I disinfettanti ci proteggono davvero dal Coronavirus?

Coronavirus. La parola più ricercata sul web negli ultimi due mesi. Siamo tutti preoccupati del nuovo virus che sta colpendo sempre più persone. Partito dalla Cina è ad oggi arrivato in quasi tutto il mondo. Ma come fa un virus ad essere trasportato da un capo all’altro del mondo?

In questa dinamica il trasporto aereo gioca un ruolo fondamentale. Contribuisce giornalmente al contatto tra persone provenienti da tutto il mondo, alcune delle quali potrebbero trasportare con sé anche infezioni epidemiche dal Paese di origine. Inoltre, negli aeroporti sono presenti numerose superfici frequentemente toccate da passeggeri  (tavoli, banconi, maniglie) aventi un’alta contaminazione microbica.

Una ricerca pubblicata su Risk Analysis rivela che promuovere l’abitudine di lavarsi le mani negli aeroporti collegati alle zone colpite da infezioni virali rallenterebbe la propagazione dei patogeni.

Una delle prime raccomandazioni che il Ministero della Salute suggerisce per prevenire la diffusione del Covid-19 è proprio il lavaggio accurato delle mani. Questa semplicissima regola serve a ridurre la possibilità dell’ingresso dei virus e batteri all’interno del corpo attraverso naso, bocca, occhi, che tocchiamo con le mani.

Per alcuni, però, sembra che questa banale regola non basti a proteggerli dal virus; preferiscono utilizzare un disinfettante o un gel igienizzante. Guardandoci intorno possiamo affermare che la paura del Coronavirus ha incentivato la gente a prendere d’assalto farmacie e supermercati, facendo sparire l’Amuchina.

Amuchina è il nome commerciale dato ad una serie di prodotti disinfettanti, altro non è che un gel a base di alcol etilico. La ricetta che ci propone l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per questo tipo di prodotto contiene: 8333 ml di etanolo (alcol etilico) 96%, 417 ml di perossido di idrogeno 3%, 145 ml di glicerolo 98% e acqua distillata quanto basta per arrivare a 10 litri.

Ogni ingrediente ha un ruolo ben preciso in questa formulazione. L’etanolo ha la principale funzione del composto: uccidere i microrganismi. Trovandosi a contatto con i patogeni altera la struttura delle loro proteine, essenziali per la loro sopravvivenza, impedendo di svolgere le loro funzioni. La glicerina è un eccipiente umettante e che aumenta la densità del prodotto. Ed infine il perossido di idrogeno serve per eliminare eventuali spore batteriche che l’alcol non può eliminare.

Questo tipo di disinfettante è molto efficace sulla pelle, agisce infatti in pochi secondi, a patto che la percentuale di alcol etilico nell’intera preparazione sia tra 60% e 80%.  In altre parole una miscela di alcol etilico e acqua è più efficace dell’alcol puro, questo perché acqua e alcol denaturano più efficacemente le proteine.

L’utilizzo molto frequente di un gel disinfettante non fa certo bene! Tutti i prodotti a base di alcol hanno lo svantaggio di disidratare la pelle e il loro eccessivo utilizzo potrebbe causarne irritazioni e secchezza. Inoltre potrebbe anche favorire nei patogeni lo sviluppo di resistenze nei confronti di questo tipo di prodotto. L’utilizzo di gel disinfettanti in maniera inutile ed incondizionata è quindi sconsigliato.

Ma è veramente indispensabile questo tipo di prodotto per proteggersi dal Coronavirus ? Non sempre. Lo afferma anche il sito del Ministero della Salute. Basta lavarsi spesso e accuratamente le mani con acqua calda e sapone per almeno 60 secondi. Il disinfettante per mani entra in gioco quando non si ha la disponibilità di acqua e sapone.

È ancora in fase di studio la durata della sopravvivenza del Coronavirus sulle superfici, ma alcune informazioni suggeriscono che il virus possa resistere almeno alcune ore. A riguardo, sempre il sito del Ministero, suggerisce l’utilizzo di disinfettanti a base di cloro per le superfici. La banale candeggina in questo caso potrebbe essere utile. Contiene infatti l’ipoclorito di sodio che, per la sua azione ossidante, riesce a uccidere spore, funghi e virus.

L’efficacia dell’ipoclorito di sodio come disinfettante dipende da vari fattori come: la sua concentrazione, che deve essere all’1%, e il tempo di contatto, in quanto il prodotto va lasciato agire per circa 10 minuti. Proprio per questo motivo disinfettanti a base di cloro non vanno bene anche per le mani in quanto potrebbero causare severe irritazioni.

“Prevenire è meglio che curare” dice il proverbio, e si addice perfettamente a questa situazione. Prendere precauzioni per cercare di evitare l’espandersi del Coronavirus è la cosa migliore che possiamo fare. Lo afferma anche uno studio  pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA), il quale sostiene che un’attenta pulizia delle superfici è fondamentale per eliminare il virus.

Ognuno di noi deve essere coinvolto nel tentativo di ridurre l’espandersi di questo particolare virus. La conseguenza sta anche nelle nostre mani!

Georgiana Florea

La Cina pronta ad aiutare l’Italia: in arrivo team di medici specializzati e materiale tecnico

Importanti novità che fanno ben sperare sul fronte degli aiuti.

Il governo cinese, in seguito al colloquio telefonico tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ed il ministro Luigi Di Maio, si impegna concretamente nella battaglia contro il Coronavirus nella quale sarà fondamentale lavorare in sinergia al fine sconfiggere o quantomeno tamponare questa emergenza sanitaria.

La Cina, nei prossimi giorni, fornirà all’Italia 1000 ventilatori polmonari, 100mila mascherine di ultima tecnologia e 20 mila tute protettive.

La fornitura prevede anche l’invio di 50 mila tamponi per effettuare nuovi test che ci faranno capire se le nuove restrizioni imposte negli ultimi giorni dal Presidente del Consiglio Conte avranno rallentato l’avanzare del virus.

