Il solstizio d’inverno – Origini e Tradizioni

Il solstizio d’inverno, che quest’anno è caduto il 21 dicembre alle ore 10:21, è un evento astronomico che segna il momento in cui il Sole raggiunge la sua posizione più bassa nel cielo rispetto all’orizzonte, ed è quindi il giorno più corto dell’anno.

Nel corso dei secoli, questo evento è stato celebrato da numerose civiltà, rappresentando la “rinascita” del dio Sole e la vittoria della luce sulle tenebre.

Tradizioni antiche

Il solstizio d’inverno ha ispirato molte tradizioni antiche in diverse culture.

Yule

Yule è una delle festività nordiche più antiche legate al solstizio d’inverno. Viene celebrata dal 21 dicembre al 6 gennaio, e segna il ritorno della luce e la nascita del nuovo Sole, simboleggiando così speranza, rinnovamento e l’arrivo della primavera.

Fra le tradizioni più conosciute, troviamo quella del “ceppo di Yule”, un grande tronco di legno che veniva bruciato durante la notte del solstizio, in segno di accoglienza della luce e della prosperità. Le sue ceneri venivano anche utilizzate per proteggere la casa.

Nel tempo, la tradizione si è trasformata nel “tronchetto di Natale“, dolce tipico natalizio.

Anche l’albero di Yule, decorato con luci, è alla base dell’albero di Natale odierno.

Heliopolis

La festività Heliopolis era una celebrazione religiosa che si svolgeva a Eliopoli, antica città Egizia, importante centro di culto del dio sole Ra.

Questa festività celebrava la rinascita del Sole, un evento fondamentale nella religione egizia.

Difatti, si credeva che Ra, il dio del Sole, morisse ogni notte e rinascesse ogni mattina. Durante il solstizio, la sua “rinascita” era particolarmente significativa, perché il Sole cominciava a crescere di intensità e la luce iniziava a prevalere sulle tenebre.

Questa festività celebrava, quindi, il ciclo di morte e rinascita, con riti e cerimonie che simboleggiavano la vittoria della luce e della vita sulle tenebre e sulla morte. Inoltre, i riti erano legati al concetto di rinnovamento e fertilità, dunque producevano un forte impatto sulla vita agricola e sociale dell’Egitto.

Il culto del Sole di Ra ebbe un’influenza duratura sulle religioni Egizie.

Heliopolis
Helipolis, Solstizio d’inverno. Fonte: toriaefantasydotcom1.wordpress.com/2016/08/05/antico-egitto-il-culto-del-sole/

Yalda

Il solstizio d’inverno in Persia antica, viene conosciuto come Yalda e si collega alla figura di Mitra, divinità solare.

Le tradizioni di Yalda includono riunioni familiari, durante le quali si mangiano cibi simboli di abbondanza, fertilità e prosperità.

Yalda è anche un momento di preghiera e celebrazione del rinnovamento del mondo e della speranza per il futuro.

Saturnali

I Saturnali erano una delle festività più importanti dell’antica Roma, dedicate al dio Saturno, il dio dell’agricoltura, della prosperità e del raccolto. Originariamente, i Saturnali venivano celebrati dal 17 al 23 dicembre, ma successivamente la durata delle festività fu estesa. La festa segnalava il ritorno della luce solare e il rinvigorirsi della natura, in un periodo di fine anno che anticipava la stagione del raccolto primaverile.

Durante i Saturnali, l’ordine sociale veniva temporaneamente capovolto. I ruoli tra padroni e schiavi venivano invertiti: gli schiavi potevano sedere a tavola con i loro padroni, ricevere cibi e regali, prendere parte ai festeggiamenti e ai banchetti.

Le celebrazioni erano caratterizzate da banchetti sfarzosi, giochi pubblici, doni e scambi di auguri, che si concentravano sull’allegria, l’abbondanza e la convivialità. Le case venivano decorate con luci e ghirlande.

Un altro aspetto interessante dei Saturnali era il “rex saturnalis”, il “re di Saturno”, una figura che veniva scelta tra gli schiavi o tra i membri più giovani della società e che governava per un breve periodo con autorità simbolica, guidando i festeggiamenti.

I Saturnali avevano una forte componente religiosa. Erano un’occasione per rendere omaggio a Saturno, con sacrifici nei templi e cerimonie in suo onore.

Influenze odierne

Le tradizioni antiche continuano ad influenzare la celebrazione del Natale. Lo scambio di doni, l’idea di rinnovamento e speranza, le cene festive, le decorazioni luminose sono stati e sono tutt’ora elementi fondamentali di questa festività, che affondano le loro radici in riti pagani legati al solstizio d’inverno.

 

Fonti:

https://www.ilgiardinodeilibri.it/speciali/yule-il-magico-solstizio-d-inverno-celtico.php?srsltid=AfmBOopA7FX1lsjF1nbM-DBXOmW_YZNjmr5c6ush59582Vm2DHmiBojE

“Le tradizioni del solstizio d’inverno” di Lucia Bottini

 

Il patriarcato nel codice penale: gli articoli del codice dimenticati

Nei drammi che caratterizzano l’esperienza umana sembra inscindibile la presenza di due ruoli dominanti che ne caratterizzano la trama, sia dei popoli che dei singoli individui. Trascorrono i millenni, ma è sempre chiara la persistente presenza di un oppresso e un oppressore. Un parallelo in simbiosi al dualismo archetipo tra bene e male.

Nella stessa umanità nel suo intero vi è una metà che da sempre è oppressa. Fisicamente, psicologicamente e moralmente. Quella metà sono le donne, da sempre prigioniere delle catene del patriarcato.

La realtà si fonda sui fatti non sulle opinioni

Negli ultimi anni, l’opinione pubblica si è spaccata sempre di più nella quasi patologica tradizione italiana che raffigura il suo popolo diviso, nella secolare lotta tra guelfi e ghibellini.

Il dibattito pubblico sul patriarcato ha affrontato e affronta una guerra d’informazione, di numeri, statistiche, testimonianze e opinioni. Con una sola costante, la realtà in cui viviamo è agghiacciante. I casi di Giulia Tramontano, Giulia Cecchettin, dello stupro di gruppo di una giovane ragazza a Palermo o lo stupro di due bambine a Caivano, vittime del branco, sono stati tra i casi più dibattuti che, tra il 2023 e il 2024, hanno infiammato l’arena mediatica della ”civilissima” Italia.

Oggi, chi nega il patriarcato vanta una tradizione cristiana e ancor di più l’ascendenza romana, che si esaltano come qualcosa di ”nobile”, di estremamente superiore alle altre culture.

Come fosse la civiltà cristiana, derivata a sua volta da quella romana, una civiltà estranea alle pratiche patriarcali con le quali oggi si accusano di ”inferiorità culturale e morale” i popoli non occidentali.

Gli stessi dimenticano che, tra i miti fondativi di Roma, vi sia proprio ” il ratto delle sabine”. 

 

La negazione della tradizione patriarcale e dei suoi valori.

Le figlie, le sorelle e le madri d’Italia chiedono aiuto. Pretendono la fine del patriarcato e di ogni sua conseguenza diretta o indiretta. Esauste dal subire violenza che si perpetua nel tempo, sia sul piano concreto che su quello morale e culturale.

Passano i decenni, il patriarcato cambia pelle, muta, si trasforma, ma, nella sua essenza, rimane saldamente presente nell’identità e nei caratteri comportamentali e sociali degli uomini Italiani.

Come una lotteria della sventura, il ”patriarcato ombra” premia con la morte chi ne è vittima.

Le varie associazioni e collettivi per la difesa e i diritti delle donne parlano di una cultura dello stupro radicata non solo nella società italiana, ma in tutte le società del mondo.

Possiamo affermare senza errori che non esiste una società nel mondo dove non vi sia una supremazia del sesso maschile su quello femminile.

Il patriarcato nelle sue infinite sfaccettature e sfumature resta persistente, palese o nascosto che sia alla nostra percezione. Eppure, nonostante le cronache della nostra quotidianità siano infestate da questi crimini di genere quasi con cadenza giornaliera, una parte della nostra società lo nega.

