Lipari e le Eolie: un Patrimonio di leggende e tradizioni

Entrare a Lipari non è solo un arrivo. È un’immersione nella cultura.

A chi movendo per nave da Messina, si allontani un poco dalla punta del Faro, nell’ora del Tramonto, si presentano subito, sopra un mare, che ha tutti i colori della Sera, le divine Ombre delle Isole Eolie: Ombre grandi, dalle linee così belle, come di madri, palpitanti di amore, dall’ansia d’una vita diversa dall’umana, ed Ombre piccole, come di una prole molteplice, timida e mansueta, accanto alle grandi.

Avvicinarsi ad esse vuol dire entrare della landa della Bellezza, dove si è soggetti ad una specie d’incanto divino, che dà allo spirito un sentimento del tutto nuovo della Natura.

Libro dei canti

 

Un ricco intreccio di leggende e credenze 

La leggenda narra che Lipari prenda il nome da Liparo, un re esiliato dall’Italia centrale che, stabilitosi sull’isola, fondò qui una colonia.

Secondo questa storia, Liparo governò pacificamente l’isola, che divenne prospera grazie alle sue risorse naturali. In seguito, abdicò e consegnò il potere a Eolo.

Le Eolie devono il loro nome proprio a Eolo, il dio dei venti.

Nell’Odissea di Omero, Eolo dona a Ulisse un otre contenente tutti i venti, per aiutarlo a tornare a casa. Tuttavia, i compagni di Ulisse, curiosi, aprirono l’otre, causando una tempesta che li fece naufragare. Questo mito ha fortemente legato le Eolie all’immaginario mitologico greco come il “regno dei venti”.

Un altro culto rilevante nelle isole, soprattutto a Vulcano e Lipari, è quello di Efesto, il dio del fuoco e della metallurgia. Si riteneva che i vulcani attivi fossero le sue fucine, dove lavorava instancabilmente il metallo per fabbricare armi e gioielli per gli dèi. I fenomeni vulcanici osservati sull’isola di Vulcano, con i suoi fumi e la lava, sembravano confermare questa credenza.

Lipari era anche legata al culto di Adranos, divinità siciliana del fuoco e della guerra, che sembra avere molte affinità con Efesto. Gli antichi credevano che i cani sacri del dio difendessero i suoi templi e il territorio. Un culto che sottolinea ancora una volta l’importanza del fuoco e dei vulcani per la cultura locale.

 

“Navigare necesse est”

Come in altre civiltà antiche, anche nelle Isole Eolie, e in particolare a Lipari, si svilupparono culti legati alla fertilità e alla natura. Le popolazioni isolane avevano un legame profondo con la terra e il mare, e si ritiene che adorassero divinità associate alla fertilità della terra e alla pesca.

Durante gli scavi archeologici a Lipari, sono state rinvenute alcune statuette che confermano l’esistenza di riti dedicati alla fecondità e al culto della Grande Madre, una divinità primordiale venerata in molte altre culture del Mediterraneo.

Le Isole Eolie rivestivano un’importanza strategica per il commercio, la pesca e i collegamenti con altre città del Sud. Per gli abitanti di Lipari, la navigazione rappresentava quindi una necessità vitale per il sostentamento economico e la sopravvivenza.

Inoltre, l’arcipelago era rinomato per la produzione di ossidiana, una risorsa che veniva esportata in tutta l’area mediterranea, rendendo la navigazione un’attività fondamentale per gli scambi commerciali.

 

Cantori popolari di Lipari, la voce antica delle Isole Eolie 

I Cantori popolari delle isole EolieFonte: Profilo Facebook dei Cantori popolari delle Isole Eolie
I Cantori popolari delle isole Eolie

Le Isole Eolie vantano l’esistenza di numerosi usi, costumi e tradizioni.

Da questi è nata una scuola di canti e danze popolari, riconosciuta in tutto il mondo grazie alla partecipazione a diversi raduni folklorici internazionali, come quelli in Olanda, in Portogallo, in Russia, in Turchia, in Australia e in Messico.

Si tratta dei Cantori Popolari, un gruppo folklorico fondato nel 1972 da alcuni studenti di Lipari. Questi giovani, amanti delle tradizioni, decisero di creare un vasto repertorio basato su ricerche minuziose ed approfondite, condotte su testi specialistici, e sugli stessi racconti degli anziani, una fonte preziosa.

Le rappresentazioni sono ispirate alla storia delle Isole Eolie o a particolari celebrazioni religiose. Ad esempio:

  • la Via Crucis, da Piazza Mazzini fin dentro la rocca del Castello, set della “Via della Croce”, dove gli eoliani ricoprono i ruoli tradizionali;
  • il Presepe Vivente, realizzato ogni 26 dicembre con location sempre differenti, come i vicoli del quartiere di Sant’Anna, la scalinata di San Bartolo o l’ingresso lato nord della zona medievale del Castello;
  • A Ruina, rievocazione storica del Sacco del Barbarossa che vede l’impiego di comparse, l’utilizzo del parco Diana e della Chiesa di Maria Santissima Immacolata per l’allestimento;
  • San Bartulu Prutitturi, una serie di eventi, canti, musiche e balli sulla storia di San Bartolo, tratti dalla memoria popolare;
  • la Ittata i lastricu. Quando si costruiva una nuova casa a Lipari, vi erano diverse tradizioni e rituali, che rispecchiavano la cultura e le credenze popolari locali, volti a proteggere la casa dagli spiriti maligni e a garantire prosperità e fortuna ai suoi abitanti.

Dopo il completamento della casa, era comune fare una grande festa con amici, parenti e vicini per celebrare l’evento. Questa festa serviva a condividere il momento di gioia e a rafforzare i legami con la comunità locale.

 

Fonte:https://www.guideturistichemessina.it/cantori-popolari-delle-isole-eolie/#:~:text=I%20Cantori%20Popolari%20delle%20Isole%20Eolie%20sono%20un%20gruppo%20folklorico,approfondite%20condotte%20su%20testi%20specialistici

 

Il sogno

Cos’è un sogno?       

Il sogno, dal latino somnium, è un fenomeno psichico legato al sonno e in particolare alla fase REM, detta anche sonno del paradosso o pensiero notturno e caratterizzata dalla percezione di immagini e suoni riconosciuti come apparentemente reali dal soggetto sognante.

Il sogno ha da sempre attratto la curiosità di scienziati e ricercatori ed è stato oggetto di studio della filosofia, della psicologia e della fisiologia.

Le moderne tecniche di neuroimmagine, poi, hanno permesso di approfondire i processi neurobiologici che avvengono durante il sogno, dando vita a una nuova fase di ricerca basata non più solo su ipotesi psicologiche, ma su riscontri fisici verificabili.

Nonostante i vari studi, però, non abbiamo ancora una vera motivazione sul perché avvenga.

Qual è la funzione dei sogni?

