Il ruolo dell’Arte nell’educazione alla sostenibilità

La Sostenibilità: Una Sfida Urgente e Culturale

Oggi, il tema della sostenibilità rappresenta una delle questioni più urgenti e complesse del nostro tempo.

Eventi climatici estremi, scioglimento dei ghiacci, perdita di biodiversità, inquinamento diffuso sono tutti segnali che non possono più essere ignorati. Eppure, nonostante i dati scientifici siano sempre più allarmanti, il cambiamento procede lentamente.

Perché?

La sostenibilità non può essere solo una questione tecnica, fatta di normative, statistiche o tecnologie. È anche, e soprattutto, una questione culturale che richiede un cambio di mentalità.

Ha bisogno anche di narrazioni, di immagini, di emozioni: ha bisogno dell’arte. Perché è attraverso la cultura che possiamo costruire una nuova visione del futuro.

L’arte permette, infatti, di trasformare la percezione, educare allo stupore, ricordarci la bellezza e la fragilità del mondo naturale.

In un’epoca di overload informativo (sovraccarico di informazioni) e disconnessione emotiva, l’arte può riaccendere quel legame profondo con la natura che la modernità ha spesso reciso.

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Effetti del cambiamento climatico.
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La rappresentazione della natura nella storia dell’arte

La natura è sempre stata una delle protagoniste principali dell’arte. Fin dalle origini, l’essere umano ha sentito il bisogno di rappresentare il mondo naturale che lo circondava non solo per documentarlo, ma per dargli un senso, celebrarlo, o temerlo.

Già nelle pitture rupestri, decine di migliaia di anni fa, troviamo rappresentazioni della fauna: immagini potenti, spesso legate al rapporto spirituale e simbolico con la caccia e la sopravvivenza. Qui, la natura non è sfondo, ma protagonista assoluta.

Nel Rinascimento, la natura si fa armonia e ordine. Maestri come Leonardo da Vinci osservano piante, animali, paesaggi naturali contemporaneamente con occhio scientifico e artistico, rendendoli parti integranti delle opere.

Esempio emblematico è la pittura di Caravaggio, precursore del naturalismo pittorico, per la sua capacità di rappresentare la realtà con assoluta fedeltà e assenza di idealizzazione.

Con il Romanticismo, la natura esplode in tutta la sua forza. I paesaggi diventano espressione dello stato d’animo umano. Basti pensare ad opere come “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich, dove la natura è immensa, sublime, a tratti minacciosa, specchio dell’infinito e dell’ignoto.

Anche gli Impressionisti celebrano la natura nella sua luce mutevole, nei suoi riflessi, nella vita quotidiana all’aperto, con l’intento di racchiudere emozioni autentiche.

Nel Novecento, la natura non è solo rappresentata: diventa materia. La Land Art è un movimento artistico in cui l’ambiente naturale è allo stesso tempo mezzo e messaggio.

Questa evoluzione della rappresentazione artistica della natura mostra quanto essa sia stata non solo fonte d’ispirazione, ma anche riflesso dei cambiamenti nel pensiero umano: da divinità temuta a risorsa da studiare, da bellezza da contemplare a organismo vivente da rispettare e con cui convivere.

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“Canestra di frutta”, Caravaggio, 1597-1600.
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Oggi: l’Arte come strumento di sensibilizzazione ambientale

Nel contesto attuale, segnato da emergenze ambientali sempre più evidenti, l’arte ha assunto un nuovo ruolo: non solo rappresentare la natura, ma anche difenderla.

Sono sempre più numerosi gli artisti che si fanno portavoce di una coscienza ecologica, usando il proprio linguaggio per porre domande, scuotere le coscienze, stimolare il cambiamento. È nata così una vera e propria corrente: l’eco-art, un’arte impegnata, che mette al centro il rapporto tra uomo e ambiente, spesso con un approccio critico e sperimentale.

Molti artisti, inoltre, utilizzano materiali di scarto o riciclati per sensibilizzare sul tema dei rifiuti.

Ci sono, poi, progetti partecipativi e comunitari, in cui l’arte diventa uno strumento per coinvolgere le persone in attività sociali volte a trasformare spazi degradati e generare una nuova relazione con il territorio.

In tutte queste forme, l’obiettivo è chiaro: rendere visibile ciò che spesso è invisibile, toccare corde emotive, creare consapevolezza. Perché l’arte, oggi più che mai, può essere un ponte tra la conoscenza e l’azione.

Perché, in fondo, ogni gesto sostenibile nasce da una domanda antica e semplice: che mondo vogliamo lasciare? E forse è proprio l’arte, ancora una volta, a suggerirci la risposta.

 

Antonella Sauta

Effetto Werther: il tragico fascino del suicidio

L’effetto Werther è un fenomeno psicologico e sociologico secondo cui la rappresentazione romantica del suicidio nei media può indurre comportamenti emulativi, soprattutto tra i giovani e le persone vulnerabili. Il termine nasce dal romanzo I dolori del giovane Werther (1774) di Johann Wolfgang von Goethe, in cui il protagonista, sopraffatto da un amore impossibile, si toglie la vita con un colpo di pistola. Continua a leggere “Effetto Werther: il tragico fascino del suicidio”

Farm Cultural Park: la street art da nuova vita al territorio

Street art in Sicilia

Negli ultimi decenni, l’evoluzione dell’arte ha profondamente cambiato il paesaggio della nostra isola. I territori siciliani sono diventati un esempio di rinascita attraverso la street art, grazie a vari progetti di trasformazione urbana.
Numerosi artisti, locali e internazionali, hanno apportato il loro contributo, permettendo non solo una trasformazione urbana, ma anche e soprattutto una rivitalizzazione economica, sociale e cultuale.

In Sicilia, accanto al suo ricchissimo patrimonio artistico, che affonda le radici nella sua storia di dominazioni e accoglienza di culture diverse, e si riflette nelle testimonianze architettoniche di tutte le epoche (dai templi greci alle chiese barocche) stanno nascendo nuove realtà che lo arricchiscono ulteriormente, fondendo tradizione e innovazione in un continuo processo di trasformazione.

