valeva perché avendo avuto assai buona bestia, non aveva cavalcato se non un miglio.”

Quando Dante venne a conoscenza di questa risposta si difese:“Io avrei anche calato l’asso ma non mi piacque la mazziera.”

Com’era quella storia che quando la volpe non arriva all’uva…?

 

Paradiso canto XXXI, Gustave Doré (Photo by Stefano Bianchetti/Corbis via Getty Images)

 

“Se tu segui la tua stella, non puoi fallire a Glorioso porto.”

Sebbene non si tratti di una citazione celebre come altre, da essa possiamo trarne ispirazione.

Ognuno di noi segue una passione, quella di Dante l’ha condotto al Glorioso porto, pertanto ti auguro di trovare e seguire con gioia e perseveranza la tua stella.

 

Alessandra Cutrupia

Occhio, malocchio… Le superstizioni messinesi

Su Tik Tok, è ora un trend imperdibile, da dover fare necessariamente se si vuole ottenere il massimo dei voti e, soprattutto, se si desidera superare un esame.

C’è chi, invece, si affida ai tradizionali santini per proteggersi e chi preferisce ripiegare su portafortuna fai da te: da calze stravaganti a slip particolari, da vestiari completamente nivei a pupazzetti d’infanzia nascosti dentro borse e tasche. La scelta di armamentario è ampia.

Oggi ha tanti nomi: macumba, seccia, gufata, ma qui, a Messina, ciò che più temiamo, soprattutto noi studenti, è noto come il malocchio.

Che cos’è il malocchio?

Quella del malocchio è una delle superstizioni popolari più radicate.

È inutile negarlo: noi siciliani siamo scaramantici e i messinesi non fanno eccezione.

Secondo la tradizione, il malocchio è la conseguenza di un’occhiata carica di intenzioni tutt’altro che benevole e positive, dal potere di scatenare nella persona interessata gli effetti più disparati.

Tra i sintomi più comuni troviamo: stanchezza, insonnia, agitazione, difficoltà a concentrarsi e malessere fisico non localizzato… I classici di una carenza di Sali minerali.

Non mancano, però, testimonianze di cecità improvvisa, impotenza e morte.

Il malocchio è figlio dell’invidia e dell’odio e per combatterlo, fin dall’antichità, si è ricorso a vari rituali di liberazione e di scongiura.

“[…] ma questi, appena egli faceva il nome del Chiàrchiaro, cioè di colui che aveva intentato il processo, si alteravano in viso e si ficcavano subito una mano in tasca a stringervi una chiave, o sotto sotto allungavano l’indice e il mignolo a far le corna, o s’afferravano sul panciotto i gobbetti d’argento, i chiodi, i corni di corallo pendenti dalla catena dell’orologio.”

Luigi Pirandello, La patente

 

Totò in "Questa è la vita", episodio "La patente"

Totò in “Questa è la vita“, episodio “La patente“. Fonte: storienapoli.it

Gesti, talismani, sali… L’uomo ha sempre trovato degli espedienti per ogni cosa.

A Messina, quello più diffuso contro il malocchio è la preghiera.

 

Nella notte di Natale

Manifestati i sintomi, è bene, da usanza, rivolgersi immediatamente a degli esperti e richiedere un’opportuna e attenta diagnosi.

Gli esperti in questione sono, solitamente, donne anziane e di fiducia, ereditarie di un potere mistico e posseditrici di formule segretissime. Queste preghiere, di derivazione cristiana e pagana, sono infatti trasmesse oralmente di generazione in generazione e, tradizionalmente, vengono insegnate nella notte di Natale.

In caso di esito positivo, la mavara si accinge nella sua liturgia, con un piatto d’acqua e dell’olio alla mano.

Le fasi del processo sono sconosciute a noi babbani e tali devono rimanere. Non possiamo toglierci il malocchio da soli, né tantomeno improvvisarci maghi e streghe!

Osservando il miscuglio di acqua ed olio, possiamo, però, ottenere alcune informazioni: ad esempio, la data approssimativa del malocchio, il sesso dell’autore e la relazione fra l’artefice e la vittima.

Alla fine, l’acqua deve essere gettata, preferibilmente lontano da casa, e il rituale dovrà essere ripetuto fino a quando le gocce d’olio che cadono nel piatto rimangano integre.

