Lo sviluppo cognitivo in quarantena: i videogames

Come ormai sappiamo tutti, l’economia italiana sta affrontando un periodo inaspettato e mai vissuto prima.

Quasi tutte le piccole e grandi industrie sono messe alle corde e cercano una soluzione per uscire anche economicamente da questo tunnel.

Tuttavia, una delle poche economie che tende a non fermarsi, in Italia come nel resto del mondo, è quella legata ai videogiochi.

In Cina, in cui il peggio sembra essere ormai passato, c’è stato un incremento del 39% nel solo mese di febbraio riguardanti i download di app dedicate al mondo dei videogiochi per smartphone e dispositivi portatili. L’app store si è visto aumentare del 62% il traffico da scaricamento per giochi mobile.

La quarantena obbliga tutti a restare in casa ed i videogiochi vengono visti come un ottimo passatempo.

Inoltre, come spiega Ray Chambers, Ambasciatore dell’Oms per la strategia globale“L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha messo in risalto l’efficace potere terapeutico dei videogiochi in questo periodo”, spiegando che essi, in particolar modo quelli con accesso online, permettono alle persone di distrarsi e di restare a contatto nonostante la quarantena.

#PlayApartTogether è l’hashtag lanciato dall’OMS in collaborazione con le maggiori industrie di giochi.

 

E’ stato riscontrato scientificamente che i videogiochi fanno molto bene al nostro cervello.

I videogiocatori infatti sono in grado di ottimizzare l’utilizzo delle proprie risorse mentali (percezione, attenzione e memoria) per risolvere problemi o prendere decisioni in tempi rapidi.

Questi miglioramenti si hanno in quanto spesso nelle realtà virtuali si è soggetti a dover compiere più azioni nello stesso lasso di tempo o in una rapida successione.

Molti gamers possiedono una capacità elevata nell’identificare rapidamente un singolo oggetto, in un contesto estremamente popolato di fonti di distrazione, e di seguirlo con lo sguardo anche in presenza di elementi visivamente molto simili.

Anche sul piano lavorativo i videogiochi possono portare dei vantaggi, soprattutto in ambiti in cui è richiesto un alto livello di attenzione, una buona coordinazione mano-occhio, un’ottima memoria operativa e processi decisionali accelerati.

A proposito di ciò, due ricerche hanno rivelato che la gran parte dei giovani chirurghi con un passato o presente da giocatori seriali mostrano abilità superiori rispetto ai colleghi che non hanno esperienze virtuali.

I videogiochi sono uno strumento terapeutico per il trattamento di molti disturbi legati alle abilità visive e cognitive.

Uno studio effettuato nel 2010, dimostra che l’attività videoludica può rivelarsi un mezzo molto efficace nel trattamento dell’ambliopia (occhio pigro).

Molti dei pazienti coinvolti in questa sperimentazione sono stati sottoposti ad una terapia a base di action game ad alto tasso di dinamismo, ottenendo benefici eccezionali e raggiungendo, in alcuni casi, il recupero completo delle funzionalità compromesse dalla malattia.

Un altro studio eseguito dall’esperto in psicobiologia, Sandro Franceschini, ha addirittura confermato che i videogiochi possono essere usati efficacemente nel trattamento della dislessia mettendo in risalto come i bambini coinvolti nell’esperimento dimostrassero miglioramenti più importanti rispetto a quelli ottenuti con le metodiche di base.

L’intrattenimento digitale può offrire un importante contributo anche nel limitare il declino mentale causato dall’invecchiamento.

È stato dimostrato che l’attività videoludica può contribuire al mantenimento di flessibilità cognitiva, livello d’attenzione, memoria operativa e ragionamento astratto, andando quindi ad influire positivamente sulla qualità di vita degli anziani.

I giovani giocatori, invece, sono dotati di migliori capacità di concentrazione, buona memoria, analisi e giudizio ragionato. Senza dimenticarci che essendo usati da grande parte dei ragazzi, essi rappresentano un importantissimo fattore di inclusione.

L’altra faccia della medaglia: i Gaming Disorders

Ovviamente tutti questi vantaggi si raggiungono se si gioca responsabilmente e senza esagerare. Se, invece, si passano intere giornate davanti al mondo virtuale, subentrano numerosi svantaggi fino a parlare di Gaming Disorder (dipendenza da videogiochi).

Nonostante ad oggi, vista la situazione causata dal Covid-19, è stato fatto un piccolo passo indietro, l’OMS ha inserito il Gaming Disorder tra i disturbi mentali riconosciuti dall’ente internazionale.

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la dipendenza dal gioco consiste in comportamenti continui e ricorrenti che prendono il sopravvento su altri interessi della vita, in quanto si tende a dare priorità al gioco.

Tutto ciò ovviamente può portare disagi sia in famiglia sia a livello professionale.

L’obiettivo dell’OMS è quello di trovare terapie adeguate per la cura di questa dipendenza. Ovviamente quando si arriva a parlare di ciò, ci si riferisce a casi veramente molto gravi.

In conclusione non si può non dire che collegarsi virtualmente un paio di ore al giorno può rivelarsi un toccasana per chiunque.

In questo periodo così difficile, oltre ai gamers, molti di noi si stanno ritrovando a dissotterrare quella Nintendo o quella Playstation piena di polvere, rivivendo emozioni rinchiuse nei giochi virtuali che preferivamo da bambini.

Roberto Cali’

Bibliografia:

https://www.everyeye.it/articoli/speciale-i-videogiochi-fanno-dannatamente-bene-vostro-cervello-dice-scienza-39847.html

https://www.journalofplay.org/sites/www.journalofplay.org/files/pdf-articles/7-1-article-video-games.pdf

https://www.semanticscholar.org/paper/The-impact-of-video-games-on-training-surgeons-in-Rosser-Lynch/c4fed15b73fc12cb8e71a7f8400568416ff90e07

https://openarchive.ki.se/xmlui/handle/10616/44614

https://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.1001135

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0960982213000791

https://icd.who.int/dev11/l-m/en#/http%3a%2f%2fid.who.int%2ficd%2fentity%2f1448597234

Coronavirus: quali attività riaprono e cosa si potrà fare da oggi in Sicilia

Il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci ha emanato una nuova ordinanza, entrata in vigore dalla mezzanotte di ieri e disposta fino al 3 maggio, che di fatto proroga in Sicilia le misure restrittive più stringenti.
Recepite ed accolte le disposizioni previste dall’ultimo Dpcm, emanato dal Premier Conte nella solita conferenza stampa serale sull’emergenza Coronavirus.

