Scoperto il primo farmaco specifico contro il Sars-CoV-2

Il Sars-CoV-2 ha sconvolto di punto in bianco la quotidianità del mondo, Stato per Stato e continente per continente. E se inizialmente le news che le varie testate giornalistiche riportavano erano poco rassicuranti ed i numeri delle casistiche erano neri come poche altre pandemie nella storia, adesso sono sempre di più i titoli che riportano notizie incoraggianti su diversi approcci terapeutici nella gestione della malattia. Ricerca che corre parallela a quella per un vaccino, indispensabile per garantire che, chi non sia stato fino ad ora contagiato, non lo sia nemmeno in futuro.

A che punto siamo

Fino ad ora le conoscenze sul SARS-CoV-2 sono aumentate esponenzialmente e di pari passo anche ai singoli approcci terapeutici. Avevamo già visto come primo baluardo l’uso del Tocilizumab, del Remdesevir, per poi passare all’eparina e concludere con una disamina di tutte le terapie sperimentali fino ad ora approvate in Italia. Tutti protocolli studiati (alcuni ancora in corso di studio) che hanno fatto ben sperare ed hanno dato risultati evidenti.

Prendere dei farmaci “in prestito” da altre patologie con le quali, la Covid-19, condivide il forte substrato immunogeno, ci ha permesso di attuare una resistenza attiva al virus e di limitare la mortalità entro certi range che altrimenti sarebbero stati di molto peggiori.

Poco però, fino a questo momento, si era riuscito a fare nella messa a punto di un farmaco specifico per il SARS-CoV-2.

La svolta

Negli scorsi giorni è stato raggiunto un nuovo traguardo, tra i più rilevanti, e cioè l’introduzione del primo anticorpo monoclonale umano altamente specifico per il Coronavirus. Si tratta un di un anticorpo prodotto artificialmente, che però presenta la stessa struttura e gli stessi meccanismi d’azione delle immunoglobuline (=anticorpi) prodotte fisiologicamente dai pazienti infetti, fondamento della recente terapia con il plasma.

Esemplificazione dell’interazione anticorpi (in viola) proteine spike del Coronavirus (in rosso). – Claudia Di Mento©

Il suo nome è 47D11 e potrebbe essere considerato il primo trattamento antivirale specifico per la Covid-19. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, conferma il lavoro condotto precedentemente dallo stesso autore Berend-Jan Bosch e dal suo team pubblicato su BioRxiv.

Per interferire con l’organismo umano, il virus richiede l’interazione di alcune proteine trimeriche di superficie, dette Spikes, con il recettore cellulare ACE2. La proteina Spike presenta una porzione S1, che si occupa del legame, ed una porzione S2 che si occupa della fusione della membrana del virus con la membrana cellulare dell’ospite.

In particolare è a carico della regione S1 che si trova il Receptor Binding Domain (RBD) che è il target dell’immunoglobulina artificiale. Bloccare questo sito, significa impedire il legame del SARS-CoV-2 e determinare l’impossibilità di quest’ultimo di infettare nuove cellule. Si tratta del primo risultato scientifico in grado di bloccare il virus all’opera.

In basso vediamo come i topi che presentano produzione anticorpale riescano ad inibire il legame della proteina spikes al recettore ACE2. Fonte:https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0092867420302622

Ma lo studio non si è limitato solo a questo. Gli esperti hanno infatti confrontato altri membri della famiglia Coronaviridae, in particolar modo SARS-CoV e MERS-CoV. Sappiamo che tra questi ed il nuovo SARS-CoV-2 esistono numerose analogie in determinate regioni geniche.

47D11 lega una regione che è altamente conservata (RBD), spiegando così la sua capacità di neutralizzare in modo crociato sia il SARS-CoV, che SARS-CoV-2. Si rende perciò possibile anche uno scopo terapeutico nei confronti della famosissima SARS del 2003. Per la MERS, invece, i risultati sono stati contrari.

Ma queste scoperte non dovrebbero stupire più di tanto, in quanto Berend Jan Bosch non è infatti nuovo al mondo della ricerca in questo campo, avendo già studiato da vicino la SARS ed avendo con sé un background di tutto rilievo. Che abbia trovato la via più rapida per risolvere il problema contemporaneo?

Si noti l’affinità di 47D11 con SARS-CoV e SARS-CoV-2, ma non con MERS-CoV. Fonte: https://www.nature.com/articles/s41467-020-16256-y

Conclusioni

La domanda che tutti si pongono è: è forse il primo passo concreto verso una cura specifica? Probabilmente sì. I test, eseguiti in atto solo su cellule in coltura, fanno ben sperare e l’utilizzo sull’uomo non sembra poi così lontano.

Ma il potenziale di 47D11 non si limita solo alla cura dei soggetti affetti, si stanno vagliando infatti anche le ipotesi che possa essere utilizzato per i tanto richiesti test sierologici, ma soprattutto che possa essere sfruttato per la messa a punto di un vaccino efficace. Trattandosi infatti di un anticorpo umano, riduce di molto eventuali rischi nel suo utilizzo e soprattutto i tempi di preparazione, che non tengono conto del passaggio da specie intermediarie, come ad esempio i topi nel caso degli anticorpi chimerici.

Insomma, sembrerebbe solo questione di tempo. Che si riescano a prendere due piccioni con una fava?

                                                                                                                            Claudia Di Mento

Tutte le nuove terapie sperimentali approvate in Italia contro la COVID-19

Innumerevoli titoli sensazionalistici si sono susseguiti, su giornali e riviste non strettamente scientifiche, durante questa emergenza: dalle possibili panacee per tutti i mali alle cure più bizzarre, spesso risulta difficile orientarsi con cognizione di causa in questo labirinto di informazioni.

Oggi parliamo di tutte le novità in campo terapeutico e cerchiamo di comprendere quali potrebbero essere i farmaci più promettenti.

Sarilumab e siltuximab

Come ormai abbiamo imparato, la COVID-19 ha qualcosa in comune con l’artrite reumatoide (AR), patologia infiammatoria che colpisce le articolazioni. Già la scienza ha preso in prestito da questa malattia un farmaco, il tocilizumab, che già ha mostrato qualche risultato interessante, alcuni ancora non pubblicati, sopratutto nei pazienti gravi.

Se per il sarilumab ancora siamo agli albori, cosa ha spinto l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) ad approvare studi a riguardo?

Entrambi (come potete notare anche dalla somiglianza dei nomi) sono anticorpi monoclonali: altro non sono che proteine prodotte in laboratorio, le quali legano specifiche molecole responsabili delle patologie delle quali stiamo parlando, in questo caso il recettore dell’interleuchina 6 (IL-6). Quest’ultima è una citochina (proteina prodotta in corso di infiammazione) che è molto rappresentata in pazienti affetti sia da AR che da COVID-19: per agire, l’IL-6 deve legare a sua volta il suo recettore, in modo tale da innescare processi che portano al proseguire dell’infiammazione e del danno a tessuti.

Immagine che mostra come il Kevzara (nome commerciale del sarilumab) lega il recettore dell’IL-6 (m IL-6R e sIL-6R) impedendo l’azione della stessa – Fonte:kevzarahcp.com

Questo aumento ingente delle citochine si verificherebbe soprattutto nei pazienti più gravi, che ad oggi devono pertanto affidarsi a farmaci in sperimentazione.