Suscitano angoscia gli indizi di malafede insiti nelle parole di negazione per l’evidenza manifesta dei fatti. La negazione del patriarcato come carattere distintivo della nostra società, ipocritamente mascherato in tutti i modi, cerca di rivolgere l’attenzione verso un capro espiatorio all’esterno della comunità maschile nazionale.

vignetta xenofoba come manifesto elettorale della Lega Nord
Progaganda xenofoba della Lega

Un cortocircuito logico: si accusa di visione ideologica, propagandando l’ideologia xenofoba

Si nega la violenza di genere, manifesta come malattia endemica nella nostra progredita civiltà occidentale. Si taccia di dogmatismo ideologico chi espone la classificazione dei femminicidi come conseguenza della cultura patriarcale. Tentano di confutare la realtà, che rimane forte dell’empiricità dei fatti, esponendo come contro tesi teorie xenofobe e islamofobe. Teorie che non si basano sui fatti, ma su una propaganda di partito chiaramente frutto di un’impostazione prettamente ideologica.

Così è accaduto che, nel giorno dell’inaugurazione dell’associazione ”Giulia Cecchettin”, a un anno dalla sua morte, durante la cerimonia tenutasi in sede istituzionale, si è assistito all’intervento surreale del Ministro dell’Istruzione. Un intervento che avrebbe dovuto mandare un messaggio agli studenti e alle studentesse, per sensibilizzare e far riflettere sulla piaga che affligge le nostre strade e le nostre case. Una presa di posizione dogmatica, trasformatasi in una negazione del problema nazionale, minimizzandolo e deviando la colpa di tali crimini sulle minoranze.

 Ancora una volta, si sono strumentalizzate le vittime per fini ideologici. 

Il ministro ha rivestito il ruolo di portavoce di una certa narrazione. Ha esposto le sue convinzioni ideologiche, tacciando allo stesso tempo di visione ideologica un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti.

Sembra quasi irrilevante che i quattro casi tra violenze sessuali e femminicidi sopracitati siano stati commessi tutti da giovani maschi bianchi italiani.

Errori e orrori storici

In questo controverso audio-messaggio per l’inaugurazione dell’associazione ”Giulia Cecchetin”, si è chiusa la questione del patriarcato derubricandolo come un fenomeno anacronistico e non più esistente nella società e nell’ordinamento italiano.

Si è affermato che le torsioni patriarcali siano terminate con le modifiche del diritto di famiglia, nel 1975 .

È stata citata la Costituzione, rivolgendosi alle minoranze e ammonendole, e si è sottolineato che la nostra carta costituzionale non ammette disparità tra i sessi.

Eppure le disparità vigenti sono evidenti. Come ”il gap salariale”, giusto per citarne una platealmente evidente. Tuttavia, affermare che il patriarcato sia finito nel 1975 è un grave errore storico per un Ministro dell’Istruzione. 

Nel codice penale italiano, risalente al 1930 e frutto del regime fascista, tutt’ora vigente anche se con numerose modifiche, sono sopravvissute norme  che chiamarle patriarcali è riduttivo.

Sarebbe più corretto definirle norme barbariche, interpretate in processi degni dei tribunali della Santa Inquisizione.

Nel dibattito pubblico è assente il ricordo del “delitto d’onore” e del “matrimonio riparatore” oltre ad altre disparità di genere previste dal codice penale e civile rimaste in vigore ben oltre il 1975.

 

Il reato di stupro è stato un reato contro la morale e non contro la persona fino al 1996

Sembra quasi che venga omesso, per favorire la narrazione del patriarcato ormai abolito. Colti da amnesia collettiva, o forse da una malafede selettiva, si omette che lo stupro non è stato considerato reato contro la persona, ma solo contro la morale fino al 1996.

Sebbene nel sistema dell’Istruzione italiano, l’insegnamento della disciplina storica venga ridotto di legislatura in legislatura, è bene fare un piccolo focus su cosa è stata la società italiana per le donne fino al 1981

Comprendere le dinamiche storiche, sociali e culturali dell’Italia resta fondamentale per comprendere perché dopo quarantaquattro anni riemergano correnti di pensiero che negano la persistenza del problema.  

Vi sono forze politiche, oggi ”rivalutate” grazie al revisionismo storico, che strumentalizzano la questione femminile e issano bandiere morali, al fine di condurre battaglie ideologiche, dove si inneggia alla difesa della donna, per legittimare politiche razziste.

Non si può dimenticare che la conquista del diritto al divorzio e la norma che lo regolava fu votata dal parlamento nel 1970 e ha visto il voto a favore di tutti i partiti politici ad eccezione del partito democristiano (ormai sciolto) e del movimento sociale italiano, chiamato oggi Fratelli d’Italia e dal 2022 partito alla guida del governo.

 

manifesto per il referendum per abrogare la legge sul divorzio
Manifesto del movimento sociale italiano sul referendum del 1974 per abrogare il diritto al divorzio

 

Cosa è stato il delitto d’onore ?  

Codice Penale, art. 587
Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’Onore suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.  

 

Fino al 1981, lo Stato italiano prevedeva nel suo codice penale delle attenuanti per i femminicidi commessi da fratelli, da padri o mariti, nel caso in cui avessero visto l’onore della propria famiglia compromesso. Nello specifico, si trattava di un onore leso ”scoprendo” la propria figlia o sorella o moglie intente a consumare rapporti carnali illegittimi. Onore che sarebbe stato ripristinato con la morte della disonorata.

In Italia, il delitto d’onore prevedeva una pena di appena tre anni, con un massimo di sette anni.

A compromettere l’onore della famiglia erano solo le figlie

Iconica è la particolarità del delitto d’onore commesso dal padre nei confronti della figlia. Il delitto d’onore era classificato tale solo se a essere sorpresa a far sesso fuori dal matrimonio fosse la figlia. Il delitto d’onore non era tale, infatti, se a essere sorpreso in atti extraconiugali fosse stato il figlio.

A disonorare la famiglia con il sesso extraconiugale, per la legge, erano solo le donne.

Queste norme pongono una pietra tombale su ogni dubbio inerente all’intensità dell’oppressione maschile sulle donne. 

 

Il divorzio all’italiana

Paradossale ed estremamente tragica quanto reale fu l’impossibilità, fino al 1970, nell’ordinamento giuridico italiano, di divorziare. Tanto che, alle volte, alcuni uomini uccidevano la ”propria” moglie, rassicurati dalle le pene ridicole previste quando si fosse dimostrata l’infedeltà della donna.

Nell’impossibilità di divorziare, gli uomini, immersi in una società loro complice, alle volte ricorrevano a tali crimini. Iconico resta il celebre film del 1961 Divorzio all’italiana.

manifesto cinematografico film divorzio all'italiana 1961
Manifesto cinematografico del film Divorzio all’italiana, 1961

 

 Il reato di stupro e il matrimonio riparatore

Articolo 544 – “Matrimonio riparatore”
Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio che l’autore del reato contragga con la persona offesa estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali. 

 

Spesso accadeva che le donne, sorprese in atti carnali extraconiugali, fossero vittime di stupro. Lo stupro non rendeva, però, la famiglia immune dallo stigma dell’onore violato.

La donna veniva considerata comunque colpevole.

La visione medievale della ”donna meretrice” era radicato nella società, fino alle sue più profonde radici. Inoltre, l’ordinamento giuridico offriva un condono per il carnefice. Se lo stupratore, una volta scoperto l’atto carnale compiuto, contraeva matrimonio con la sua vittima, il suo reato veniva estinto.

 

Il condono previsto dalla legge per gli stupratori

Possiamo affermare che i legislatori avevano previsto una sorta di ”incentivo” al matrimonio, proponendolo come salvacondotto per gli autori di reati sessuali.

Sconvolgente che nell’Italia cattolica, se lo stupro commesso era di gruppo e un membro del branco contraeva matrimonio con la vittima, automaticamente tutti gli autori dello stupro di gruppo erano assolti.

In questa storia degli orrori, che ha rappresentato la storia d’Italia fino al 1981, amaramente si constata che le vittime di stupro regolarmente accettavano questi matrimoni.

Ragazze, spesso anche bambine, sono state costrette ad accettare. Non era sufficiente la possibilità di venire ammazzate dai propri familiari, colpevoli di un atto che spesso gli veniva imposto contro la loro volontà.

Analizzando la società dell’epoca, si giunge alla conclusione che non avevano  scelta.

Opporsi al matrimonio riparatore, anche in caso di stupro, significava condannarsi allo stigma sociale.