E’ prevista dunque la riapertura di cartolibrerie, librerie, e negozi di abbigliamento per neonati e bambini.

Il Governatore della Sicilia ha poi confermato con fermezza: la chiusura dei negozi di generi alimentari la Domenica e nei giorni festivi (come del resto è avvenuto per Pasqua e pasquetta), il divieto di attività motoria e delle ormai famose passeggiate con  figli anche nelle vicinanze della propria abitazione.

Ribadito anche “l’obbligo elastico” dell’uso della mascherina, che nei giorni scorsi aveva fatto sì che si alzasse il solito polverone di polemiche.

Piccola postilla per quanto riguarda i servizi di consegna a domicilio, vietati anche la Domenica e nei giorni festivi, ad eccezione di farmaci, prodotti editoriali (quotidiani, magazine, riviste), e combustibili d’uso domestico.

Negli esercizi commerciali di vendita e distribuzione di generi alimentari (anche all’aperto) gli operatori sono tenuti all’uso della mascherina, all’utilizzo di guanti protettivi monouso o, in alternativa, al frequente lavaggio delle mani con detergente disinfettante.

Evidenziato, con rigore e chiarezza per l’ennesima volta, il tema del numero possibile di uscite per l’approvvigionamento di prodotti di prima necessità, che ad eccezione di quello per i farmaci, viene limitato ad una sola volta al giorno e ad un solo componente del nucleo familiare.

L’ultimo Dpmc del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, comunicato il 10 Aprile, l’esecutivo ha deciso con ponderazione di ampliare la lista delle attività produttive consentite inserendo: l’uso delle aree forestali e la silvicoltura, la fabbricazione dei computer, la cura e la manutenzione del paesaggio, le opere idrauliche, il commercio all’ingrosso di carta e cartone.

Tutte queste attività produttive saranno consentite anche in Sicilia.

Per i negozi, gli esercizi e le attività produttive che hanno riaperto nella giornata di oggi, vi sono delle regole fondamentali da seguire: il distanziamento (minimo 1 metro), la pulizia degli ambienti lavorativi due volte al giorno con un’attenzione particolare al ricambio d’aria, la disponibilità e l’accessibilità ai disinfettanti per le mani, mascherine obbligatorie nei luoghi o negli ambienti chiusi e all’interno dei quali non può essere garantito il distanziamento.

Gli accessi nei negozi andranno organizzati secondo le seguenti modalità: ampliamenti delle fasce orarie, per locali fino a quaranta metri quadrati si potrà accedere una persona alla volta, per i locali di dimensioni superiori l’accesso è regolamentato in relazione agli spazi disponibili ed alle possibilità di percorsi di entrata e uscita differenti.

Importante, affinchè venga garantito il distanziamento dei clienti in attesa di entrata, che le suddette informazioni vengano comunicate proprio all’ingresso dei negozi.

Ci attendono, probabilmente, le settimane più impegnative e decisive nella lotta al nemico invisibile; se saremo responsabili e coesi potremo dapprima convivere ed in seguito sconfiggere il virus.

Antonio Mulone

Perché il professore ci ha dato una lezione

Non fatevi infervorare subito dal mero titolo, anche se so che già vi siete fatti un’idea di ciò che sto per scrivere. In realtà, la questione merita una complessa e completa disamina, oltre ogni campanilismo e sensazione del momento.

Un uomo, coadiuvato dalla sua squadra governativa, Parlamento ed istituzioni di ogni ordine e rango, si è trovato di fronte alla più grande crisi sanitaria ed economica, oserei dire “umanitaria”, che la memoria di chi legge riesca a ricordare: ma pur sempre un uomo. Partiamo da questo dato – incontrovertibile – e vediamo come il nostro Premier sia arrivato alla ormai famosa conferenza del 10 aprile, che tanto clamore ha destato nell’opposizione, direttamente nominata, e nei suoi sostenitori.

Iniziamo proprio da Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Leader così simili come idee e modi di fare, esponenti di quella che definirei metapolitica, sostenuta dai potenti mezzi che i social network offrono al giorno d’oggi: sembra impensabile non correlare la loro ascesa e popolarità alla larghissima diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione, visto l’uso “compulsivo” che i due (e i loro staff) ne fanno.

Con tutta l’attenzione del Paese, Conte ha dichiaratamente accusato Meloni e Salvini di diffondere menzogne, senza che potessero replicare nella medesima – gigantesca per visibilità – sede.

Fonte: Il Riformista

La prima domanda che viene istintivamente in mente è: lo avrebbero fatto anche loro a parti invertite?

La risposta, con buoni margini di verità, è : questo al contempo vuol dire poco; al massimo può invalidare il piagnisteo scatenatosi nelle ore e giorni successivi. Ma ai “cambio idea” dell’ultimo minuto ci hanno abituati ormai: migliaia di immagini circolano puntuali in seguito a loro affermazioni, confrontando post di tempi diversi totalmente (oltre ogni ragionevole accettabilità) in disaccordo.

Probabilmente – aggiungo – avrebbero fatto di peggio. In tempi di Coronavirus, i due leader si sono limitati a fare – purtroppo – quello che in genere fanno in tempi di pace: proclami, diffusione di fake news, complottismi, rappresaglie prive di utilità, se non alla loro perenne campagna elettorale. Specchio di ciò, il loro contributo, in termini di proposte accolte, è stato praticamente nullo.

Colpa dei cattivoni al governo? Chi vuol rispondere di sì lo faccia, ho poco da dire a loro. Basta scorrere i profili Facebook dei due leader, riascoltare le interviste rilasciate, per scorgere in ogni proposta un tentativo più che di essere d’aiuto, di dire che si sta contribuendo. Dai famosi “soldi direttamente sul conto” della Meloni (verificate la falsità delle cifre ed il riferimento alla Svizzera) al “riaprire le Chiese perché la scienza non basta” (?) di Salvini, ennesimo richiamo all’elettorato cattolico. Roba da far impallidire anche Papa Francesco.