Attualmente sono in corso due studi: uno pilota su un piccolo numero di pazienti e senza confronto con altre terapie, e uno molto più ampio (AMMURAVID) nel quale saranno confrontati ben 7 diversi protocolli terapeutici. Tra questi spunta anche il siltuximab, che agisce direttamente contro l’IL-6.

L’ormai assodata intuizione sulla correlazione alto grado di infiammazione-gravità della COVID19 fa ben sperare: oltre – chiaramente – al meccanismo comune con l’ormai noto Tocilizumab.

Baricitinib

Altro farmaco in prestito dall’artrite reumatoide. Senza scendere troppo nei dettagli, questa volta il meccanismo è un po’ diverso: innanzitutto il farmaco è somministrabile anche per bocca (i precedenti sono utilizzati endovena); inoltre, agisce dopo che il legame molecola-recettore è già avvenuto, bloccando questa volta piccole proteine (JAK), sempre coinvolte nella sintesi delle citochine infiammatorie.

Il vantaggio potrebbe risiedere nella maggiore maneggevolezza; inoltre, se i precedenti si focalizzano solo su IL-6 e il suo recettore, le proteine JAK si trovano coinvolte in molti altri meccanismi che causano infiammazione, nonché (come abbiamo imparato) il peggioramento del paziente. Una sorta di effetto multiplo che potrebbe risultare più efficace.

Vari meccanismi d’azione del Baricitinib (ed altre molecole simili) – Fonte: Lancet

Ma c’è di più. Secondo uno studio pubblicato su Lancet, questo farmaco agirebbe anche su un altro fronte: l’ingresso del virus nella cellula. Come è ormai noto, la porta di ingresso del virus è il recettore ACE2: l’entrata del virus è tuttavia possibile solo se interviene anche un’altra proteina (AAK1) la cui funzione è inibita dal baricitinib.

Insomma, un’intuizione non da poco che, se si dimostrerà efficace, agirà su più fronti rispetto ad altri farmaci attualmente in possesso. Non a caso, l’Aifa ha autorizzato due studi, dei quali uno è il già citato AMMURAVID.

Selinexor

Questa volta cambiamo tipologia di farmaco: il selinexor è stato recentemente approvato negli USA nella terapia di casi molto resistenti di mieloma multiplo, tumore di interesse ematologico (ovvero che coinvolge cellule sanguigne, nello specifico le plasmacellule). L’approvazione è stata addirittura accelerata, in quanto questi pazienti non rispondono ad altre terapie e il farmaco si è dimostrato abbastanza efficace.

Ma cosa hanno in comune un’infezione virale ed un tumore?

Sembrerebbe strano tentare di utilizzare lo stesso farmaco, ma il selinexor induce la morte cellulare (apoptosi) delle cellule tumorali, così come potrebbe indurla nelle cellule infettate dal virus. Qualche cenno al meccanismo: anche qui abbiamo una doppia azione, mediata dall’inibizione di un processo chiamato “esportazione nucleare“; questa è svolta, tra le altre proteine, dall’esportina 1. 

Schematica descrizione dell’azione  antitumorale del selinexor: in questo caso, le proteine “bloccate” sono quelle che promuovono la crescita e sopravvivenza delle cellule tumorali

Quanto le proteine implicate nell’infiammazione, tanto quelle virali hanno bisogno dell’esportina 1 per svolgere la loro funzione correttamente. Da questo dato, è stato impostato uno studio che coinvolge 40 centri a livello internazionale.

Piccola nota sull’AMMURAVID: tutti i farmaci testati saranno associati alla terapia standard (idrossiclorochina) e confrontati non solo tra loro, ma anche con l’uso della sola idrossiclorochina stessa. Per questo motivo, lo studio promosso dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, potrebbe fornire informazioni molto interessanti per focalizzare la ricerca sulle cure realmente migliori rispetto ad altre, selezionando il farmaco più efficace.

Nell’attesa che questi studi dimostrino – come ci auguriamo – l’efficacia di nuove terapie, una cosa è certa: la scienza non si ferma, nemmeno di fronte ad un virus e ad una malattia totalmente nuovi.

Quello che possiamo fare attualmente, essendo il vaccino un’opzione più tardiva, è affinare al meglio la strategia terapeutica, grazie a due elementi fondamentali: l’intuito e le conferme inequivocabili dei dati scientifici.

Emanuele Chiara

 

Bibliografia:

https://www.aifa.gov.it/sperimentazioni-cliniche-covid-19

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/jmv.25964

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7137985/

Addio ai contanti: con il Covid-19 sempre più transazioni digitali

 

I pagamenti digitali continuano a crescere in Italia a ritmi sostenuti. Questa tendenza è stata confermata dall’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, che ha riscontrato un netto calo dei pagamenti in contanti, quantificati in un – 40%, ed un contemporaneo incremento di quelli digitali, utilizzati anche per le piccole spese quotidiane.

Lo scorso anno i pagamenti con carta sono aumentati dell’11%, che a 270 miliardi arrivano a rappresentare il 29% del totale transato. A livello europeo, l’Italia resta tra i fanalini di coda, ma nonostante ciò nel 2019 le transazioni pro capite sono salite da 71 a 83 l’anno e lo scontrino medio è sceso di 3 euro a 53,7 euro.

Da notare anche un netto incremento degli acquisti on line, che sicuramente hanno contribuito all’abitudine di effettuare pagamenti digitali. In verità la tendenza alla crescita dei pagamenti effettuati con dispositivi elettronici è già disponibile da qualche anno, ed a favorire questo cambiamento ha contribuito, certamente, anche la maggiore diffusione dei pagamenti contactless o tramite smartphone, arrivati a quota 1,83 miliardi con 58 milioni di transazioni, mentre i terminali Pos sono passati a 2,08 a 2,17 milioni.

Gli esperti del settore si muovono per fornire soluzioni semplici ed efficaci per un pubblico il più ampio possibile. PayPal, ad esempio, punta sui pagamenti a distanza via QR code anche nei negozi fisici. Inquadrando il codice si accede direttamente al conto PayPal, con il beneficiario già impostato, sarà sufficiente inserire l’importo per completare il pagamento.
A cambiare in tempi record sono state soprattutto le modalità di spedizione e di consegna. Il Click&Collect, ovvero la possibilità di ordinare online un prodotto e di ritirarlo in negozio da parte del cliente, ha registrato una crescita del 349% e ci si aspetta che nei prossimi mesi diventerà un’abitudine sempre più consolidata, con un salto evolutivo di almeno 10 anni. 

Infatti, durante il lockdown, molti negozi hanno accelerato la svolta ai pagamenti digitali, per dare continuità di servizio, spesso offrendo il delivery dei prodotti, garantendo il rispetto delle distanze ed evitare di dover maneggiare la carta moneta, per ragioni igieniche. Questo ha fatto sì che macellerie, panetterie, fruttivendoli e in generale molte botteghe tradizionali abbiano più che triplicato i pagamenti digitali, toccando punte del + 350%.

L’emergenza sanitaria ha fatto ha dunque alimentato l’idea di ‘eliminare’ i contanti, e affidarsi ai soli pagamenti digitali, anche per paura del contagio al Coronavirus. 