Esempi notevoli di questa evoluzione sono “Fiumara d’Arte” e il “Cretto di Gibellina”.

Farm Cultural Park

 

Farm Cultural Park (Favara, AG): esempio di street art in Sicilia https://www.artinresidence.it/it/properties/farm-cultural-park/
Farm Cultural Park (Favara, AG): esempio di street art in Sicilia
Fonte: https://www.artinresidence.it/it/properties/farm-cultural-park/

Uno dei progetti più significativi è il Farm Cultural Park, a Favara, provincia di Agrigento. Il piccolo comune, che come molti altri dell’entroterra siculo stava affrontando una profonda crisi demografica, riuscì a rinascere dalle sue ceneri grazie ad una coppia di imprenditori, Andrea Bartoli e Florinda Saieva, che investirono nell’ambizioso progetto di rendere Favara un centro artistico, attraente soprattutto per i giovani. Nel 2010 nasce, quindi, Farm Cultural Park, un’iniziativa di riqualificazione urbana che unisce arte, cultura e comunità.

Attraverso la ristrutturazione di edifici abbandonati del centro storico e l’allestimento di opere ed installazioni, il comune diventa un centro artistico a 360°, in grado di attrarre artisti internazionali e visitatori da tutto il mondo.

Farm Cultural Parkhttps://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.vita.it%2Fstorie-e-persone%2Fa-favara-larte-di-farm-cultural-park-ha-reinventato-la-citta%2F&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAd
Farm Cultural Park
Fonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.vita.it%2Fstorie-e-persone%2Fa-favara-larte-di-farm-cultural-park-ha-reinventato-la-citta%2F&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAd

Turismo e sviluppo

Farm Cultural Park ospita, ogni anno, numerosi eventi come festival, workshop ed attività educative, creando un ambiente dinamico e vivace.

L’arte urbana ha svolto un ruolo fondamentale nel rafforzare l’identità culturale delle comunità locali, promuovendo la partecipazione attiva dei cittadini e la riappropriazione degli spazi pubblici.

Il turismo, che si è sviluppato in seguito alle numerose iniziative intraprese, porta benefici economici su tutto il territorio. Inoltre, per limitare le conseguenze negative sull’ambiente, il comune adotta politiche rivolte alla sostenibilità.

Questo progetto ha dimostrato come l’arte possa essere un potente strumento di trasformazione sociale, capace di innescare processi virtuosi di sviluppo sostenibile e inclusivo.

In conclusione, il progetto di rivitalizzazione di Favara è diventato un importante esempio replicabile da tanti altri comuni e riconosciuto a livello internazionale.

Farm Cultural Parkhttps://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.loquis.com%2Fit%2Floquis%2F2762056%2FFarm%2BCultural%2BPark%2BFavara&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAr
Farm Cultural Park
Fonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.loquis.com%2Fit%2Floquis%2F2762056%2FFarm%2BCultural%2BPark%2BFavara&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAr

Fonti:

https://www.farmculturalpark.com/

“Imparare da Favara. Radici culturali e prospettive di una rigenerazione urbana di successo”. Pier Paolo Zampieri

Antonella Sauta

Il Concetto filosofico di Arte

PREMESSA

Il concetto di Arte è da sempre oggetto di discussione. In particolare, ci si è interrogati se questa possa avere un posto nell’Olimpo della verità, o se vada rifiutata fuori dalle mura delle proprie città.

Per analizzare tali possibilità, quello che seguirà sarà un excursus dei più importanti pensieri filosofici della storia, considerando il periodo che va da Platone a Hegel.

PLATONE

Per dare una connotazione di carattere generale, basti sapere che Platone basa la verità delle cose sulle Idee. Intangibili ed empiree, sono quelle da cui le cose materiali prendono forma e “ispirazione”. Diventano, quindi, una diretta copia delle prime, allontanando, di fatto, l’anima dalla verità.

Da qui, sembra chiara la posizione rispetto l’Arte di Platone.

Le cose come appaiono sono copia delle Idee delle cose. L’Arte, essendo rappresentazione delle cose, è (per mimemis) copia della copia. Ne deriva che essa debba essere rigettata fuori dalle mura della città ideale, un clima politico filosofico concettualizzato nella Repubblica.

Non c’è spazio per l’Arte nel luogo delle verità per Platone.

Essa è mera imitazione, che distoglie l’anima dalla verità ideale, e per questo ha un’accezione più che negativa per il filosofo greco.

Opera d'Arte: La città ideale, di Leon Battista Alberti
              La città ideale, di Leon Battista Alberti

ARISTOTELE

Se per Platone l’Arte aveva un carattere completamente negativo, per Aristotele è esattamente il contrario.

L’Arte, e in  particolare la tragedia, ha per quest’ultimo un ruolo catartico, capace di rappresentare sentimenti umani (come la rabbia, la pietà ecc.) affinché l’uomo possa averne una migliore comprensione.

Ha anche un fondamentale scopo educativo e morale, oltre ad essere non solo imitazione della realtà, ma imitazione della “realtà possibile”. Per cui l’operare dell’artista imita l’operare della natura.

AGOSTINO

Pur non essendo un filosofo dell’Arte, le celeberrime Confessioni offrono uno sguardo più critico.

Per quanto l’Arte sia espressione della bellezza divina (e in quanto tale va apprezzata), ammirare le opere artistiche come tali non deve distogliere l’uomo dall’apprezzamento della bellezza di Dio.

Sembra quasi un tentativo di conciliazione tra arte e religione, dove comunque vi è una subordinazione alla ricerca della verità spirituale.

TOMMASO D’AQUINO

Filosofo medievale, Tommaso d’Aquino concepisce l’Arte come manifestazione della perfezione divina. L’artista, infatti, può essere considerato un “co-creatore“, che riproduce la bellezza divina nel mondo.