Tabella tratta da “il Fatto Quotidiano” del 12/04/2020. Dati Agcom

Forse, se nessuna proposta è stata accolta è perché non si tratta più di fare politica con la P maiuscola, concetto che – sia chiaro – non ritrovo pienamente espresso in nessun partito odierno: si tratta di fare a gara a chi la spara più grossa, a chi urla più forte, anche quando una proficua collaborazione e un dibattito serio sarebbero stati utilissimi. Per intenderci, non si può lasciare soltanto alla maggioranza, dal punto di vista prettamente ideologico, un peso così grande: e senza dubbio, ne sono fermamente convinto, tutti i provvedimenti presi erano e saranno perfettibili. Ma mi chiedo come, se ormai il dibattito politico è stato sostituito da post e tweet. Non scorgo nessun “fare le pulci al governo”, sacrosanto compito dell’opposizione, come ha detto qualche editorialista più esperto di me.

Sicuramente in politica ognuno tira acqua al suo mulino, come è giusto che sia. Però, si può essere così abietti da applicare questo principio – e limitarsi solo ad esso – anche in una situazione del genere? La risposta, a quanto dicono i fatti, sembra essere sì. Non solo a livello nazionale, state bene attenti.

Ma torniamo al nostro uomo: perché le parole di Conte ci avrebbero dato una lezione? Di cosa? Certamente non di correttezza politica, vista la modalità monopolistica che ha adottato per porre il suo attacco. Ma, mi chiedo, avevamo bisogno di una tale lezione? E soprattutto, Meloni e Salvini che insegnamenti ci hanno dato a riguardo? Ben pochi. Ecco perché io – e come me tantissimi altri – non mi sento di biasimare il Premier.

Di tutt’altro avviso il direttore del TgLa7, Enrico Mentana, attacca i metodi del Premier Conte

Chi mastica social, chi è esposto costantemente ad una arena virtuale, vetrina delle più disparate e bizzarre informazioni, conosce le insidie e le crepe di questi strumenti del terzo millennio. E vede continuamente insinuarsi in tali crepe, allargandole fino a farle diventare voragini, personaggi di ogni tipo, non ultimi – sicuramente per importanza – politici. Un regno fatto di bit, dove le fake news dilagano e i complotti attirano sempre più persone. In questo labirinto di informazioni è facile perdersi. A maggior ragione se qualcuno ti elimina i punti di riferimento, ti spinge verso gli angoli più sperduti e bui. E siamo veramente più che stanchi di una totale mancanza di strumenti che frenino questa ondata di ignoranza, ma sopratutto di chi – l’ondata – la cavalca.

Ci hanno dato uno strumento senza che tutti – ahimè sopratutto i più grandi – fossero pronti ad utilizzarlo. Piattaforme sulle quali con un click puoi: arrivare costantemente ed immediatamente a milioni di persone, eliminare e censurare chi lascia feedback negativi, creare ed utilizzare profili falsi per far sembrare che qualcuno sostenga le tue idee.

Internet in veste di strumento accolto come “la vera democrazia diretta” (di certo non risparmio altri leader e partiti in questa analisi) ma che di democratico ha veramente poco. A corredo di tutto ciò, la crescente ed opprimente impossibilità non solo di un vero dibattito politico, ma anche di un confronto interpersonale con alcuni figli di queste contraddizioni.

Piattaforma online utilizzata dal Movimento 5 Stelle, acclamata come espressione di vera democrazia diretta

Impensabile avviare un dialogo se dietro tutto ci sono sempre “i poteri forti” se ogni cosa è detta perché “qualcuno vuole farcelo credere”. Metodi di verifica dei fatti e delle fonti ufficiali sembrano miraggi, sconosciuti spesso a giornali e giornalisti, quanto più alle persone comuni. Postate una qualsiasi bufala su Facebook e vedrete come un gruppo folto di persone – anche politici – vi daranno seguito se fa comodo o se semplicemente vogliono avere qualcosa da dire su argomenti che non conoscono minimamente.

Ecco perché chi ha un minimo di competenza in qualsiasi campo, non trova spesso nel web un mezzo adeguato per fare informazione reale e puntuale. Ed ecco perché Conte ha bacchettato in diretta nazionale chi più di tutti avrebbe dovuto semplicemente avere la sensibilità, in un momento così buio, di non spegnere le poche certezze che le fonti ed i dati ufficiali ci danno quotidianamente. Giornalisti scorretti, accalappiatori di consensi, spacciatori di fake news: il Coronavirus non ha fermato nessuno di loro.

Francisco Goya, Il sono della ragione genera mostri – Fonte: Wikipedia

Le parole di Conte, seppur avvertite come evitabili, in realtà non erano più rinviabili: esito di questo meccanismo perverso di informazione che se nelle mani sbagliate può accecare e soggiogare le masse, spingendoci nelle tenebre dell’intelletto, nel sonno della ragione. E questo governo non lavora con il favore delle tenebre, abbiamo imparato. Ecco quindi che l’uomo, il professore, il Premier Giuseppe Conte, ci ha dato una lezione ben più grande di quanto ci aspettassimo e di quanto lui stesso immaginasse, seppur in modo poco leale. Ma in questo si intravede la fragilità dell’essere umano.

L’uomo che sotto mille pressioni non si può permettere di combattere anche con le menzogne, ha lanciato un monito su chi fa un uso meschino e scorretto delle informazioni, anche grazie ai mezzi che abbiamo oggi. Ha dato voce ai tantissimi che si sono stancati di questo meccanismo.

Ed ora si respira un’aria nuova.

Emanuele Chiara

Covid-19: cosa accade nelle terapie intensive

In questi giorni di quarantena che sembrano interminabili, scanditi da bollettini della protezione civile e dai telegiornali, si sono diffuse molte immagini provenienti dai reparti in cui si trovano i pazienti affetti da SARS-CoV-2.
I soggetti più gravi, che non riescono a ventilare autonomamente, vengono trasferiti in dei settori speciali chiamati terapie intensive.
Ma cosa sono questi reparti?
Come si evince dal nome si tratta luoghi in cui vengono ricoverati coloro che necessitano di attenzioni e cure speciali come per esempio il supporto delle funzioni vitali.


Di cosa dispone un reparto di terapia intensiva?

Solitamente ogni posto letto è dotato di un ventilatore meccanico autonomo, un defibrillatore, un impianto di aspirazione e un infusore, tutto il necessario per far fronte a qualsiasi emergenza.
Si è parlato tanto ultimamente della mancanza di spazio in questi reparti e la ragione sta proprio nella complessità delle apparecchiature richieste e nella difficoltà nel reperirle in tempi brevi.
Le terapie intensive italiane, infatti, non erano state progettate per sostenere un’epidemia di così vasta portata.