Altro dato assolutamente rivelante nell’asse collaborativo Cina-Italia nato nelle ultime ore è l’arrivo di medici altamente specializzati del Chinese Center for Disease Control and Prevention che per primi hanno affrontato il picco dell’emergenza Coronavirus.

Ficcanti e significative in tal senso sono state le parole espresse nelle ultime ore dal leader del Movimento 5 Stelle Di Maio:

“In futuro ci ricorderemo di tutti i Paesi che ci sono stati vicini in questo momento”.

Il Governo Italiano, conscio della contestuale emergenza economico-finanziaria venutasi a sviluppare, ha poi comunicato nella giornata di oggi lo stanziamento di 25 miliardi di euro.
Lo ha annunciato Conte: “Abbiamo stanziato una somma straordinaria da non utilizzare subito ma da  per far fronte a tutte le difficoltà di questa emergenza. Siamo lieti del clima che si sta definendo a livello europeo”.

“Obiettivo prioritario è tutelare la salute dei cittadini ma non dimenticare gli altri interessi in gioco”, ha concluso il Presidente del Consiglio dei Ministri in chiaro riferimento ai danni che il tessuto economico e finanziario stanno subendo.

Il governo si è inoltre reso disponibile a potenziare la macchina organizzativa sanitaria, dunque l’acquisizione e la distribuzione delle forniture per la terapia intensiva e le protezioni individuali, mediante la nomina di una persona (un commissario) che possa coordinare al meglio le direttive imposte dall’emergenza.

 

L’Italia condividerà informazioni con l’UE affinché aumenti l’efficacia del contrasto alla diffusione del virus, procedendo verso un’azione sinergica che possa migliorare i nostri sistemi sanitari nazionali.

“Lavoreremo in coordinamento, manderemo i nostri scienziati per creare una task force europea per promuovere la ricerca e combattere questo virus ignoto”, ha spiegato il premier.

Mai come oggi la parola d’ordine dovrà essere unione, di intenti e di forze, solo così nelle prossime settimane si potrà con concretezza opporre resistenza al nemico comune preservando la salute pubblica, che mai come oggi, è stata messa in pericolo.

Antonio Mulone

COVID-19, la matematica dell’epidemia che ci indica l’andamento del virus in Italia

Sul Coronavirus si è detto quasi tutto, ma una domanda che tutti ancora si pongono è: “Quante persone infette raggiungeremo in Italia?”. Ecco, con l’aiuto della matematica è possibile prevederlo, con qualche “ma” che questo articolo si occuperà di approfondire.

Chi scrive non è né un virologo né un epidemiologo, ma solo uno studente di Fisica dell’Università degli Studi di Messina a cui piace mettere in pratica le proprie conoscenze.

Si sa che la matematica è dappertutto nella nostra vita, e che le “noiose equazioni” siano utili – in particolare – da conoscere per spiegare alcuni fenomeni della realtà. Queste equazioni ci permettono di prevedere situazioni apparentemente incontrollabili, come è già stato ampiamente studiato nel caso delle epidemie.

Basandoci sull’intuito, un’epidemia dovrebbe diffondersi in maniera esponenziale. Che significa? Per chiarire questo concetto basta vedere la Figura 1.

Figura 1: Andamento di una funzione esponenziale

Un andamento esponenziale è caratterizzato dal fatto che il numero di persone infette non aumenta in maniera costante, ma la sua velocità di diffusione cresce sempre di più. La caratteristica di un andamento esponenziale è che prima o poi l’epidemia sarebbe in grado di raggiungere tutti.

Fortunatamente non è così, altrimenti ci saremmo estinti secoli fa. L’evoluzione di un’epidemia segue una funzione che si chiama “sigmoide” o “funzione logistica”. Questa funzione ha un andamento a forma di “S”, come si può vedere nella Figura 2.

Figura 2: Andamento di una funzione sigmoide. Come si può vedere, dopo un certo punto l’epidemia si stabilizza.

Esiste una tecnica matematica, chiamata fitting, che permette di trovare la giusta tipologia di sigmoide (che dipende sia dagli infetti massimi che l’epidemia riesce a prendere, sia dal punto in cui la velocità dell’epidemia cessa di crescere, chiamato punto d’inflessione) che descrive al meglio i dati reali.

Facendo un esempio molto pratico, si può analizzare la situazione dell’epidemia in Cina, ovvero dove tutto è iniziato, e soprattutto dove tutto sta per finire. Infatti, dopo più di un mese e mezzo di sofferenze, il Paese conta pochissimi contagiati al giorno, pur avendo quasi un miliardo e mezzo di abitanti.

Analizzando la Figura 3 si può vedere l’avanzamento del virus in Cina a partire dal 22/01/2020. Come per magia ecco la famosa sigmoide! I triangoli neri sono i dati registrati, la linea in rosso è la funzione teorica ricavata tramite fit, quella in blu è la figura teorica di un’ipotetica epidemia esponenziale. I dati ottenuti mostrano che il limite massimo di contagiati in Cina sarà di 80748, con un’incertezza dello 0.8%.

Figura 3: Andamento dell’epidemia in Cina

Si può fare lo stesso con il caso italiano? In linea teorica sì, ma si va in contro a gradi d’incertezza ancora troppo grandi, dato che in Italia il fenomeno è appena iniziato. La mole di dati acquisita durante i due mesi di epidemia in Cina non è equiparabile alla scarsità dei dati italiani acquisiti negli ultimi 15 giorni. Però nessuno ci vieta di studiarne l’andamento.

In Figura 4 e 5 sono presenti diversi grafici. Abbiamo i soliti triangoli neri, che sono i casi registrati dalla Protezione Civile ogni giorno alle 18. La figura in blu rappresenta l’andamento esponenziale, non veritiero. La figura rossa rappresenta il fit dei dati acquisiti fino ad oggi.

Figura 4: Andamento dell’epidemia in Italia

Com’è possibile notare otteniamo incertezze considerevoli, che non danno nessuna validità alle previsioni matematiche, ma che ci fanno capire che la strada potrebbe anche essere preoccupante.