Di fronte ad una pandemia sulla quale anche la scienza e i più grandi istituti scientifici, come l’ISS e l’OMS, non riescono a fornire alcuna certezza, si è diffuso il timore che il virus possa annidarsi un po’ ovunque, e quindi anche nei soldi, sia monete che banconote. D’altra parte che per la modalità di trasmissione da mano a mano i soldi siano da sempre considerati come un luogo di batteri e virus è un dato di fatto, e non si tratta di una diceria o di una sensazione. Il denaro passa di mano con frequenza e può catturare ogni tipo di batterio o di virus. Lavarsi le mani, se si toccano i soldi e soprattutto se si mangia subito dopo, è una buona pratica di igiene, non solo adesso ma in generale. 

Interessante è ciò che accade in un continente abbastanza lontano da noi, ovvero quello asiatico. In Cina e Corea del Sud sono state attivate procedure di disinfestazione delle banconote in circolazione, ritirando per circa una settimana e mezza il denaro proveniente dalla provincia di Wuhan e dalle altre zone più colpite dall’epidemia. Questo modello venne adottato, successivamente, anche dalla Banca d’Italia.
Per tutti noi è quindi opportuno, consigliabile e più sano, entrare in contatto il meno possibile con monete e banconote. Questo sicuramente uno dei motivi del calo delle transazioni per contanti, e la forte impennata dell’utilizzo di carte e di strumenti elettronici.
Anche perchè per procurarsi il contante lo si deve prelevare da un bancomat, rischiando di infettarsi al solo tocco della tastiera o dello schermo dell’apparecchiatura.

 

Piero Cento

Plasma iperimmune vs vaccino: tra scienza e complottismo

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Roberto Palazzolo, studente del VI di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Messina, circa la differenza tra la terapia con plasma di soggetti guariti da Covid-19 ed il vaccino.

Negli ultimi giorni ha avuto molto risalto mediatico la notizia sul “Plasma iperimmune” per curare i malati di Covid19. La trasfusione di plasma non è una terapia nuova: viene utilizzata a esempio nelle ustioni, negli stati di shock emodinamico per sopperire alla mancanza di: liquidi, proteine importanti per la pressione oncotica del sangue come l’albumina, sali minerali.

È pure noto che tra le proteine del plasma vi siano gli anticorpi, molecole prodotte dai linfociti B che servono a contrastare gli agenti patogeni (virus, batteri, funghi, protozoi) con cui siamo già stati in contatto in una precedente infezione, per cui si è pensato che questi anticorpi potessero avere un ruolo importante nel trattamento dei malati di Covid19.
Diversi pazienti hanno già usufruito di questa terapia sperimentale a base di plasma donato dai soggetti guariti dall’infezione, con buoni risultati. [1]

La domanda sorge spontanea: è stata trovata la cura al Covid19? La risposta ahimè è assai complessa, ecco perché.

Purtroppo, per il trattamento di una sola persona, ci vogliono circa 2 sacche di plasma, ovvero da 3 a 6 donazioni (per ottenere una sacca di plasma valida sono necessari dai 2 ai 3 donatori). [2]
Ora, una persona può donare solamente una volta ogni 30 giorni il plasma [3], per curare un singolo malato ci vogliono 3 guariti che donano.

Punto primo: si può obbligare la gente a donare? No, è vietato dalla legge, non si può obbligare nessuno a donare o in generale a ricevere trattamenti medici contro la propria volontà. [4]

Punto secondo: attualmente ci sono circa 96.000 contagiati, supponendo che solo 1000 siano in terapia intensiva, significa che ci vorrebbero circa 1500-2000 sacche, ovvero 3.000-6000 guariti che donino, che poi per i successivi 30 giorni non potrebbero donare. [5]

Punto terzo: la cura col plasma inoltre potrebbe non garantire l’immunità futura, visto che si usano anticorpi di altre persone ed il proprio sistema immunitario non viene stimolato a produrre i propri (un esempio lo abbiamo tra la vaccinazione antitetanica ed il siero antitetano [6]).
In parole povere: si potrebbe guarire, ma ci si potrebbe riammalare poco dopo.

Punto quarto: è necessaria la compatibilità tra i gruppi sanguigni, cosa che riduce il numero di donatori per i pazienti con gruppi sanguigni meno rappresentati nella popolazione [7], i macchinari e la procedura per purificare il plasma costano tanto, la plasmaferesi (procedura che serve a separare il plasma dal resto del sangue) dura parecchio, ci sono pochi macchinari per fare un’operazione del genere su vasta scala. [8]

Punto quinto: le malattie. Ricevere plasma significa ricevere una trasfusione di sangue, con tutti i rischi che ne conseguono: se ad esempio si fosse in fase di latenza da HIV [9], non c’è modo di sapere se il proprio sangue è infetto, questo comporterebbe che chi ricevesse il plasma di un infetto da HIV in fase di latenza, diventerebbe sieropositivo, dovendo curarsi a vita. Per cui, vista la mole di plasma che sarebbe richiesto se esso fosse l’unica cura al Covid19, non potrebbe essere garantito il periodo finestra di 4 mesi (intervallo dall’ultimo rapporto sessuale non protetto ndr) utile ad evidenziare se un donatore è sieropositivo o meno. [9]

Questi sono i principali motivi che mi vengono in mente per dire che sì, la terapia con plasma è utile per i malati gravi di Covid19, tuttavia essa non può essere utilizzata come cura per un elevato numero di persone, mentre l’utilizzo di un vaccino sarebbe più idoneo nella prevenzione dell’infezione da Covid19.

Come funziona un vaccino?

Con il vaccino si usano parti del virus, chiamate epitopi, per sviluppare anticorpi propri. Iniettato l’epitopo del virus, con sostanze adiuvanti (sostanze che servono a scatenare una risposta immunitaria più potente, per coinvolgere un maggior numero di Linfociti) si attiverà nell’organismo un sistema di allarme (PAMP), il quale a sua volta recluterà le cellule immunitarie (cellule di Langherans, Linfociti T e B) con il fine ultimo di produrre protezione immunitaria duratura.                                                                                          Infatti, se quella stessa parte di virus venisse di nuovo a contatto con il nostro organismo, si risveglierebbero le cellule B della memoria, create grazie al vaccino, che in poco tempo comincerebbero a produrre anticorpi andando a contrastare il virus velocemente ed efficacemente.  [Abbas – Immunologia] 

Meglio il plasma o il vaccino?

Una volta trovata la giusta sequenza di epitopi (costituiti da sequenze di amminoacidi, come un codice), accertata la non pericolosità del vaccino (attraverso le sperimentazioni dapprima laboratoristiche, poi animali, infine umane), produrlo non costerebbe che pochi euro a dose, potendo garantire una protezione anticorpale a tutta la popolazione (cosa impossibile da fare col plasma, visto che per proteggere l’Italia, 60 milioni di abitanti, ci vorrebbero 180 milioni di donatori, e peraltro non sarebbe una protezione duratura). Gli anticorpi dati dal vaccino invece, durerebbero 1-2 anni [10], garantendo la protezione a tutti e senza rischi ed i costi legati alle trasfusioni.

I rischi del vaccino?


Una reazione allergica (curabile con antistaminico e cortisone) o in rarissimi casi (probabilmente 1/100.000 o più) reazioni crociate immunitarie tali da avere qualche caso di reazioni autoimmuni (curabili anch’esse col cortisone o immunomodulanti). [11]

Appare evidente che il confronto tra i due sia a netto favore del vaccino, per cui prima di gridare al complotto, che sostiene che la cura con il plasma venga nascosta per favorire la creazione di un vaccino da parte delle case farmaceutiche, come ahimè si può notare negli ultimi giorni sui social media, sarebbe meglio informarsi. Tutte le testate giornalistiche hanno infatti riportato l’efficacia della cura sperimentale con il plasma, non ci sarebbe alcun motivo per nasconderlo al mondo intero (né sarebbe possibile). Piuttosto, come spiegato sopra, è inverosimile che la cura al plasma possa essere risolutiva nel contesto di una pandemia globale.