Vite sospese

Molti si chiedono come sia la permanenza in ospedale per i pazienti che hanno contratto il nuovo coronavirus. Molti sono intubati e sedati e dalle foto che ogni tanto trapelano, condivise sui social, spesso li si vede riversi a pancia in giù.
Questa posizione apparentemente innaturale ha generato delle domande nella popolazione del web e anche, a volte, paura per qualcosa che non capita di vedere spesso.
Ma perché i pazienti vengono pronati?

La pronazione

C’è un motivo per cui la pronazione è preferita rispetto alla supinazione nel trattamento dei pazienti con insufficienza respiratoria.
Uno studio del 1976 ha dimostrato un miglioramento nella ventilazione nei pazienti che vengono pronati, con un incremento della sopravvivenza del 10-17%.
La ragione del miglioramento è da ricercarsi nel reclutamento di aree polmonari prima non ventilate o dallo spostamento della perfusione dalle aree non ventilare a quelle ventilate.
Adesso, sorge spontanea un’altra domanda: perché il nuovo coronavirus ha costretto al ricovero di così tante persone in terapia intensiva?

La polmonite interstiziale

Il Covid-19 è un virus dalle manifestazioni multiformi: la presentazione clinica può variare da asintomatica a un lieve raffreddore fino a una polmonite interstiziale con grave insufficienza respiratoria. È proprio quest’ultima la ragione della pericolosità del patogeno, unita alla sua elevata contagiosità.
La gravità del quadro clinico nei pazienti appare subito evidente se si dà uno sguardo agli esami radiologici: 

  • nelle prime fasi si evidenziano delle opacità dette “a vetro smerigliato”, bilaterali, per aumento dello spessore del tessuto polmonare, e un ispessimento dei setti alveolari.
  • successivamente, queste opacità si estendono a tutto il polmone, arrivando nel tempo a consolidarsi grazie all’azione del virus stesso.

Questa situazione può prendere due strade, quella della risoluzione e quindi della guarigione o, purtroppo, quella della Sindrome da Distress Respiratorio Acuto.

Altre indagini strumentali

Molto utile si sta rivelando la TC del torace, considerata l’esame di scelta per lo studio del Covid-19, soprattutto nelle fasi iniziali, che mostrano sempre quelle aree di consolidamento e opacità disposte prevalentemente nei lobi inferiori e posteriori.
Tuttavia, questi sono reperti aspecifici, ritrovabili in altri quadri patologici.

L’ecografia invece, è strettamente riservata all’utilizzo da parte dei medici che lavorano in terapia intensiva perché prevede un contatto molto stretto tra operatore e paziente, oltre a richiedere una certa esperienza.

Si può prevedere l’andamento della malattia?

Purtroppo ad oggi, pur con le conoscenze che abbiamo acquisito in tempi da record, non è possibile sapere se un paziente andrà incontro a insufficienza respiratoria o meno.
L’unico parametro affidabile sembra essere la storia clinica pregressa della persona e le sue eventuali patologie, ma ogni giorno la ricerca fa un piccolo passo verso la risoluzione di questo enigma che è il SARS-CoV-2.
Si spera quindi che presto le terapie intensive diventino un luogo di speranza e di vita e non di morte.

 

 

Maria Elisa Nasso

Coronavirus: quando e come riprenderemo a viaggiare

7 dei migliori paesaggi italiani di mare | Luoghi e Paesaggi

 

La primavera è iniziata già da qualche settimana e nessuno di noi, purtroppo, potrà approfittare delle splendide giornate di sole tipiche di questo periodo dell’anno. Anche se siamo ancora al 9 Aprile, in molti si chiedono come e quando riprenderemo a viaggiare. Non c’è dubbio che le conseguenze di questa crisi si faranno sentire a lungo, ma in molti, tra esperti e analisti economici, già sono convinti che la società dopo la pandemia sarà molto diversa da quella che ci siamo lasciati alle spalle.

Secondo Ivana Jelinic, presidente di Fiavet, la Federazione italiana Associazioni Imprese Viaggi e Turismo, “già dal mese di giugno si potranno vedere i primi segnali di ripartenza con i connazionali che cominceranno a muoversi all’interno del Belpaese“. Il ritardo dell’esplosione del Covid all’estero influirà invece sulla ripresa del turismo degli stranieri: “ci aspettiamo che possano ritornare per l’estate inoltrata, se non addirittura in autunno”.
Un sondaggio di Confturismo-Confcommercio, realizzato tra il 18 e il 23 marzo, rileva che appena l’emergenza sanitaria finirà e l’allarme sarà cessato ci sarà un 83% di persone che sceglierà l’Italia per le sue vacanze, anche se il 16 percento teme di non avere una disponibilità economica sufficiente. “Sostenere il turismo adesso“, spiega il presidente Luca Patané, “significa investire in un settore che mette in moto a sua volta altri consumi portando ossigeno all’economia dell’intero Paese“.

Com’è successo dopo l’11 settembre, saranno le regole di viaggio a cambiare pesantemente. L’industria aeronautica è stata la prima a essere colpita con il blocco dei voli da e per molti Paesi, in primis la Cina, dove il virus si stava diffondendo. All’inizio dell’emergenza, molte compagnie continuavano a far volare i loro aerei, anche se vuoti, per non perdere il loro turno all’interno della programmazione degli aeroporti, ma oggi, con metà mondo in quarantena e la maggior parte dei grandi scali occidentali fermi, non mancano le compagnie che hanno fermato la loro flotta, come ha fatto, ad esempio, EasyJet. Ci dovremo abituare all’idea del controllo della temperatura, ai tamponi veloci e alla quarantena forzata (se positivi) una volta arrivati in un aeroporto straniero. C’è anche chi ipotizza una sorta di passaporto “sanitario” da esibire insieme a quello che utilizziamo di consueto, ma è troppo presto per dirlo: certamente, luoghi affollati come aeroporti e stazioni diventeranno sempre più “contactless”, privi di contatto, e lo stesso succederà alla maggior parte dei luoghi pubblici.

 

Aeroporti italiani, un 2019 da record con 193 milioni di ...

 

Quel che sappiamo con certezza è che l’emergenza coronavirus ha di fatto messo ko il settore del turismo, il quale fino al 2018 incideva per il 13,2% sul Pil nazionale e che oggi, di fronte all’emergenza, ha chiesto aiuti economici e fiscali al governo, tra cui maggiori protezioni per i lavoratori, l’accesso rapido ai prestiti e la possibilità per i tour operator e le agenzie di rilasciare voucher di viaggio che sostituiscano le tantissime prenotazioni cancellate.