Figura 5: Andamento dell’epidemia in Italia su larga scala

Mettendo a confronto il caso italiano con il caso della singola regione di Hubei (il cui capoluogo è Wuhan), è possibile notare una somiglianza. Il numero di abitanti nei due casi è molto simile, come anche la sua densità, quindi rende lecito il paragone. Osservando la Figura 6, gli infetti italiani sembrano seguire una curva leggermente più bassa di quella di Hubei.

Figura 6: Paragone tra il caso italiano e quello di Hubei

Purtroppo bisogna aspettare ancora dei giorni per avere un numero di dati tale da permettere una procedura di fit accurata. Intanto però, seguendo le direttive del nuovo Decreto Legislativo, possiamo agire concretamente affinchè il numero massimo dei contagiati sia il minore possibile.

Nel frattempo potete tenervi aggiornati seguendo il link https://github.com/albertomercurio/covid-19_italy in cui aggiorno continuamente la situazione con nuovi fit.

Alberto Mercurio

Bibliografia:

https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.02.16.20023606v5

https://www.worldometers.info/coronavirus/coronavirus-cases/#total-cases

https://xkcd.com/605/

Studente messinese fuori sede nella zona rossa: “Ho deciso di restare”

Qualche ora prima dell’ultimo decreto, che ha istituito come “zona protetta” tutto il territorio italiano, abbiamo potuto parlare, via webcam, con un ex studente messinese che si trovava nella zona rossa, a Rimini. Ci ha raccontato come ha vissuto le ore successive alla diffusione ufficiosa del decreto che istituiva la “zona rossa”, ed il perché ha deciso di restare. Marco Gervasi, laureato presso l’Università di Messina in Management d’Impresa, dopo aver lavorato tra Londra, Italia e Africa, da settembre 2019 ha iniziato il Master of Science presso Alma Mater Studiorum di Bologna in “Resource economics and sustainable development” con sede a Rimini.

La sera stessa, quando è trapelata la bozza del decreto che avrebbe istituito le zone rosse di quarantena, centinaia di ragazzi fuori sede sono tornati nelle proprie città. Tu come hai vissuto quella sera?

Ho saputo del decreto da uno screenshot del decreto su whatsapp. Ero a cena con dei colleghi, ma da quel momento abbiamo solo iniziato a cercare notizie più attendibili. Poco dopo la bozza del nuovo decreto era su tutti i giornali e Rimini rientrava tra le “zone rosse”. Quella sera non siamo più usciti, eravamo tutti preoccupati e siamo rimasti a discutere della situazione. Ho informato immediatamente i miei genitori del fatto che, secondo quel decreto, non sarei potuto tornare a casa per un tempo indeterminato. Erano molto preoccupati, volevano assolutamente che tornassi così come stavano facendo in quel momento centinaia di altri ragazzi. Con i miei colleghi siciliani, nei giorni precedenti, avevamo anche pensato di affittare una macchina e di scendere con quella, per evitare di prendere mezzi pubblici. Dopo un momento difficile di dubbi sul da farsi, abbiamo deciso di rimanere. Ho avvertito i miei della mia decisione. Dopo diverse spiegazioni li ho convinti che quella fosse la scelta giusta per me, per loro e per tutti.

Sapevi che molti ragazzi stavano tornando, potevi farlo anche tu. Cosa ti ha spinto a rimanere?

Ho pensato ai miei spostamenti nelle ultime settimane. Ero stato a Milano tre settimane prima. Ero stato prevalentemente in ufficio per lavoro, ma avevo utilizzato la metro nelle ore di punta. Inoltre ero ripartito per Rimini poco prima Milano fosse dichiarata zona rossa. Tornato a Rimini ho limitato le uscite, le zone molto affollate, abbiamo seguito le lezioni online ma, non essendo ancora una zona a rischio e non essendovi contagiati, ho anche avuto una minima vita sociale. 

Quindi ero stato esposto ad un rischio, e per quanto fossi stato attento rimaneva una minima possibilità che fossi un portatore asintomatico. Ho pensato alla mia famiglia, ed ho capito che non potevo e non volevo metterli a rischio. Poi ho pensato a Messina, lì ci sono ancora pochi casi, perché aumentare il rischio? Chi torna ed osserva la quarantena, in realtà entra inevitabilmente a contatto con i propri genitori, fratelli o sorelle e corre il rischio di vanificare la sua reclusione. Le limitazioni imposte nella zona rossa sono tante, e alle difficoltà con cui ogni fuori sede convive quotidianamente se ne aggiungono altre. E’ molto pesante anche psicologicamente.

Foto di Marco Gervasi – Rimini

E per quanto riguarda i tuoi colleghi? Come vivono la situazione?

Gran parte degli studenti era già rientrata a casa nelle settimane precedenti, quando l’Università ha impedito le lezioni frontali e ha dato accesso a lezioni online. So che molti studenti sono partiti da qui la notte stessa della diffusione del decreto. Molti dei miei colleghi invece hanno deciso, come me, di non farlo. In particolare i colleghi tedeschi hanno deciso di restare perché credono che in Germania la situazione sia stata sottovalutata e che in Italia, nonostante il numero maggiore dei casi, le misure attuate siano molto più adeguate alla situazione. Hanno fiducia nelle nostre istituzioni e nel Sistema Sanitario Nazionale italiano.

Com’è cambiata Rimini da quando è diventata zona rossa?

Come ti dicevo, inizialmente abbiamo cercato di limitare le uscite, in biblioteca rispettavamo la distanza di almeno un posto l’uno dall’altro, non potevamo riunirci in aule studio per fare co-working ed anche le palestre avevano un numero limitato di posti. Da quando invece Rimini è nella zona rossa, la biblioteca è chiusa, così come le altre aule, palestre e piscine. Bar, ristoranti, locali chiudono alle 18. Al supermercato si entra a scaglioni, la fila alla cassa è lunghissima, dura ore e bisogna rispettare un metro di distanza l’uno dall’altro. Sono molto più numerose le pattuglie di Carabinieri e Polizia, soprattutto in prossimità della Stazione e dell’autostrada.