Ci sono molte ipotesi relative alla funzione dei sogni.

Durante la notte ci possono essere molti stimoli esterni. La mente li rielabora e ne fa parte integrante dei sogni, nell’ordine in cui il sonno procede.

La mente, tuttavia, sveglia l’individuo nel caso si dovesse trovare in pericolo, o se qualificata a rispondere a certi suoni; ad esempio, quello di un bambino che piange.

I sogni possono permettere anche alle parti represse della mente di essere soddisfatte attraverso la fantasia, tenendola lontana da pensieri che ne causerebbero un risveglio improvviso.

Freud suggerì che gli incubi lasciano al cervello la funzione di controllare le emozioni. Essi sono il risultato delle esperienze “dolorose”. I sogni lasciano esprimere alla mente le sensazioni che sarebbero normalmente soppresse da svegli, tenendoci così in armonia.

Ci sarebbe quindi una continuità tra la vita psicologica diurna e quella notturna, che permetterebbe al sonno di avere anche un effetto positivo sulla regolazione delle nostre emozioni e sulla soluzione di problemi rimasti irrisolti durante la veglia.

Possiamo vivere un sogno consciamente?

La risposta breve è sì.

Può capitare di trovarsi nel bel mezzo di un sogno e, ad un certo punto, rendersi conto che si sta sognando. Questo fenomeno viene identificato come “sogno lucido”, uno stato in cui si è per l’appunto consapevoli durante il sogno.

A discapito di quanto si possa pensare, sognare in maniera lucida può essere appreso. I sogni lucidi rappresentano un metodo efficace per esplorare la mente e permettere alle persone di affinare la conoscenza di loro stessi, oltre ad essere un’efficacissima strategia per incrementare la creatività.

Il sogno lucido, inoltre, risulta essere una terapia efficace per trattare gli incubi.

A livello clinico, infatti, è impiegato anche per il trattamento degli incubi ricorrenti, che colpiscono all’incirca il 4% della popolazione adulta.

Per quanto riguarda l’attività e le aree cerebrali coinvolte nel processo dei sogni lucidi, c’è ancora tanto da indagare. Ciò che però si è scoperto fino ad ora è che un sogno lucido può durare tra i 30 secondi e i due minuti circa, ed è stato dimostrato che le aree prefrontali (responsabili del pensiero critico, autodiretto e della metacognizione) ricoprono un ruolo importante nella loro generazione.

Il sogno come strada che porta alla ragione

Il sogno è spesso sentito come verità, quando non è confuso con la realtà stessa. È il momento di massima incoscienza dell’uomo, ed è proprio questo aspetto, legato alla coscienza di chi sogna, ad aver contribuito a una tale visione sacrale.

Il sogno può essere indotto dagli dèi, per esaltare, ingannare o stupire l’animo; oppure, può essere il frutto del turbamento di un eroe che al suo interno vede il motivo del proprio turbamento o ne scorge possibili soluzioni.

I sogni, secondo la mitologia greca, proprio per questa forte connessione con il divino, possono svolgere diverse funzioni.

Per esempio, alla morte di Patroclo, Achille dà conto della sua disperazione, urlando e piangendo per tutto il campo. Alla fine, esausto, si getta sulla spiaggia e si addormenta. In quel momento, è proprio l’amato defunto a comparirgli in sogno (Iliade, XXIII 60-71).

Un sogno può essere ingannatore e spingere alla “scelta sbagliata”. Ancora nell’Iliade, infatti, una vera e propria divinità, Sogno, si poggia sulla testa di Agamennone dormiente.

È proprio Zeus, che segretamente si augura la disfatta del fiero generale acheo, a mandare la divinità, la quale è da subito definita come menzognera.

Il sogno è anche un terreno fertilissimo per l’espressione di simbolismi, alle volte molto complessi. Queste simbologie così ricche non sono mai ingenue, ma preannunciano l’imminente verificarsi di qualcosa di straordinario. Si pensi ai sogni tra lo spaventoso e l’incomprensibile dei genitori di Alessandro il Grande prima della sua nascita.

La realtà del sogno nella religiosità ‘pagana’, tanto variegata e complessa, non si perse con l’arrivo del cristianesimo.

Il sogno come falso specchio

Il sogno per Freud si compone di un contenuto manifesto e un contenuto latente. Quest’ultimo nasconde il vero significato del sogno, mascherato dalla censura che ne impedisce l’accesso alla coscienza.

Quando sogniamo, pensiamo cose che nella vita diurna sono assolutamente inconcepibili o insensate. Freud, infatti, afferma che ci sono dei pensieri, realmente presenti nella mente, che non possono diventare coscienti e che vengono quindi rimossi nel sogno, deformandolo dal suo contenuto originario e travestendolo.

La principale causa di questa deformazione onirica è attribuita alla censura, la cui funzione è quella di lasciare passare solamente ciò che piace, respingendo tutto il resto.

Ciò di cui siamo consapevoli è solo il contenuto onirico manifesto, a partire dal quale possiamo decifrare i sogni e il loro reale significato.

Freud sosteneva che il regno dell’inconscio penetra nei nostri sogni e questa teoria ha costituito il primo esempio e modello sul tema.

Conclusione

Nonostante gli studi e la ricerca nel provare a comprendere la sua origine, il sogno resta a volte un escamotage per descrivere delle sensazioni che derivano da eventi che per qualche ragione rimangono nella memoria.

 

Fonti:

Wikipedia

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Sogno

Unobravo 

https://www.unobravo.com/post/la-genialita-delle-intuizioni-freudiane-e-linterpretazione-dei-sogni

State of mind 

https://www.stateofmind.it/2020/12/sogni-significati-psicologia/

CasaMedica

 https://www.casamedica.it/2019/07/03/il-sogno-secondo-freud/

Bianca Garufi e Cesare Pavese, tra amore e mitologia

Cesare Pavese e Bianca Garufi sono definiti dallo stesso scrittore torinese una “bellissima coppia discorde”. Ma chi sono davvero? Lei di culla romana, lui di Santo Stefano Belbo, sono senza dubbio due dei fiori all’occhiello di Casa Einaudi; ed è proprio lì che si incontrarono nel 1944, nella sede romana della storica casa editrice.

Bianca Garufi tra Letojanni e Via Centonze

Cosa lega Bianca Garufi alla nostra Messina? Da una lettera del 30 agosto 1945, mandata da Letojanni, leggiamo:

Vorrei sapere qualcosa di te, se stai bene, se sei ancora così crudele. […] Scrivimi, se vuoi, a Messina V. Centonze 102.5″

Si dà il caso che la madre della donna, Giuseppina Melita, sia l’unica sopravvissuta della sua famiglia al terremoto del 1908; motivo per cui la giovane Bianca, agli albori del suo intreccio amoroso con lo scrittore, passava le estati sull’isola siciliana tra Letojanni, Messina e Siracusa. Forse è per questo suo appartenere alla Magna Grecia che il mito le scorre nelle vene; e probabilmente dobbiamo a lei la stesura dei Dialoghi con Leucòuno degli ultimi capolavori di Cesare Pavese.