L’ASTOI  (Associazione Tour Operator Italiani) prevede una ripresa parziale delle attività tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno e un ritorno progressivo alla normalità solo nel 2021, con una perdita di fatturato che va dal 35 al 70 percento circa. Inoltre vengono chieste al Governo misure urgenti ed efficaci per supportare le aziende e i lavoratori del settore.

Lo stesso augurio è quello che si fanno gli italiani, fortunati di vivere nel “più bel Paese al mondo”, fiduciosi che presto  – anche se con le dovute precauzioni –  ritorneranno a viaggiare e ad ammirare le innumerevoli bellezze che ci affascinano dall’estremo settentrione fino alla punta dello stivale.

 

Santoro Mangeruca

Come sarà il mondo del lavoro dopo il Coronavirus: scenari e previsioni

L’emergenza Covid-19 ha sconvolto la nostra quotidianità.

La necessità di rimanere a casa, il sovraccarico del sistema sanitario e la saturazione dei temi nei mass media sono alcuni di questi cambiamenti.

È però certo che, a battaglia finita, tutto tornerà alla normalità.

Torneremo a uscire di casa regolarmente, il sistema sanitario si riprenderà e nei telegiornali si faranno di nuovo spazio temi diversi.

Qualcosa però cambierà definitivamente, e i processi li abbiamo già sotto gli occhi.

Impossibilitati a mantenere contatti ravvicinati con altre persone, ci siamo organizzati per non far fermare le attività lavorative.

Preziose alleate in questa impresa sono state le nuove tecnologie: in molti stanno sperimentando l’esperienza dello smart working, o telelavoro in italiano.

Si tratta di una modalità che era già ben radicata all’estero e, molto probabilmente, questa sarà la fase in cui anche l’Italia si convertirà al lavoro digitale.

Ma prima è necessario guardare alla situazione pre-coronavirus.

Il Mercato del lavoro prima dell’emergenza

Il Rapporto annuale sul Mercato del lavoro, pubblicato il 9 marzo 2020 dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, descrive l’andamento e le tendenze del mondo lavorativo confrontando i dati del decennio 2008-2018.

In sintesi, questo afferma che:

  • vi è stato un importante aumento del contratto part time, e una diminuzione delle aziende con impiegati full time
  • La gran parte dei licenziamenti è motivata da ragioni economiche, circa nove su dieci” si legge a proposito dei licenziamenti nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato
  • I lavoratori indipendenti in Italia, nel 2018, sono “circa 5 milioni (il 21,7% degli occupati). Nel periodo 2008-2018 l’occupazione indipendente si è ridotta del 9,5% (558 mila unità in meno) a fronte di un aumento del 4,0% di quella dipendente (+682 mila persone).

La bassa percentuale di lavoratori indipendenti nel nostro paese, spiega come non sia (ancora) avvenuta la netta trasformazione del mercato del lavoro che ha già interessato altre nazioni.

Cosa significa questo?

Possiamo interpretare la diminuzione del full time come una necessità da parte delle aziende di impiegare la forza lavoro in modo più variegato. Non è più necessario impiegare un lavoratore per otto ore dietro una scrivania, perché con l’informatizzazione le nuove tecnologie dimezzano i tempi e le procedure che un tempo erano svolte dagli uomini.

È la società del lavoro liquido, potremmo dire parafrasando il sociologo Zygmunt Bauman.

L’Eurofound e l’Organizzazione Mondiale del Lavoro hanno condotto uno studio, nel 2017, sulla diffusione dello smart working tra paesi UE ed extra-europei.

Il nostro paese risulta l’ultimo della lista, vale a dire che solo il 7% degli italiani è in questa modalità di lavoro.

Un risultato molto negativo, se consideriamo quanto l’uso delle nuove tecnologie regoli da capo a fondo la domanda e l’offerta di lavoro.

L’analisi proposta riporta gli effetti positivi del telelavoro per i lavoratori:

  • la riduzione dei tempi di spostamento 
  • un miglior equilibrio tra vita professionale e privata
  • maggiore produttività e autonomia

Al contrario per le aziende si tratta di ridurre drasticamente gli uffici necessari e i relativi costi, oltre che la garanzia di poter far sopravvivere l’attività al di là di limiti spaziali-territoriali.

https://www.eurofound.europa.eu/publications/report/2017/working-anytime-anywhere-the-effects-on-the-world-of-work

Quali saranno gli scenari futuri?

Con l’emergenza Coronavirus siamo stati “obbligati” a sperimentare queste nuove modalità e, con il rallentamento dell’economia previsto, la situazione del mercato del lavoro già incerta tenderà a subire fisiologicamente un forte contraccolpo.

Molte professioni scompariranno, così come accaduto al mito del “posto fisso”.

La liquidità si accentuerà e il lavoro dipendente full time sarà sostituito da una domanda di lavoro incline a figure che facciano un po’ da imprenditori di sé stesse.

Ci troveremo a competere per impieghi part time, a tempo indeterminato e collaborazioni occasionali.

Lo smart working prenderà finalmente piede anche nel nostro paese; dopo la sperimentazione che stiamo vivendo in questi giorni, difficilmente le aziende rinunceranno a tali vantaggi e riduzioni dei costi.

L’imprenditorialità non vivrà più di uffici e cartellini da timbrare, sedi e stabilimenti.

La principale risorsa ricercata sarà la professionalità delle persone trasmessa attraverso un computer o tablet.

Ne ha parlato il sociologo Domenico De Masi, professore di sociologia del lavoro alla Sapienza, in un’intervista su La7:

 “Il telelavoro si poteva applicare già da vent’anni, soltanto grazie a questo pipistrello cinese finalmente otto milioni di persone hanno capito che si può lavorare da casa.” ha detto.

Lo studioso ne aveva parlato già negli anni ‘90 spiegando che la maggior parte delle attività ripetitive e noiose possono essere delegate alle macchine, mentre all’uomo resta solo il compito di lavorare a livello intellettuale, maneggiando informazioni.

Questa unica e decisiva mansione può essere svolta da qualsiasi luogo, azzerando costi e spostamenti, procurando numerosi vantaggi ad ogni parte coinvolta nel processo lavorativo.