Foto di Marco Gervasi – Rimini

Come vivrai i prossimi giorni?

Sicuramente eviterò di uscire, ho fatto una spesa che spero mi possa garantire diversi giorni di autonomia. Ci pesa soprattutto il non poter studiare in biblioteca, che era un motivo di incontro oltre che di studio. Ovviamente spero che la situazione rientri entro Pasqua, così da poter tornare dalla mia famiglia e dai miei amici, però sappiamo ciò che stiamo facendo. Tutti possiamo rinunciare ad un caffè al bar o ad un aperitivo per un bene superiore, la salute collettiva. Siamo convinti che, nel nostro piccolo, questo sacrificio possa davvero essere utile a far rientrare la situazione in tutta Italia. Tutti possiamo farlo.

Antonio Nuccio

Coronavirus e Influenza: facciamo chiarezza

Fin dall’inizio della diffusione del SARS-CoV-2 è stata fatta molta confusione con la comune influenza. La carenza di dati e la stretta somiglianza dei sintomi d’esordio hanno fortemente disorientato l’opinione pubblica.

Oggi però si sta delineando in modo sempre più chiaro il profilo del nuovo virus, della patologia di cui è responsabile e dei provvedimenti corretti da seguire.

COVID-19 e influenza: i virus responsabili

Il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 è responsabile della COVID-19, dove “CO” sta per corona, “VI” per virus, “D” per disease (malattia) e “19” indica l’anno in cui si è manifestata.

I coronavirus sono virus a RNA capsulati che causano malattie respiratorie di gravità variabile, dal raffreddore comune alla polmonite fatale. Dei numerosi ceppi di coronavirus, diffusi in diversi animali, sono 7 quelli patogeni per l’uomo. Quattro di questi ceppi sono responsabili di un semplice raffreddore comunetre invece causano infezioni respiratorie molto più gravi, e talvolta fatali:

  • il SARS-CoV, responsabile della “Sindrome respiratoria acuta grave“, patologia con una mortalità media del 10%, che varia significativamente per età, fino a oltre il 50% per età ≥ 65 anni; la SARS è stata rilevata per la prima volta in Cina alla fine del 2002 e si è diffusa in oltre 30 nazioni, con oltre 8000 casi nel mondo e 774 decessi, per spegnersi poi nel 2004;
  • il MERS-CoV, responsabile della “Sindrome respiratoria del Medio Oriente“, identificata nel 2012 in Arabia Saudita e responsabile ad oggi di circa 2500 casi in 27 Paesi e almeno 850 decessi;
  • il SARS-CoV-2, responsabile della COVID-19, così chiamato per la forte somiglianza con il SARS-CoV, dal quale si distingue per la letalità molto minore.

Il SARS-CoV-2 non è quindi né il primo né il più letale dei coronavirus già conosciuti, ma ha una maggiore velocità di diffusione.

L’influenza propriamente detta è determinata invece dai virus influenzali della famiglia degli Orthomyxoviridae, divisi in gruppo A, B e C in base a specifiche caratteristiche. Tuttavia, molte centinaia di altri virus possono causare sindromi parainfluenzali (causate dai Paramyxovirus) o  simil-influenzali (compresi alcuni ceppi di coronavirus), con sintomi sovrapponibili.

Le modalità di trasmissione e i sintomi d’esordio

Sia i virus influenzali e parainfluenzali, sia il SARS-CoV-2, condividono le stesse modalità di trasmissione ed una sintomatologia iniziale aspecifica.

La trasmissione avviene soprattutto per via aerea, attraverso le cosiddette “particelle di Flügge“. Si tratta di microgocce di saliva emesse soprattutto con tosse e starnuto che veicolano, sospese nell’aria, agenti infettivi di numerose patologie, fino alla distanza di oltre 1 metro.
I virus possono essere trasmessi anche per contatto diretto o indiretto tramite oggetti, sui quali i diversi virus sopravvivono per tempi variabili (alcune ore per il SARS-CoV-2).

La sintomatologia dell’influenza è quella che ognuno sperimenta quasi ogni anno. Dopo un periodo asintomatico di incubazione, mediamente di 48 ore, nei casi lievi si limita a un semplice raffreddore comune. Nei casi più manifesti si aggiungono febbre, tosse, malessere, stanchezza, dolori ossei e muscolari, cefalea anche intensa e a volte disturbi gastrointestinali come nausea, vomito e diarrea.

La COVID-19 ha un esordio più subdolo, tant’è che l’incubazione può protrarsi fino a 14 giorni secondo le prime stime. Quindi insorgono i sintomi che, nei primi 5 giorni, secondo un recente studio del Chinese Center for Disease Control, sono rappresentati da febbre, che nel 99% dei casi è il primo sintomo, tosse secca presente nel 68% e faticabilità nel 38%, dolori muscolari e cefalea nel 14% ed in una percentuale ridotta prevalgono nausea e diarrea (4%).

L’esordio delle due patologie è quindi praticamente identico, il che pone la necessità, per fare diagnosi precoce ed evitare la diffusione del virus, di eseguire tamponi per la diagnosi già ai primi sintomi aspecifici.

Le possibili complicanze e la letalità

Qui le principali differenze tra le due patologie.

Per quanto riguarda l’influenza, nella massima parte dei casi i sintomi si calmano entro 5 giorni e si ha guarigione completa in 1-2 settimane. La complicanza più comune è la sovrapposizione di un’infezione batterica a carico dell’apparato respiratorio, che può portare a bronchite ed aggravarsi fino a sviluppare una polmonite batterica secondaria. Può essere interessato anche l’orecchio con otite, sinusite, soprattutto nei bambini, ma anche complicanze a carico dell’apparato cardiovascolare (miocardite) e del sistema nervoso, oltre che l’aggravamento di malattie preesistenti. Più della metà dei casi complicati si registrano nei soggetti di età superiore ai 65 anni.