Oltre a un fare estetico, per Tommaso è uno strumento utile per l’elevazione spirituale. In particolare, l’arte visiva delle chiese permetterebbe al fedele di concentrarsi meglio su Dio.

IconografiaFonte: https://resinflamedecoart.com/wp-content/uploads/2021/07/jesus-christ-4152894_640.jpg
Iconografica esemplificativa

IMMANUEL KANT

Figura fondamentale, Kant sviluppa una teoria estetica nella critica del giudizio, mettendo in evidenza il giudizio estetico come contemplazione disinteressata. Il che non significa esserne “disinteressato” in senso assoluto, bensì distaccarsi completamente da ogni fare e volere utilitario.

Questo giudizio permette all’uomo di esprimere il sublime e il bello (naturale) in modo universale.

La bellezza, quindi, trascende la sfera pratica e si lega alla capacità di risvegliare un senso di armonia universale.

FRIEDRICH HEGEL

Hegel concepisce l’Arte come il primo luogo di manifestazione dello Spirito, la pura libertà umana.

Nelle sue lezioni di Estetica (1820), il filosofo analizza l’arte come l’espressione umana del Bello. Questa, infatti, è il punto di congiunzione perfetto tra sensibilità (mondo sensibile) e razionalità (Spirito).

Chiaramente, non tutta l’arte permette all’uomo di incontrare lo Spirito, bensì solo un contenuto storicamente determinato.

È un contenuto preciso, collocato nell’arte greca, il Partenone.

Di fronte a tale visione, l’uomo non vede la sola forma. L’uomo vede il Bello ideale.

Dall’arte greca in poi, essa non ha più la funzione di dover elevare l’uomo a Spirito intuendolo. Da qui, nasce la concezione della “morte dell’arte” di Hegel.

PartenoneFonte: https://affascinarte.altervista.org/wp-content/uploads/2017/04/P_20170419_101826_1.jpg
                                       Il Partenone

CONCLUSIONE

L’Arte, oltre ad essere da sempre stata apprezzata, ha avuto modo di essere reinterpretata nel suo Concetto, mostrando a noi diverse concezioni artistiche/estetiche.

Il pensiero di questi filosofi ha influenzato per molto tempo l’uomo occidentale nella visione dell’Arte, con il culmine “filosofico” nell’Olimpo della verità da parte di Hegel, partendo dalla gettata fuori dalle mura delle Città di Platone.

FONTI

La Repubblica di Platone

Le Confessioni di Sant’Agostino

Critica del Giudizio di Kant

Lezioni di Estetica di Hegel

 

La donna-angelo: il topos che ha impoverito la complessità della donna

Esistono miti che sembrano eterni, radicati così profondamente nell’immaginario collettivo da sopravvivere alle epoche, alle rivoluzioni, ai cambiamenti sociali. Alcuni si trasformano, si adattano, cambiano forma per perpetuare la loro influenza. Altri, invece, si sgretolano sotto il peso di un progresso che non può più tollerarne le menzogne. Tra questi, uno dei più longevi e insidiosi, è quello della donna-angelo: eterea, pura, inarrivabile.

Per secoli, la donna è stata relegata a spettro, simulacro immacolato privo di voce e volontà. Il Romanticismo l’ha trasfigurata in icona di struggimento e sacrificio, la Belle Époque l’ha incastonata in un bozzolo di lasciva decadenza, mentre il cinema del Novecento ne ha fatto una dicotomia ingannevole: la femme fatale, avvincente e predatoria, e la casalinga impeccabile, devota e rassicurante. Archetipi opposti, ma ugualmente costrittivi, espressioni di un unico dogma: la donna come superficie riflettente, oggetto da contemplare, mai soggetto autonomo di narrazione.

Oggi, però, non è più ombra evanescente. Ha demolito le barriere che la volevano eco del desiderio maschile, occupando con potenza lo spazio che le è sempre appartenuto. Dall’accademia alla politica, dalla scienza all’arte, le donne hanno sradicato la narrazione che le relegava a comparse, imponendosi come protagoniste.

Eppure, il cadavere della donna-angelo non smette di essere riesumato. Ogni volta che si esige grazia come condizione imprescindibile, ogni volta che la dolcezza viene imposta come filtro della forza, ogni volta che il sacrificio e la devozione si travestono da nobiltà d’animo, si perpetua una narrazione che avrebbe dovuto dissolversi da tempo.

Il linguaggio stesso si fa strumento di controllo: la donna deve essere “forte ma femminile”, “determinata ma gentile”, come se la sua autodeterminazione dovesse sempre essere mitigata, mai feroce, mai destabilizzante.

E il mito non si dissolve, si trasforma. Si insinua nelle rappresentazioni culturali, si rigenera nei media, si annida nelle aspettative sociali. La madre è impeccabile, la “ragazza della porta accanto” è rassicurante, la donna in carriera è brillante ma mai eccessiva. Si esige un equilibrio innaturale, attraverso cui bisogna essere tutto e il suo contrario, senza mai incrinare l’illusione di pura armonia. La società recepisce, assimila, riproduce. Modella aspettative, plasma giudizi, impone codici e comportamenti, proponendo l’ennesimo ideale che, pur riformulato, resta sempre domato.

Ma la donna non è simbolo, non è astrazione, non è un riflesso. È presenza, volontà, irruzione.

Chi si ostina a rimpiangere quell’eterea creatura imbalsamata nella purezza nega una verità ormai ineluttabile: il futuro, piaccia o no, non ha bisogno di ali.

Genio e dannazione: la vita inquieta di Charles Baudelaire

Dall’armonia all’inquietudine: la svolta nella vita di Baudelaire

Charles Baudelaire nasce a Parigi il 9 aprile 1821, in una vecchia casa del Quartier Latin, al numero 13 di Rue Hautefeuille, dove oggi si trova la “Librairie Hachette”.

Considerato il simbolo del “poeta maledetto”, Baudelaire incarna la gioventù bohemienne, vivendo tra eccessi di alcool, assenzio e droghe, e combattendo contro le proprie fragilità mentali e fisiche.