In un’intervista per il sito formiche.net, il sociologo ha dichiarato che il cambiamento è già in atto, considerando che attualmente ci sono 3-400 milioni di persone al mondo che stanno lavorando da casa. 

Questa cifra non sarebbe mai stata possibile senza la paura di un’epidemia. Non tutte le disgrazie vengono per nuocere.” ha affermato.

L’emergenza sanitaria ci sta insegnando molto e, anche se certamente torneremo alla vita precedente, non è escluso che numerose rivoluzioni sconvolgano definitivamente il tessuto sociale.

Quella del mercato del lavoro è una di queste. Farci trovare pronti dipende solo da noi.

 

Angela Cucinotta

 

Ridisegnare Messina: il coraggio di una comunità che non si arrende

Ad ormai un mese dall’adozione delle prime misure di contrasto al Coronavirus, le nostre abitudini sono del tutto cambiate. In qualche modo ci siamo dovuti adeguare, continuando ad essere “produttivi” anche da casa. Però, questo purtroppo non basta. Le conseguenze di questa epidemia rischiano di essere ancora peggiori, non solo sul piano sanitario, ma anche sul quello economico e sociale.

In questo contesto, dove l’unica certezza risiede ancora nell’intramontabile saper di non sapere, avvertiamo come la necessità di far prendere una boccata d’aria alla mente. Oggi più di ieri, valori come quello della solidarietà politica, economica e sociale ci appaiono nelle loro forme più nitide, come il chiaro suono delle campane nell’eco delle nostre vie deserte.

A tale scopo, noi di UniVersoMe abbiamo deciso di raccontarvi la storia per immagini di una Messina diversa. Una città vulnerabile, messa sotto assedio da un’epidemia di portata biblica, ma che nonostante tutto trova il coraggio per non arrendersi. L’autrice, che abbiamo avuto modo di intervistare (rigorosamente via webcam), è Rita Lauro, una giovane studentessa di Biotecnologie Mediche, la quale ha realizzato quest’opera al fine di promuovere la raccolta fondi organizzata dalla Prof.ssa Maria Grazia Sindoni (tramite la piattaforma GoFundMe) finalizzata al sostegno delle strutture sanitarie di Messina, sostenuta anche dall’Unime.

Rita, mossa proprio da un sentimento di solidarietà, ha ridisegnato uno dei simboli più significativi per la nostra città.

Messina ai tempi del coronavirus – © Rita Lauro

 

Ciao Rita, cosa ti ha spinto a promuovere l’iniziativa di GoFundMe tramite questo disegno?

In generale tendo a considerare l’arte come un mezzo per migliorare le cose. La situazioni è difficile ed a meno che qualcuno non si impegni a trovare un lato positivo, tutti vedremo solo “il nero” di essa. Tuttavia non avrei mai avuto questa iniziativa senza la motivazione infusami dalla mia coordinatrice, che un giorno mi disse: “C’è bisogno ogni tanto che nei periodi di nero qualcuno metta un po’ di luce”. È così che decisi di dedicarmi, nel mio piccolo, alla realizzazione di un’immagine che fosse semplice, ma rappresentativa della situazione. Un veicolo di speranza, che potesse essere utilizzato per promuovere un’iniziativa di scopo benefico per la città di Messina.

Il medico con la bandiera della città - © Rita Lauro
Il medico con la bandiera della città – © Rita Lauro

Il Leone

Partendo dal Leone, l’ho sostituito col medico, la figura che in questo momento rappresenta il nostro “eroe ideale”. Solo adesso forse ci si rende pienamente conto dell’importante ruolo di queste persone e quanto essi tengano a preservare la vita, sacrificandosi per gli altri, donando loro anche solo un giorno in più.

Dina e Clarenza

Scendendo giù, ho deciso di sostituire Dina e Clarenza con due infermiere, fortemente e fisicamente sacrificate in questo contesto (insieme a tutto il resto del personale volontario). Al pari delle due leggendarie eroine siciliane, che rimasero vigili tutta la notte dell’8 agosto 1282 per allertare la città dell’assedio italo-francese guidato da Carlo I D’Angiò, anche chi lavora in corsia oggi sta compiendo, con immenso sacrificio, un enorme atto d’amore per la nostra città.

IL Gallo

Sempre sullo stesso piano, ho dovuto scegliere che ruolo attribuire al Gallo, forse la figura più “sacrificata” del disegno; è stato infatti sostituito da questo maledetto virus “legato” con delle corde. La scelta delle corde non è casuale; esse non sono catene, capaci di imprigionare in modo assoluto il virus, non sarebbe stato (purtroppo) sufficientemente realistico. Esse rappresentano invece qualcosa che stiamo cercando di stringere e contenere; se tutti stringiamo forte e tiriamo insieme questa corda, allora avremo maggiori possibilità di fermare l’avanzata della malattia. Tutto sta a noi e a quanto stringiamo questo “cordone sanitario”.

Gli infermieri con il virus "legato"e l'ambulanza - © Rita Lauro
Le infermiere con il virus “legato”e l’ambulanza – © Rita Lauro

La Madonna della lettera

Nel riquadro successivo c’è la Madonna con i vari personaggi che le girano attorno, che ho sostituito (senza voler risultare sacrilega) con l’ambulanza, mezzo che identifica un po’ la nostra nave di salvataggio. In questo periodo in cui le nostre libertà sono limitate all’essenziale, non dobbiamo mai dimenticarci che nel momento del bisogno possiamo sempre “affidarci” ad i mezzi ed alle strutture sanitarie della nostra città.

Il carosello delle età

Al piano successivo ho inserito, al posto del carro delle età, un‘anziana, una donna ed una bambina, raffigurate per intero. Loro in qualche misura rappresentano tutti noi. Sono i nostri nonni, genitori, fratelli, figli e nipoti, ed anche loro giocano un ruolo in questa battaglia, un ruolo minimo, ma essenziale, fatto di rispetto reciproco ed un grande senso di responsabilità.

La chiesa di Montalto

Ho usato lo spazio della Chiesa di Montalto per esaltare un simbolo altrettanto importante, ossia il legame tra l’Università e la città di Messina, ricordando il continuo ruolo di collaborazione tra le due realtà e le persone che le compongono.