Una società, quella italiana, che rifletteva secoli di cattolicesimo oscurantista, poi evolutasi nella società fascista del ventennio e, infine, tramutatasi nella Repubblica dominata dalla democrazia cristiana. Faceva sì che le famiglie italiane che componevano tale società le avrebbero diseredate, mandandole via di casa.

 

Vittime, sia del carnefice che della società. In ogni caso, la condanna era a vita

Non accettare il matrimonio riparatore comportava che non avrebbero trovato lavoro, che fossero diseredate dalle famiglie e spinte ai margini, con la consapevolezza che nessuno le avrebbe sposate, avendo loro colpevolmente perso la loro “verginità”.

Tale coercizione imposta dalla realtà sociale imponeva il ricatto. Se non avessero accettato il matrimonio col proprio carnefice per sopravvivere, non sarebbe rimasta che la via della prostituzione.

Le vittime, intrappolate dalla certezza del diritto dell’epoca, non erano vittime una volta sola: divenivano vittime a vita, condannate a sposarsi e a vivere col proprio violentatore per sempre.

Senza dimenticare la perenne minaccia di poter essere ammazzate, quasi impunemente, dal loro carnefice se mai si fossero innamorate di qualcuno nel corso della loro vita, cercando, per sfuggire all’incubo della loro vita, solo un po’ d’evasione nell’amore clandestino.

Queste leggi hanno reso possibili pratiche medievali, perché rendevano possibili i matrimoni forzosi. Non pochi furono i casi di uomini che costringevano le donne a sposarli. Era pratica comune: era sufficiente stuprarle e, poi, comunicarlo alla famiglia, e il gioco era fatto. Non vi era bisogno di corteggiarle.

Analizzare la storia della società italiana, della sua morale e delle sue leggi, ci mostra senza equivoci che non siamo culturalmente così lontani da paesi come l’Afganistan o il Pakistan, con il quale gli italiani di oggi si misurano per celebrare la superiorità morale della civiltà occidentale di tradizione cristiana.
 

 Il caso di Franca Viola

Molteplici sono i casi che, nel corso degli anni ’50, ’60 e ’70 i quali hanno scandalizzato la società piccolo borghese di discendenza fascista, quale è ed è stata l’Italia.

Casi che hanno smosso l’opinione pubblica, portando con grandi difficoltà alla conquista di diritti basilari che, sembra assurdo, fino al 1981 sono stati negati.

Il più importante, tra tutti, è stato il caso di Franca Viola, giovane ragazza siciliana che, rapita a stuprata dal branco, fu la prima a rifiutare il matrimonio riparatore.

Il suo rifiuto ha scandalizzato l’opinione pubblica. Denunciando i suoi carnefici, affrontando il processo e subendo la gogna pubblica, riuscì a mettere in dubbio le consuetudini patriarcali.

foto dell'articolo del giornale la stampa
“Mia figlia non sposerà mai l’uomo che l’ha rapita e disonorata”, La Stampa

Il documentario Rai: ”processo per stupro”

A far comprendere all’opinione pubblica italiana quanto fosse arretrato e patriarcale l’ordinamento giuridico, spogliandolo delle attenuanti e ponendo in risalto la necessità di riformarlo, fu fondamentale la messa in onda, nel 1979, di un documentario della Rai, girato in tribunale e intitolato “processo per stupro”.

Tuttavia solo nel 1981, questi due barbari articoli del codice penale italiano furono abrogati.

Estratto documentario Rai ”Processo per stupro”

Abrogare una norma giuridica non basta a cancellare una norma culturale

Purtroppo, si è abolito un articolo, non un costume. Non si è abolito il senso di superiorità del genere maschile sul genere femminile, né è stato eliminato quell’istinto animale di prevaricazione del più forte sul più debole.

Non basta abolire una norma per far sì che la consuetudine oppressiva, insita nella nostra società e di ascendenza millenaria, scompaia come se non fosse mai esistita. Né è sufficiente far finta che certe barbarie non siano mai esistite in Italia. Barbarie, ricordiamo, così diffuse e comuni tanto da essere state previste dal nostro codice penale.  

 

Il legame tra antifascismo e antisessismo

In Italia, assistiamo a esercizi di retorica, da parte di chi riveste ruoli istituzionali, in favore delle donne. Veri e propri sofismi sull’importanza della parità di genere, vuoti del significato dell’atto concreto di cambiare le cose.

Spesso, chi riveste tali ruoli non riesce, anzi, si rifiuta categoricamente di dichiararsi antifascista.

Il grado di civiltà e il carattere di determinate correnti politiche lo si misura dalle leggi che le stesse hanno proposto.

Tra le colpe ingiustificabili, imputabili alla canaglia fascista, non vi sono solo le leggi razziali, ma anche le leggi di genere, come le sopra citate. Leggi che prevedevano il dominio e il possesso della donna come un mero oggetto alla mercè del maschio italico.

Dichiararsi antifascisti significa dichiararsi automaticamente antipatriarcali, antisessisti e femministi. Non si può essere antisessisti e non essere antifascisti.

Non parliamo di errori in corso d’opera commessi dal fascismo: parliamo del suo codice penale. Un codice sapientemente studiato e programmato. Né dimentichiamo il codice civile fascista, divulgato nel 1942  anch’esso tuttora vigente nell’ordinamento giuridico italiano.

Non basta aver apportato modifiche e continuare ad apportarle, mantenendo il telaio repressivo che il nostro ordinamento prevede. L’Italia, per fare i conti col proprio passato, dovrebbe adottare un nuovo codice civile e penale. Proprio per ristabilire quell’onore nazionale, violato da quel regime che ha permesso e agevolato tali crimini contro le sue figlie.

 

Fonti:

https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:regio.decreto:1930-10-19;1398 

https://www.gazzettaufficiale.it/sommario/codici/codicePenale

 https://it.wikipedia.org/wiki/Codice_penale_(Italia)

https://it.wikipedia.org/wiki/Delitto_d’onore

https://www.thewom.it/culture/wompower/fondazione-giulia-cecchettin

https://www.robadadonne.it/225349/matrimonio-riparatore-storia-abolizione/

Il dono dello spettro autistico: Andy Warhol, il padre della Pop Art

Essere autistici non è un limite, bensì un dono.

Questa serie di articoli, oggi al primissimo numero, vi narrerà di grandi personaggi che hanno fatto la cultura del mondo e di come il loro appartenere allo spettro autistico li abbia condotti a scrivere le pagine della nostra storia.
Per l’autrice del filone il dono dello spettro autistico, “diverso” non è mai “sbagliato”.

Cari lettori, accomodatevi! Ve lo dimostrerò solo scrivendone.

Rappresentazione di un cervello neurodivergenteFonte: https://www.dirime.com/wp-content/uploads/2022/12/Il-dibattito-sulla-neurodivergenza-tra-priorita-e-nuove-narrazioni.jpg
Rappresentazione di un cervello neurodivergente
Fonte: https://www.dirime.com/wp-content/uploads/2022/12/Il-dibattito-sulla-neurodivergenza-tra-priorita-e-nuove-narrazioni.jpg

 

Neurodivergenza e spettro autistico

A fine 2024, l’informazione scientifica corre repentina e, fortunatamente, leggiamo e sentiamo parlare sempre più spesso di terminologie come “neurodivergenza” o “neuroatipico”.

Ma cosa significano queste parole?

Nella sconfinata eterogeneità umana, ci accorgiamo che molteplici persone condividono un determinato numero di caratteristiche rispetto ad altre, quelle che la società ci impone come concetto di “normalità”, ovvero un’utopia.

Se è vero che la maggioranza degli individui percorre uno sviluppo neurologico che può essere considerato tipico, una parte minore della popolazione (che alcuni situano tra il 15 e il 20%), invece, condivide uno sviluppo neurologico sotto certi aspetti differente dalla maggioranza, descritto da un punto di vista statistico come atipico.

Queste persone sono definite neuroatipiche o neurodivergenti. Tra loro possiamo trovare individui autistici, ADHD, con disturbi specifici dell’apprendimento, eccetera.

Nell’ultima edizione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) ormai non si parla più di autismo” ma di disturbi dello spettro autistico”. Una definizione, che indica una serie di condizioni caratterizzate da difficoltà di comunicazione e interazione sociale, e da comportamenti limitati e ripetitivi che possono affliggere un soggetto, che elimina la classificazione in tipologie, riportata nella versione precedente del manuale.