La COVID-19 invece, secondo l’ultimo rapporto dell’OMS del 9 marzo, è causa di:

  • infezioni lievi o asintomatiche nell’80% dei casi;
  • forme severe nel 15% dei casi, complicate da una polmonite primaria data dallo stesso SARS-CoV-2 che si manifesta intorno al 5°-7° giorno dall’esordio dei sintomi e richiedono ossigenoterapia;
  • infezioni critiche nel 5% dei casi, che richiedono ventilazione assistita.

Riguardo la letalità dell’influenza, secondo le stime del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia ogni anno circa il 9% della popolazione è colpito dall’influenza (5-8 milioni di persone), con un numero di morti diretti che oscilla tra i 300 e i 400 e con un numero di decessi che oscilla tra i 4 mila e i 10 mila per chi sviluppa complicanze gravi a causa dei virus influenzali.
Il tasso di letalità è globalmente basso, inferiore allo 0,1%, ma estremamente significativo se si considera l’elevato tasso di incidenza.

La mortalità per COVID-19 si attesta ad oggi, mediamente, al 3-4% dei casi, ed è strettamente dipendente dall’età del soggetto.

Inoltre, un soggetto affetto da COVID-19 trasmette il virus mediamente a 2-2.5 persone, molto più rispetto all’influenza (circa 1.3), il che giustifica le strette misure necessarie per contenere i contagi.

Le possibili terapie e il punto della situazione

Per l’influenza esistono sia vaccini, rinnovati annualmente, che farmaci antivirali efficaci nei casi complicati.
Tali presidi invece sono inefficaci contro il SARS-CoV-2: ad oggi l’unica terapia è quella di supporto supporto in ambiente ospedaliero. Tuttavia la ricerca di farmaci specifici e di un vaccino è già estremamente attiva.

COVID-19 e influenza sono dunque due patologie estremamente diverse, se non per il loro esordio. Così come COVID-19 è una patologia diversa da altre epidemie e pandemie che si sono verificate in passato. In realtà, dati alla mano, non avrebbe neanche senso fare un paragone.

Come spesso è accaduto in passato, ci si trova davanti ad un virus del tutto nuovo, originato probabilmente dal cosiddetto “salto di specie” dagli animali all’uomo, che ha caratteristiche uniche che la comunità scientifica sta imparando a conoscere e ad affrontare.
A maggior ragione, è necessario evitare speculazioni e contenere la disinformazione, affinché ogni cittadino possa collaborare con il giusto senno in questa sfida.

Davide Arrigo

 

Bibliografia:

https://www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/situation-reports
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/32139372
https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2
https://ourworldindata.org/coronavirus
https://www.cdc.gov/flu/about/keyfacts.htm
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2002032
http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioFaqNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=228#1

 

 

Sistema carcerario in crisi. Movimenti sovversivi arrivano fino a Gazzi

L’inaspettata diffusione del coronavirus ha portato il governo a prendere delle misure restrittive anche per gli ambienti delle carceri dove, tra le altre, la sospensione dei colloqui predisposta per evitare contagi ha causato rivolte in molti penitenziari italiani.  Da nord a sud il sistema carcerario, dunque, sembrerebbe in crisi: primi episodi di ribellione violenta sono stati registrati a Pavia e a Modena, ma l’ondata sovversiva ha coinvolto ben 22 istituti penitenziari della penisola causando morti, occupazioni, sequestri ed evasioni. Il clima di sommossa arriva in maniera singolare anche a Messina dove ad incitare la protesta sono stati i parenti dei detenuti all’esterno della casa circondariale di Gazzi.

La rivolta di Pavia– I due poliziotti presi in ostaggio sono stati liberati nella notte di domenica: uno dei due è il comandante della polizia penitenziaria della struttura Torre del Gallo. I carcerati sono scesi dai tetti e dai camminamenti dove si erano asserragliati dopo una trattativa con il procuratore aggiunto pavese Mario Venditti. La protesta, nata sull’onda dello stop ai colloqui “a vista” per il coronavirus, ha dato spazio anche a lamentele su questioni che riguardano il trattamento carcerario.

Modena – E’ qui che si è registrata la rivolta più violenta, dove sono morti ben 6 detenuti. Il motivo dei decessi è legato però a overdose e psicofarmaci. Durante la rivolta, infatti, si è verificato un assalto all’infermeria da cui sono stati prelevati diversi farmaci come sostanze oppioidi e benzodiazepine che hanno provocato il decesso accertato di tre dei detenuti di Modena. Altri tre detenuti sono morti nei penitenziari di Verona, Alessandria  e Parma ma provenienti comunque dal carcere di Modena. Il settimo invece è deceduto nel carcere San Benedetto del Tronto.

Foggia – Continuano le ricerche di 23 evasi ancora in circolazione tra cui persone legate alla mafia garganica e un condannato per omicidio, Cristoforo Aghilar, il 36enne che il 28 ottobre scorso ha ucciso ad Orta Nova Filomena Bruno, 53 anni, mamma della sua ex fidanzata. Ieri infatti, approfittando dei disordini, 77 detenuti sono riusciti a fuggire ma 54 sono stati già catturati, tra cui due persone che hanno scelto di costituirsi. Al momento per tutti l’accusa è di evasione ma successivamente sarà analizzata la posizione di ogni singolo detenuto.

La rivolta di Milano– Anche nel carcere di San Vittore, a Milano, un gruppo di detenuti era salito sul tetto della struttura gridando “Libertà, libertà”. Nel carcere è poi entrata la polizia penitenziaria in assetto antisommossa. A dar vita alla protesta, i detenuti de ‘La Nave’, il reparto modello riservato a chi soffre di forme di dipendenza. Persone che hanno scelto di seguire la strade del recupero. Due i raggi del carcere devastati prima che la protesta rientrasse. Sul posto sono intervenuti anche i vigili del fuoco.