Bianca Garufi all’epoca (dal volume “Una bellissima coppia discorde”, C.G.G., 2023)

I “dialoghetti” con Leucò

Il 10 gennaio 1948 Cesare Pavese scrive a Bianca che stava studiando il greco: nel frattempo stava scrivendo i suoi Dialoghi con Leucò. È fuor di dubbio che, per l’opera, lo scrittore si sia fatto ispirare dalla figura della giovane amante, che però per sua sfortuna non la apprezzò poi così tanto, definendo i componimenti dei meri “dialoghetti“.

Non è da considerarsi un caso, però, che Leucò (Λεῦκος) in greco voglia dire “bianco“. E neanche che il cardine attorno cui gira l’opera sia la mitologia, tema caro sia a Bianca che a Cesare. Pavese vede il mito come un momento rifondativo e utilizza nomi noti per trattare dell’umanità tutta e di questioni universali. Parlando della mitologia scrive nel febbraio del ’46, nel suo diario, Il mestiere di vivere:

“Potendo, si sarebbe volentieri fatto a meno di tanta mitologia. Ma siamo convinti che il mito è un linguaggio, un mezzo espressivo […] una particolare sostanza di significati che null’altro potrebbe rendere.”

Dialoghi con Leucò e una pagina del volume “Una bellissima coppia discorde” – foto di Giulia Cavallaro

Il “caos vitale” di Bianca

La letteratura di Cesare Pavese è senza dubbio influenzata dagli amori che si susseguono durante la sua vita. E Bianca è per lui un fiume, come lui stesso la definirà in una lettera dell’ottobre del 1945: lei, senza saperlo, ha la forza di trascinarlo con sè, dirà lui stesso. Bianca, una donna curiosa, irrequieta, che poco aveva a che fare con un uomo come Cesare Pavese.

Bianca, come va il tuo caos vitale? Non riordinarlo troppo, perchè allora ti sparirà anche l’interesse alla vita. Tienilo giudiziosamente a mezz’acqua. E se stai troppo bene a Letojanni, scappa. Non mangiare il loto.” (lettera del 3 settembre 1945)

Quello che però senza dubbio Bianca Garufi non sapeva è che probabilmente fu lei ad ispirare i suoi dialoghetti, che Pavese definisce “un libro che nessuno legge e, naturalmente, l’unico che vale qualcosa” (lettera del 25 agosto 1950 a Nino Frank).

Il rapporto tra i due si sfilaccerà a partire dal 1947, anche se la loro corrispondenza non terminerà mai del tutto fino al febbraio 1950: nel loro carteggio si legge in trasparenza un tenero affetto che non terminò mai davvero, nonostante l’amore fosse finito. Sarà proprio ai Dialoghi con Leucò che Cesare Pavese affidò le sue ultime parole. Il 27 agosto 1950, prima di togliersi la vita nell’Hotel Roma di Torino, scrisse in un biglietto che lasciò all’interno di una copia del libro: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.”

Ed è questo l’epilogo della “bellissima coppia discorde”. 

Giulia Cavallaro

*Le citazioni sono tratte dai seguenti libri:

Una bellissima coppia discorde,Il carteggio tra Cesare Pavese e Bianca Garufi (1945-1950), a cura di Mariarosa Masoero, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2023

Pavese Cesare, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi, 2020

Pavese Cesare, Lettere 1926-1950 (vol.2), a cura di Lorenzo Mondo e Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1968

 

Ni cummini quantu a Giufà

In ogni angolo della Sicilia si parla dello sciocco Giufà e delle sue peripezie da credulone.

Un grande personaggio che intratteneva grandi e piccini, prima che il mondo dei cartoni animati e dei social facesse sfumare l’arte del cantastorie e delle tradizioni popolari.

In pochi sanno che Giufà non è soltanto un personaggio popolare della tradizione siciliana, ma anche uno di quella spagnola e soprattutto araba.

L’etimologia del nome 

Si pensa che Giufà provenga dall’arabo, ma a darci qualche informazione in più è l’origine del suo nome.

Una cosa è certa, l’etimologia racchiude le qualità del personaggio.

Dal Nuovo vocabolario siciliano, si evidenzia che comunemente il nome Giufà derivi dal nome Giovanni; tuttavia, a

Nasreddin Khoja Fonte: Wikipedia

 

noi piacciono le storie e siamo andati ad indagare la “vera” etimologia del nome, animati dal desiderio di scovare un significato più goliardico, e così è stato.

Gioieni Giuseppe, nella sua opera interamente dedicata all’etimologia delle parole siciliane, sostiene che il nome derivi dallo spagnolo Ciufà, che indica la burla, lo scherno. Difatti, la tradizione ci tramanda racconti di gesta comiche.

Per altri Giufà non è un personaggio di fantasia inventato dalle mamme per intrattenere i più piccoli, ma in realtà è Nasreddin Khoja, un personaggio storico del XI secolo realmente esistito in Turchia.

 

In letteratura

Se per l’etimologia del suo nome, non vi è alcun dubbio, Giufà è lo sciocco del villaggio, qualche incertezza sussiste circa la sua apparizione letteraria.

Alcuni collocano la sua prima testimonianza scritta nel XVII secolo per mano di due poeti siciliani, Venerandu Ganci e Mamo da Cianciana, che inauguravano un nuovo personaggio da aggiungere alla letteratura umanista tipica di Boccaccio.

Giuseppe Pitrè – Fonte: l’identità di Clio

Altri sostengono che la prima apparizione del personaggio nella letteratura  avvenne grazie allo studioso delle tradizioni popolari, etnologo, medico e scrittore Giuseppe Pitrè intorno al 1845. Calvino, proprio in occasione della trasposizione del personaggio tipico della tradizione orale, disse : «al centro del costume di raccontar fiabe è la persona – eccezionale in ogni villaggio o borgo – della novellatrice o del novellatore, con un suo stile, un suo fascino. Ed è attraverso questa persona che si mutua il sempre rinnovato legame della fiaba atemporale col mondo dei suoi ascoltatori, con la Storia».

È curioso scoprire che diversi scrittori del Novecento hanno trasportato Giufà nelle loro opere.

Italo Calvino, recuperò il nome per soprannominare Gurdulù, lo scemo del villaggio, nella sua opera Il cavaliere inesistente; Leonardo Sciacca intitola un’opera Giufà e il cardinale.

Nelle storie che vedono protagonista Giufà, coesistono l’eroe e l’antieroe, impersonificati in scenari di ironia e beffa, sarcasmo e benevolenza, con temi attuali che invogliano alla critica verso il potere sociale.