Tenendo presente che questa classificazione dell’autismo in tipologie è ormai obsoleta, la penultima edizione del DSM dedicava una trattazione ai disturbi pervasivi dello sviluppo, i quali comprendevano nello specifico: autismo, sindrome di Asperger, sindrome di Rett, disturbo disintegrativo dell’infanzia e disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato.

Il DSM-5 distingue, in base a dei parametri, tre livelli di gravità dell’autismo: livello 1, un tempo detto anche ad alto funzionamento; livello 2, ovvero medio funzionamento; e livello 3, che chiamavano basso funzionamento.

Andy WarholFonte: https://hamiltonselway.com/wp-content/uploads/2017/08/Warhol.jpg
Andy Warhol
Fonte: https://hamiltonselway.com/wp-content/uploads/2017/08/Warhol.jpg

Andy Warhol, il padre della Pop Art

Andy Warhol è stato uno dei più importanti artisti americani del XX secolo, ed è riconosciuto come il padre della Pop Art.

Cambiò l’idea stessa di artista, che per la prima volta divenne imprenditore di sé stesso.

Warhol era dotato di un’abilità comunicativa non comune e di una grande capacità di osservazione, costruendosi, grazie a queste, un’immagine da “divo”, prima che di semplice artista.

Nasce a Pittsburgh il 6 agosto 1928. Sin dai primi anni della sua vita, sviluppa una vocazione per l’arte, che lo porterà a dedicarvisi a 360º. Spazia dalla pittura alla grafica, dall’illustrazione alla sceneggiatura, fino alla regia e molto atro.

La sua carriera ha inizio a New York, quando comincia a lavorare come grafico pubblicitario presso alcune riviste, come Vogue e Glamour.

Dal mondo della comunicazione esordì il suo tratto distintivo: il linguaggio impersonale, volto a fare un tipo di arte che fosse registrazione “oggettiva” della realtà.

Innumerevoli le sue opere, di cui ne passeremo in rassegna solo poche delle più iconiche giusto per farvi assaggiare il genio del personaggio e della persona dietro al personaggio.

Andy, durante la sua vita, circondato da altri con cui scambiare suggerimenti ed idee, lavorò alla Factory con ritmi serrati, da “catena di montaggio”.

La Factory era una open house,  uno “spazio ideologico” libero, dove le nozioni della Pop Art diventavano vita giornaliera.

Il gruppo era un nucleo con un linguaggio comune, uno stile fondato sull’accettazione di qualsiasi comportamento, senza pretese o giudizi. Chiunque era invitato a partecipare e, per questo, da qui nacquero e passarono diversi personaggi di spicco dell’epoca, tra cui Bob Dylan, David Bowie e Keith Haring.

Nel giugno 1968, Warhol e il suo compagno vennero feriti con una serie di colpi d’arma da fuoco dalla femminista Valerie Solanas. L’incidente danneggiò tutti i principali organi interni dell’artista e segnò profondamente la sua vita, facendolo sentire a tutti gli effetti un “sopravvissuto”.

Andy Warhol morì a New York, avvolto nel suo velo di “mistero” e timidezza, il 22 febbraio 1987, in seguito a un intervento chirurgico alla cistifellea.

Dopo la morte, la sua fama crebbe a tal punto da renderlo il secondo artista più comprato e venduto, dopo Pablo Picasso.

Quattro lattine di Coca Cola, Andy Warhol
Quattro lattine di Coca Cola, Andy Warhol

 

Opere del genio

Tramite tecniche di produzione industriale come la serigrafia su tela, Andy raffigurava oggetti di uso comune e alla portata di tutti i ceti sociali in serie, alterandone il colore, come detersivi, zuppe Campbell o Coca-Cola. Secondo le sue ideologie, infatti, l’arte doveva essere di immagini oggettive e “pronte alla consumazione”. Come un prodotto da supermercato, insomma.

Ben presto gli oggetti e le persone da lui raffigurati diventarono icone del modo di vivere americano.

Dittico di Marilyn, Andy Warhol, 1962
Dittico di Marilyn, Andy Warhol, 1962


Tra le persone raffigurate nelle opere del maestro di questa Pop Art, ricordiamo, per esempio, Marilyn Monroe.

Andy era così interessato a mostrare nelle sue opere prodotti di largo consumo che non poteva perdere l’occasione di mostrare l’attrice come un altro prodotto della cultura popolare, come si può vedere nel suo primo lavoro sull’attrice “Dittico di Marilyn”.

Non si trattò di un vero e proprio ritratto, quanto piuttosto della riproduzione della sua immagine pubblica, diffusa dai media, sempre in serie, per compiacere gli ammiratori.

Sleep, Andy Warhol, 1963
Sleep, Andy Warhol, 1963

La pratica del distacco emotivo fu principale nel modus operandi di Warhol: anche i suoi prodotti cinematografici ne sono testimonianza.

Uno dei suoi lavori d’avanguardia, “Sleep”, del 1963, mostra un uomo che dorme per cinque ore e venti. Girato senza sonoro, con caratteristiche che rallentano e amplificano l’immagine del film, che viene percepito in un tempo lunghissimo e oggettivamente.

Diagnosi e controversie

Esperti come Judith Gould, direttore del principale centro diagnostico per l’autismo nel Regno Unito, insistono sul fatto che sia palese che Andy Warhol fosse autistico, seppur la sua è solo una diagnosi post mortem.

In fin dei conti, il mantra dell’artista è ben chiaro: fissazione e ripetizione dei concetti, distacco emotivo, impersonalità.

Gran parte del lavoro dell’artista verte sulla ripetizione, sulla quale solitamente si concentrano i comportamenti delle persone autistiche.

Nelle interviste, inoltre, è facile notare che il padre della Pop Art replicava quasi sempre alle domande con risposte monosillabiche. Forse prova della sua dislessia verbale, comune tra le persone nello spettro?

Tuttavia, non è unanime il pensiero che Andy fosse autistico. Coloro che sostengono questa diagnosi postuma suggeriscono che il diverso modus operandi di Warhol sia stato calcolato nel tentativo di “aumentare il senso del suo mistero”.

Fonte: https://www.metododanielenovara.it/wp-content/uploads/2024/03/Ripensare-le-diagniso-sullautismo-scaled.jpg
Fonte: https://www.metododanielenovara.it/wp-content/uploads/2024/03/Ripensare-le-diagniso-sullautismo-scaled.jpg

Non bisogna guardare alla diagnosi di spettro autistico come un difetto della persona in questione o qualcosa che necessariamente segnerà in maniera negativa la sua esistenza, ma come un punto di forza, di acuta distinzione dalla massa.

Notate bene, affermando ciò non intendo “spettacolarizzare” questa condizione umana, bensì ricordare che una neurodivergenza, una diversità, non definisce l’individuo.

Magari, neurodivergente che stai leggendo, la tua serrata abitudine di uscire di casa tutti i giorni esattamente alle 7.44 del mattino, oggi, potrebbe essere vista come un’ossessione… Ma chissà che diventi il tuo marchio di fabbrica, il tratto distintivo della tua popolarità, domani.

Fonti:

https://specialisterneitalia.com/autismo-neurodiversita-e-neurodivergenza/

Autismo e disturbi dello spettro autistico: di cosa si tratta?

https://www.finestresullarte.info/arte-base/andy-warhol-vita-opere-padre-della-pop-art

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Andy_Warhol

Le 30 persone nello spettro autistico più famose della storia

I gitani, una cultura tra musica e libertà

Il termine Gitano ha un qualche collegamento diretto con il concetto di libertà, una cultura senza restrizioni.
Sebbene molti lo siano, non tutti i gitani sono, però, nomadi. Non tutti vivono in roulotte, tende o vagoni.

La verità è che negli ultimi mille anni, i gitani si sono spostati da un paese all’altro, principalmente a causa della persecuzione e della schiavitù.

I gitani, o più comunemente detti Gipsy, sono famosi per la loro ospitalità, la loro musica e il modo di fare festaiolo che tira dentro il loro mondo chiunque ne entri a contatto.

Nonostante sia difficile definire il suo stile e i suoi parametri, la musica Gipsy è passata almeno una volta nelle nostre orecchie. Mista nel suo genere ma caratterizzata da virtuosismi, cambi di tempo, gradi di scala alterati e strutture armoniche più complesse, modifica la musica esistente per portare qualcosa di nuovo e mai sentito prima.

I testi delle canzoni dei gitani sono spesso cantati in uno o più dialetti della loro lingua, e la danza, in particolare il flamenco, accompagna spesso la performance.