Porgo ai lettori una riflessione: la scienza richiede anni e anni di studio, un video su internet pochi minuti, più facile quindi affidarsi al secondo. Quindi attenzione: quando la soluzione appare ovvia e immediata, probabilmente è falsa e frutto di chi ci vuol lucrare o vuole prendervi in giro!

06/05/2020

Roberto Palazzolo

[1] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/32281317 

[2] https://www.ilpost.it/2020/05/01/plasma-convalescenti-covid-19-coronavirus-italia/ e http://www.simti.it/donazione.aspx?id=1  

[3] https://www.avis.it/donazione/i-tipi-di-donazione/ 

[4] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLMESS/0/1062643/index.html?part=ddlmess_ddlmess1-articolato_articolato1&spart=si&parse=si 

[5] http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?area=nuovoCoronavirus&id=5351&lingua=italiano&menu=vuoto 

[6] https://medicinaonline.co/2018/03/03/differenza-tra-vaccino-ed-immunoglobuline/ 

[7] https://www.avis.it/wp-content/uploads/userfiles/file/News/febbraio%202013/Girelli.pdf 

[8] http://www.gestionerischio.asl3.liguria.it/pdf/sole%2024%20ore%20Regione%20Veneto%20tutti%20i%20costi%20delle%20trasfusioni.pdf 

[9] https://www.paginemediche.it/medicina-e-prevenzione/disturbi-e-malattie/aids 

https://avisemiliaromagna.it/2015/03/01/sessualita-e-donazione/ 

[10] https://time.com/5810454/coronavirus-immunity-reinfection/ 

[11] https://www.epicentro.iss.it/vaccini/ReazioniAvverse 

Messina che non rinuncia: l’interessante iniziativa della Notte della cultura in TV

Agli albori della fase 2 e soprattutto con l’arrivo della bella stagione, è forte il desiderio di uscire e percorrere le strade di Messina, sede della nostra università.

Per tornare alla normalità ci vorrà ancora un po’ di tempo ma nel frattempo, su proposta degli assessori Enzo Caruso (Assessore alla Cultura) e Salvatore Mondello (Assessore ai Beni Culturali) potremo godere di alcuni scorci inediti della città.


L’iniziativa ha come obiettivo la realizzazione di una Notte della cultura alternativa, dal tema “Curiosità, luoghi e monumenti della Messina sconosciuta”.

L’amministrazione comunale infatti aveva previsto, per i mesi di maggio e giugno, questo tipo di evento culturale ma a causa dell’emergenza sanitaria, chiaramente, non è stato possibile organizzarlo.

Tuttavia, così come molte altre attività, anche la cultura non si ferma e, grazie alla collaborazione di diverse emittenti locali, i messinesi avranno la loro Notte della cultura.

Si tratta di una proposta anche nell’ottica del servizio alla persona, con la speranza che possa essere utile al benessere psichico dei cittadini, ormai limitati alla propria abitazione da tempo.

Il primo appuntamento sarà venerdì 8 maggio alle 20.30 su Rtp.

Nell’ambito del programma “Scirocco“, condotto dal giornalista Emilio Pintaldi, avremo la possibilità di visitare virtualmente luoghi inediti della nostra città.

Ecco quali:

  • Il Palazzo S. Elia, sede della Brigata Meccanizzata Aosta
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Via del Vespro, nei pressi di Via Garibaldi.

Non troppo lontano dalla sede centrale della nostra Università.

 

  • Il Palazzo della Guardia di Finanza
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In Via Tommaso Cannizzaro.

Vicinissimo a Piazza Cairoli e nei pressi della Stazione Centrale.

 

  • Il Salone Storico del 24° Rgt. Artiglieria dedicato ad Emilio AINIS
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In Via Taormina nella Caserma Ainis.

Si trova un po’ prima del Policlinico Universitario e del Capolinea Zir del Tram.

 

  • Il Centro Operativo VTS della Capitaneria di Porto (località Forte Ogliastri)
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Si trova in linea d’aria diretta all’imbarco traghetti.

 

  • Il Palcoscenico del Teatro Vittorio Emanuele
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In Via Garibaldi.

A metà tra il Municipio e la fermata del tram Boccetta.

 

  • I reperti pre-terremoto custoditi al Museo Regionale
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Si trova sul viale della Libertà, proprio di fronte al capolinea del tram Museo.

 

Angela Cucinotta

Covid 19: la trasmissione oro-fecale è possibile?

Da quando la minaccia Covid19 ha iniziato a prendere forma, destando un notevole allarme mondiale per la sua rapida diuffusibilitá e altissima contagiosità, un particolare su tutti venne immediatamente identificato: il coronavirus responsabile si trasmette per via aerea mostrando perciò un’elevatissima somiglianza con l’allora ben più nota SARS. Il virus si trasmette tramite le goccioline di flügge ed è responsabile di una serie di manifestazioni che hanno come comune denominatore l’assoluta aspecificità: tosse e febbre (tipici di un’infezione acuta delle vie aeree inferiori) che possono complicarsi in alcuni casi con lo sviluppo di dispnea, ipossiemia e ARDS.

Ma siamo sicuri che quella respiratoria sia l’unica via di trasmissione?

Infezione oro-fecale da Covid19, cosa sappiamo oggi

Gli ultimi dati provenienti da un recentissimo studio pubblicato sulla rivista ufficiale della società Americana di gastroenterologia “Gastrojournal” mettono in evidenza, tramite una serie di attente osservazioni cliniche, la presenza di tracce di RNA virale in campioni fecali. Ciò confermerebbe l’infezione gastrointestinale avvalorando maggiormente la tesi di una trasmissione oro-fecale. Dal 1 al 14 Febbraio 2020, 73 campioni unici ottenuti da pazienti infetti provenienti da un unico nosocomio, in accordo con le Linee guida del controllo e della prevenzione della Cina, sono stati isolati e sottoposti al test di amplificazione molecolare (PCR). I risultati confermano che su 73 campioni fecali analizzati 39 (53,42%), di cui 25 uomini e 14 donne, contenevano tracce di RNA virale con una positività dagli 1 ai 12 giorni. Il dato che però più sorprende è la positività del test fecale anche dopo la completa negativizzazione del tampone naso faringeo su 17 pazienti dei 39 positivi, che tradotto clinicamente indicherebbe una potenziale infezione oro-fecale, principalmente con acque contaminate da feci infette, anche con la completa negativizzazione dell’espettorato.

Prelievi bioptici multipli, colorati con Ematossilina Eosina testimoniano l’ingresso del virus nei vari distretti del tubo digerente.    Fonte: Gastrojournal.org

 

Come penetra il virus?