Rituale della segnatura, contro il malocchio
Rituale della segnatura, contro il malocchio. Fonte: www.quilianonline.it

Il malocchio nei casi di cronaca

Che esista il “male” o meno, riguardatevi dalle persone: sono loro i veri diavoli.

E Maria lo sa bene, signora messinese di sessantacinque anni che prometteva di togliere il malocchio e finiva per rubare nelle case.

O, ancora, un gruppo di criminali di Patti che, spacciandosi per veri e propri maghi e cartomanti, agganciavano le ignare vittime, inducendole a versare forti somme di denaro in cambio delle loro presunte prestazioni professionali. 

Oltre il danno, anche la beffa!

Valeria Vella

Fonti:

https://messina.gazzettadelsud.it/articoli/cronaca/2019/05/10/messina-promette-di-toglierle-il-malocchio-e-deruba-unanziana-fermata-ai-traghetti-86ef1d72-3772-499f-8d7c-3b16fdb84588/

http://www.strettoweb.com/foto/2020/05/arresti-messina-operazione-maghi/1015665/?fbclid=IwAR09uVHblk22UTQpXXqjhtyLnZ-5WrskWXHJwpYmXivZzbEwAMPnQsKX2Bg

https://www.siciliafan.it/superstizioni-siciliane/

“Gran Mirci” a Messina

Chi accede a Palazzo Zanca, sede del Municipio di Messina, ha modo di osservare l’epigrafe in bronzo “Gran Mirci”, ripetuta cinque volte sui cancelli d’ingresso dell’edificio.

Ma in quanti conoscono il significato nascosto dietro quest’antica iscrizione?

La leggenda

Per risalire all’origine della formula occorre andare molto indietro nel tempo.

Corre l’anno 379 d.C. e l’imperatore Teodosio I, prossimo alla morte, decide di suddividere il governo del suo vasto territorio fra i due figli. Assegna, rispettivamente, la parte orientale al primogenito, Arcadio, e quella occidentale al secondo, Onorio.

Questa decisione decreta in modo irreversibile la fine dell’Impero Romano, che non sarebbe mai più tornato ad essere governato da un unico sovrano.

Miniatura n° 32 dalle cronache di Costantino Manasse, con gli imperatori Arcadio, Onorio e Teodosio I – Fonte: wikipedia.org

Di questa divisione approfittano i barbari, già presenti ai confini dell’impero.

L’assedio

Nel 407, Arcadio, già alle prese con una pericolosa instabilità politica, si trova attaccato dai Bulgari.

Questi, con alla testa un certo Assariele, si erano ribellati e avevano preso d’assedio la città greca di Tessalonica, l’odierna Salonicco, costringendo l’Imperatore a lasciare Costantinopoli.

La battaglia infuria nel borgo per un’intera giornata e l’Imperatore e la sua intera cavalleria sono costretti a retrocedere.

Ad Arcadio, in condizioni di prigionia, impotente di fronte all’aspro degenerarsi del conflitto, non resta che richiedere soccorso. Invia messaggi d’aiuto a Taranto, a Brindisi, alla Puglia e ai veneti, ma nessuno di essi intende intervenire.

Si rivolge così, in un ultimo tentativo, a Messina, nota all’epoca come la florida città “dove il più famoso arsenale del Mediterraneo ritrovavasi“.

Il porto di Messina in un dipinto di Juan Ruiz risalente al 1748 – Fonte: pinterest.it

La svolta

All’arrivo delle richieste di aiuto da parte dell’Imperatore, lo stradigò Metrodoro decide di agire in favore di Costantinopoli, armando a proprie spese quattro navi. Successivamente, a lui si unisce Aristide, cavaliere messiene, che ne arma due, Messina che ne arma sette, Reggio e Trapani con una nave e Siracusa con tre.

Con un totale di diciotto navi, sventolanti la bandiera messinese, la flotta capitanata dallo stradigò fa rotta verso l’Oriente.

Sbarcati sulle coste di Tessalonica e annientate le imbarcazioni dell’esercito nemico, Metrodoro e i suoi, con l’aiuto dei tessalonicesi usciti dalla città, decimano i Bulgari, uccidendo lo stesso Assariele.

In tal modo, non solo i messinesi liberano Arcadio dall’assedio, ma riescono persino a riconquistare Costantinopoli, restituendola all’Imperatore.