La musica Gitana varia in base alle zone in cui nasce, ma ci sono dei tratti caratteristici ineguagliabili.

L’uso di tre voci o parti: la linea melodica, la parte strumentale e quella vocale. La sincope che è un metodo musicale secondo cui la musica inizia subito dopo un battito, mantenendo un ritmo coerente. La capacità di suonare la musica con frasi diverse, e questo significa che l’ingresso e l’uscita di diversi temi musicali sono percepiti in momenti diversi durante una canzone, attraverso il ritmo o gli strumenti. L’armonia, nella quale viene usato un accordo minore invece di un accordo maggiore. Ed infine il canto, dove si enfatizzano le naturali capacità vocali.

Da dove nasce la musica gitana: i Baliardo e i Reyes

La musica gitana prende piede grazie a Ricardo Baliardo o, per meglio dire, Manitas de Plata. Chitarrista francese di flamenco che fu notato in America e riuscì così a registrare i suoi primi dischi, Ricardo era il fratello dei Baliardo e il cugino dei Reyes. È proprio così che inizia la generazione dei Gipsy Kings, una band di rumba catalana che per molti anni è stata composta da una famiglia unita.

I Reyes e i Baliardo, famiglie imparentate tra loro, sono di origine catalana, ma lasciarono il paese durante la guerra civile spagnola, istallandosi, poi, in Francia.

I piccoli Reyes nacquero e crebbero con la musica nel sangue. Il padre Josè Reyes trovò una casa discografica e in questo modo riuscirono a incidere il loro primo album.

I Gipsy Kings si componevano dei fratelli e di quello che per Josè Reyes era un figlio adottivo, Chico Bouchiki, che, dopo un forte litigio, si allontanò, mantenendo comunque un rapporto familiare intatto.

Dal 1978, suonano in giro per il mondo, portando quello che è a tutti gli effetti uno stile unico. Una fusione di rumba flamenca, flamenco tradizionale e musica pop.

Nonostante le varie critiche ricevute nel corso degli anni, i Gipsy Kings riuscirono a conquistare la Francia, e non solo, con Bambolèo, fino a rielaborare in chiave flamenco una dedica tutta italiana, Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno.

Rimasero nelle classifiche americane per ben quaranta settimane e portarono avanti la loro carriera, iniziando da feat con cantanti italiani come Gigi D’Alessio, fino a lavorare con la Disney per Toy story 3.

Nel 2006, abbiamo il loro ultimo album.

Da quel momento, ogni fratello ha composto un suo gruppo personale, con cui tutt’ora lavora. Pablo Reyes, ad esempio, uno dei fondatori, continua a girare il mondo, portando la sua musica, con il suo gruppo Gipsy Kings way e così tutti gli altri componenti.

Fonti: 

https://www.eroicafenice.com/salotto-culturale/la-cultura-dei-gitani-un-viaggio-tra-musica-e-tradizioni/

https://en.wikipedia.org/wiki/Manitas_de_Plata

https://it.wikipedia.org/wiki/Gipsy_Kings

Dino Buzzati: sogni e attese nei suoi Sessanta racconti

Quando Dino Buzzati pubblica, nel ’58, Sessanta racconti ha già alle spalle un’avviata carriera. La sua produzione è cospicua sia per la prosa lunga – il suo capolavoro, Il deserto dei Tartari, è approdato in libreria nel ’40 per la Rizzoli – sia per quella breve, avendo infatti già scritto diverse sillogi.

“Sono le 57 e un quarto”

I temi trattati dallo scrittore bellunese sono legati quasi tutti a un mondo fiabesco e puro, che probabilmente lo scrittore apprendeva dall’osservare la natura incontaminata durante le sue passeggiate in montagna.

Tuttavia, quella che potrebbe sembrare una realtà tranquilla, di nuvole e natura serena, copre un mondo spesso angosciante, duro e giudicante. Lo si nota in particolare in Non aspettavano altro, in cui i due protagonisti vengono torturati per un crimine inesistente. Questo racconto, come altri, ha quell’aria angosciosa tipica degli incubi: sono da sogno, infatti, la sensazione di impotenza quanto l’urlo che muore in gola prima ancora di poter essere lanciato.

Dino Buzzati. Fonte: Archivio Farabola

Sempre riguardo al tema dell’incubo, che è tra i più frequenti nella raccolta, notiamo uno degli aspetti più condivisibili della narrativa buzzatiana. A chi non è mai successo di leggere, mentre sognava, orari impossibili sugli orologi? È quello che capita al Buzzati-personaggio in All’idrogeno, dove ” Sono le 57 e un quarto “.  È in questo racconto che brilla un aspetto fondante della raccolta: l’attesa, onirica e frequente, di un qualcosa di sconosciuto, il dover andare ad un ritmo non sempre sentito come personale.

Nei sogni come nella veglia, quasi tutti i personaggi di Buzzati sono spettatori di un mondo di cui non sono veramente parte attiva, che difficilmente è comprensibile o giustificabile, appunto, come un incubo in cui l’orologio punta le 57 e un quarto.

La quotidiana ipocrisia in Dino Buzzati

In Buzzati l’inquietudine nasce proprio da quella normalità borghese che permeava la quotidianità che lo stritolava nella noia. Sono le piccole differenze dal normale vissuto a stupire i protagonisti, spesso portandoli a vere e proprie crisi esistenziali. Basta un’anomala goccia che sale le scale a turbarci (nel racconto Una goccia) o anche il progredire in una fantasia sfrenata da bambini, che porta al disastro (ne Il borghese stregato). È nella vita di tutti i giorni, quella in cui si annidano le paure più morbose, recondite o imbarazzanti, che i personaggi alieni o fantastici fanno emergere l’ipocrisia della vita di quotidiana.

Sono voci misteriose, o mostri insospettabili, a far sparire gli idilli in cui si nascondono i protagonisti di una silloge in cui perfino gli insetti hanno una loro rivalsa sulla tracotanza umana.

Il colombre disegnato da Dino Buzzati.
Il colombre disegnato da Dino Buzzati.

I non idilli di Dino Buzzati e Italo Calvino

Leggere Sessanta racconti non può che farci sentire i più piccoli abitanti di un cosmo senza limiti, ma sicuramente anche i più arroganti e ottusi. Questa, in fin dei conti, è anche la più grande differenza con il fantastico in Italo Calvino: se Buzzati parte dal quotidiano per “far urlare il più possibile gli oggetti familiari” (citando una frase di Magritte) fino ad arrivare al mondo delle fiabe, Calvino attraverso il fiabesco ci parla del quotidiano.

Sarebbe un grande errore, d’altra parte, credere che gli scritti di Buzzati siano leziose e pedanti critiche. Dietro l’angoscia o la più pura ansia di alcuni racconti ci sono vere e proprie perle di una fantasia sfrenata che mira semplicemente a divertire e che non può essere chiusa nelle maglie di uno spicciolo moralismo.

Carlo Rotondi

L’umanità e il ciclo della guerra

L’Insegnamento del Dolore

 

Fonte: https://www.elconfidencial.com/cultura/2018-10-23/robert-capa-fotografia-segunda-guerra-mundial-frank-scherschel_1634364/

 

L’essere umano, sin dai suoi albori, ha vissuto l’atrocità della guerra come un marchio indelebile sulla propria storia. 

Le cronache antiche raccontano di battaglie sanguinose e conflitti che hanno segnato il destino di intere civiltà.
Da Omero, che nella “Iliade” descrive il dolore e la perdita di vite umane, a Tolstoj, il cui “Guerra e Pace” offre una riflessione profonda sulla condizione umana in tempo di conflitto. La letteratura ha sempre cercato di catturare l’essenza della sofferenza causata dalla guerra.

Eppure, la storia sembra ripetersi.
Le attuali guerre in Ucraina e Palestina riaccendono la discussione su quanto, realmente, abbiamo imparato dal nostro passato.

Il sangue versato nel corso dei secoli potrebbe suggerire che, in effetti, l’umanità tende a ripercorrere gli stessi sentieri di violenza. L’atroce ciclo della guerra sembra non avere fine, e ci si chiede: perché l’uomo continua a imporsi con violenza?

La risposta è complessa e affonda le radici nella nostra natura.

Come scrisse Erich Fromm, “l’uomo è un animale sociale, ma è anche un animale aggressivo”.