E’ stato ormai appurato che, alla base del processo infettivo, ci sia lo spiccato tropismo del Sars-CoV-2 per i recettori ACE2 che il virus sfrutta ampiamente per colonizzare le cellule che lo esprimono. I prelievi bioptici eseguiti a livello della mucosa esofagea, gastrica, del piccolo e grande intestino su più pazienti positivi al test fecale non hanno dimostrato danni macroscopici alla colorazione con ematossilina eosina, la quale ha piuttosto messo in risalto un’elevata presenza di recettori virali e di conseguenza di proteine appartenenti al nucleocapside virale a livello del citoplasma delle cellule gastriche, duodenali e rettali particolarmente predilette dal virus e sfruttate per la produzione di nuovi virioni. In merito a ciò un altro studio cinese ci mette di fronte a due importantissime chiavi di lettura:

– per infettare tali distretti il virus dovrebbe riuscire a resistere all’acidità gastrica. Lo stomaco in condizioni normali vanta un PH altamente acido (1-3) dato dalla elevata produzione di HCL da parte delle cellule parietali costituenti le ghiandole gastriche e che renderebbe impossibile il transito gastrointestinale del poco gradito ospite. È stato notato però che bastano moderate variazioni di PH (5-9) per far sopravvivere il virus;

– l‘età media dei positivi al test fecale è di 49 anni, ciò suggerirebbe che un eventuale rischio di infezione oro-fecale è prevalentemente, ma non esclusivamente, correlato con l’età. L’aumento del PH gastrico in relazione all’età sarebbe giustificato da una serie di condizioni morbose statisticamente appannaggio dell’adulto. In particolar modo l’infezione da Helicobacter Pylori, nota ai più come responsabile di una gastrite acuta, se non adeguatamente trattato con terapia antibiotica eradicante tende a determinare un quadro di gastrite cronica attiva, che in una piccola percentuale di soggetti tende ad evolvere in una gastrite atrofica e successivamente in metaplasia intestinale. In quest’ultima condizione avviene una completa sostituzione delle ghiandole gastriche con ghiandole intestinali le quali sono responsabili della produzione di mucine in ambiente gastrico, ciò tenderebbe a determinare un’alcalinizzazione del PH gastrico (5-9) data l’assenza totale di cellule secernenti HCL, ambiente che diventerebbe, secondo quanto detto precedentemente, ideale per la stabilizzazione del virus.

La presenza di queste due chiavi di lettura ci porta a dire che nei soggetti con tali condizioni cliniche il virus sopravvive all’acidità gastrica, diffondendosi ampiamente anche a livello intestinale e rettale. La mucosa esofagea sembra essere solo in parte coinvolta mentre, sono ancora in fase di studio possibili coinvolgimenti pancreatici ed epatici, lievi innalzamenti di amilasi e transaminasi sembrerebbero più da attribuire agli effetti sistemici del virus sull’organismo.

Sintomi gastrointestinali da Covid19

Sulla base di quanto detto quali sintomi dovrebbero allarmarci? Anche le manifestazioni gastrointestinali sono altamente aspecifiche. Uno studio retrospettivo condotto su 1141 pazienti affetti da Covid19, ricoverati allo “Zhongan hospital of  Wuhan university” , ha evidenziato che 183 di questi presentavano solo sintomi gastrointestinali estremamente comuni a quelli di una normale infezione gastrointestinale. La maggior parte dei pazienti al ricovero lamentava perdita di appetito, nausea e vomito seguiti solo successivamente da dolore addominale e diarrea con la quale ovviamente i malati eliminano il virus.

In un momento in cui il distanziamento sociale è all’ordine del giorno non sappiamo ancora quanto questi dati possano influire sull’inizio imminente della stagione balneare, ma rimane indiscusso come una nuova possibilità di contagio non farà dormire sogni tranquilli coloro i quali, ormai da tempo, sono in prima linea nella lotta contro il nuovo nemico. Ancora una volta il Sars-CoV-2 sa sorprenderci.

Saro Pistorio

Bibliografia

  • Gastrojournal: https://doi.org/10.1053/j.gastro.2020.02.055

 

Coronavirus: la Sicilia rimane blindata, inascoltato l’appello di migliaia di fuorisede

Voli introvabili o cancellati, treni dai posti limitatissimi o pieni, bus sospesi.

Pare che il rientro per i fuorisede presso il proprio domicilio, residenza o abitazione sia quasi impossibile.

Non ci sarà nessun esodo, e nessuna fuga verso il Sud Italia ( come quelli di Marzo che avevano riportato in Sicilia 40.000 persone) che erano state temutissime dal Governo preoccupato da un’ondata di nuovi contagi che avrebbe potuto mettere in ginocchio il Sud Italia.

Trovare un volo, tra le linee cancellate e le rotte bloccate ed il rincaro esagerato dei prezzi dei biglietti, è diventata una opzione di spostamento da escludere a priori.

Anche il rientro in treno pare ormai essere un’impresa titanica, a causa delle pochissime tratte ferroviarie rimaste disponibili, tra vagoni a capienza limitatissima (misura preventiva imposta dal Governo) e corse in parte annullate.

I bus, che a causa dell’inefficienza dei suddetti mezzi di trasporto sono sempre più affollati, non riescono a gestire il flusso di passeggeri praticamente triplicato.

Tantissimi i fuorisede “bloccati” (studenti, ma anche lavoratori o pendolari) nelle regioni del Nord Italia che stanno patendo difficoltà immense a mantenersi tra affitti, spese primarie e bollette, che a causa della sospensione di tantissime attività lavorative non potranno essere sostenute.

La Sicilia rimane “blindata” come ha evidenziato il Presidente della Regione Nello Musumeci nell’ordinanza del 30 aprile che ha confermato le limitazioni di ingresso e uscita dal territorio della Regione Siciliana.

Soltanto quattro voli al giorno, da Roma, due di andata e due di ritorno, entrambi operati e gestiti da Alitalia. Niente di più.

Tutto questo si traduce nell’impossibilità, o quasi, di reperire posti disponibili.

Musumeci, proprio nei giorni scorsi, aveva chiesto alla Ministra dei Trasporti  De Micheli che venissero manetenute inalterate le norme rigorose per l’accesso in Sicilia: «Se oggi l’isola può contare sul più basso numero di contagi lo si deve anche alla forte limitazione degli arrivi», aveva chiarito.

Basta fare una ricerca veloce sui siti delle principali compagnie aeree per scoprire che partire è praticamente impossibile.

Per quanto riguarda Ryanair tutto bloccato fino al 15 maggio, Flixbus ha sospeso tutti i collegamenti almeno fino al 17 maggio; treni Milano-Catania o Milano-Palermo introvabili.

Anche la Sais, che gestisce una flotta di bus in tutta Italia e che è particolarmente operativa in Sicilia, ha previsto la sospensione dei servizi interregionali.

Chiuso anche lo stretto di Messina in relazione all’ultima ordinanza della Regione Siciliana, gli spostamenti dei passeggeri via mare da Messina per Villa San Giovanni e Reggio Calabria e viceversa sono stati limitati al minimo.


Fuorisede, pendolari, lavoratori e studenti stanno dunque vedendo calpestato il diritto a rientrare nelle proprie case (dopo mesi di sofferenza e responsabilità) da una gestione politica che si sta dimostrando, se non nelle intenzioni quanto nell’efficienza amministrativa e logistica, assolutamente inadeguata.

Per chi riesce a rientrare nell’isola è previsto l’obbligo di registrazione sul sito della Regione, di comunicazione del proprio arrivo al medico di base, di isolamento obbligatorio presso la propria residenza o domicilio, ed infine, al termine della quarantena, di sottoporsi al tampone.

Paradossalmente, sembra che ad aver avuto la peggio sia stato chi si è impegnato a rispettare le regole e chi ha agito con responsabilità e senso civico.