Maldestro ma furbo, essere paragonati a Giufà può essere utilizzato in senso positivo, ma anche in senso negativo. Solitamente in Sicilia si usano tra i modi di dire “fari u Giufà” e “ni cummina quantu a Giufà”.

Il personaggio nella tradizione siciliana

Vediamo insieme le sfaccettature di questo personaggio, che si adatta ad ogni contesto culturale.

In Sicilia, il paragone con il personaggio di Giufà serve ad indicare chi è privo di furbizia e in preda ai più disparati malfattori.

Difatti, le storie che ruotano attorno al personaggio di Giufà lo ritraggono vittima di furti avvenuti con estrema facilità.

La trama della storia che fece la sua prima comparsa nell’opera di Pitrè prende spunto da consuetudini bucoliche nella Palermo del tempo, quando briganti e malfattori invogliavano i ragazzi a scambi di prelibatezze, sottratte furtivamente dalle dispense di casa, con promesse mai mantenute.

D’altronde, Giufà è il tipico fanciullo di campagna poco istruito che si esprime in modi di dire, racconti tramandati dalla madre e vive alla giornata in modo ingenuo, cacciandosi sempre nei guai.

Nella tradizione reggina

Nella tradizione reggina troviamo una piccola eccezione al Giufà siciliano, pur rimanendo nel background di un fanciullo sciocco. In questa versione, Giufà, al momento opportuno, si difende dagli attacchi, impersonando i caratteri della tradizione giudaico-spagnola del ragazzetto sciocco ma furbo, che si adatta alla circostanza in cui si trova.

Insieme a Giangurgolo e alle storie di Fata Morgana, diventa un volto amatissimo dal popolo calabrese.

Nella tradizione giudaico-spagnola

Nella tradizione giudaico-spagnola, viene presentato come un personaggio dal carattere ambivalente, passando dal non saper acquistare neanche da mangiare al nutrire chi avesse fame, ed è anche il ribelle che si prende a cuore le questioni sociali.

Il Giufà della tradizione giudaico-spagnola è un cavallo il cui valore si vede a lunga corsa.

Essere Giufà

Giufà è anche il titolo di un ciclo di racconti tragicomici interminabili e autoconclusivi. È sicuramente un personaggio del Novecento pensato come comico ma estremamente riflessivo.

È un personaggio che si ama per le sue sciocchezze e ingenuità, e ci sorprende per le sue risposte secche e furbe. Per questo vogliamo lasciarvi con due brevi storie che racchiudono il senso del “sii nu Giufà”:

Il barbiere maldestro

Giufà andò da un nuovo barbiere per radersi i capelli.

Il barbiere, non avendo molta pratica ed avendo una mano malferma, ad ogni taglio gli procurava una ferita che veniva prontamente saturata con un batuffolo di cotone. Ben presto una prima metà del capo di Giufà fu ricoperta da tanti batuffoli per evitare la fuoriuscita di sangue.

Quando il barbiere prese a radere l’altra metà della testa, Giufà gli chiese sarcasticamente: “Visto che già metà della mia testa l’hai seminata a cotone, cosa pensi di coltivare nell’altra parte?”.

 Giufà e i ceci

Giufà e i tre ceci
Giufà e i tre ceci
Fonte: colapisci.it

Un giorno la madre di Giufà andando a Messa raccomandò al figlio di mettere due ceci in pentola a bollire in modo tale che quando tornava sarebbero stati pronti.

Dopo un poco che la madre era uscita Giufà eseguì l’ordine ricevuto. Quando la madre tornò trovò la pentola che borbottava sul fuoco ma quando alzò il coperchio si accorse che dentro l’acqua i ceci non c’erano.

Infuriata, rimproverò aspramente il figlio per non averla ascoltata ma Giufà si difese dicendo: “Ho fatto più di quanto mi hai detto, ho messo in pentola ben tre ceci invece di due! Poi per controllare la cottura ho assaggiato il primo, per vedere come era di sale ho mangiato il secondo ed infine per vedere se era ancora duro ho mangiato il terzo! Per questo sono finiti!”. La madre, allora, esasperata, cominciò a picchiarlo con un cucchiaio di legno sulle gambe senza aggiungere altro.

 Elena Zappia

Fonti

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuf%C3%A0

https://www.treccani.it/enciclopedia/giufa_%28Enciclopedia-Italiana%29/

https://www.tempostretto.it/news/cultura-giuf-eroe-siciliano.html

https://www.e-genius.it/Trinakria/sicilianelcuore.info/tradizioni/index.php?content=giufa

https://www.sololibri.net/Storie-di-Giufa-origine-varianti-riscontri.html

https://www.experiences.it/archives/7324

Egon Schiele: tormento e malinconia

Egon Schiele è stato uno dei protagonisti dell’Espressionismo austriaco, noto per il suo stile grafico e la distorsione delle figure, sfidando le norme di bellezza. 

Una vita breve, vissuta in totale libertà di pensiero e di creatività, al contempo dura e sprezzante, ma piena di arte e d’amore. Finito per essere considerato anticonvenzionale, eroico, eretico ed erotico, forse un genio pazzo o visionario, chi lo sa…  

Allora vediamo insieme un po’ la folle vita e l’arte di Egon Schiele. 

Devo risvegliare la mia vita… Gerti

Egon Schiele nasce nel 1890 a Tulln an der Donau (in Austria) e ben presto, la sua infanzia viene offuscata dal progredire della malattia mentale del padre, morto di sifilide.  Questa esperienza traumatica segna profondamente tutta la sua pittura, dandogli un’immagine del mondo tetra e malinconica, oltre che segnare in modo indelebile anche il suo rapporto con le donne. 

Ho pianto spesso in autunno, con gli occhi socchiusi.
E nell’estate magnifica, poi, ho sorriso e riso,
dipingendomi d’estate il bianco dell’inverno.

Schiele inizia a dipingere autoritratti e frequenta l’Accademia di belle arti di Vienna nel 1906, dove però i metodi conservatori lo deludono. Cerca quindi ispirazione altrove, nella sua desolazione,  trovandola nei caffè artistici di Vienna e in figure come Gustav Klimt, il quale lo influenza profondamente e lo introduce a ricchi mecenati.

Questo supporto gli permette di esporre le sue opere già nel 1908. Il suo stile espressionista si consolida rapidamente, caratterizzato dalla rappresentazione aggressiva della fisicità e della sessualità. Schiele mostra subito una passione per le figure femminili, soprattutto infantili. Le sue modelle preferite sono donne cui era unito da un profondo legame personale. In gioventù e nei primi anni di attività artistica è soprattutto la sorella Gerti ad assumere questo ruolo; in lei Egon osserva nell’adolescenza lo sbocciare di un corpo di donna che gli si mostra semplicemente senza veli.