Questa dualità ci porta a esplorare le ragioni che spingono le nazioni e i popoli a risolvere le proprie divergenze attraverso l’uso della forza. L’umanità, anziché apprendere dalla sofferenza, sembra a volte rimanere intrappolata in un ciclo di vendetta e ritorsione.

Il conflitto in Ucraina e la situazione in Palestina evidenziano il dramma di popoli oppressi e combattenti, ognuno con le proprie ragioni, le proprie sofferenze, ma anche le proprie speranze. La questione è se, davanti a tanta desolazione, si possa davvero intraprendere un percorso di dialogo e comprensione reciproca.

Gandhi, con la sua filosofia di non violenza, ci ricorda che “la vera forza non consiste nel colpire, ma nel resistere alla tentazione di farlo”.

Eppure, la tentazione è spesso irresistibile.

Il dolore e la perdita che derivano dalla guerra hanno la capacità di risvegliare in noi una compassione profonda, ma il rischio è quello di trasformare questa empatia in una reazione di difesa e aggressività.

L’insegnamento del passato, quindi, non dovrebbe essere solo un monito, ma un’opportunità di riflessione.

Come scrisse Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, perché solo attraverso la conoscenza possiamo sperare di spezzare il ciclo della violenza.

Fonte: https://glamourdaze.com/2018/05/heroic-hardass-women-of-ww11.html
Fonte: https://glamourdaze.com/2018/05/heroic-hardass-women-of-ww11.html

Abbiamo la responsabilità di guardare alla storia non solo come un catalogo di atrocità, ma come un insieme di lezioni da apprendere. Ogni conflitto, ogni guerra, dovrebbe insegnarci a cercare alternative alla violenza, a promuovere il dialogo e la pace.

La vera sfida è quella di trasformare il dolore in comprensione, di utilizzare la sofferenza come carburante per costruire ponti anziché muri.

In questo momento critico, in cui la guerra continua a mietere vittime, è fondamentale che l’umanità si fermi a riflettere.

Dobbiamo chiederci: cosa abbiamo imparato? Possiamo costruire un futuro in cui la guerra non sia più una risposta?

La risposta è nelle nostre mani. Solo attraverso il dialogo e la comprensione reciproca possiamo sperare di superare il passato e costruire un mondo in cui il sangue versato non sia stato vano, ma diventi il seme di una nuova era di pace e coesistenza.

 

Soldato in guerra Fonte: https://cherrieswriter.com/bdf1c94a093ab348eec161f2057bfd14/
Fonte: https://glamourdaze.com/2018/05/heroic-hardass-women-of-ww11.html

Nel cuore dell’Europa, dove la storia è costellata di cicatrici profonde, la nostra società si trova oggi di fronte a una sfida cruciale: la difesa dei diritti umani.

Gli eventi che hanno segnato il Novecento ci ricordano che il sangue versato per la libertà non deve essere dimenticato. Ogni passo indietro in termini di diritti civili è un passo verso l’oscurità, un’involuzione che nessuno di noi può permettersi.

In un momento in cui il mondo sembra essere lacerato da conflitti e divisioni, l’Italia deve essere un faro di speranza.

Dobbiamo rispondere all’odio con l’amore, alla paura con la compassione. Ogni persona merita di essere ascoltata, ogni storia merita di essere raccontata. Non possiamo lasciare che la narrazione sia dominata dalla disumanizzazione e dall’indifferenza.

Riflettiamo, dunque, sulle nostre scelte e sul futuro che vogliamo costruire.

L’umanità ha pagato un prezzo altissimo per i diritti che oggi diamo per scontati. Non dimentichiamo, non voltiamo le spalle. Lottiamo insieme per un’Italia che rappresenti davvero tutti, dove il rispetto e la dignità siano i pilastri su cui costruire la nostra società. La nostra voce è potente; usiamola per promuovere la pace e i diritti di ogni individuo.

Dracula – L’icona dell’horror tra letteratura e cultura popolare

Chi è il Conte Dracula?

Dal romanzo di Bram Stoker del 1897, il Conte Dracula è diventato un vero e proprio mito del genere horror. Un personaggio enigmatico che incarna le paure dell’epoca vittoriana, catturando l’immaginazione di generazioni di lettori.

Ma cosa rende Dracula così affascinante?

Parte del suo successo deriva dalla sua natura duale di mostro e seduttore, e, in particolar modo, dal suo profondo legame con la tradizione folcloristica dei Paesi dell’Est Europa.

Le origini di questa figura sono, però, molto più remote: il vampiro ha terrorizzato l’umanità sin dai tempi antichi.

Scrittori come Eschilo, Omero e Orazio ne fecero menzione. Per i Greci era considerato una vera e propria maledizione. Nel Medioevo, si usava esorcizzare le spoglie di chi era sospettato di vampirismo, praticando rituali che prevedevano l’inserimento di un punteruolo nel cuore.

È probabile che l’opera di Stoker prenda ispirazione da una paura generalizzata e profondamente radicata nei confronti del vampiro. Questa figura inquietante non rappresenta solo un mostro, ma incarna anche tematiche universali. Il Conte Dracula è, infatti, una potente metafora di transizione, situato al confine tra vita e morte.

La sua presenza misteriosa e trasgressiva invita a confrontarsi con le paure di un’epoca in rapido cambiamento, divenendo un simbolo estremamente complesso.

 

Vlad III Dracula

Ma è tutta finzione? In realtà, la figura di Dracula è legata a vari personaggi storici, in particolare a Vlad III Principe di Valacchia. Egli prese il soprannome di Draculea dal padre, noto come Dracul per il suo legame con l’ordine del Drago. Tuttavia, nella mitologia rumena la figura del drago non esisteva e il termine Dracul designava il diavolo.

Vlad III si distinse per la sua spropositata crudeltà. Dalle cronache dell’epoca è raffigurato come un torturatore che beveva il sangue delle sue vittime. Durante i tre periodi in cui regnò, per un totale di sette anni, condannò a morte oltre 100.000 persone, la maggior parte dei casi per impalamento.

 

Vlad III, Principe di Valacchia
Vlad III, Principe di Valacchia

Il romanzo di Bram Stoker

Il romanzo di Bram Stoker è raccontato attraverso lettere e diari. In particolare, quelli di Jonathan Harker, il quale si reca in Transilvania per un affare con il Conte Dracula.

Nonostante gli avvertimenti degli abitanti, Harker incontra Dracula, che si mostra inizialmente ospitale. Ben presto, però, realizza di essere prigioniero nel suo castello e parte del piano diabolico del suo padrone. Il Conte Dracula è un vampiro con poteri soprannaturali ed intende andare a Londra per trovare nuove vittime e creare un esercito di vampiri.

In una lotta per mettere fine al suo piano di vampirizzazione, i vari personaggi si susseguono fra le pagine dando vita al primo romanzo horror nella storia della letteratura. Oscuro, voluttuoso e venato di gotico, il Conte Dracula è, infatti, iniziatore del genere.

Dracula, 1931
Dracula, 1931

Oggi

Il romanzo contribuì ad accrescere la popolarità di questo personaggio, rendendolo uno dei simboli dell’ horror più conosciuti a livello mondiale. Ne seguirono numerose rappresentazioni cinematografiche. La prima risale al 1922. La più  fedele al romanzo è quella del 1992, diretta da Francis Ford Coppola.

Oggi, Dracula non rappresenta solo un personaggio di finzione, ma un vero e proprio fenomeno culturale che continua a risuonare nel tempo.

Nonostante la sua peculiarità sia il legame con personaggi storici e tradizioni folcloristiche, questa figura è capace di reinventarsi ed adattarsi ad ogni periodo storico grazie ai temi universali che affronta.

 

Fonti:

https://www.storicang.it/a/vlad-limpalatore-luomo-dietro-dracula_15840

https://www.studenti.it/dracula-bram-stoker-leggenda-trama-personaggi-analisi-libro.html

 

Antonella Sauta

Lipari e le Eolie: un Patrimonio di leggende e tradizioni

Entrare a Lipari non è solo un arrivo. È un’immersione nella cultura.

A chi movendo per nave da Messina, si allontani un poco dalla punta del Faro, nell’ora del Tramonto, si presentano subito, sopra un mare, che ha tutti i colori della Sera, le divine Ombre delle Isole Eolie: Ombre grandi, dalle linee così belle, come di madri, palpitanti di amore, dall’ansia d’una vita diversa dall’umana, ed Ombre piccole, come di una prole molteplice, timida e mansueta, accanto alle grandi.