Questo è lo spaccato di un’Italia che prova, senza successo, a “rientrare più che a ripartire”.

Antonio Mulone

 

Le risposte ai dubbi del 4 maggio: sì ai fidanzati, no agli amici. Inizia la riapertura

Mancano poche ore alla “ripartenza” dell’Italia. Dopo due mesi di lockdown, il tanto atteso 4 maggio, data indicata per la cosiddetta Fase 2 è alle porte. Tutte le regole del day after: visite consentite ai parenti ma non agli amici

Il nuovo dpcm del 26 aprile – che sarà valido dal 4 fino al 17 maggio – ha portato con sè non pochi dubbi. Tantissime sono le domande dei cittadini su ciò che si potrà o non potrà fare. Il decreto ministeriale stabilisce come si dovranno comportare le regioni dettandone le linee guida lasciando spazio, però, alle interpretazioni.

Prima fra tutte, la tanto discussa questione dei “congiunti”.

Chi sono questi congiunti?  E tra loro rientrano gli amici?

Vediamo un pò di chiarire la situazione.

La questione ha destato non poche polemiche, ma a meno di 24 ore dall’inizio della Fase 2 sono arrivati i tanto attesi chiarimenti. Con congiunto – spiega il governo – si indicano i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (ad esempio i figli dei cugini tra loro)  specificando che gli amici non rientrano tra gli affetti stabili.

Decisione alquanto discutibile se vogliamo dirla tutta, considerando che spesso l’affetto per un  amico caro non è  inferiore rispetto a quello per i consanguinei. Inoltre non sarà necessario rivelare il nome della persona dell’incontro , nel caso di fermo dalle forze dell’ordine , per tutelare questioni  legate alla privacy.

Il bacio di Hayez ma con mascherina, l'opera di TvBoy sull'amore ...

Vediamo insieme le altre disposizioni stabilite attraverso il decreto.

E’ necessario portare la mascherina?

La mascherina risulta necessaria in tutti i luoghi chiusi accessibili al pubblico ( mezzi di trasporto , esercizi commerciali). Ed anche durante gli incontri con i parenti. Durante le cerimonie funebri , dove è previsto un massimo di 15 persone.

Si potrà farne a meno in strada o per svolgere attività sportiva. Queste sono le linee generali del governo, a cui seguono ordinanze più restrittive da parte di alcune regioni, è il caso della Lombardia che ne prevede l’uso anche all’aria aperta.

Risultano esentati dall’obbligo di indossarla solamente i bambini di età inferiore ai 6 anni e individui con forme di disabilità incompatibili con l’uso continuato della mascherina. Inoltre per far crescere consapevolezza tra i più piccoli e rendere più allettante la questione, sono state creati dei modelli di protezione individuale raffiguranti cartoni animati, che in breve tempo dovrebbero essere messi sul mercato.

Le seconde case

Questo è uno dei punti più volte rivisti. Nel decreto non è più presente il divieto di trasferirsi nelle seconde case a patto che si svolga per necessità e all’interno della propria regione. Su pressioni del Ministro Speranza mostratosi sfavorevole si è cambiata idea.  Fonti del governo precisano: “I motivi che rendono legittimi gli spostamenti restano quelli del lavoro, della salute e della necessità. Spostarsi alla seconda casa non è una necessità”. Ma visto che nel decreto un divieto non c’è, Sicilia e Sardegna hanno invece autorizzato il trasferimento stagionale.

Attività motoria

Si potrà svolgere attività motoria liberamente anche distanti dalla propria abitazione, spostandosi con un mezzo per raggiungere il luogo desiderato. Dunque non solo è permesso andare a correre , ma è previsto anche l’uso della bicicletta per raggiungere la sede di lavoro, il luogo di residenza o i negozi che proseguono l’attività di vendita. È inoltre consentito utilizzare la bicicletta per svolgere attività motoria all’aperto, rientrano anche il nuoto , canoa e surf e tennis per la regione Sicilia. Il tutto mantenendo sempre le distanze di sicurezza che prevedono un metro in caso di passeggiata e due metri in caso di sport.

Campania, passeggiate solo individuali o con i bimbi. Ordinanza ...

Trasporti e lavoro

Sono consentiti tutti i mezzi di trasporto; ma si invita alla prudenza e si scoraggia fortemente l’uso di di quelli pubblici per evitare un affollamento eccessivo di autobus e metropolitane soprattutto nelle grandi città , che non permetterebbero di rispettare le norme di sicurezza. Molti comuni si sono attivati mettendo dei segnali per terra che indicano la posizione in cui devono stare le persone che si trovano in piedi.

Attività commerciali e cibi da asporto

Limitata la ripresa delle attività commerciali. Restano aperte librerie, cartolerie e negozi per bambini, oltre ovviamente ai negozi alimentari . Bar, gelaterie, ristoranti , pub, pizzerie resteranno chiusi, ma con una novità: oltre al delivery sarà consentito anche l’asporto. Bisognerà sempre rispettare la distanza di sicurezza di almeno un metro, con il divieto di consumare il cibo all’interno del locale o in prossimità di questo. Spetterà poi alle singole regione stabilire in maniera più dettagliata il quadro, fermo restando l’obbligo di indossare guanti e mascherine per il personale.

Rientro dei fuori sede

E’ previsto il ritorno nelle proprie regioni a tutti coloro che a causa del lockdown sono rimasti bloccati. Una volta fatto lo spostamento non sono consentiti via vai ripetitivi fuori dalla ragione in cui ci si trova se non per comprovate esigenze lavorative, di salute o urgenza. Inoltre molto governatori delle regioni meridionali richiedono l’obbligo di quarantena per chi arriva da altre regioni.

Messe e cimiteri

Sarà consentita la riapertura dei cimiteri e lo spostamento per raggiungerli all’interno della propria regione, sempre rispettando l’obbligo di distanziamento e ingressi razionalizzati. Riguardo alle messe il quadro non è ancora chiaro. Una prima data per la riapertura sembra essere impostata per l’11 maggio. Resta comunque uno dei temi più divisori tra chi è favorevole al ripristino delle messe e chi contrario. Anche se il pontefice attraverso un appello ha ricordato la necessità di rispettare le norme affinché la pandemia non torni.

“In questo tempo nel quale si comincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni” ha dichiarato il Papa nell’introduzione della messa a Santa Marta.

         

                                                                                                                                                                                                                                                                                               Eleonora Genovese

Plasma di soggetti guariti contro il COVID-19: ottimismo per il nuovo trattamento

Sono oltre 70000 in Italia le persone che hanno vinto la battaglia contro il Coronavirus. Potrebbero aiutare chi ancora sta lottando con il virus? Utilizzare il plasma dei pazienti guariti come terapia per l’infezione da SARS-CoV-2 fa ben sperare.

Farmaci Covid-19: a che punto siamo

La pandemia da Coronavirus ha creato una grave crisi sanitaria in tutto il mondo.  Sviluppare un vaccino o dei farmaci antivirali specifici in questo momento rappresenta una priorità, ma si prospettano ancora tempi non molto vicini per la loro commercializzazione ed utilizzo.

Nell’attesa si è dato il via all’utilizzo di farmaci off-label come lopinavir/ritonavir, idrossiclorochina, eparina; essendo “presi in prestito” da altre malattie, questi farmaci non presentano indicazioni terapeutiche specifiche per il trattamento della Covid-19. In questo momento sono in atto diversi studi sperimentali che si spera portino presto a nuove informazioni in merito alla loro reale efficacia e sicurezza.