Di fronte ad una tale prova di valore, ammirato e riconoscente, Arcadio conduce con sé nella capitale lo stradigò e i suoi uomini. Qui, in presenza della sua corte e del popolo, elegge Messina città principale dell’Impero, al pari di Costantinopoli, rivestendola col titolo di Protometropoli della Sicilia e della Magna Grecia e conferendole il “Comando e Governo perpetuo” della Sicilia.

Inoltre, le viene riconosciuto il diritto di fregiarsi dello stesso vessillo imperiale: la croce aurea in campo rosso, tutt’oggi presente nello scudo stemma del Comune di Messina.

Per lasciare ricordo a tutta l’umanità, Arcadio fa scolpire sulla facciata della chiesa di Santa Sofia la formula “Pollè charis te Messene“, che durante l’occupazione angioina sarebbe diventata “Gran Mirci a Messina“, quindi “Molte Grazie a Messina“.

Epigrafe “Gran Mirci” sui cancelli di Palazzo Zanca – Fonte: Messinaierieoggi.it

La versione francese: da “Mirci” a “Merci

Sono diverse le versioni di questa storia che smentiscono l’epopea di Metrodoro.

La leggenda dell’assedio di Tessalonica, infatti, non sembra avere delle basi storiche. Durante il regno di Arcadio non vi è mai stato, effettivamente, un assedio della città, né, tantomeno, una conquista di Costantinopoli.

Per alcuni studiosi, sembra chiaro il riferimento della formula alla tradizionale alleanza fra Messina e i francesi

Alleanza che risale all’epoca delle Crociate e che si protrae alla sanguinosa Guerra dei Vespri Siciliani, durante la quale, sempre secondo gli stessi storici, Messina pare abbia risparmiato gli Angioini, concedendo loro la fuga. 

Da qui, “Merci” a Messina.

 

Valeria Vella

Fonti: 

wikipedia.org/Stemma_di_Messina

mutualpass.it/gran-mirci-

letteraemme.it/gran-merce-a-messina-la-scoperta-a-castanea/

In ricordo di Franz Riccobono

La città di Messina e l’intero mondo della cultura sono in lutto per la prematura scomparsa di Franz Riccobono, storico e cultore delle tradizioni popolari messinesi.

Colpito dal Virus SARS-CoV-2, da giorni ricoverato in terapia intensiva presso A.O.U. “Gaetano Martino” (Policlinico) – nosocomio messinese-, lo storico si è spento all’età di settantanove anni lo scorso 16 marzo.

Nella Basilica Cattedrale Protometropolitana di Santa Maria Assunta si è svolta la cerimonia funebre per dare un ultimo saluto a Franz.

Biografia

Classe ’43, Franz nacque a Patti in provincia di Messina.

Intraprese gli studi universitari, iscrivendosi alla facoltà di Economia e commercio presso l’Università degli Studi di Messina, dove si laureò nel 1970.

Appena laureato convolò a nozze con l’amata Messina, uno sposalizio appassionato tra  storie di reperti storici e tradizioni, che ha sin da subito condiviso con gli stessi concittadini.

Franz
Franz Riccobono- Fonte: Messinaweb.Eu

Attività

Dal 1971 al 1997 svolse l’incarico di funzionario presso l’Università degli Studi di Messina; da lì in poi la vita di Franz si arricchì tra impegni sociali e attività culturali.

Consulente della Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella, consulente dell’Istituto Italiano dei Castelli Sicilia, Vicepresidente della Fondazione Patrimonio UNESCO Sicilia, componente del Consiglio Regionale dei Beni Culturali, socio fondatore dell’associazione “Amici del museo di Messina”, e protagonista delle scoperte archeologiche, ha aperto una bottega divenuta sin da subito punto di riferimento non solo per gli storici messinesi ed italiani, ma anche per tutti coloro che almeno una volta nella loro vita rimasero affascinati dal suo ammaliante modo di raccontare Messina.

La bottega
La bottega – Fonte: Profilo Facebook di Franz Riccobono

Opere

Ebbe per maestri, il professore e socio dell’Istituto di Preistoria e Protostoria, Aldo Segre – scomparso all’età di cento anni – e il naturalista Adolfo Berdar, che formarono un Franz intrepido, sostenitore della sua terra, tanto da fare di quella Messina non solo la terra natia ma anche la protagonista di tutte le sue storie intrise di novità e tradizioni.

Una Messina viscerata, raccontata, decantata in oltre cinquanta opere interdisciplinari.