Avvicinarsi ad esse vuol dire entrare della landa della Bellezza, dove si è soggetti ad una specie d’incanto divino, che dà allo spirito un sentimento del tutto nuovo della Natura.

Libro dei canti

 

Un ricco intreccio di leggende e credenze 

La leggenda narra che Lipari prenda il nome da Liparo, un re esiliato dall’Italia centrale che, stabilitosi sull’isola, fondò qui una colonia.

Secondo questa storia, Liparo governò pacificamente l’isola, che divenne prospera grazie alle sue risorse naturali. In seguito, abdicò e consegnò il potere a Eolo.

Le Eolie devono il loro nome proprio a Eolo, il dio dei venti.

Nell’Odissea di Omero, Eolo dona a Ulisse un otre contenente tutti i venti, per aiutarlo a tornare a casa. Tuttavia, i compagni di Ulisse, curiosi, aprirono l’otre, causando una tempesta che li fece naufragare. Questo mito ha fortemente legato le Eolie all’immaginario mitologico greco come il “regno dei venti”.

Un altro culto rilevante nelle isole, soprattutto a Vulcano e Lipari, è quello di Efesto, il dio del fuoco e della metallurgia. Si riteneva che i vulcani attivi fossero le sue fucine, dove lavorava instancabilmente il metallo per fabbricare armi e gioielli per gli dèi. I fenomeni vulcanici osservati sull’isola di Vulcano, con i suoi fumi e la lava, sembravano confermare questa credenza.

Lipari era anche legata al culto di Adranos, divinità siciliana del fuoco e della guerra, che sembra avere molte affinità con Efesto. Gli antichi credevano che i cani sacri del dio difendessero i suoi templi e il territorio. Un culto che sottolinea ancora una volta l’importanza del fuoco e dei vulcani per la cultura locale.

 

“Navigare necesse est”

Come in altre civiltà antiche, anche nelle Isole Eolie, e in particolare a Lipari, si svilupparono culti legati alla fertilità e alla natura. Le popolazioni isolane avevano un legame profondo con la terra e il mare, e si ritiene che adorassero divinità associate alla fertilità della terra e alla pesca.

Durante gli scavi archeologici a Lipari, sono state rinvenute alcune statuette che confermano l’esistenza di riti dedicati alla fecondità e al culto della Grande Madre, una divinità primordiale venerata in molte altre culture del Mediterraneo.

Le Isole Eolie rivestivano un’importanza strategica per il commercio, la pesca e i collegamenti con altre città del Sud. Per gli abitanti di Lipari, la navigazione rappresentava quindi una necessità vitale per il sostentamento economico e la sopravvivenza.

Inoltre, l’arcipelago era rinomato per la produzione di ossidiana, una risorsa che veniva esportata in tutta l’area mediterranea, rendendo la navigazione un’attività fondamentale per gli scambi commerciali.

 

Cantori popolari di Lipari, la voce antica delle Isole Eolie 

I Cantori popolari delle isole EolieFonte: Profilo Facebook dei Cantori popolari delle Isole Eolie
I Cantori popolari delle isole Eolie

Le Isole Eolie vantano l’esistenza di numerosi usi, costumi e tradizioni.

Da questi è nata una scuola di canti e danze popolari, riconosciuta in tutto il mondo grazie alla partecipazione a diversi raduni folklorici internazionali, come quelli in Olanda, in Portogallo, in Russia, in Turchia, in Australia e in Messico.

Si tratta dei Cantori Popolari, un gruppo folklorico fondato nel 1972 da alcuni studenti di Lipari. Questi giovani, amanti delle tradizioni, decisero di creare un vasto repertorio basato su ricerche minuziose ed approfondite, condotte su testi specialistici, e sugli stessi racconti degli anziani, una fonte preziosa.

Le rappresentazioni sono ispirate alla storia delle Isole Eolie o a particolari celebrazioni religiose. Ad esempio:

  • la Via Crucis, da Piazza Mazzini fin dentro la rocca del Castello, set della “Via della Croce”, dove gli eoliani ricoprono i ruoli tradizionali;
  • il Presepe Vivente, realizzato ogni 26 dicembre con location sempre differenti, come i vicoli del quartiere di Sant’Anna, la scalinata di San Bartolo o l’ingresso lato nord della zona medievale del Castello;
  • A Ruina, rievocazione storica del Sacco del Barbarossa che vede l’impiego di comparse, l’utilizzo del parco Diana e della Chiesa di Maria Santissima Immacolata per l’allestimento;
  • San Bartulu Prutitturi, una serie di eventi, canti, musiche e balli sulla storia di San Bartolo, tratti dalla memoria popolare;
  • la Ittata i lastricu. Quando si costruiva una nuova casa a Lipari, vi erano diverse tradizioni e rituali, che rispecchiavano la cultura e le credenze popolari locali, volti a proteggere la casa dagli spiriti maligni e a garantire prosperità e fortuna ai suoi abitanti.

Dopo il completamento della casa, era comune fare una grande festa con amici, parenti e vicini per celebrare l’evento. Questa festa serviva a condividere il momento di gioia e a rafforzare i legami con la comunità locale.

 

Fonte:https://www.guideturistichemessina.it/cantori-popolari-delle-isole-eolie/#:~:text=I%20Cantori%20Popolari%20delle%20Isole%20Eolie%20sono%20un%20gruppo%20folklorico,approfondite%20condotte%20su%20testi%20specialistici

 

Il sogno

Cos’è un sogno?       

Il sogno, dal latino somnium, è un fenomeno psichico legato al sonno e in particolare alla fase REM, detta anche sonno del paradosso o pensiero notturno e caratterizzata dalla percezione di immagini e suoni riconosciuti come apparentemente reali dal soggetto sognante.

Il sogno ha da sempre attratto la curiosità di scienziati e ricercatori ed è stato oggetto di studio della filosofia, della psicologia e della fisiologia.

Le moderne tecniche di neuroimmagine, poi, hanno permesso di approfondire i processi neurobiologici che avvengono durante il sogno, dando vita a una nuova fase di ricerca basata non più solo su ipotesi psicologiche, ma su riscontri fisici verificabili.

Nonostante i vari studi, però, non abbiamo ancora una vera motivazione sul perché avvenga.

Qual è la funzione dei sogni?

Ci sono molte ipotesi relative alla funzione dei sogni.

Durante la notte ci possono essere molti stimoli esterni. La mente li rielabora e ne fa parte integrante dei sogni, nell’ordine in cui il sonno procede.

La mente, tuttavia, sveglia l’individuo nel caso si dovesse trovare in pericolo, o se qualificata a rispondere a certi suoni; ad esempio, quello di un bambino che piange.

I sogni possono permettere anche alle parti represse della mente di essere soddisfatte attraverso la fantasia, tenendola lontana da pensieri che ne causerebbero un risveglio improvviso.

Freud suggerì che gli incubi lasciano al cervello la funzione di controllare le emozioni. Essi sono il risultato delle esperienze “dolorose”. I sogni lasciano esprimere alla mente le sensazioni che sarebbero normalmente soppresse da svegli, tenendoci così in armonia.

Ci sarebbe quindi una continuità tra la vita psicologica diurna e quella notturna, che permetterebbe al sonno di avere anche un effetto positivo sulla regolazione delle nostre emozioni e sulla soluzione di problemi rimasti irrisolti durante la veglia.

Possiamo vivere un sogno consciamente?

La risposta breve è sì.

Può capitare di trovarsi nel bel mezzo di un sogno e, ad un certo punto, rendersi conto che si sta sognando. Questo fenomeno viene identificato come “sogno lucido”, uno stato in cui si è per l’appunto consapevoli durante il sogno.

A discapito di quanto si possa pensare, sognare in maniera lucida può essere appreso. I sogni lucidi rappresentano un metodo efficace per esplorare la mente e permettere alle persone di affinare la conoscenza di loro stessi, oltre ad essere un’efficacissima strategia per incrementare la creatività.

Il sogno lucido, inoltre, risulta essere una terapia efficace per trattare gli incubi.

A livello clinico, infatti, è impiegato anche per il trattamento degli incubi ricorrenti, che colpiscono all’incirca il 4% della popolazione adulta.