La rivolta a Roma– A Rebibbia la protesta si è spostata anche fuori dal carcere, dove circa venti donne hanno bloccato via Tiburtina all’altezza dell’istituto penitenziario. Le forze dell’ordine hanno circondato il carcere. La rabbia è esplosa anche nel complesso di Regina Coeli. In diversi bracci sono stati segnalati roghi e fumo. Immediato l’intervento dei vigili del fuoco.

Bologna – “I detenuti si sono ormai impossessati del carcere e il personale è fuori, con il supporto delle altre Forze dell’ordine”, ha fatto sapere il sindacato Sappe sulla situazione del carcere bolognese della Dozza. Nel carcere di Villa Andreino alla Spezia la direttrice Maria Cristina Biggi e alcuni operatori sono “asserragliati all’interno per cercare di riportare la situazione alla calma”  ha raccontato un operatore, mentre alcuni detenuti sono saliti sui cornicioni. Intorno alla struttura si sono dispiegate decine di auto delle forze dell’ordine per questioni di sicurezza e per evitare eventuali tentativi di evasione.

Messina – Caos ieri davanti al carcere di Gazzi. La protesta è iniziata dentro le celle con il rumore delle pentole sbattute dai detenuti contro le inferriate per poi estendersi al di fuori. La differenza è che a Messina si è verificata una manifestazione fortunatamente pacifica terminata grazie alla supervisione delle forze dell’ordine. Protagoniste in questo caso sono state le donne che hanno coinvolto anche i loro figli originando un corteo partito da Via delle Corse per poi stazionarsi davanti l’entrata pedonale del penitenziario.

Hanno sospeso i colloqui senza avvisarci – ha spiegato la moglie di un detenuto– non è giusto agire in questo modo. C’è gente che è venuta dalla provincia e si è ritrovata la porta sbarrata con la sola possibilità di lasciare i pacchi per i propri cari. Pretendiamo rispetto“.

Alla protesta si sono aggiunti anche attimi di tensione tra i manifestanti e gli automobilisti in seguito alla chiusura del traffico in via Consolare Valeria.

protesta gazzi

Al momento le visite sono state proibite fino al 22 Marzo e oltre all’impossibilità di vedere i parenti cresce la preoccupazione per i rischi di contagio tra gli stessi detenuti.A tal proposito, la Protezione Civile si sta giù muovendo e nei prossimi giorni verranno distribuite 100mila mascherine negli istituti penitenziari mentre saranno montate 80 tende di pre-triage per lo screening del Covid-19.

«E’ nostro dovere tutelare la salute di chi lavora e vive nelle carceri ma deve essere chiaro che ogni protesta attraverso la violenza è solo da condannare e non porterà ad alcun buon risultato», ha spiegato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che mercoledì terrà in aula al Senato una informativa urgente sulla situazione.

Antonio Gullì

 

L’Erasmus ai tempi del Coronavirus

Due settimane. Sono appena trascorse le mie prime due settimane di esperienza Erasmus. Mi sento in un vortice di emozioni, sensazioni. È tutto nuovo, e allo stesso tempo conosciuto, come se avessi dato conferma alle “fantasticherie” che hanno preceduto la partenza. Si, è inevitabile riempirsi di domande, e di paure. Diceva mia nonna <<quando lasci la strada vecchia per la nuova, sai quello che lasci e non sai quello che trovi>>.
Eh beh, per l’Erasmus è proprio vero: tutti coloro che l’hanno vissuto possono dispensare consigli e pareri, ma fino a quando non ci si è dentro non esiste un vero termine di paragone. È un’esperienza personale, faccia a faccia con se stessi ed il mondo. Poi, aggiungiamoci un’epidemia che minaccia l’intera popolazione globale ed il quadretto di “Erasmus unico nel suo genere” si completa. Il Coronavirus non lascia indietro nessuno, ed anche l’Agenzia Erasmus+ INDIRE ha comunicato che per le mobilità degli alunni, degli studenti e dello staff, che operano negli ambiti dell’istruzione scolastica, dell’istruzione superiore e dell’educazione degli adulti, nell’ambito del programma Erasmus+ potrà applicarsi il principio di “causa di forza maggiore”. Sarà possibile richiedere all’Agenzia Nazionale, nelle forme e con le modalità che saranno successivamente comunicate, di applicare la clausola di “forza maggiore”, relativamente alle attività e ai costi per tutte quelle mobilità che vengano annullate in ragione della situazione di emergenza e dei provvedimenti delle competenti autorità. Qui presente il Vademecum per la gestione di_progetti_Ereasmus+:Gioventu_e Corpo europeo di solidarietà – Emergenza COVID_19 

Sono partita per la mia esperienza il 23 febbraio verso la Nazione che mi avrebbe ospitato. Attualmente, infatti, mi trovo a Maribor, in Slovenia, in cui, se tutto va bene, dovrò trascorrere i prossimi quasi 5 mesi prima delle vacanze estive. Facendo due calcoli, noterete che sono “fuggita” giusto in tempo, quando il focolaio era distante da me ma la sua forza espansiva era più forte del previsto, tanto che nel giro di pochissimi giorni integralmente il Bel Paese si è bloccato. Coloro che sono partiti dopo di me sono stati messi in quarantena, soprattutto i provenienti dall’Italia. Una quarantena un po’ sui generis comunque, non dovuta né ad una negligenza del Paese Sloveno – il quale si è mobilitato immediatamente ad installare in ogni dove, senza nemmeno accorgersene, disinfettanti ed igienizzanti – ma forse dovuta alle caratteristiche del virus che principalmente attacca anziani e adulti, quindi gli under 25 sono stati poco salvaguardati senza ricorrere al tampone. È vero anche che ancora i casi presenti nel territorio sloveno, nonostante la stretta vicinanza con il nord Italia, si limitano a due anch’essi isolati e tenuti sotto controllo.