Per oltre cinquant’anni si dedicò ad attività di volontariato e realizzò ben quindici eventi tra musei e mostre permanenti.

Da ultimo, nel maggio 2021, Messina lo vide protagonista come relatore per un incontro organizzato a Palazzo della Cultura “Antonello da Messina”– il maggio dei libri- per la presentazione del suo libro “Il mare sui muri”.

Insomma, la sua morte lascia l’amaro in bocca, allo stesso modo, sia agli amici più stretti, sia ai meri conoscenti.

Locandina evento
Locandina evento presentazione libro “Il mare sui muri” – Fonte: Comune di Messina

In ricordo di Franz…

Leggiamo insieme qualche commento per ricordare Franz.

Il fumettista messinese Lelio Bonaccorso

“Ci ha lasciati un uomo eccezionale, un amico la cui scomparsa mi sconvolge e mi addolora non poco. Aspettavo solo il momento in cui Franz Riccobono riaprisse il suo negozio, uno spazio culturale meraviglioso, una dimensione parallela in cui potevi ascoltare racconti incredibili e vedere e toccare scorci di storia antica e recente. Messina perde un pezzo importantissimo, una persona che davvero amava questa città e che metteva la divulgazione culturale al centro della sua vita. Tante volte le sue consulenze sono state importanti ed essenziali, anche per i miei libri. Oggi vorrei solo che gli si intitolasse uno spazio, un museo, affinché tutto il materiale e la memoria storica che Franz custodiva possa essere fruibile a tutti. Lui ne sarebbe stato felice, perché quel patrimonio è davvero parte della nostra storia e non deve andare perduto. Faccio le condoglianze alla famiglia e auguro al mio caro amico Franz un buon viaggio. Spero davvero tu possa starci vicino perché abbiamo ancora bisogno del tuo supporto”.

La Cisl Messina

“Con la morte di Franz Riccobono, Messina perde un pezzo importantissimo della sua memoria storica, il custode della magia di questa città. Lo ricordiamo sempre con una passione immensa per la storia della nostra città, per il suo patrimonio artistico e soprattutto culturale. L’appello è quello a non dispendere quanto ha fatto Franz Riccobono per Messina”.

Il Presidente della Regione Nello Musumeci

«La prematura scomparsa di Franz Riccobono mi addolora profondamente e costituisce una grave perdita anche per la città di Messina e per la cultura siciliana, con Riccobono se ne va uno studioso, un ricercatore e un collezionista tenace, instancabile, appassionato e geloso custode delle proprie idee. Profondo conoscitore della propria città, della quale era inguaribilmente innamorato, ha dedicato a Messina diverse pubblicazioni e centinaia di iniziative. Franz mi aveva contagiato l’amore per la Zona Falcata e la necessità del suo recupero. Era entusiasta del lavoro che in tal senso avevo avviato in questi anni col governo regionale. Ed ora che non è più tra di noi, riconsacriamo l’impegno a completare il lavoro iniziato, in omaggio alla sua memoria. Alla moglie va il cordoglio mio e del governo siciliano».

 

Ci accodiamo al desiderio di molti, chiedendo la cura e la salvaguardia dell’intero suo patrimonio, affinché Franz  possa continuare a vivere e, insieme a lui, anche quella porzione di Messina che solo lui riusciva a rendere speciale.

 

Elena Zappia

Fonti:

https://www.edas.it/autore/franz-riccobono/#:~:text=Si%20%C3%A8%20laureato%20nel%201970,popolari%20e%20storia%20del%20territorio.

http://unescosicilia.it/wp/wp-content/uploads/2014/09/Franz-Riccobono.pdf

https://www.unime.it/sites/default/files/locandina_61.pdf

https://messina.gazzettadelsud.it/foto/cronaca/2022/03/16/messina-il-covid-stronca-il-prof-franz-riccobono-67c20c5e-277f-4dbe-9d3c-af7b3e96ea6e/

https://www.messinatoday.it/cronaca/covid-morto-franz-riccobono.html

L’Opera dei Pupi: tradizione e fantasy siciliano

Sull’attenti e mano sul petto: stiamo per parlare dell’Opera dei Pupi! Molto più che marionette, sono una di quelle cose (forse la primaria!) che più condensano e rappresentano la nostra identità.