Per quanto riguarda l’attività e le aree cerebrali coinvolte nel processo dei sogni lucidi, c’è ancora tanto da indagare. Ciò che però si è scoperto fino ad ora è che un sogno lucido può durare tra i 30 secondi e i due minuti circa, ed è stato dimostrato che le aree prefrontali (responsabili del pensiero critico, autodiretto e della metacognizione) ricoprono un ruolo importante nella loro generazione.

Il sogno come strada che porta alla ragione

Il sogno è spesso sentito come verità, quando non è confuso con la realtà stessa. È il momento di massima incoscienza dell’uomo, ed è proprio questo aspetto, legato alla coscienza di chi sogna, ad aver contribuito a una tale visione sacrale.

Il sogno può essere indotto dagli dèi, per esaltare, ingannare o stupire l’animo; oppure, può essere il frutto del turbamento di un eroe che al suo interno vede il motivo del proprio turbamento o ne scorge possibili soluzioni.

I sogni, secondo la mitologia greca, proprio per questa forte connessione con il divino, possono svolgere diverse funzioni.

Per esempio, alla morte di Patroclo, Achille dà conto della sua disperazione, urlando e piangendo per tutto il campo. Alla fine, esausto, si getta sulla spiaggia e si addormenta. In quel momento, è proprio l’amato defunto a comparirgli in sogno (Iliade, XXIII 60-71).

Un sogno può essere ingannatore e spingere alla “scelta sbagliata”. Ancora nell’Iliade, infatti, una vera e propria divinità, Sogno, si poggia sulla testa di Agamennone dormiente.

È proprio Zeus, che segretamente si augura la disfatta del fiero generale acheo, a mandare la divinità, la quale è da subito definita come menzognera.

Il sogno è anche un terreno fertilissimo per l’espressione di simbolismi, alle volte molto complessi. Queste simbologie così ricche non sono mai ingenue, ma preannunciano l’imminente verificarsi di qualcosa di straordinario. Si pensi ai sogni tra lo spaventoso e l’incomprensibile dei genitori di Alessandro il Grande prima della sua nascita.

La realtà del sogno nella religiosità ‘pagana’, tanto variegata e complessa, non si perse con l’arrivo del cristianesimo.

Il sogno come falso specchio

Il sogno per Freud si compone di un contenuto manifesto e un contenuto latente. Quest’ultimo nasconde il vero significato del sogno, mascherato dalla censura che ne impedisce l’accesso alla coscienza.

Quando sogniamo, pensiamo cose che nella vita diurna sono assolutamente inconcepibili o insensate. Freud, infatti, afferma che ci sono dei pensieri, realmente presenti nella mente, che non possono diventare coscienti e che vengono quindi rimossi nel sogno, deformandolo dal suo contenuto originario e travestendolo.

La principale causa di questa deformazione onirica è attribuita alla censura, la cui funzione è quella di lasciare passare solamente ciò che piace, respingendo tutto il resto.

Ciò di cui siamo consapevoli è solo il contenuto onirico manifesto, a partire dal quale possiamo decifrare i sogni e il loro reale significato.

Freud sosteneva che il regno dell’inconscio penetra nei nostri sogni e questa teoria ha costituito il primo esempio e modello sul tema.

Conclusione

Nonostante gli studi e la ricerca nel provare a comprendere la sua origine, il sogno resta a volte un escamotage per descrivere delle sensazioni che derivano da eventi che per qualche ragione rimangono nella memoria.

 

Fonti:

Wikipedia

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Sogno

Unobravo 

https://www.unobravo.com/post/la-genialita-delle-intuizioni-freudiane-e-linterpretazione-dei-sogni

State of mind 

https://www.stateofmind.it/2020/12/sogni-significati-psicologia/

CasaMedica

 https://www.casamedica.it/2019/07/03/il-sogno-secondo-freud/

Bianca Garufi e Cesare Pavese, tra amore e mitologia

Cesare Pavese e Bianca Garufi sono definiti dallo stesso scrittore torinese una “bellissima coppia discorde”. Ma chi sono davvero? Lei di culla romana, lui di Santo Stefano Belbo, sono senza dubbio due dei fiori all’occhiello di Casa Einaudi; ed è proprio lì che si incontrarono nel 1944, nella sede romana della storica casa editrice.

Bianca Garufi tra Letojanni e Via Centonze

Cosa lega Bianca Garufi alla nostra Messina? Da una lettera del 30 agosto 1945, mandata da Letojanni, leggiamo:

Vorrei sapere qualcosa di te, se stai bene, se sei ancora così crudele. […] Scrivimi, se vuoi, a Messina V. Centonze 102.5″

Si dà il caso che la madre della donna, Giuseppina Melita, sia l’unica sopravvissuta della sua famiglia al terremoto del 1908; motivo per cui la giovane Bianca, agli albori del suo intreccio amoroso con lo scrittore, passava le estati sull’isola siciliana tra Letojanni, Messina e Siracusa. Forse è per questo suo appartenere alla Magna Grecia che il mito le scorre nelle vene; e probabilmente dobbiamo a lei la stesura dei Dialoghi con Leucòuno degli ultimi capolavori di Cesare Pavese.

Bianca Garufi all’epoca (dal volume “Una bellissima coppia discorde”, C.G.G., 2023)

I “dialoghetti” con Leucò

Il 10 gennaio 1948 Cesare Pavese scrive a Bianca che stava studiando il greco: nel frattempo stava scrivendo i suoi Dialoghi con Leucò. È fuor di dubbio che, per l’opera, lo scrittore si sia fatto ispirare dalla figura della giovane amante, che però per sua sfortuna non la apprezzò poi così tanto, definendo i componimenti dei meri “dialoghetti“.

Non è da considerarsi un caso, però, che Leucò (Λεῦκος) in greco voglia dire “bianco“. E neanche che il cardine attorno cui gira l’opera sia la mitologia, tema caro sia a Bianca che a Cesare. Pavese vede il mito come un momento rifondativo e utilizza nomi noti per trattare dell’umanità tutta e di questioni universali. Parlando della mitologia scrive nel febbraio del ’46, nel suo diario, Il mestiere di vivere:

“Potendo, si sarebbe volentieri fatto a meno di tanta mitologia. Ma siamo convinti che il mito è un linguaggio, un mezzo espressivo […] una particolare sostanza di significati che null’altro potrebbe rendere.”

Dialoghi con Leucò e una pagina del volume “Una bellissima coppia discorde” – foto di Giulia Cavallaro

Il “caos vitale” di Bianca

La letteratura di Cesare Pavese è senza dubbio influenzata dagli amori che si susseguono durante la sua vita. E Bianca è per lui un fiume, come lui stesso la definirà in una lettera dell’ottobre del 1945: lei, senza saperlo, ha la forza di trascinarlo con sè, dirà lui stesso. Bianca, una donna curiosa, irrequieta, che poco aveva a che fare con un uomo come Cesare Pavese.

Bianca, come va il tuo caos vitale? Non riordinarlo troppo, perchè allora ti sparirà anche l’interesse alla vita. Tienilo giudiziosamente a mezz’acqua. E se stai troppo bene a Letojanni, scappa. Non mangiare il loto.” (lettera del 3 settembre 1945)

Quello che però senza dubbio Bianca Garufi non sapeva è che probabilmente fu lei ad ispirare i suoi dialoghetti, che Pavese definisce “un libro che nessuno legge e, naturalmente, l’unico che vale qualcosa” (lettera del 25 agosto 1950 a Nino Frank).

Il rapporto tra i due si sfilaccerà a partire dal 1947, anche se la loro corrispondenza non terminerà mai del tutto fino al febbraio 1950: nel loro carteggio si legge in trasparenza un tenero affetto che non terminò mai davvero, nonostante l’amore fosse finito. Sarà proprio ai Dialoghi con Leucò che Cesare Pavese affidò le sue ultime parole. Il 27 agosto 1950, prima di togliersi la vita nell’Hotel Roma di Torino, scrisse in un biglietto che lasciò all’interno di una copia del libro: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.”

Ed è questo l’epilogo della “bellissima coppia discorde”. 

Giulia Cavallaro

*Le citazioni sono tratte dai seguenti libri:

Una bellissima coppia discorde,Il carteggio tra Cesare Pavese e Bianca Garufi (1945-1950), a cura di Mariarosa Masoero, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2023

Pavese Cesare, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi, 2020

Pavese Cesare, Lettere 1926-1950 (vol.2), a cura di Lorenzo Mondo e Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1968