Tra le varie proposte di trattamento nell’ultimo periodo ha attirato l’attenzione la possibilità di curare gli infetti con il plasma dei pazienti che hanno già superato l’infezione.  Per gli esperti non è niente di nuovo, in passato fu già utilizzata con successo anche per altre epidemie come SARS, MERS e H1N1 con efficacia e sicurezza soddisfacenti.

Terapia con il plasma, cosa significa?

Quando vi è in atto l’invasione da parte di un microrganismo, l’uomo attiva il suo sistema immunitario per difendersi. Si instaura così un meccanismo di riconoscimento del patogeno da parte dei leucociti, che genera una risposta mediata dalla produzione di anticorpi specifici per eliminarlo. Questo processo però richiede tempo, spesso anche settimane, e in base al tipo d’infezione l’individuo potrebbe anche perdere la vita. La formazione di anticorpi specifici per un microrganismo è quindi fondamentale.

Tra i vari anticorpi prodotti da un’individuo nel corso dell’infezione abbiamo: le IgM e le IgG. Le prime sono immunoglobuline prodotte nelle prime fasi dell’infezione e la loro presenza nel sangue indica un’infezione in corso. Le IgG, prodotte più tardivamente, indicano invece l’immunizzazione del paziente verso il patogeno nel tempo. Ovvero, la presenza di quest’ultime nel sangue dell’individuo indica che esso ha contratto il virus e ha già sviluppato un “esercito” pronto a combatterlo.

Un recentissimo studio pubblicato su Nature Medicine conferma che, i pazienti con Covid-19, a distanza di 19 giorni dai sintomi, hanno sviluppato tutti (285 i casi esaminati) immunoglobuline-G (IgG) contro SARS-CoV-2.

Ottenuto attraverso la centrifugazione del sangue, il plasma rappresenta la sua parte liquida, all’interno della quale sono presenti vari componenti, principalmente acqua, proteine (tra queste anche anticorpi) e sali minerali.

Fornire ad un malato di Covid-19 il plasma proveniente da un paziente precedentemente infetto, potrebbe essere utilizzato come cura, ma anche come profilassi per sfuggire all’infezione.

 

Lo studio

In Cina è stato effettuato uno studio che riporta l’esito dell’utilizzo di questa pratica clinica. I dati riguardano pochi pazienti, quindi vanno eseguiti ulteriori sperimenti e verifiche sulla sua effettiva sicurezza ed efficacia. I primi risultati suggeriscono che potrebbe essere un approccio utile nel trattamento dei pazienti più critici.

Prelevati da 40 pazienti guariti, 39 campioni di plasma hanno dimostrato di avere un alto titolo di anticorpi. Per svolgere il trattamento in completa sicurezza il plasma, prima di essere somministrato, è stato trattato eliminando eventuali tracce di Coronavirus o altri patogeni. Ad essere arruolati sono stati 10 pazienti con una media di 52,5 anni che presentavano sintomi importanti.

Gli effetti della terapia

Somministrando 200 mL di plasma si è potuto osservare un miglioramento dei sintomi clinici (febbre, dolore al petto, tosse) entro 3 giorni e la scomparsa della viremia dopo 7 giorni. Esami radiologici hanno mostrato assorbimento delle lesioni polmonari entro 7 giorni. Lo studio ha dimostrato anche sicurezza della trasfusione e assenza di effetti avversi severi.

Benché sia una ricerca preliminare, ha provato che la terapia con il plasma può migliorare le condizioni cliniche del paziente e neutralizzare la viremia.

I primi trial clinici anche in Italia

Ultimamente l’interesse degli esperti si è rivolto verso questo tipo di cura. La Food and Drug Administration ha già approvato il trial clinico per l’impiego del plasma da convalescenti come trattamento per i pazienti critici con infezione da Covid-19.

Non solo all’estero! Anche l’Italia si sta muovendo in questa direzione, in diversi ospedali sono già iniziate le sperimentazioni nei pazienti più gravi. Gli ospedali di Mantova, Pavia, Roma sono solo alcuni in cui si sta già adottando questa tecnica che finora ha dato esiti positivi.

Nonostante la dimostrazione che ci sia una ripresa con una riduzione della convalescenza, la terapia  potrebbe presentare dei limiti: una sola donazione basta per pochi pazienti e non tutti gli anticorpi sono potenti in egual modo.

E se potessimo selezionare soltanto gli anticorpi migliori?

Sempre basata sul plasma dei guariti, gli esperti stanno cercando anche un’altra soluzione: gli anticorpi d’elitè.  A lavorarci è un gruppo di ricercatori del Rockefeller University Hospital di New York. Il piano è di trovare i pazienti che hanno combattuto il virus talmente bene che i loro anticorpi potranno diventare farmaci. Trovati quelli più efficaci, schierati dal sistema immunitario contro il SARS-CoV-2, il fine ultimo è di clonarli e usarli in campo clinico. Iniettare un concentrato di questi “super anticorpi” sarebbe utile per combattere il virus in pazienti e prevenire l’infezione in popolazioni ad alto rischio.

In una rapida evoluzione della pandemia, c’è bisogno di una cura efficace e mirata contro la Covid-19, come anche un vaccino che possa prevenirla. Nell’attesa del loro sviluppo, l’utilizzo della terapia con plasma convalescente potrebbe essere una soluzione.

Georgiana Florea

Covid-19, quali mascherine per la Fase 2: chirurgiche, FFP2 e “Fai da te”

Indossare delle mascherine può aiutare a proteggere se stessi e gli altri dal contagio da SARS-CoV-2? Quali tipi di mascherine possono essere utili, come vanno indossate, rimosse e sanificate qualora le si voglia riutilizzare?

Il nuovo Coronavirus (denominato SARS-CoV-2) è un virus respiratorio che si diffonde fondamentalmente attraverso il contatto stretto con una persona infetta. I coronavirus hanno dimensioni di 100-150 nanometri di diametro (600 volte più piccoli di un capello), motivo per il quale tra le principali vie di trasmissione bisogna annoverare le goccioline (droplets) delle secrezioni di naso e bocca che vengono emanate durante la normale respirazione, quando si parla, e in grandi quantità in caso di tosse e starnuti (In particolare, lo starnuto può spingere queste goccioline ad una distanza di 4 metri). In casi rari il contagio può avvenire attraverso contaminazione fecale e normalmente le malattie respiratorie non si trasmettono attraverso gli alimenti, rispettando le corrette pratiche igieniche ed evitando il contatto fra alimenti crudi e cotti.

Tra le norme emanate dal Ministero della Salute, per far fronte all’epidemia da SARS-CoV-2 , vi è l’uso delle mascherine, queste ultime si dividono in due categorie:

  1. Mascherine chirurgiche, progettate per proteggere il paziente dalla contaminazione da parte degli operatori sanitari;
  2. FFP1, FFP2 e FFP3 (o N95, N99 e N100 nella normativa americana), progettate per proteggere gli operatori dalla contaminazione esterna e per questo denominate Dpi (Dispositivi di protezione individuale). 