Marionette e burattini li hanno quasi tutti i popoli del mondo, ma i nostri pupi sono speciali: oltre all’essere caratterizzati dalla ricerca particolarmente raffinata dei costumi (armature comprese), sono le figure veramente “vocate” al rappresentare scene di combattimento anche in maniera estremamente realistica. I nostri pupi si distinguono anche per avere abbandonato l’uso dei fili sottili per il controllo, in favore di ben robuste aste di ferro che sono in grado d’impartire movimenti più realistici e precisi ai personaggi.

Pupi catanesei, della famiglia Napoli – Fonte: nautilaus.com

Due tradizioni (o poco più)

Due sono le principali tradizioni dell’Opera dei pupi, che per comodità vengono appellate la Catanese e la Palermitana; queste poi si diramano in più piccole categorie.

La tradizione catanese è quella della Sicilia Orientale, includente anche Messina. I suoi pupi sono grandi e pesanti, rigidi, adatti a rappresentare la solidità di questi titanici eroi, e sempre abbigliati in maniera variopinta ed estrosa ed equipaggianti con armature del tutto personali non soltanto nei simboli ma nella stessa forma. I pupi vengono manovrati dall’alto, dai manianti appostati sopra un piano rialzato immediatamente dietro lo sfondo, e le voci dei personaggi sono donate dal parlatore e dalla parlatrice. Molto questa tradizione ha saputo sfruttare le nuove tecnologie, con l’introduzione della riproduzione di grandi brani orchestrali che rendono più coinvolgente la scena, in luogo delle vecchie orchestrine, e talvolta l’uso di realistici effetti sonori.

La tradizione palermitana è quella di tutta la Sicilia Occidentale. I suoi pupi sono agili, leggeri, possono piegare le ginocchia ed estrarre le spade, si muovono sulla scena con grande realismo apparendo a tratti persone vere, scattanti e leggiadri nelle loro armature dal rigido stile ma oltremodo luccicanti. Gli opranti si muovono di fianco al palco quando manovrano i pupi, potendoli muovere addirittura su più scene una dietro l’altra, molto utili nelle battaglie, e sono essi stessi a fare le voci dei personaggi mentre li muovono. Al momento presente, questa tradizione può definirsi conservatrice, e utilizza ancòra rigorosamente i brani del pianoforte a cilindro e gli effetti sonori prodotti dagli stessi pupari.

In seno alla tradizione orientale vale la pena di ricordare alcune specificità: l’antico sistema acese, nel quale i manianti operano da un ponticello direttamente sopra la scena, la recente innovazione siracusana che prevede la realizzazione dei volti in duttile cartapesta anziché in legno, e l’ormai secolare tecnica messinese della cromatura delle armature.

Le tradizioni differiscono anche nella concezione delle rappresentazioni e nella scelta del repertorio. Risulta persino difficile, alla luce di tutte queste differenze, parlare di un’unica Opera siciliana, giacché forse bisognerebbe contare almeno due Opere diverse.

Pupi palermitani, della famiglia Cuticchio – Fonte: wikipedia.org

Il repertorio dell’Opera

Veramente vasto e variegato è il repertorio dell’Opera dei pupi.

Assolutamente centrale, raccolta e cucita dall’ottimo Giusto Lodico, è la Storia dei Paladini di Francia (il Ciclo Carolingio), ovverosia la leggendaria cerchia dei Conti Palatini di Carlo Magno che dalla realtà storica traghettano qui in una dimensione fantastica. Nomi e sembianze di personaggi storici s’involano, per divenire prestavolti di figure immaginarie che si accompagnano ad altre della stessa specie in un mondo che, seppur assomigli al nostro, in verità è un’altra dimensione con un corso storico separato. Protagonista maggioritario è il purissimo conte Orlando, nipote dell’Imperatore e suo Primo Paladino, insieme al vivace e libertino principe Rinaldo suo cugino, figura antitetica, mentre l’antagonista principale è il conte Gano di Magonza che, tentando di riportare sul trono la sua antichissima casata d’ascendenza troiana, ordisce la loro rovina; ma i personaggi sono centinaia. Il corso degli eventi, tuttavia, comincia dal tempo mitico greco e dalla storia romana (la “Materia di Roma”), denominate “Storia Greca” e “Reali di Francia” e rielaborate dalla sensibilità dei pupari, e si conclude dopo la Disfatta di Roncisvalle, con la Storia di Guido Santo et alia.