Egon Schiele
Egon Schiele, Autoritratto con alchechengi, 1912, olio su tavola, 39,8 x 32,2 cm, Vienna, Leopold Museum. Fonte: finestresullarte.info

 

In opere come quelle esposte alla Kunstschau del 1909, Schiele mostra già la sua tendenza a raffigurare il corpo umano in modo distorto ed emotivamente carico. Utilizza una linea tagliente per esprimere angoscia e distorsione fisica e morale, con colori autonomi e non naturalistici.

Amo la morte e amo l’amore… Wally

Nel 1911, Egon Schiele incontra la diciassettenne Wally Neuzil, con la quale intreccia una relazione sentimentale e che diventa modella per alcune delle sue opere migliori.

Arde, brucia, si diffonde dopo la battaglia, – spasimo cardiaco.
Pesare – follemente animato da eccitata lussuria.

In cerca di ispirazione, Schiele e Wally decidono di lasciare Vienna e si stabiliscono inizialmente nella piccola città boema di Krumau, città natale della madre di Schiele. Tuttavia, gli abitanti del posto disapprovano il loro stile di vita, essendo i due non sposati, e li costringono a partire. Si trasferiscono allora a Neulengbach, un paesino vicino a Vienna.

Nel 1912, Schiele viene accusato da un certo Von Mosig, ufficiale della marina in pensione, di aver sedotto sua figlia Tatjana Georgette Anna, non ancora quattordicenne. Schiele viene così incarcerato per un breve periodo con l’accusa di aver traviato la minorenne, di aver avuto rapporti con lei e di averla rapita. Alla fine del processo, viene ritenuto colpevole soltanto di aver esibito opere considerate pornografiche.

Egon Schiele
Egon Schiele, La morte e la fanciulla, 1915, olio su tela, 150×180 cm, Vienna, Österreichische Galerie Belvedere. Fonte: wikipedia.it

 

Dopo questa esperienza, Schiele ritorna a Vienna. Grazie all’aiuto del suo amico Klimt, riesce a ottenere diverse commissioni, tornando alla ribalta sulla scena artistica austriaca e partecipando a molte mostre internazionali. Le sue opere del periodo, in gran parte autoritratti e ritratti, presentano figure nude in pose insolite, spesso caricaturali, che richiamano la morte e l’erotismo. Il suo disegno è caratterizzato da un tratto netto, energico e sicuro, talvolta persino violento. Queste opere cercano di provocare lo spettatore, suscitando un certo malessere.

Esisto perché anche io amo… Edith

Nel 1914, Edith Harms, figlia di un fabbro, diventa la terza e ultima importante modella nella vita di Egon Schiele.

Per diventare sua moglie, Edith pone come condizione di essere l’unica musa ispiratrice di Schiele, esigendo la fine del suo rapporto con Wally Neuzil. Schiele accetta e lascia Wally, che morirà successivamente al fronte come crocerossina.

Il matrimonio con Edith porta a Schiele una serenità che si riflette nei suoi dipinti, caratterizzati da una forza composta, influenzati anche dalle opere monumentali di Ferdinand Hodler.

Nel 1914, mentre la sua fama artistica cresce, scoppia la prima guerra mondiale, segnando la fine di un’epoca e il crollo dell’impero asburgico. Nel 1915, Schiele è chiamato alle armi, ma grazie a superiori comprensivi e amanti dell’arte, può continuare a dipingere. In questo periodo realizza ritratti di ufficiali russi e disegni di interni, mostrando una trasformazione nella sua concezione artistica verso una rappresentazione più naturalistica.

Venne la ragazza, trovai il suo viso,
il suo inconscio, le sue mani da lavoratrice;
tutto di lei ho amato.

Nel 1918, Schiele viene trasferito definitivamente al museo militare di Vienna. Questo anno segna un cambiamento di stile che gli porta fama e riconoscimenti, inclusa la partecipazione di successo alla quarantanovesima mostra della Secessione viennese.

Nell’autunno del 1918, l’epidemia di influenza spagnola, che uccide più di venti milioni di persone in Europa, raggiunge Vienna. Edith, incinta di sei mesi, contrae la malattia e muore il 28 ottobre. Durante la sua agonia, Schiele la ritrae più volte. Anche Egon viene contagiato e muore tre giorni dopo, il 31 ottobre, all’età di 28 anni.

“L’arte non può essere moderna. L’arte è eternità”

Schiele traspone su tela, quelli  che sono i meandri della sua mente, caricandoli di un’estrema tensione erotica esistenziale e psicologica, usata come mezzo per diffondere un messaggio di critica sociale contro la falsità borghese.

Egli rivendica l’importanza della esperienza interiore e delle sue manifestazioni più o meno violente. Scava nei propri personaggi per metterne a nudo la loro anima, sonda nelle figure angosciate prive di riferimento storico e contesto sociale le “pulsioni represse” di freudiana matrice.

Quindi, l’arte di Schiele ci consente di perderci nell’infinito esistenziale e ritrovarci a tu per tu con il senso della vita, che sfugge a ogni ordine e si ferma nel magma emozionale di una macchia di colore.

Gaetano Aspa

 

Le citazioni sono tratte dal libro Io eterno fanciullo di Egon Schiele

Marefestival Salina: dove cinema e cultura sono di casa

Nel punto dove la cultura si fonde con la bellezza estatica mediterranea, tra spiagge paradisiache e panorami mozzafiato, Salina si fa cornice per uno degli eventi più speciali dell’estate: il Marefestival

Tredici anni di Marefestival

Il Festival, giunto alla XIII edizione, si svolgerà dal 14 al 16 giugno presso il comune di Malfa, anticipato da una serata-anteprima il 13 giugno, sulla terrazza del porto turistico Capo d’Orlando marina, con la partecipazione di Cucinotta, Bouchet, Inaudi e Azzollini.

Durante questa serata, sarà proiettato il film Gli agnelli possono pascolare in pace. Il programma sarà ulteriormente arricchito dalla presentazione del romanzo storico Il grano nero dello sceneggiatore e scrittore Ignazio Rosato, con un dialogo tra Rosato e Fabio Agnello, inviato de Le Iene.

Il Premio Troisi è organizzato dai giornalisti Massimiliano Cavaleri, direttore artistico, e Patrizia Casale, direttrice organizzativa, in collaborazione con Francesco Cappello, Giovanni Pontillo e Nadia La Malfa. La scenografia e l’immagine sono curate da Tina Berenato.

Come ogni anno, la madrina d’eccezione sarà la bravissima attrice siciliana Mariagrazia Cucinotta, la cui storia è legata a Salina e a Troisi, per il suo ruolo nel film il Postino, dove interpretava Beatrice, la musa di Mario (il personaggio di Troisi).

 

Massimo Troisi e Mariagrazia Cucinotta in una scena del film il Postino. Fonte: Cinema amore mio (facebook)

Premio Troisi

 

Voi volete dire allora che il mondo intero è la metafora di qualcosa?