La sua infanzia trascorre felicemente tra l’affetto della madre e il lusso del padre, un uomo anziano con inclinazioni artistiche. Tuttavia, la sua vita subisce una svolta drastica con il secondo matrimonio della madre con il maggiore Jacques Aupick, futuro generale, ambasciatore e senatore.

Baudelaire soffre profondamente questa unione e sviluppa un’avversione irriducibile per il patrigno, portandolo a un progressivo distacco dalla famiglia e a una vita sempre più ribelle e instabile.

La sofferenza come fonte di ispirazione

L’esistenza del poeta è segnata da alloggi precari, debiti, instabilità mentale e vari tentativi di suicidio.
La precarietà economica lo costringe a dipendere spesso dagli aiuti materni, mentre il suo spirito inquieto e tormentato lo spinge a esplorare l’arte sotto prospettive nuove e radicali.

Baudelaire non si piega alle convenzioni e trasforma le sue angosce in opere poetiche di straordinaria potenza, capaci di tradurre la decadenza e la bellezza del mondo in versi memorabili.

Il rapporto con Victor Hugo: ammirazione e critica

Baudelaire entra nel mondo della letteratura quando Victor Hugo è già un’icona del Romanticismo francese. Dopo un’iniziale ammirazione per il grande scrittore, sviluppa un rapporto contrastante con lui, criticando l’abbondanza stilistica e la visione morale dell’arte. Baudelaire ritiene che il poeta non debba avere la missione di guidare l’umanità, ma piuttosto cercare la purezza artistica.
Nel suo “Salon de 1845” accusa Hugo di aver influenzato negativamente intere generazioni di artisti con il suo sentimentalismo eccessivo. Tuttavia, col tempo, modera le sue critiche, riconoscendo il contributo di Hugo alla letteratura francese, pur continuando a preferire autori come Théophile Gautier, che incarnano una visione dell’arte più rigorosa e libera da intenti morali.

Simbolismo e poesia: il ruolo de L’Albatros e Correspondances

LIBRO VINTAGE Wishlist Condividi I fiori del male - Poemetti in prosa. Collana: i Grandi Scrittori Stranieri II-43
I fiori del male – Poemetti in prosa. Collana: i Grandi Scrittori Stranieri II-43

Nel 1857, Charles Baudelaire pubblica la sua opera più celebre, Les Fleurs du Mal, un capolavoro che rivoluziona la poesia moderna e anticipa il Simbolismo. Il libro viene censurato per immoralità e alcune poesie vengono bandite, ma la sua influenza si rivelerà incalcolabile.
Baudelaire sostiene che l’arte non debba avere un fine sociale o morale, ma debba servire esclusivamente la bellezza e la ricerca di verità nascoste nel mondo.

All’interno della raccolta emergono due poesie emblematiche della sua poetica: L’Albatros e Correspondances.
L’Albatros rappresenta il dramma del poeta, paragonato all’albatros, un uccello maestoso in cielo ma goffo e vulnerabile sulla terra. Questo simbolismo esprime il contrasto tra la grandezza dell’ispirazione artistica e la difficoltà di adattarsi alla realtà quotidiana.
Correspondances, invece, introduce l’idea delle corrispondenze tra i sensi e il mondo spirituale, un concetto chiave del Simbolismo. In questa poesia, Baudelaire sviluppa la teoria secondo cui la natura è un tempio di simboli che l’artista deve decifrare, una visione che influenzerà profondamente la letteratura successiva.

Le Poète est semblable au prince des nuées 
Qui hante la tempête et se rit de l’archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l’empêchent de marcher

Il Poeta è simile al principe delle nubi,
che sfida la tempesta e ride dell’arciere;
ma esiliato a terra, tra il dileggio della folla,
le sue ali di gigante gli impediscono di camminare.

L’Albatros

In Les Fleurs du Mal, Baudelaire esplora anche il conflitto tra due stati d’animo opposti: lo Spleen e l’Ideale. Lo Spleen rappresenta una profonda malinconia, un’angoscia esistenziale e un senso di disperazione di fronte alla banalità della vita quotidiana. Al contrario, l’Ideale simboleggia l’aspirazione alla bellezza, alla perfezione e a una realtà trascendente. Attraverso questa dicotomia, Baudelaire illustra la lotta interiore del poeta, diviso tra la ricerca di un ideale sublime e la realtà opprimente dello spleen.

L’ultimo periodo: malattia e morte

La sua salute, però, peggiora progressivamente. Nel 1866, viene colpito da un ictus che gli provoca una grave afasia e paralisi. Ricoverato alla “Clinique Hydrotherapique” di Chaillot, le sue condizioni rimangono stazionarie per mesi. Il 31 agosto 1867, alle 11 del mattino, muore a soli 46 anni, senza che Les Fleurs du Mal abbia trovato un nuovo editore.

L’eredità immortale di Baudelaire

Oggi, Baudelaire è considerato uno dei più grandi poeti di tutti i tempi. La sua arte, nata dal tormento e dal desiderio di trascendere la realtà, continua a influenzare generazioni di scrittori e artisti. Con il suo coraggio espressivo e la sua ricerca di una bellezza superiore, ha lasciato un’eredità immortale, capace di parlare ai cuori inquieti di ogni epoca.

 

Fonti:
Il sole nero dei poeti, Maria Luisa Belleli
I fiori del male – Poemetti in prosa, Charles Baudelaire

L’arte della ceramica di Santo Stefano di Camastra

Storia

La cittadina di Santo Stefano di Camastra sorge come un ideale terrazzo sul Tirreno, incastonata tra i Monti Nebrodi e la dorata costa tirrenica.

La storia di Santo Stefano di Camastra si articola in tre fasi:

  1. Noma, antica civiltà di pastori e contadini;
  2. Stefano di Mistretta, casale sotto il controllo di Mistretta fino al XV secolo;
  3. e infine S. Stefano di Camastra, la città moderna.