Ironica è la situazione creatasi per le condizioni meteorologiche che hanno attaccato gli studenti di ogni nazionalità con raffreddori, tossi, lievi stati febbrili e mal di gola. Il panico è dilagato in un secondo. Tra qualche risata volta a camuffare la preoccupazione interiore, abbiamo svaligiato le farmacie ed iniziato a scambiarci farmaci con costanti aggiornamenti dei nostri medici che in Italia non hanno più gli occhi per piangere. Fortunatamente, come anticipato, lo stato influenzale generale è stato principalmente dovuto ai costanti sbalzi termici che abbiamo incontrato (15 gradi, il giorno dopo neve con -2 gradi, pioggia, di nuovo sole) solo chi abituato a queste temperature si è fatto una grossa risata per smorzare l’occhio sinistro che naturalmente si faceva ad ogni colpo di tosse

I luoghi comuni vengono sfruttati per rompere il ghiaccio il più delle volte: se prima all’estero Italia = Mafia, oggi è Italia = Coronavirus. E se Erasmus è l’acronimo di EuRopean Community Action Scheme for the Mobility of University Student dal 1987 ha definito la parola “globalizzazione” anche per gli under 30, il 2020 vorrebbe tutto tranne che ulteriori spostamenti. L’università ospitante, infatti, seguendo le direttive europee ed internazionali, ha inviato una mail a tutti gli studenti in mobilità indicando i luoghi più critici (italiani e non) consigliando di non spostarsi dalla propria abitazione se non si sentono bene, di informare immediatamente i propri coordinatori, mettere al corrente della propria condizione il proprio medico e di contattare immediatamente il numero di emergenza evitando trasporti pubblici. Nota più importante a fine mail: se si ha la necessità di ritornare nelle zone critiche, non è permesso rientrare per continuare la propria mobilità.

 

Veduta della Piramida innevata, Maribor, Slovenia – Febbraio 2020

Come per chi è bloccato in Lombardia, anche io non posso “né scendere né salire”. Il gruppo italiano si sente un po’ in esilio dalla patria, quasi il desiderio di rientrare si è intensificato: tutti i propri cari si trovano in una situazione di estrema emergenza e noi che, per coincidenze, ci troviamo in questo momento lontani, abbiamo un enorme punto interrogativo sopra la testa. C’è chi già programmava l’arrivo di genitori e fidanzat*, chi voleva visitare anche qualche zona del nord italia più vicina adesso che quando si sta nell’isola sicula. Certo, non possiamo né dobbiamo lamentarci, al contrario, forse, dovremmo sentirci fortunati di avere scampato per poco il pericolo, ma come per tutti non sappiamo come continuerà questa matassa che si aggroviglia sempre più.

Per ulteriori aggiornamenti il servizio informativo Viaggiare Sicuri del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale fornisce informazioni online costantemente aggiornate sui singoli Paesi. All’indirizzo http://www.viaggiaresicuri.it/find-country sono disponibili una Scheda Informativa e un Avviso in evidenza aggiornati sulla situazione corrente in ogni Paese nel mondo. È consigliato controllare il sito anche poco prima della partenza, all’indirizzo http://www.viaggiaresicuri.it/aggiornamenti. È inoltre utile, prima di partire, che i cittadini italiani registrino il proprio viaggio sul sito www.dovesiamonelmondo.it .

 

 

Giulia Greco

Sicilia: obbligo di quarantena per chi arriva dalle zone rosse

L’ordinanza firmata dal presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci e in fase di notifica ai nove prefetti, ai questori ed ai 390 sindaci dell’Isola

“Chi sbarca in Sicilia, con qualsiasi mezzo, provenendo dalle zone rosse del Nord, ha il dovere di informare il medico di base e porsi in autoisolamento”.

Il governatore richiama le competenze comuni a tutte le regioni italiane e quelle previste dallo Statuto siciliano, che conferiscono al presidente della Regione il potere di disporre delle forze di polizia in caso di necessità.

Milano Porta Garibaldi – il riformista.it

“Se tutti manteniamo la calma e il senso di responsabilità, riusciremo a gestire e superare anche questo particolare momento. Noi siciliani abbiamo affrontato ben altre calamità e non ci arrendiamo. Ma ognuno faccia la propria parte”, ha dichiarato Musumeci, al momento in autoisolamento domiciliare in via precauzionale, in virtù dell’incontro di mercoledì a Roma con il leader PD Zingaretti. Il primo tampone è risultato negativo, quindi ne seguirà un altro tra due giorni.

Di seguito il reportage di Fanpage alla stazione Milano Porta Garibaldi. 

Ricalendarizzazione esami e lauree per via telematica in tutti i Dipartimenti

Le misure adottate dal DPCM del 4 marzo si fondano su tre principi essenziali: quello della tutela della salute pubblica, quello del diritto allo studio, nonché quello della continuità dei servizi alla comunità. Nello specifico, le disposizioni mirano ad evitare presenza prolungata di flussi di persone ad una distanza inferiore a quella ritenuta necessaria per evitare o contenere il contagio.

Al fine di tranquillizzare gli studenti e le loro famiglie, quindi, in via precauzionale, il Rettore, prof. Salvatore Cuzzocrea, comunica che tutti gli esami e le lauree precalendarizzati  sono stati rinviati in tutti i Dipartimenti in attesa di nuova imminente calendarizzazione per consentirne lo svolgimento per via telematica.
Nella giornata di lunedì saranno forniti i dettagli della nuova calendarizzazione.

Sanità pubblica al collasso: occorreva il coronavirus per farcelo capire?

Per il nostro sistema sanitario nazionale è guerra. Una guerra iniziata prima ancora dell’emergenza Coronavirus, non fatta di armi e trincee, ma di tagli al personale e investimenti inadeguati. Traducendo la situazione in numeri: carenza di oltre 50 mila infermieri negli ospedali e nel territorio; deficit di 16700 medici specialisti previsto per il 2025, più di 2000 solo in Sicilia; meno di tre posti letto per mille abitanti in molte regioni d’Italia; infine, investimenti in ricerca e sviluppo al di sotto del 1,5% del PIL (la Francia ne investe il 2,2%, la Germania il 3%).