 

Il Premio Troisi, assegnato dal Marefestival Salina, onora figure di spicco del cinema, dello spettacolo e della cultura. Insieme al Festival, questo premio è diventato un tributo significativo, ricco di valore culturale e personale, celebrando le carriere degli artisti.

Nel ricordo di Massimo Troisi, attore straordinario e persona eccezionale, che ha saputo esprimere con semplicità e genialità i  piccoli e grandi problemi  esistenziali, affermandosi come uno dei grandi maestri del cinema italiano.

L’isola di Salina e il film Il Postino, quest’anno particolarmente nel 30° anniversario, rappresentano l’eredità cinematografica di Troisi e il momento della sua definitiva affermazione internazionale.

Ai già 82 premi consegnati in questi ultimi dodici anni, si aggiungono i protagonisti di questa XIII edizione del Festival nelle varie categorie:

Attrici: Barbara Bouchet, Carla Signoris, Francesca Inaudi

Attori: Francesco Pannofino, Alessio Boni, Sergio Friscia

Cantautori: Mario Incudine e Alberto Urso

 Comici: Uccio De Santis

 Produttori: Corrado Azzolini.

 

Marefestival X UniME

Inoltre, quest’anno, è stata stipulata una convenzione per uno stage con l’Associazione “Prima Sicilia” al fine di coinvolgere gli studenti dell’Università di Messina nelle fasi di preparazione e nelle attività del Festival, che si terrà dal 13 al 17 giugno (alla fine della pagina troverete il link per la candidatura).

Gli studenti potranno partecipare a diverse attività, tra cui:

  • Comunicazione, promozione e ufficio stampa
  • Segreteria organizzativa e produzione
  • Direzione artistica

Questa esperienza permetterà agli studenti di acquisire rapidamente competenze specifiche in vari campi, lavorando a stretto contatto con professionisti e personalità di spicco non solo del mondo del cinema. 

 

Gaetano Aspa

 

https://www.unime.it/notizie/marefestival-salina-2024-possibilita-di-stage-studenti-unime

 

Il Museo MAXXI di Roma aprirà una sede in riva allo Stretto di Messina

Messina ospiterà il Polo della creatività del Mediterraneo. Questo è quanto emerso lunedì 23 ottobre dall’incontro tra il sindaco della città Metropolitana Federico Basile e il presidente della Fondazione MAXII Alessandro Giuli, alla presenza del direttore generale del comune Salvo Puccio.

Federico Basile - fonte: Instagram
Federico Basile – fonte: Instagram

La firma

Dopo i primi contatti e gli accordi stabiliti dal Protocollo di Intesa firmato a Roma lo scorso 20 luglio tra Comune, Università di Messina e la fondazione sopracitata, è stata resa ufficiale la realizzazione di una sede distaccata del Museo delle Arti contemporanee di Roma, importantissima realtà italiana ed europea che ospita mostre di arte, architettura, design e fotografia, ma anche progetti di moda, cinema, musica, performance di teatro e danza.

Il distaccamento, voluto fortemente non solo dal presidente Giuli ma anche da Fabio Longo, consigliere del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, e dal Senatore della Lega Nino Germanà, sorgerà in due zone distinte della città. L’atto integrativo prevede, infatti, la creazione di un distaccamento nei pressi di Torre Faro, precisamente nell’edifico di archeologia industriale noto come “Torri Morandi” di proprietà del Comune dal 2021, e a Villa Pace, edificio storico risalente al 1853, di proprietà dell’Università.

Il progetto

La realizzazione del MAXII Med sarà possibile grazie ai fondi messi a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e rientrerà nel finanziamento per il Piano Urbano Integrato. Il costo si aggirerà intorno agli 8 milioni di euro. La Fondazione MAXXI si farà carico dello studio preliminare per definire il progetto museale da realizzare e avrà l’edificio in comodato d’uso per 15 anni.

I lavori del polo, che sarà dedicato alla scena artistica contemporanea del Mediterraneo e delle culture dei Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum e  punta a divenire un punto d’incontro tra Europa, Maghreb e Medio Oriente, facilitando il dialogo interculturale e formando nuove professionalità di settore, dovrebbero concludersi entro la fine del 2025, anche se durante l’incontro avvenuto nel Salone delle Bandiere, a Palazzo Zanca, vi è stata la promessa di impegnarsi affinché terminino nel minor tempo possibile.

Torri Morandi – Fonte: gazzettadelsud.it

Le parole dei protagonisti

Il sindaco Federico Basile si è detto molto contento della realizzazione di tale progetto, dichiarando che:

Questa collaborazione è molto importante, è una grande opportunità per tutta l’area di Capo Peloro e per la città che ribadisce il ruolo strategico. Si tratta di una operazione che rientra nell’ambito degli interventi di rigenerazione urbana finalizzata a trasformare il volto della città e della provincia in una visione di lungo termine, attraverso la nascita di un centro di ricerca e di formazione per le nuove professionalità nel settore della cultura per restituire a Messina il ruolo di baricentro del Mediterraneo.

Anche Giuli ha espresso la propria felicità per l’accordo raggiunto, affermando:

Ringrazio Messina e l’invito che l’Amministrazione comunale ha rivolto al MAXXI, nell’ottica della volontà del Museo nazionale delle arti del XXI secolo di irradiare la propria azione a livello internazionale. Per questa ragione non potevamo non essere qui, perché il MAXXI del Mediterraneo non può non nascere proprio a Messina, capitale naturale del Mediterraneo. La firma di oggi è la prova di quanto crediamo in questo progetto.

Infine, anche il senatore della Lega Nino Germanà ha rilasciato parole di ringraziamento per coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto:

Un grazie al sindaco della città metropolitana di Messina, Alessandro Basile, e a Salvatore Cuzzocrea, (ex rettore dell’Università, ndr,) per aver colto questa opportunità. Avanti così collegando la Sicilia all’Europa: questo è il potere delle infrastrutture e dell’Italia del sì.

L’attesa

Adesso non resta che attendere la realizzazione del progetto ufficiale e l’apertura dei cantieri che avranno il compito di dare alla luce questo nuovo Polo museale che diverrà una vera e propria attrazione per tutto il Mediterraneo.

Giuseppe Cannistrà

Dante Alighieri: ritratto umano del Sommo Poeta

Permaloso, acuto e sempre con la battuta pronta. Tu, che hai letto e studiato il Sommo Poeta sin dai banchi di scuola, ti sei mai chiesto che carattere avesse? Come trascorresse le sue giornate al di fuori della scrittura?

Ebbene, Dante Alighieri, padre della lingua italiana a cui è dedicata la giornata del 25 Marzo, attinse al nostro ricercato dialetto per la stesura del suo capolavoro.

UniVersoMe e, in particolare la redazione di cultura locale, intende celebrarlo in maniera inedita, partendo da un racconto legato al suo spiccato senso dell’umorismo.