In seguito a una frana avvenuta nel 1682, il Duca di Camastra fondò il nuovo centro abitato in una zona più costiera rispetto a quella precedente, seguendo un piano urbanistico ispirato a Versailles. Questo provocò un profondo mutamento sociale: gli stefanesi svilupparono nuove tradizioni , tra cui quella ceramista già presente in epoca araba. I vasai stefanesi segnarono profondamente la cultura locale, tanto da ispirare celebri autori siciliani come Luigi Pirandello e Vincenzo Consolo.

Santo Stefano di Camastra Fonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=http%3A%2F%2Fwww.foto-sicilia.it%2Ffoto.cfm%3Fidfoto%3D140265%26citta%3Dsanto%2520stefano%2520di%2520camastra%26idfotografo%3D3054&psig=AOvVaw2YwGaKMBipYnQsQOTP3G-t&ust=1740410553328000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBYQjRxqFwoTCKD34-OM2osDFQAAAAAdAAAAABAi
Santo Stefano di Camastra
Fonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=http%3A%2F%2Fwww.foto-sicilia.it%2Ffoto.cfm%3Fidfoto%3D140265%26citta%3Dsanto%2520stefano%2520di%2520camastra%26idfotografo%3D3054&psig=AOvVaw2YwGaKMBipYnQsQOTP3G-t&ust=1740410553328000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBYQjRxqFwoTCKD34-OM2osDFQAAAAAdAAAAABAi

Lo sviluppo della ceramica

Nel Settecento, l’incremento del commercio via mare portò gli abitanti del piccolo comune a dedicarsi alla produzione della mattonella maiolicata.

Assimilando le tecniche dei colori e degli smalti napoletani, durante tutto l’Ottocento diedero vita ad innumerevoli piastrelle che rappresentano una parte fondamentale della storia dell’arte siciliana e mantengono tutt’oggi una forte identità culturale.

Un elemento che favorì lo sviluppo di questa particolare forma d’arte fu la presenza nel territorio delle cave “Turrazza” e “Piano Elia”, oggi chiuse, ma dalle quali si estraeva una delle argille tra le migliori della Sicilia.

La produzione di ceramica inizia in concomitanza con l’evento calamitoso che distrusse il paese e costrinse gli abitanti a spostarsi in una nuova ubicazione più a valle. Dunque, i primi oggetti realizzati furono materiali per l’edilizia, come le tegole. Successivamente, l’argilla venne impiegata nella realizzazione di altri oggetti, tra cui le celebri Giare Stefanesi, particolarmente apprezzate in quanto potevano raggiungere dimensioni molto più elevate delle altre presenti nel resto della Sicilia e d’Italia. Questa peculiarità, nella società agricola dell’epoca, rese la giara il prodotto di punta della produzione stefanese.

Accanto alla produzione tradizionale, si sviluppò gradualmente un’artigianalità sempre più diversificata, comprendente oggettistica varia e immagini sacre, contribuendo così a consolidare la fama dell’arte ceramica stefanese.

Santo Stefano di Camastra Fonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fjp.pinterest.com%2Fpin%2F312929874104477659%2F&psig=AOvVaw1VYWrJ9eKV1sMIvPH_lCaE&ust=1740410960397000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBYQjRxqFwoTCOjHkKiO2osDFQAAAAAdAAAAABAJ
Ceramiche di Santo Stefano di Camastra
Fonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fjp.pinterest.com%2Fpin%2F312929874104477659%2F&psig=AOvVaw1VYWrJ9eKV1sMIvPH_lCaE&ust=1740410960397000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBYQjRxqFwoTCOjHkKiO2osDFQAAAAAdAAAAABAJ

La ceramica oggi

La ceramica di Santo Stefano di Camastra è profondamente intrecciata con la sua identità culturale, rappresentando non solo un’attività economica centrale, ma anche un simbolo della storia e delle tradizioni della comunità locale.

Riconosciuta a livello internazionale, la produzione stefanese diventa simbolo della qualità Made in Italy e permette al territorio di godere dei suoi benefici, tra cui il turismo.

Il Museo della Ceramica, ospitato nel Palazzo Trabia, funge da custode di questa eredità culturale, esponendo opere che testimoniano l’evoluzione stilistica e tecnica della ceramica locale. I numerosi eventi comunali come “l’inceramicata”, una variante locale dell’infiorata, evidenziano come la ceramica sia parte integrante delle celebrazioni e delle tradizioni del luogo.

La presenza di numerosi laboratori artigianali e botteghe nel territorio sottolinea l’importanza della ceramica nella vita quotidiana degli abitanti. Questa produzione artigianale non solo sostiene l’economia, ma rafforza anche il senso di appartenenza e l’orgoglio comunitario, rendendo Santo Stefano di Camastra un punto di riferimento per l’arte ceramica in Sicilia.

Oggi, Santo Stefano di Camastra è un vero museo a cielo aperto, dove l’arte delle ceramiche decora strade, palazzi e piazze.

Inceramicata di Santo Stefano di CamastraFonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.buongiornoceramica.it%2Feventi%2Finceramicata-2%2F&psig=AOvVaw3c9Yr8PLdRrCDXgN-CbWBq&ust=1740409290442000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBYQjRxqFwoTCKCJn4eI2osDFQAAAAAdAAAAABAE
Inceramicata di Santo Stefano di Camastra

Fonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.buongiornoceramica.it%2Feventi%2Finceramicata-2%2F&psig=AOvVaw3c9Yr8PLdRrCDXgN-CbWBq&ust=1740409290442000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBYQjRxqFwoTCKCJn4eI2osDFQAAAAAdAAAAABAE

 

Fonti:

https://comune.santostefanodicamastra.me.it/amministrazione/luogo/bellezze-naturali/

https://comune.santostefanodicamastra.me.it/wp-content/uploads/2019/02/la_citta_del_duca.pdf

https://comune.santostefanodicamastra.me.it/wp-content/uploads/2019/02/ATLANTE_COMPLETO.pdf

 

Antonella Sauta

Sanremo 2025: le origini del mito vincono a Sanremo

La 75ª edizione del Festival di Sanremo si è conclusa e ha visto trionfare Olly, con la sua Balorda Nostalgia, seguito da Lucio Corsi, con Volevo essere un duro, e Brunori Sas, con L’albero delle noci.