MASCHERINE CHIRURGICHE

Le mascherine chirurgiche presentano due o tre strati di “tessuto non tessuto” (Tnt) costituito da fibre di poliestere o polipropilene:

  1. Lo strato che entra in contatto con l’esterno presenta un materiale di tipo spun bond (un tessuto non tessuto usato nel settore automobilistico e industriale) che, con l’effettuazione di un trattamento idrofobo, ha la funzione di conferire resistenza meccanica alla mascherina e proprietà idrofoba.
  2. Lo strato intermedio è costituito da Tnt prodotto con tecnologia melt blown e costituito da microfibre di diametro 1-3 micron, motivo per il quale svolge la funzione filtrante.
  3. Un eventuale terzo strato, tipicamente in spun bond, è a contatto con il volto e protegge la cute dallo strato filtrante.

Le mascherine chirurgiche sono contraddistinte da una capacità filtrante quasi totale verso l’esterno, superiore al 95% per i batteri, mentre hanno una ridotta capacità filtrante verso l’interno, ovvero verso chi le indossa (circa il 20%) non solo per l’aderenza al volto non particolarmente elevata ma anche per la mancata capacità di trattenere particelle fini o molto fini. Pertanto, se ben indossate, sono molto efficaci nell’impedire a chi le indossa di contagiare altre persone, ma non garantiscono una protezione elevata nei confronti dei virus che provengono dall’esterno.

MASCHERINE FFP1, FFP2 e FFP3

«Sono dispositivi di protezione individuale pensati per un uso industriale per proteggere da polveri, fumi e nebbie» spiega Pierpaolo Zani, General Manager di Bls, azienda italiana specializzata nella produzione di prodotti per la protezione respiratoria. I filtranti facciali vengono impiegati anche in ambito sanitario, nei reparti di malattie infettive per la loro elevatissima capacità di filtraggio dell’aria. Sono realizzati con tessuti-non-tessuti con proprietà e funzionalità differente:

  1. Lo strato esterno della mascherina protegge dalle particelle di dimensioni più grandi;
  2. Lo strato intermedio è solitamente in tessuto melt blown e filtra le particelle più piccole;
  3. Lo strato interno, a contatto con il volto, ha la doppia funzione di mantenere la forma della maschera e di proteggere la maschera dall’umidità prodotta con il respiro, tosse o starnuti.

La loro elevata capacità filtrante è associata agli strati filtranti che agiscono meccanicamente (come un setaccio) per particelle fino a 10 micron di diametro. Sotto queste dimensioni, l’effetto più importante è quello elettrostatico: la fibre cariche elettrostaticamente attirano e catturano le particelle. Tutte aderiscono bene al viso, e tutte sono disponibili in versione con e senza valvola.

 

DA COSA CI PROTEGGONO LE FFP1?

Le maschere respiratorie della classe di protezione FFP1 sono adatte per ambienti di lavoro nei quali non si prevedono polveri e aerosol tossici o fibrogeni. Queste filtrano almeno l’80% delle particelle che si trovano nell’aria fino a dimensioni di 0,6 μm e possono essere utilizzate quando il valore limite di esposizione occupazionale non viene superato di oltre 4 volte. Vengono particolarmente utilizzate nel settore edile o nell’industria alimentare.

DA COSA CI PROTEGGONO LE FFP2?

Le maschere respiratorie della classe di protezione FFP2 sono adatte per ambienti di lavoro nei quali l’aria respirabile contiene sostanze dannose per la salute e in grado di causare alterazioni genetiche. Queste devono catturare almeno il 94% delle particelle che si trovano nell’aria fino a dimensioni di 0,6 μm e possono essere utilizzate quando il valore limite di esposizione occupazionale raggiunge al massimo una concentrazione 10 volte superiore. Le maschere respiratorie della classe di protezione FFP2 vengono utilizzate nell’industria metallurgica o nell’industria mineraria in cui i lavoratori entrano in contatto con aerosol, nebbie e fumi.

DA COSA CI PROTEGGONO LE FFP3?

Le maschere respiratorie della classe di protezione FFP3 offrono la massima protezione possibile dall’inquinamento dell’aria respirabile. Con una perdita totale del 5% max. e una protezione necessaria pari almeno al 99% dalle particelle con dimensioni fino a 0,6 μm, sono inoltre in grado di filtrare particelle tossiche, cancerogene e radioattive. Queste maschere respiratorie possono essere utilizzate in ambienti di lavoro nei quali il valore limite di esposizione occupazionale viene superato fino a 30 volte il valore specifico del settore (industria chimica).

Le mascherine si possono utilizzare più di una volta?

Le mascherine chirurgiche sono monouso e non ci sono procedure, scientificamente validate, per la loro «disinfezione» in quanto  disinfettanti o vapori di aria calda potrebbero danneggiarne il tessuto, con successiva perdita dell’ azione di barriera. Considerando la scarsa disponibilità di mascherine chirurgiche, in assenza di una nuova mascherina, si può lasciare la mascherina già utilizzata all’aria aperta per almeno 12 ore prima di riutilizzarla o almeno 4 giorni (per spegnere un’eventuale traccia del virus), facendo attenzione a non toccare la parte interna della mascherina. In caso di riutilizzo bisogna ulteriormente mantenere le distanze di sicurezza con la consapevolezza di una riduzione dell’efficacia della capacità di barriera.

I filtranti facciali FFP1, FFP 2 e FFP 3 possono essere riutilizzati se non vi è usura del materiale. I trattamenti possibili di rigenerazione sono tre:

  1. Esposizione ad alta temperatura (superiore a 60°) in ambiente umido (come indicato dall’istituto statunitense NIOSH per il SARS-CoV-2);
  2. Esposizioni ai raggi ultravioletti;
  3. Trattamento con soluzioni idroalcoliche al 60/70%. Esso è il trattamento più efficace ai fini del mantenimento delle proprietà meccaniche, inclusa la forma.
    Tuttavia, sulla validità di questi metodi non vi è accordo scientifico.

Le mascherine “fai da te” sono davvero utili?

In uno studio, condotto dal Departments of Civil and Environmental Engineering and Marine and Environmental Sciences Northeastern University of Boston, sono state valutate 10 mascherine di stoffa realizzate con tessuti di provenienza locale di diversi design, e 3 mascherine di tipo chirurgico. Le mascherine chirurgiche standard, se indossate con un filo metallico di regolazione sul naso, hanno avuto un’efficienza media del 75%. Le mascherine di stoffa hanno avuto tassi di efficienza filtrante inferiori (tra il 38% e il 96%) rispetto alle mascherine chirurgiche (3M considerate come punto di riferimento e livello base). Nessun modello ha avuto risultati pari a quelli dei respiratori N95 e in genere le mascherine di tessuto fornivano la metà della protezione rispetto alle maschere chirurgiche standard. I ricercatori hanno provato a “migliorare” le mascherine di stoffa sovrapponendo uno strato di calza di nylon per ridurre la perdita di aderenza attorno ai bordi del volto e migliorare l’efficienza filtrante delle particelle. Lo stesso studio ha dimostrato che l’aggiunta della calza in nylon ha migliorato l’efficienza da 15 a 50 punti percentuali.

Caterina Andaloro

Bibliografia:

https://www.uvex-safety.it/it/know-how/norme-e-direttive/respiratori-filtranti/significato-delle-classi-di-protezione-ffp/

http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus?gclid=Cj0KCQjwy6T1BRDXARIsAIqCTXoNTiwj7C120buZEM-vTSvDR5bhw5kWW8boFOmZQlNEWTFW-6-QHXEaAonJEALw_wcB

https://www.suva.ch/it-CH/materiale/Sched-tematiche-factsheet/i-dpi-delle-vie-respiratorie