L’epidemia in corso ha rilanciato il dibattito politico e sociale sulle difficoltà della sanità pubblica in Italia. Ma la domanda sorge spontanea: era proprio necessaria un’emergenza di questo calibro per dare un po’ di rilevanza mediatica all’affanno del sistema sanitario?

Pronto soccorso chiuso
Fonte: AGI © Nicola Marfisi / AGF – Pronto Soccorso Codogno

Il sistema sanitario nazionale era in difficoltà prima ancora che ce lo facesse notare il Coronavirus

Che ci volessero mesi di attesa per una visita specialistica o un intervento in elezione in regime SSN lo si sapeva già da prima dell’epidemia. Nell’ultimo anno sono quasi 20 milioni gli Italiani che sono dovuti ricorrere alla sanità a pagamento dopo aver constatato i lunghi tempi d’attesa.

Si è orientati verso un modello privato, sull’esempio di altri Paesi che, se da un lato possono garantire una sanità di maggior qualità e una miglior retribuzione per gli operatori, dall’altro limitano le cure per chi non può permettersele. In questo senso in Italia si accende un campanello d’allarme: secondo una recente stima dell’ISTAT 4 milioni di italiani rinunciano a curarsi per ragioni economiche; altri due milioni per ragioni di tempo, in relazione alle liste d’attesa.

Che nella sanità pubblica le risorse umane fossero sottodimensionate per gestire la domanda da parte della seconda popolazione per aspettativa di vita in Europa era ben chiaro. L’incremento dell’età della popolazione si associa ad un aumento dei pazienti cronici ed ospedalizzati. Ogni infermiere dovrebbe assistere al massimo 6 pazienti: un aumento si associa ad un maggior rischio di mortalità per il paziente e di burnout per l’operatore. In media in Italia gli infermieri assistono 11 pazienti; in Sicilia questo numero sale a 12 e in altre regioni fino a 17.

Aspettativa di vita in Europa
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da banca dati di Eurostat

L’imbuto formativo nega ai medici la possibilità di specializzarsi, nonostante la carenza

I neomedici, dopo i 6 anni di studio, devono specializzarsi. L’ingresso in scuola di specializzazione dipende da un concorso, che però non garantisce la formazione specialistica ad ogni laureato. Nel 2019 i candidati sono stati 17595, a fronte di 8905 posti disponibili. Ciò significa che quasi la metà dei candidati si è vista interrotta la carriera poco dopo la laurea, in attesa del concorso dell’anno successivo.

Si verifica inevitabilmente un accumulo di candidati di anno in anno, che si sommano ai neolaureati in continuo aumento. Al contempo diminuisce il numero degli specialisti a disposizione, e si riducono le prospettive lavorative nel nostro Paese. Dal 2010 al 2018 oltre 8800 medici hanno lasciato l’Italia per trovare un posto di lavoro in un altro Paese europeo, con la perdita dell’investimento economico che lo Stato ha fatto per formarli. Tutto ciò nonostante la grave carenza verso cui siamo proiettati, frutto di un Paese in cui la riduzione delle assunzioni e la carenza di giovani specialisti si traduce nella classe medica più vecchia d’Europa.

Italia nazione con maggior percentuale di medici over 55
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da Eurostat, riferito ad anno 2017

L’epidemia ha messo in evidenza tutte le carenze, frutto di anni di disinteresse politico

In questa fase la sanità è al centro dell’interesse mediatico. Vengono evidenziate le difficoltà e l’impegno di medici, infermieri e ricercatori in servizio ininterrotto da giorni o da settimane. Si parla degli ospedali e degli operatori messi in quarantena per due settimane, con la sola “colpa” di aver svolto il loro lavoro. Le misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza sono in prima pagina: si richiamano i medici in pensione, si anticipa la laurea degli studenti in scienze infermieristiche per dare manforte, si pensa di assumere nuovi medici a tempo determinato.

Era evidentemente necessario il Coronavirus per ricordare le difficoltà del nostro sistema sanitario nazionale e rendersi conto dell’importanza del medico di base e dei medici specialisti, dell‘assistenza infermieristica, dei servizi di laboratorio pubblici e di un posto letto in ospedale.

Tra le ultime notizie, quella critica dei reparti di terapia intensiva quasi saturi, e in tal senso si programma un aumento dei posti letto di malattie infettive, pneumologia e terapia intensiva. Forse se tra il 2000 e il 2017 non si fosse assistito a una riduzione dei posti letto pro capite del 30% la sanità avrebbe potuto ammortizzare meglio l’emergenza.

Il Coronavirus mette in luce due fenomeni del nostro paese: la resilienza e il populismo

La prima è una caratteristica che ha contraddistinto storicamente il nostro popolo in ogni emergenza. La resilienza è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Gli operatori sanitari confermano la qualità facendo miracoli: inventano aree di isolamento in strutture insufficienti, riciclano mascherine e dispositivi di protezione, portano avanti turni massacranti negli ospedali e nel territorio. Tutto ciò senza dimenticare gli altri pazienti che hanno bisogno di assistenza, i quali non possono certo farsi da parte per l’occasione.

Si cerca quindi di mettere le pezze laddove il populismo ha messo in secondo piano la sanità in favore della demagogia, con investimenti in iniziative politicamente più appetibili. L’Italia spende meno nei servizi sanitari rispetto a moltissimi altri Paesi europei, mantenendosi sotto la media europea, seppur nell’ultimo anno ci sia stato un aumento di circa 2 miliardi di euro, comunque non sufficienti.

Spesa sanitaria in Italia e in Europa
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da OCSE, riferito ad anno 2017

Il futuro è incerto

Gli scienziati non sono concordi nel prevedere le modalità di evoluzione dell’epidemia e i tempi di risoluzione della stessa. Nel momento in cui vi scriviamo, i positivi in Italia sono 3296 in continuo aumento. Ad ogni modo, indipendentemente dai tempi di risoluzione della malattia, una domanda è lecita: dimenticato il Coronavirus, dimenticheremo nuovamente il nostro sistema sanitario nazionale?

Antonino Micari