Questi moderni cantori sembrano incarnare, in chiave moderna, archetipi senza tempo: Olly, come un novello Orfeo, canta la tragedia dell’amore perduto e della dipendenza affettiva; Lucio Corsi, simile a un Ercole contemporaneo, affronta le sfide dell’identità e della fragilità; mentre Brunori Sas, come un saggio Dedalo, esplora le paure e dubbi di un padre di fronte le sfide della vita.

Olly/Orfeo – La “balorda nostalgia” della perdita

Dopo la perdita di Euridice, Orfeo si trova intrappolato in un dolore che non riesce a superare. Incapace di immaginare un futuro senza di lei, il musicista mitologico vede la propria esistenza svuotarsi di senso. Il suo amore si trasforma in un’ossessione che lo spinge oltre ogni limite, trascinandolo in una spirale di disperazione. Quella che avrebbe potuto essere una storia di rinascita si tramuta così in una tragedia senza ritorno.

Scende negli Inferi armato solo della sua musica struggente, capace di commuovere dèi e ombre. Il suo viaggio è un atto di speranza e disperazione, mosso dall’illusione di poter riabbracciare l’amata.

Allo stesso modo, il protagonista della canzone di Olly è avvolto da una nostalgia profonda, come se il ritorno a un passato idealizzato potesse colmare il vuoto lasciato dalla perdita, come se la sua identità fosse inscindibilmente legata a un’altra persona.

Tornare a quando ci bastava ridere, piangere, fare l’amore.

Come Orfeo, anche Olly canta per colmare il vuoto lasciato dall’assenza. L’intero testo è un tentativo di evocare la persona amata, proprio come Orfeo prova a riportare Euridice tra i vivi. Ma c’è un tragico dubbio che incombe:

Magari non sarà nemmeno questa sera la sera giusta per tornare insieme.

Questo verso riecheggia il destino di Orfeo, il cui amore è condizionato da un vincolo insormontabile. La scena in cui il protagonista della canzone continua a cercare tracce dell’amata:

Ti cerco ancora in casa quando mi prude la schiena, e metto ancora un piatto in più quando apparecchio a cena.

Qui non c’è un inferno mitologico, ma una casa che risuona di assenze e abitudini spezzate.

 

 

E infine, la rassegnazione:

Magari è già finita, però ti voglio bene ed è stata tutta vita.

Se Orfeo, devastato dal dolore, rinuncia alla vita e si lascia morire cantando, Olly accetta, seppur con sofferenza, che l’amore possa sopravvivere alla fine di una relazione.

Il parallelismo con Orfeo mette in luce il rischio di smarrire se stessi all’interno di una relazione, quando l’altro diventa l’unico riferimento per la propria esistenza.

La canzone esplora con intensità una sorta di dipendenza affettiva, delineando un desiderio insaziabile e mai del tutto soddisfatto. La ripetizione insistente di “vorrei” diventa il simbolo di un bisogno incessante, mentre l’altro viene idealizzato come unica fonte di appagamento. Ne emerge un’illusione pericolosa: quella di un amore vissuto come unico significato dell’esistenza, in un equilibrio fragile tra passione e smarrimento.

Lucio Corsi/Ercole – L’arte di essere invincibili

Nel brano sanremese, Lucio Corsi mette in scena un profondo conflitto interiore, dando voce a una tensione universale: il desiderio di incarnare un modello di forza imposto dalla società e la consapevolezza della propria vulnerabilità. Il protagonista della canzone aspira a essere un “duro”, un individuo invulnerabile e sicuro di sé, sulla scia degli eroi mitologici e degli stereotipi maschili dominanti. Tuttavia, nel corso del brano, il sogno si scontra con la realtà. Alla fine, il personaggio si arrende all’evidenza: l’immagine idealizzata di sé è irraggiungibile. Con un’ammissione sincera, riconosce la propria autenticità, accettando la fragilità come parte integrante della sua identità:

Non sono altro che Lucio.

Il conflitto tra forza e fragilità trova un interessante riflesso nella figura di Ercole, l’eroe della mitologia greca celebre per la sua forza sovrumana e le leggendarie dodici fatiche. Al di là dell’immagine di invincibilità che lo circonda, la sua storia è segnata da sofferenza, senso di colpa e profonde vulnerabilità, rivelando così il lato più umano di un simbolo di potenza assoluta. Nonostante la sua potenza fisica, Ercole è un eroe tormentato, costretto a espiare le proprie colpe e a confrontarsi con il peso del suo destino.

Nonostante il desiderio di apparire forte, il protagonista della canzone ammette:

Però non sono nessuno / Non sono nato con la faccia da duro / Ho anche paura del buio.

Questa confessione mette in luce la discrepanza tra l’immagine desiderata e la realtà personale. Tuttavia, si rende conto che questi modelli non gli appartengono.

Nel momento in cui smette di inseguire un ideale di mascolinità imposto e accetta la propria identità con tutte le sue sfumature, al di là delle aspettative esterne, emerge qui la sua vera forza, evidenziando come essa risiede nell’abbracciare la propria autenticità.

 

           

Brunori Sas/Dedalo – La responsabilità di essere padre

La canzone di Brunori Sas, L’albero delle noci, affronta temi come la paternità, il passare del tempo e le paure legate alla genitorialità. Questi elementi trovano un interessante parallelo nel mito di Dedalo e Icaro, che esplora il rapporto padre-figlio, l’aspirazione e le conseguenze delle proprie scelte.