Se l’Opera palermitana si limita a rappresentare devotamente il Ciclo Carolingio, molto più variegata ed estrosa è l’Opera catanese, che nel corso del tempo ha incluso numerosi romanzi e poemi cavallereschi già esistenti (Trabazio imperatore di Costantinopoli, Calloandro e Leonilda, Gerusalemme liberata), tutti riscritti da varî autori e poi pubblicati da un editore e autore di grande pregio artistico: Giuseppe Leggio. Ma soprattutto, alla tradizione catanese e orientale sono state donate, dall’inventiva brillante e appassionata di pupari e scrittori e dai tipi di Leggio, nuovissimi romanzi ispirati dai precedenti ma di concezione integralmente siciliana, ambientati in Sicilia e nel mondo. È doveroso mentovare Uzeta il Catanese, Erminio della Stella d’Oro e Gemma della Fiamma, Guido di Santa Croce, Tramoro di Medina, Guelfo di Negroponte, Farismane e Siface, tutte queste opere di concezione catanese, e una speciale menzione va fatta del Belisario da Messana, scritto da Rosario Gargano e incentrato proprio su Messina, del quale la Compagnia rappresenta tuttora una porzione. Quasi tutte queste opere, purtroppo, attualmente non vengono rappresentate nei teatri (divise in puntate, raggiungevano il centinaio!), e sfortunatamente le loro trame sono di difficilissima (ma non impossibile) reperibilità, non essendo mai stati ristampati in cent’anni.

Storie d’intrighi, e intricate, di guerra, persino violente e crude, in un mondo in cui la realtà e la dimensione fantastica si mescolano espatriando infine in quest’ultima, e d’amore, e ricche di virtù, ove il Bene pur con tutte le atroci difficoltà trionfa sempre sul Male, anche a costo del sacrificio estremo dei suoi protagonisti.

Un bellissimo Uzeta della famiglia Napoli – Fonte: lapisnet.it

Le compagnie ancòra attive

Qui di sèguito trovate le compagnie ancòra in attività nell’anno corrente.

Prima tra tutte occorre nominare l’Opera dei pupi messinesi Gargano, che, nella nostra Messina, tiene alto l’onore della tradizione da ben cinque generazioni, essendo una delle famiglie più antiche e rinomate di pupari (circa duecento anni). A Catania la Compagnia Marionettistica Fratelli Napoli, centenaria da quest’anno, è spesso portabandiera di quest’arte a livello internazionale. Importante esponente della tradizione acese è l’Opera dei Pupi Turi Grasso, dal nome del suo fondatore e maestro che tuttora la dirige. Più anziana in Acireale è la Società Cooperativa Teatro Emanuele Macrì. A Palermo, tra le maggiori in tutta la Sicilia anche per il riscontro estero è la Compagnia Figli d’Arte Cuticchio, anche contastorie. Palermitana e di grande maestria e sensibilità è pure la Compagnia Famiglia Argento. Altra bella compagnia palermitana è la Compagnia Famiglia Mancuso. Più recente, ma degna erede della tradizione palermitana, è la Compagnia Brigliadoro. L’Antica Compagnia Opera dei Pupi Famiglia Puglisi di Sortino pare sia proprio la più antica esistente, vantando quasi trecento anni. Altra compagnia d’antichissima tradizione è la Compagnia Opera dei pupi Siciliani “G. Canino” di Alcamo, il cui capostipite inventò i pupi “palermitani” duecento anni fa. A Siracusa, capitale spirituale della Sicilia, in Ortigia, ha sede l’energica Compagnia dei Pupari Vaccaro-Mauceri. Particolare, la Compagnia Marionettistica Popolare Siciliana è caratterizzata dall’introduzione nel repertorio di “storie antimafia”. Messina può vantare un’altra compagnia, più recente, la Compagnia Marionettistica dell’Ippogrifo, che riprende anche l’antico genere delle satire.

Quasi tutte queste compagnie sono partecipi della lodevole iniziativa Sicilian Puppets Series indetta dal Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino per la quale sono e saranno visionabili in diretta streaming un totale di 80 spettacoli.

Un bellissimo Orlando della famiglia Gargano – Fonte: famidisicilia.it

Pupi che furono, che sono, che saranno

Il fantasy siciliano del teatro dei pupi precedette d’un trentennio l’opera di grandi autori come John Ronald Reuel Tolkien e Robert Erwin Howard, e senza diretto collegamento ne contiene molti archetipi comuni, come l’eroe errante nelle storie di Conan il Barbaro.