 

Dante e la prontezza di spirito

Un biografo del Cinquecento racconta che il poeta, quando veniva importunato da qualcuno, rispondeva con battute taglienti che lasciavano i riceventi a bocca asciutta.

Il particolare evento a cui si riferisce il biografo pare sia uno dei tanti in cui Dante perse la pazienza e rispose all’uomo che lo tempestava di interrogativi: “Avanti che io risponda alle tue domande, vorrei che tu prima mi chiarissi qual tu creda sia la maggior bestia del mondo.”

Quell’uomo rispose che egli credeva che la maggior bestia terrestre fosse l’elefante. Dunque Dante così lo apostrofò: “O elefante, adunque non mi dar noia.”

 

Ritratto allegorico di Dante Alighieri di Agnolo Bronzino. Fonte: gettyimages,it

 

 

Spiritoso quanto suscettibile…

Uno scrittore del Quattrocento, il Sercambi, racconta che quando il re di Napoli Roberto D’Angiò decise di conoscere il poeta organizzò un magnifico banchetto a corte a cui Dante si presentò vestito in maniera umile e con il volto stanco.

Il Re lo scambiò per un mendicante e lo fece accomodare al tavolo riservato ai miserabili. Dante si offese e se ne andò.

Quando il Re venne a conoscenza che colui era Dante Alighieri inviò un consigliere a porgergli le sue scuse e ad invitarlo a cena la stessa sera. Il poeta per ripicca tornò a corte vestito di tutto punto, così elegante che non era possibile scambiarlo per un uomo di umili origini!

Suscettibile il nostro Dante eh?

 

Io non ho altr’arte e tu me la guasti

A proposito di suscettibilità, un altro aneddoto questa volta fornitoci da Franco Sacchetti, scrittore del Trecento, riguarda un fabbro appassionato di canto e di versi.

Dante sentì dalla bottega del fabbro declamare i versi della sua più grande opera: La Divina Commedia. 

No, ma che orrore! Il fabbro non aveva azzeccato un verso corretto! Dante irritato, entrò impulsivamente nella bottega e cominciò a gettar via tutti gli strumenti da lavoro del fabbro che sgomento reagì:“Che diavol fate voi? Siete voi impazzito?”

Il poeta prontamente rispose: “Se tu non vuoi che io guasti le cose tue, tu non guastar le mie. Tu canti il libro, e non lo dì come io lo feci; io non ho altr’arte e tu me la guasti.”

Il fabbro, non sapendo cosa rispondere, tornò all’arte sua, questa volta cantando di Tristano e Lancillotto.

 

Dante con la Divina Commedia, dipinto di Domenico di Michelino. Fonte: gettyimages

 

 

Dante nel suo Inferno

In quale girone dell’Inferno collochereste il Sommo? Vi stupirà sapere che diversi aneddoti ci fanno pensare che potrebbe essere condannato a quello dei lussuriosi!

Sulla lussuria di Dante circolano diversi racconti. Si narra che quando egli era ospite del signore di Ravenna, Guido Novello da Polenta, si scoprì che Dante aveva trascorso la notte con una “donna di mercato” che intendeva sapere se Dante fosse bravo oltreché come poeta anche come amatore

La cortigiana confessò che “poco valeva perché avendo avuto assai buona bestia, non aveva cavalcato se non un miglio.”

Quando Dante venne a conoscenza di questa risposta si difese:“Io avrei anche calato l’asso ma non mi piacque la mazziera.”

Com’era quella storia che quando la volpe non arriva all’uva…?

 

Paradiso canto XXXI, Gustave Doré (Photo by Stefano Bianchetti/Corbis via Getty Images)

 

“Se tu segui la tua stella, non puoi fallire a Glorioso porto.”

Sebbene non si tratti di una citazione celebre come altre, da essa possiamo trarne ispirazione.

Ognuno di noi segue una passione, quella di Dante l’ha condotto al Glorioso porto, pertanto ti auguro di trovare e seguire con gioia e perseveranza la tua stella.

 

Alessandra Cutrupia

Occhio, malocchio… Le superstizioni messinesi

Su Tik Tok, è ora un trend imperdibile, da dover fare necessariamente se si vuole ottenere il massimo dei voti e, soprattutto, se si desidera superare un esame.

C’è chi, invece, si affida ai tradizionali santini per proteggersi e chi preferisce ripiegare su portafortuna fai da te: da calze stravaganti a slip particolari, da vestiari completamente nivei a pupazzetti d’infanzia nascosti dentro borse e tasche. La scelta di armamentario è ampia.

Oggi ha tanti nomi: macumba, seccia, gufata, ma qui, a Messina, ciò che più temiamo, soprattutto noi studenti, è noto come il malocchio.

Che cos’è il malocchio?

Quella del malocchio è una delle superstizioni popolari più radicate.

È inutile negarlo: noi siciliani siamo scaramantici e i messinesi non fanno eccezione.

Secondo la tradizione, il malocchio è la conseguenza di un’occhiata carica di intenzioni tutt’altro che benevole e positive, dal potere di scatenare nella persona interessata gli effetti più disparati.

Tra i sintomi più comuni troviamo: stanchezza, insonnia, agitazione, difficoltà a concentrarsi e malessere fisico non localizzato… I classici di una carenza di Sali minerali.

Non mancano, però, testimonianze di cecità improvvisa, impotenza e morte.

Il malocchio è figlio dell’invidia e dell’odio e per combatterlo, fin dall’antichità, si è ricorso a vari rituali di liberazione e di scongiura.

“[…] ma questi, appena egli faceva il nome del Chiàrchiaro, cioè di colui che aveva intentato il processo, si alteravano in viso e si ficcavano subito una mano in tasca a stringervi una chiave, o sotto sotto allungavano l’indice e il mignolo a far le corna, o s’afferravano sul panciotto i gobbetti d’argento, i chiodi, i corni di corallo pendenti dalla catena dell’orologio.”

Luigi Pirandello, La patente

 

Totò in "Questa è la vita", episodio "La patente"

Totò in “Questa è la vita“, episodio “La patente“. Fonte: storienapoli.it

Gesti, talismani, sali… L’uomo ha sempre trovato degli espedienti per ogni cosa.

A Messina, quello più diffuso contro il malocchio è la preghiera.

 

Nella notte di Natale

Manifestati i sintomi, è bene, da usanza, rivolgersi immediatamente a degli esperti e richiedere un’opportuna e attenta diagnosi.

Gli esperti in questione sono, solitamente, donne anziane e di fiducia, ereditarie di un potere mistico e posseditrici di formule segretissime. Queste preghiere, di derivazione cristiana e pagana, sono infatti trasmesse oralmente di generazione in generazione e, tradizionalmente, vengono insegnate nella notte di Natale.

In caso di esito positivo, la mavara si accinge nella sua liturgia, con un piatto d’acqua e dell’olio alla mano.