Nel mito, Dedalo è un abile inventore e artigiano che costruisce ali di cera e piume per sé e per suo figlio Icaro, con l’obiettivo di fuggire dal labirinto in cui sono imprigionati. Questo atto rappresenta il desiderio di un padre di proteggere e guidare il proprio figlio, fornendogli gli strumenti per affrontare il mondo.

Allo stesso modo, Brunori riflette sulla sua esperienza della paternità, esprimendo sia l’amore profondo, che le preoccupazioni legate al crescere un figlio:

Sono passati veloci questi anni feroci / E nel mio cuore di padre il desiderio adesso è chiuso a chiave.

Dedalo avverte Icaro di non volare troppo vicino al sole per evitare che il calore sciolga la cera delle ali, ma Icaro, preso dall’entusiasmo del volo, ignora il consiglio paterno e cade nel mare.

Questo episodio simboleggia le preoccupazioni di un genitore riguardo alle scelte e ai rischi che il proprio figlio potrebbe affrontare. Brunori Sas esprime un sentimento simile quando canta:

Vorrei cantarti l’amore, amore / Il buio che arriva nel giorno che muore / Senza cadere / Nella paura di farti male

Qui, il cantautore desidera proteggere la figlia dalle oscurità della vita, ma riconosce anche la necessità di permettergli di fare le proprie esperienze, senza lasciarsi paralizzare dalla paura.

 

 

Il mito di Dedalo e Icaro evidenzia come le esperienze condivise tra padre e figlio possano portare a una profonda trasformazione personale.

Dopo la perdita di Icaro, Dedalo è costretto a confrontarsi con il dolore e le conseguenze delle proprie azioni. Analogamente, Brunori Sas riflette su come la paternità abbia cambiato la sua percezione della vita e del mondo:

E tutta questa felicità forse la posso sostenere / Perché hai cambiato l’architettura e le proporzioni del mio cuore.

 

Gaetano Aspa

 

Fonte: Post Facebook di Nicole Teghini in data 16/02/2025

 

Da Babilonia a Baghdad: sulle tracce di Hammurabi

Manca, ormai, poco più di un mese al termine dell’affascinante mostra tenuta presso il Museo dei Saperi e delle Mirabilia Siciliane di Catania. Curata dall’archeologo Nicola Laneri e dalla direttrice del museo Germana Barone, entrambi docenti dell’Università di Catania, l’esposizione offre ai visitatori un esaustivo scorcio della storia di Hammurabi, sovrano babilonese di origine amorrea che, nel XVIII secolo a.C., riuscì, tra guerre ed alleanze, a riunificare la Mesopotamia sotto il dominio babilonese e ad assumere il titolo di “Re delle quattro parti del mondo”, la più alta titolatura del mondo vicino-orientale antico.

Un viaggio alla scoperta di una delle personalità più brillanti della storia antica, il cui lascito, tutt’oggi, costituisce le fondamenta del nostro mondo.

Celebre per la sua raccolta di leggi, il famoso Codice di Hammurabi, egli diventa migliaia di anni dopo il protagonista di una mostra che propone reperti forniti da altre realtà culturali quali il British Museum di Londra, il Louvre di Parigi, il Pergamonmuseum di Berlino e il Museo reale di Torino.

 

La stele di diorite, alta 2,25 m, su cui è inciso il Codice di Hammurabi
Fonte: https://www.worldhistory.org/image/14341/code-of-hammurabi/

Con il sostegno di questi celebri musei, viene proposta ai visitatori una riproduzione accurata della stele, oltre ad una serie di reperti archeologici della prima dinastia babilonese ritrovati negli scavi del 1850 a Tell Muhammed e riproduzioni fotografiche delle varie campagne di scavo condotte nel sito iracheno.

L’esposizione, totalmente gratuita, sarà fruibile fino all’11 febbraio dal lunedì al giovedì alle ore 09:00-13:30, 14:30-17:30; venerdì ore 09:00-13:30.

L’iniziativa, di respiro internazionale, volta a finalizzare le ricerche archeologiche, che dal 2022 sono condotte da un gruppo di ricercatori universitari catanesi, il Baghdad Urban Archaeological Project, rappresenta certamente un percorso di formazione e arricchimento culturale imperdibile che dipana le ombre di un mondo, alla fine, non tanto lontano dal nostro.

 

Sulle orme del re

Nel pensar comune, un sovrano che si rispetti deve essere un dominatore di popoli, un temerario condottiero che sottomette con la forza regni vicini e lontani. Chi non conosce Hammurabi cade nella tentazione di ritenerlo, in quanto sovrano ricordato dalla tradizione (perciò importante), un militarista.

Le campagne militari di Hammurabi effettivamente riuscirono ad unificare un territorio discretamente ampio, rendendo città un tempo fiorenti capitali, come Eshnunna o Uruk, semplici capoluoghi provinciali. E se, da un lato, la conquista babilonese del Paese di Sumer, la zona meridionale della Mesopotamia, costituisce un interessante esempio di intraprendenza militare e abilità burocratiche, dall’altro, però, non costituisce un forte vincolo per la figura storica di Hammurabi. Le sue campagne militari si svolsero negli ultimi anni del suo regno, e non ne costituiscono la centralità.

L’azione del sovrano amorreo (amorrea è l’etnia della stirpe di Hammurabi, re di Babilonia) si condensò, oltre a iniziative sociali di cui la famosa stele ne è l’esempio più tangibile, anche in altre due diverse direzioni: potenziamento delle capacità produttive del regno e unificazione del patrimonio religioso locale.

La crisi agricola che colpì la Bassa Mesopotamia nel XIX secolo a.C. obbligò i sovrani a interessarsi personalmente al miglioramento dei sistemi di produzione. Hammurabi si impegnò a far defluire il flusso delle acque diretto verso sud, con una serie di ristrutturazioni dei canali, in modo da contrastare l’eccessiva salinizzazione del suolo che ne limitava la capacità produttiva.  Questi miglioramenti, insieme ad una colonizzazione diffusa (il re assegnava personalmente le terre ai veterani al termine delle campagne belliche), riuscirono a contenere le difficoltà economiche del regno.