 

Unime e lo stemma della città, la famiglia riunita ed il ricercatore
Unime e lo stemma della città, la famiglia riunita ed il ricercatore -© Rita Lauro

Il carosello dei giorni della settimana

Per gli ultimi due riquadri ho deciso di dare un’interpretazione più futuristica. L’ultimo l’ho lasciato volontariamente vuoto, per permettere a chiunque voglia di personalizzarlo a piacimento. Nel penultimo, invece, ho inserito un ricercatore, la figura più nascosta, ma allo stesso dal ruolo particolarmente delicato in questa emergenza. Forse solo adesso ci si rende conto dell’importanza della ricerca. Alcuni studiosi dicono che questa pandemia finirà solo con un vaccino. Ebbene, sarà solo grazie al mondo della ricerca (del quale spero un giorno di fare parte) e di chi lo sosterrà (anche economicamente), se riusciremo a tornare alle nostre vite.

Mata e Grifone

Nella mia testa il disegno era ormai terminato, però qualcosa mancava. Ho avuto come il sentore che non fosse abbastanza. E così mi sono venute in mente le figure mitologiche di Mata e Grifone. Vuoi che loro, in un momento di tale gravità, non si preoccupino di noi? Grifone è preoccupato, Mata ha gli occhi lucidi, entrambi invece di portare lo scettro e la spada, portano materiale sanitario. Tutte le figure dell’immagine indossano una mascherina, a sottolineare l’importanza del tali beni in questo momento.

Ti ha aiutato qualcuno nella realizzazione di quest’opera?

Lo sfondo è un’opera di una mia amica, Giusy Pantano, che si occupata della digitalizzazione dell’immagine. Uno speciale ringraziamento va alla mia coordinatrice, la Prof.ssa Alessandra Bitto, che ha ispirato questo lavoro ed il suo scopo benefico.

 

Qualunque modo abbiate scelto in questo periodo, direttamente od indirettamente, per contribuire a superare l’emergenza, l’unico comune denominatore è la solidarietà: per chi è in difficoltà, economica o sanitaria, questo sentimento comune può davvero cambiare le cose ed aiutare a superare anche le sfide più ardue.

Salvatore Nucera 

Si studia un’app anti-contagio: traccerà contatti e spostamenti

La tecnologia in soccorso alle consuete misure di prevenzione generale (distanziamento fisico, miglioramento dell’igiene) della popolazione che scandiscono le nostre giornate.

Fasi finali della progettazione funzionale di un’app italiana per il tracciamento (tracking) dell’epidemia del coronavirus.

La task force tecnologica, coinvolta sinergicamente nella selezione tra le 319 offerte arrivate al ministero dell’Innovazione, potrebbe ultimare i lavori tra la fine di questa settimana e l’inizio della prossima.

Visti i tempi nei quali questo strumento tecnologico si inserisce, il sistema dell’app costituirà un ausilio gestionale della cosiddetta “fase due” ovvero la graduale riapertura delle attività commerciali e sociali.

Nodo cruciale delle funzionalità di quest’app sarà la gestione della privacy e dei dati personali.
La mappatura degli spostamenti, seppur parziale, è già possibile grazie ai dati forniti dai server di Google e Facebook.

In tal senso fra le nazioni monitorate c’è anche l’Italia: un paese che si è letteralmente fermato, che ha registrato un crollo di frequentazioni dei negozi alimentari, dei ristornati, dei bar, dei sistemi di trasporto pubblico e dei parchi che si attesta tra attorno all’85% dato numerico più virtuoso in confronto a Francia, Germania e Stati Uniti.

Meccanismo altrettanto fondamentale è quello basato sui dati della posizione geografica forniti da Facebook ed utilizzati da un gruppo di ricercatori negli Usa per analizzare l’effettiva adozione delle prescrizioni severe di distanziamento sociale.
Si tratterebbe dunque di informazioni aggregate che sono in conformità con le norme privacy, delle quali l’app italiana di tracciamento potrebbe beneficiare.

E’ chiaro che sarà indispensabile restringere il focus della tracciabilità, ebbene comprendere concretamente chi tracciare se soltanto i positivi o anche le categorie a rischio; cosa monitorare se solo i contatti o anche gli spostamenti; e soprattutto attraverso quale tecnologia tra le innumerevoli a disposizione (bluetooth, gps, dati satellitari) o quelle gia testate di Google, Facebook e Apple.

Le progettazioni delle App sono al vaglio tecno-scientifico di un gruppo di otto persone che si avvale della consulenza di una unità che conta 74 persone.

Per rendere operativa l’applicazione e controllare l’impatto sulla privacy potrebbe essere necessario un decreto.

Il Ministro all’Innovazione Paola Pisano ha confermato che servirà una sperimentazione per testare la validità della soluzione elaborata prima su un area geo-demografica più ristretta, per poi dimensionarla su scala nazionale.

L’utilità di contenimento, indagine e monitoraggio dell’app dipende dalla diffusione e dal numero di download effettuato, che si spera possa coinvolgere un numero sufficiente di persone.

E’ emerso da uno studio pubblicato sulla rivista Science, che da un terzo a metà delle trasmissioni avvengono da individui pre-sintomatici, che quindi non sono consapevoli d’essere infetti.
Un’app di tracciamento crea una mappatura dei contatti di prossimità e avvisa immediatamente coloro che sono stati vicino a persone rivelatesi positive; quindi indirizzare le misure restrittive solo alle persone a rischio potrebbe eliminare la necessità stringente di estendere le suddette precauzioni a importanti fette della popolazione.

Si spera, almeno per una volta, che l’uomo possa avvalersi della tecnologia e non il contrario.

Antonio Mulone

Coronavirus: da oggi in Lombardia entrata in vigore l’ordinanza che obbliga l’uso di mascherine.

Provvedimento importante in Lombardia dove i cittadini da oggi in poi saranno obbligati a coprire naso e bocca ogni volta che escono di casa, multe da minimo 400 euro per chi non rispetta l’ordinanza.