Ma il nostro è meno un “fantasy mitologico-escatologico” come quello del Silmarillion e quindi de Il Signore degli Anelli (quasi coevi), invece è molto vicino a un sottogenere apprezzatissimo nel nostro tempo – in anticipo di cento anni! – cioè il “fantasy politico-verista”: i protagonisti sono sempre membri di famiglie nobili e potenti, in lotta per il potere o per una realtà più giusta. In un’epoca in cui sempre più ci si appassiona a opere come le brillanti Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George Raymond Richard Martin, trasposte con grand’effetto ne Il Trono di Spade, ove congiure e battaglie sono preponderanti, penso che i Paladini di Francia e tutti gli altri eroi dei nostri pupari possano trovarsi pienamente a loro agio! In fondo, sono state “serie ‘televisive’” ante litteram.

Purtroppo, i romanzi utilizzati nell’Opera non sono mai stati presi seriamente sul serio dagli studiosi di letteratura; ma del resto, l’Italia, pur avendo avuto Ariosto, Pulci e Boiardo, padri del fantasy, ha una critica letteraria notoriamente ostile a questo genere. Non faccia lo stesso errore la Sicilia, ch’è stata capace di portare avanti così brillantemente la sua forma di fantasy!

Ho la certezza che ancòra tanto successo sia capace di riscuotere oggi l’Opera dei Pupi, sia grazie alla nuova ondata di fantasy affine, sia per le nuove tecnologie che possono agevolare le rappresentazioni e innovarle; e questo è il grande augurio che voglio porgere!

Di primaria importanza è – e rimarrà sempre –, soprattutto a Messina, che le istituzioni si mobilitino per la difesa di questa tradizione unica al mondo, che ha unito il genere fantastico al teatro di figura.

E adesso, dame e cavalieri… addentratevi in questo mondo!

Pupi della famiglia Argento, Orlando e Rinaldo in battaglia

 

Daniele Ferrara

Bibliografia:

Mimmo Cuticchio, Alle armi, cavalieri! , Donzelli editore 2017
Alfredo Mauceri, Pupi Siciliani – Sicilian Marionettes, Sime Books 2017
Alessandro Napoli, Il racconto e i colori. “Storie” e “cartelli” dell’Opera dei Pupi catanese, Sellerio editore Palermo 2002

Immagine in evidenza:

Orlando e Rinaldo in una scena de L’incanto di Creonta della compagnia Gargano, ispirata dal Morgante di Pulci – Fonte: normanno.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sant’Eustochia Calafato

Il centro storico di Messina lodava tesori di varie epoche, molti dei quali erano istituti religiosi spazzati via dal terremoto del 1908 che ha ridotto drasticamente il patrimonio storico e architettonico che era possibile contemplare. Il sisma risparmiò però gran parte della chiesa dove è conservato il corpo incorrotto di Santa Eustochia, una venerata santa messinese, il cui culto viene celebrato annualmente nel Monastero di Montevergine .

 

NASCITA ED EDUCAZIONE

Suor Eustochia, nata col nome di Smeralda Calafato, nacque in una famiglia agiata. Figlia di Bernardo, un ricco mercante messinese, e di Mascalda Romano Colonna, venne al mondo il giovedì santo del 1434 nel villaggio Annunziata, a Messina. La madre, indotta da Matteo di Agrigento, si era affiliata al Terz’Ordine di S. Francesco e trascorreva una perfetta vita cristiana; così Smeralda fu indirizzata verso la pratica religiosa, alla quale lei si sentiva molto attratta. Ma di quest’opinione non era il padre che, all’età di undici anni, la fece fidanzare con un mercante molto più grande di lei; questo morì il giorno precedente della cerimonia nuziale. Il padre, irremovibile, dopo due anni la promise in sposa ad un altro giovane che trapassò ancor prima di conoscerla.

S. EUSTOCHIA SMERALDA CALAFATO COMPATRONA DI MESSINA  Fonte:www.odigitria.org

LA CONVERSIONE

All’età di quindici anni, la giovane Smeralda decise, contro la volontà del padre, di prendere i voti. Entrò in monastero di Basicò e vi rimase per dieci anni con il nome di Suor Eustochia. Una sua preghiera al Crocifisso dimostrava da quale desiderio di soffrire fosse animata: “O dolcissimo mio Signore, vorría morire per lo tuo santo amore, cosí come Tu moristi per me! Forami il cuore con la lancia e con i chiodi de la tua amarissima Passione; le piaghe che tu avesti nel tuo santo corpo, che io le abbia nel cuore. Ti domando piaghe, perché mi è grande vergogna e mancamento vedere Te, Signore mio, piagato, che io non sia piagata con Te”.