Un particolare contributo, forse il più interessante, diede il sovrano babilonese all’introduzione, nel panorama religioso locale, del culto di Marduk, dio della città di Babilonia. La sua è una vera ristrutturazione del pantheon mesopotamico, per cui diverse divinità vengono equiparate, altre messe in secondo piano, tutte quante sotto la luce del dio Marduk.

Cos’altro vi è più potente della politica e del denaro per unire gli uomini, se non la religione? Collocare un dio locale a capo degli dèi mesopotamici, imponendone la devozione, è un processo complesso e rischioso che otterrà piena maturazione solo con il sovrano Nabucodonosor I, diversi secoli dopo.

Hammurabi di Babilonia fu uno dei più importanti regnanti della storia antica, una personalità a cui molti sovrani posteri si ispirarono per governare i loro regni. Il suo lignaggio, difficilmente emulato dai posteri, resta tutt’oggi oggetto di dibattito tra gli studiosi.

 

Bibliografia:
Mario Liverani, Antico Oriente: storia, società, economia. Laterza, 2009.
Federico Giusfredi, Il Vicino Oriente antico: breve storia dalle origini alla caduta di Babilonia. Carrocci, 2020.

 

Babbo Natale: tra tradizione e modernità, il volto universale del Natale

La figura di Babbo Natale, ormai indelebilmente legata all’immaginario collettivo natalizio, è il risultato di una sedimentazione culturale che abbraccia secoli di evoluzioni mitologiche, tradizioni religiose e trasformazioni iconografiche. Egli si configura come una costruzione simbolica piuttosto complessa: non solo travalica i confini temporali e geografici, ma si erge, al contempo, quale riflesso di un immaginario collettivo in costante rielaborazione.

 

Tra cristianesimo e mitologia

L’archetipo di Babbo Natale affonda le sue radici nella figura di San Nicola di Myra, un vescovo vissuto nel IV secolo, noto per la sua carità verso i poveri e i bambini. La sua figura, celebrata soprattutto nell’Europa medievale, veniva associata a storie di miracoli e atti di munificenza.

San Nicola, patrono dei piccoli e dei viandanti, divenne oggetto di un culto che si diffuse rapidamente, intrecciandosi con le celebrazioni invernali preesistenti. Tuttavia, il profilo del futuro Babbo Natale si arricchì di un substrato mitologico che trascendeva il contesto cristiano.

San Nicola
St. Nicholas, Moretto da Brescia (1539) – Fonte: ncregister.com

Il contributo delle tradizioni pagane del Nord Europa fu determinante nella definizione di tratti distintivi della sua immagine che, sebbene originariamente cristiana, cominciava ad assumere una natura sincretica.

La figura di Odino, il supremo deus dell’epico pantheon norreno, si sovrappose a quella di San Nicola, dando origine a una configurazione mitologica che si articolava tra sacralità e ritualità profana. Odino, infatti, durante la festività solstiziale della Jól veniva rappresentato mentre cavalcava il suo cavallo a otto zampe, Sleipnir, portando doni e prosperità.

Tale sincretismo religioso contribuì a plasmare la figura di un uomo al contempo divino e umano, che portava con sé l’essenza stessa della speranza e della rinnovata luce del solstizio.

La trasformazione moderna

La trasmigrazione del culto di San Nicola verso il continente americano mediante l’intermediazione delle comunità olandesi, che importarono la tradizione del Sinterklaas.

In territorio statunitense, questa rappresentazione subì un processo di rielaborazione creativa, dando vita al Santa Claus, una versione semplificata e sincretica del santo europeo.

Fu però nel XIX secolo che iniziò a delinearsi con maggiore precisione.

Un punto di svolta fu rappresentato dal poema A Visit from St. Nicholas (1823), attribuito a Clement Clarke Moore. L’opera codificò alcuni tratti distintivi del personaggio: un uomo bonario, dotato di una slitta trainata da renne, impegnato a distribuire doni nella notte di Natale.

Il componimento non solo consolidò l’immagine di Santa Claus nell’immaginario popolare, ma pose le basi per una narrazione simbolica che avrebbe influenzato la cultura popolare per decenni.

Santa Claus
Santa Claus – Fonte: flickr.com

Nel contempo, l’evoluzione artistica della figura subì una trasformazione straordinaria. L’opera di illustratori come Thomas Nast giocò un ruolo decisivo nella definizione dei tratti visivi del personaggio. Fu Nast, infatti, a introdurre il celebre abito rosso, sebbene in una forma ancora suscettibile di variazioni. 

L’impatto di Coca-Cola

Tuttavia, fu con l’intervento della Coca-Cola, negli anni Trenta del Novecento, che Babbo Natale acquisì una configurazione iconografica definitiva e universalmente riconosciuta.

In un’epoca di crescente globalizzazione e diffusione della cultura di massa, l’azienda americana incaricò l’artista Haddon Sundblom di reinterpretare la figura di Santa Claus per la sua campagna pubblicitaria.

Sundblom, pur attingendo dall’immaginario evocato dal poema di Moore, cristallizzò l’immagine di Babbo Natale in una rappresentazione calorosa e rassicurante. Il personaggio assunse così le sembianze di un uomo robusto e gioviale, dai lineamenti paffuti, con guance rosse, barba folta e un abito rosso bordato di pelliccia bianca.

Santa Claus
Santa Give & Take, Coca-Cola (1937) – Fonte: flickr.com

Questa rappresentazione, oltre a incarnare i valori di generosità e affabilità, si inseriva perfettamente nella strategia di branding della Coca-Cola.

Sebbene l’associazione cromatica con il rosso fosse già associata a Babbo Natale nelle tradizioni precedenti, l’uso massiccio e la diffusione delle immagini di Sundblom contribuirono a universalizzare questa cromia, legandola in modo indissolubile all’identità visiva del marchio e al personaggio di Santa Claus.

 

 

Fonti:
www.geopop.it
www.coca-cola.com