Un provvedimento obbligatorio per evitare l’aumento di contagi in una delle zone più colpite dal Covid-19. Il promotore di questa ordinanza è stato il governatore della regione, Attilio Fontana .

fonte anteprima24

L’Ordinanza recita testualmente: “Ogni qual volta che ci si rechi fuori dall’abitazione vanno adottate tutte le misure precauzionali adeguate a proteggere se stesso e gli altri dal contagio utilizzando la mascherina o qualunque indumento che copra naso e bocca, contestualmente ad una puntuale disinfezione delle mani”.  Questa ordinanza rimarrà valida fino al 13 Aprile e i trasgressori saranno puniti con multe dai 400 euro.

fonte La stampa
Attilio Fontana Governatore Lombardia

Importanti a tal riguardo sono state le dichiarazioni del Sindaco di Milano Beppe Sala: “Mascherine obbligatorie in Lombardia scelta che disorienta, bisogna fornirle alle farmacie e controllarne i prezzi arrivati a questo punto”.
Incertezza e disorientamento trapelano dal provvedimento Regionale odierno che ha spostato gli equilibri e l’organizzazione sia dei cittadini che degli amministratori sull’applicare e rispettare questa ordinanza.

fonte la stampa
Beppe Sala Sindaco di Milano

Il nuovo provvedimento inoltre ha dato il via alla vendita di prodotti di cancelleria anche nei supermarket, e obbliga i negozianti a fornire di disinfettante a tutti i clienti mentre all’interno dei negozi continua il rispetto dell’ordinanza che prevede che si entri uno per volta almeno che non si é in compagnia di minori o di anziani che non possono permanere fuori dai punti commerciali. Per quanto riguarda le regole da rispettare al di fuori delle attività commerciali rimane quella di stare a un metro di distanza l’uno dall’altro, di poter uscire nei pressi della propria dimora per effettuare attività motorie.

Infine é assolutamente vietato il commercio di distributori automatici tranne quelli di acqua potabile e latte sfuso.

L’UE preoccupata per la deriva autoritaria di Orbán in Ungheria

Il Parlamento Ungherese ha approvato, con 137 voti favorevoli e 53 contrari, una legge che attribuisce al Primo Ministro Viktor Orbán poteri eccezionali per un tempo indeterminato al fine di fronteggiare la minaccia rappresentata dal Covid-19.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sta monitorando la situazione ungherese poichè si è detta molto preoccupata che queste misure vadano oltre e, in tal caso, l’UE dovrà agire. A seguire ben 14 Paesi – Italia inclusa –  in una lettera firmata hanno sottolineato e ribadito il rischio di una violazione dei principi dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti fondamentali.

Perché?

Una doverosa premessa: anche in altre esperienze europee, compresa quella italiana, è costituzionalmente previsto il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo come metodo per fronteggiare situazioni eccezionali che possono arrecare un pregiudizio allo Stato. A tali poteri – che devono essere proporzionali alla minaccia e temporalmente limitati – devono essere contrapposti gli adeguati strumenti di supervisione da parte dell’organo preposto a rappresentare i cittadini: il Parlamento.

Nel caso dell’Ungheria il discorso è diverso dato che la legge recentemente approvata riconosce in capo al Primo Ministro poteri sostanzialmente illimitati controbilanciati da meccanismi parlamentari di difficilissima attuazione. Il tutto va analizzato tenendo in considerazione come fin dal 2010, anno della sua nomina a Primo Ministro, Viktor Orbán abbia progressivamente attuato un piano di svuotamento di alcuni diritti e libertà fondamentali per rafforzare la propria leadership e la maggioranza del suo partito, Fidesz, all’interno del Parlamento Ungherese.

I leader di 14 partiti nazionali inseriti nel Partito Popolare Europeo hanno chiesto con una lettera a Donald Tusk l’espulsione del Fidesz di Viktor Orbàn dalla più grande politica dell’Ue. Si legge nel testo della lettera:

Il virus non può essere usato come pretesto per estendere indefinitamente lo Stato d’emergenza. Temiamo che il primo ministro Orbàn userà i suoi nuovi poteri per estendere il controllo del governo sulla società civile”.

La prima “vittima” dei nuovi poteri del premier è la comunità LGBT: da ieri le autorità ungheresi non potranno più registrare sui documenti di identità il nuovo gender di qualsiasi persona che si sia sottoposta al cambio di sesso escludendo di fatto tali individui all’accesso a ogni beneficio per le famiglie. Ciò rappresenta una misura discriminatoria in assoluta controtendenza con lo spirito innovatore delle pronunce della CEDU degli ultimi anni e sottolinea maggiormente come, quella del Covid-19, non fosse null’altro che un pretesto per promulgare leggi figlie di una mentalità tutt’altro che attuale.

Si tratta dell’ennesimo smacco nei confronti di Bruxelles da parte di uno dei Paesi che maggiormente ha beneficiato dei finanziamenti provenienti dall’Unione Europea fin dalla sua adesione nel 2004 in concomitanza con quelle di Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Insieme a quest’ultime costituisce, infatti, il cosiddetto Gruppo di Visegrad, divenuto nel corso degli ultimi anni punto di riferimento delle politiche euroscettiche e volutamente ostruzionistiche verso l’UE. Basti ricordare la ferma opposizione nei confronti delle decisioni, risalenti al settembre 2015, concernenti il ricollocamento delle quote dei migranti che al tempo non trovarono seguito e che sono state oggetto della recente sentenza della Corte di Giustizia Europea.

Ciò che accade in Ungheria deve essere un campanello di allarme poiché costituisce la prima svolta autoritaria all’interno dell’Unione Europea. Sebbene, infatti, l’entrata all’interno dell’Unione sia possibile solamente con il superamento di controlli molto rigidi e il rispetto di precisi criteri di democraticità, trasparenza e libertà, l’incapacità della stessa di prevenire o bloccare sul nascere svolte autoritarie successive. Attualmente il TUE (Trattato sull’Unione Europea) prevede unicamente la sospensione del diritto di voto per quegli Stati che violano in maniera grave e persistente i valori dell’Unione ma per azionare questo meccanismo “sanzionatorio” si rende necessaria l’assenza in seno al Consiglio Europeo del minimo sostegno per lo Stato membro sotto accusa. Cosa, come abbiamo visto, difficile data la vicinanza dei Paesi di Visegrad.

La questione si inserisce tristemente in un contesto politico-comunitario che vede l’incapacità dei paesi europei di elaborare una strategia comune nonostante la gravità del momento che si concretizza in politiche completamente in controtendenza da paese a paese. Non ultima la decisione della Svezia che – contrariamente all’Ungheria – ha rinunciato per ora ad ogni misura di restringimento delle libertà personali e ha deciso di lasciare che i suoi cittadini siano liberi di riprendere le loro attività quotidiane con solamente alcune limitazioni.

Il tutto, dunque, deve fare riflettere sull’endemica debolezza dell’Unione Europa di garantire quei diritti e valori di cui vuole e deve essere garante.

Filippo Giletto