Le fasi del processo sono sconosciute a noi babbani e tali devono rimanere. Non possiamo toglierci il malocchio da soli, né tantomeno improvvisarci maghi e streghe!

Osservando il miscuglio di acqua ed olio, possiamo, però, ottenere alcune informazioni: ad esempio, la data approssimativa del malocchio, il sesso dell’autore e la relazione fra l’artefice e la vittima.

Alla fine, l’acqua deve essere gettata, preferibilmente lontano da casa, e il rituale dovrà essere ripetuto fino a quando le gocce d’olio che cadono nel piatto rimangano integre.

Rituale della segnatura, contro il malocchio
Rituale della segnatura, contro il malocchio. Fonte: www.quilianonline.it

Il malocchio nei casi di cronaca

Che esista il “male” o meno, riguardatevi dalle persone: sono loro i veri diavoli.

E Maria lo sa bene, signora messinese di sessantacinque anni che prometteva di togliere il malocchio e finiva per rubare nelle case.

O, ancora, un gruppo di criminali di Patti che, spacciandosi per veri e propri maghi e cartomanti, agganciavano le ignare vittime, inducendole a versare forti somme di denaro in cambio delle loro presunte prestazioni professionali. 

Oltre il danno, anche la beffa!

Valeria Vella

Fonti:

https://messina.gazzettadelsud.it/articoli/cronaca/2019/05/10/messina-promette-di-toglierle-il-malocchio-e-deruba-unanziana-fermata-ai-traghetti-86ef1d72-3772-499f-8d7c-3b16fdb84588/

http://www.strettoweb.com/foto/2020/05/arresti-messina-operazione-maghi/1015665/?fbclid=IwAR09uVHblk22UTQpXXqjhtyLnZ-5WrskWXHJwpYmXivZzbEwAMPnQsKX2Bg

https://www.siciliafan.it/superstizioni-siciliane/

“Gran Mirci” a Messina

Chi accede a Palazzo Zanca, sede del Municipio di Messina, ha modo di osservare l’epigrafe in bronzo “Gran Mirci”, ripetuta cinque volte sui cancelli d’ingresso dell’edificio.

Ma in quanti conoscono il significato nascosto dietro quest’antica iscrizione?

La leggenda

Per risalire all’origine della formula occorre andare molto indietro nel tempo.

Corre l’anno 379 d.C. e l’imperatore Teodosio I, prossimo alla morte, decide di suddividere il governo del suo vasto territorio fra i due figli. Assegna, rispettivamente, la parte orientale al primogenito, Arcadio, e quella occidentale al secondo, Onorio.

Questa decisione decreta in modo irreversibile la fine dell’Impero Romano, che non sarebbe mai più tornato ad essere governato da un unico sovrano.

Miniatura n° 32 dalle cronache di Costantino Manasse, con gli imperatori Arcadio, Onorio e Teodosio I – Fonte: wikipedia.org

Di questa divisione approfittano i barbari, già presenti ai confini dell’impero.

L’assedio

Nel 407, Arcadio, già alle prese con una pericolosa instabilità politica, si trova attaccato dai Bulgari.

Questi, con alla testa un certo Assariele, si erano ribellati e avevano preso d’assedio la città greca di Tessalonica, l’odierna Salonicco, costringendo l’Imperatore a lasciare Costantinopoli.

La battaglia infuria nel borgo per un’intera giornata e l’Imperatore e la sua intera cavalleria sono costretti a retrocedere.

Ad Arcadio, in condizioni di prigionia, impotente di fronte all’aspro degenerarsi del conflitto, non resta che richiedere soccorso. Invia messaggi d’aiuto a Taranto, a Brindisi, alla Puglia e ai veneti, ma nessuno di essi intende intervenire.

Si rivolge così, in un ultimo tentativo, a Messina, nota all’epoca come la florida città “dove il più famoso arsenale del Mediterraneo ritrovavasi“.

Il porto di Messina in un dipinto di Juan Ruiz risalente al 1748 – Fonte: pinterest.it

La svolta

All’arrivo delle richieste di aiuto da parte dell’Imperatore, lo stradigò Metrodoro decide di agire in favore di Costantinopoli, armando a proprie spese quattro navi. Successivamente, a lui si unisce Aristide, cavaliere messiene, che ne arma due, Messina che ne arma sette, Reggio e Trapani con una nave e Siracusa con tre.

Con un totale di diciotto navi, sventolanti la bandiera messinese, la flotta capitanata dallo stradigò fa rotta verso l’Oriente.

Sbarcati sulle coste di Tessalonica e annientate le imbarcazioni dell’esercito nemico, Metrodoro e i suoi, con l’aiuto dei tessalonicesi usciti dalla città, decimano i Bulgari, uccidendo lo stesso Assariele.

In tal modo, non solo i messinesi liberano Arcadio dall’assedio, ma riescono persino a riconquistare Costantinopoli, restituendola all’Imperatore.

Di fronte ad una tale prova di valore, ammirato e riconoscente, Arcadio conduce con sé nella capitale lo stradigò e i suoi uomini. Qui, in presenza della sua corte e del popolo, elegge Messina città principale dell’Impero, al pari di Costantinopoli, rivestendola col titolo di Protometropoli della Sicilia e della Magna Grecia e conferendole il “Comando e Governo perpetuo” della Sicilia.

Inoltre, le viene riconosciuto il diritto di fregiarsi dello stesso vessillo imperiale: la croce aurea in campo rosso, tutt’oggi presente nello scudo stemma del Comune di Messina.

Per lasciare ricordo a tutta l’umanità, Arcadio fa scolpire sulla facciata della chiesa di Santa Sofia la formula “Pollè charis te Messene“, che durante l’occupazione angioina sarebbe diventata “Gran Mirci a Messina“, quindi “Molte Grazie a Messina“.

Epigrafe “Gran Mirci” sui cancelli di Palazzo Zanca – Fonte: Messinaierieoggi.it

La versione francese: da “Mirci” a “Merci

Sono diverse le versioni di questa storia che smentiscono l’epopea di Metrodoro.

La leggenda dell’assedio di Tessalonica, infatti, non sembra avere delle basi storiche. Durante il regno di Arcadio non vi è mai stato, effettivamente, un assedio della città, né, tantomeno, una conquista di Costantinopoli.

Per alcuni studiosi, sembra chiaro il riferimento della formula alla tradizionale alleanza fra Messina e i francesi

Alleanza che risale all’epoca delle Crociate e che si protrae alla sanguinosa Guerra dei Vespri Siciliani, durante la quale, sempre secondo gli stessi storici, Messina pare abbia risparmiato gli Angioini, concedendo loro la fuga. 

Da qui, “Merci” a Messina.

 

Valeria Vella

Fonti: 

wikipedia.org/Stemma_di_Messina

mutualpass.it/gran-mirci-

letteraemme.it/gran-merce-a-messina-la-scoperta-a-castanea/