 

LA VITA MONASTICA

Decise allora di intraprendere il suo percorso in totale povertà e scelse un sottoscala come cella; viveva in penitenza, dormiva sul pavimento e portava il cilicio. Suor Eustochia era molto risoluta e supponeva che nel convento non si seguisse alla lettera il principio delle Clarisse. Questo la portò ad avere molte divergenze con le consorelle e la badessa; Eustochia decise quindi di progettare una riforma, accolta con un decreto da Papa Callisto III. Grazie agli aiuti economici della madre riuscì a trasferirsi nel nuovo convento di S. Maria Accomandata; insieme a lei si trasferirono la madre, la sorella Mita, la nipote Paola, suor Lisa Rizzo e suor Jacopa Pollicino. Anche in questo convento Suor Eustochia ebbe da ridire nei confronti della badessa e di tutto il clero, e solo Pio II riuscì ad obbligare i frati minori osservanti a seguire la vita spirituale delle suore del monastero.

Montastero di Monevergine  Fonte : www.metemitimeteoriti.myblog.it

 

UN NUOVO MONASTERO

Il numero delle suore si ampliava velocemente e i locali del monastero diventarono inadeguati; grazie così alla generosità di Bartolomeo Ansalone, nel 1463, le Clarisse Riformate si poterono stabilire a Montevergine, in un nuovo monastero tuttora esistente. La beata, per esortare le consorelle alla virtù e all’amore del Crocifisso, scrisse un libro sulla Passione che andò perduto e fu recuperato grazie ad appunti nella sua agenda. Il 20 gennaio 1485 suor Eustochia morì lasciando la sua ultima raccomandazione: “Prendete, figlie mie, il Crocifisso per Padre, ed Egli vi ammaestrerà in ogni cosa” Durante la vita, ed ancor più dopo la morte, si attribuirono alla suora vari miracoli. Il due luglio 1777 il senato della città promise di recarsi ogni anno a Montevergine. Il 20 gennaio e il 22 agosto, nel 1782, infine, la Calafato fu beatificata da Pio VI.

Il corpo della beata oggi Fonte: www.messinareligiosa.it

 

SANT’EUSTOCHIA NELLA CULTURA DI MASSA

L’arcivescovo di Messina, nel 1690, scriveva alla S. Congregazione dei Riti: “Il suo corpo, da me diligentemente veduto e osservato, è integro, intatto e incorrotto ed è tale che si può mettere in piedi, poggiando sulle piante di essi. Il naso è bellissimo, la bocca socchiusa, i denti bianchi e forti, gli occhi non sembra affatto che siano corrotti, perché sono alquanto prominenti e duri, anzi nell’occhio sinistro si vede quasi la pupilla trasparente. Inalterate le unghie delle mani e dei piedi. Il capo conserva dei capelli e, quello che reca maggiore meraviglia, si è che due dita della mano destra sono distese in atto di benedire, mentre le altre sono contratte verso la palma della mano -accenno ad una benedizione che la beata avrebbe dato con quella mano, dopo la sua morte, ad una suora-. Le braccia si piegano sia sollevandole che abbassandole. Tutto il corpo è ricoperto dalla pelle, ma la carne sotto di essa, si rileva al tatto disseccata”.

Ancora oggi si può vedere intatto il corpo della beata ed in piedi nell’abside della Chiesa di Montevergine, esposto alla venerazione del popolo, che in folla vi accorre il 20 gennaio. L’iconografia rappresenta la beata in ginocchio dinanzi al Sacramento e, più frequentemente, con la Croce nelle mani. Il culto per Santa Eustochia è celebrato annualmente nel Monastero di Montevergine il 22 agosto, durante il quale le autorità messinesi offrono 38 libbre di cera lavorata. Infine, secondo alcuni storici dell’arte, lo stesso Antonello da Messina scelse presumibilmente il volto della beata per dipingere la sua “Annunziata”.

Marika Costantino

 

Fonti:

http://wikipedia.org

https://www.facebook.com/SANTA-EUSTOCHIA-SMERALDA-CALAFATO-Clarissa-Messinese-1434-1485-118729339211/