Sudan, capitale sotto assedio dal generale Hemedti

Lo scorso sabato 15 aprile, la capitale del Sudan, Khartoum, è stata protagonista di uno scontro armato, in cui hanno perso la vita almeno 180 persone e feritone 1800. Sotto attacco il Palazzo Presidenziale, la residenza del Capo dell’Esercito e l’aeroporto internazionale di Khartoum. Gli scontri si sono estesi in tutta la capitale comprese le vicinanze delle Ambasciate italiana e statunitense.

A fronteggiarsi le due forze armate del paese, da un lato le “Forze di supporto rapido, con al capo Hemedti, e dall’altro l’esercito sudanese con Abdel al Bhuran.

Hemedti Dagalo, il paramilitare del Sudan

Protagonista della vicenda è Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemedti. Generale delle forze di supporto rapido (RSF), si è fatto strada nell’ombra diventando uno degli uomini più potenti di tutto il Sudan. L’esercito paramilitare è composto principalmente da ex appartenenti alla milizia Janjaweed, protagonisti dei feroci scontri contro i ribelli del Darfur, che ha causato circa 300 mila morti, secondo le stime delle Nazioni Unite.

Non solo, l’ex dittatore islamista Omar al-Bashir lo sceglie come suo uomo di fiducia. Nel 2019 ha partecipato al rovesciamento dell’autorità suprema, Omar al Bashir, durante la cosiddetta rivoluzione sudanese, una mobilitazione popolare che finirà per reprimere brutalmente. Inoltre. la comunità internazionale accusa Hemedti del massacro di più cento manifestanti in un solo giorno durante una manifestazione nel giugno di quell’anno.

La rivoluzione ha avviato un processo di transizione in Sudan e ha istituito un governo civile al quale Hemedti ha giurato fedeltà. Tuttavia, due anni dopo, nel 2021, i paramilitari al suo comando hanno ordito un colpo di stato insieme al capo dell’esercito, Abdelfatah al Burhan, diventando così vicepresidente del Consiglio sovrano, l’organo esecutivo del Paese. Sotto la pressione internazionale il Sudan ha avviato un processo politico per il ripristino delle istituzioni democratiche con la firma di un accordo quadro il 5 dicembre 2022, teso anche a rimuovere i militari dal potere.

Generale Mohamed Hamdan Dagalo. Fonte: timesofisrael.com

Cos’è successo

Le truppe di Hemedti Dagalo, prima di diventare RSF, sono state addestrati dai Wagner russi, anch’essi un gruppo di mercenari, una forza paramilitare privata appartenente alla Federazione Russa. 

Infatti, come ha dichiarato l’Adf Magazine (rivista del Comando Usa per l’Africa), il RSF, assieme al gruppo russo Wagner, sarebbe diventato co-proprietario di una miniera d’oro in Sudan.

Senza contare che, in poche ore, le due truppe alleate avrebbero preso il controllo del Palazzo presidenziale di Khartum, dell’aeroporto di Merowe, a nord della Capitale e anche della sede della televisione nazionale. Un attacco definito “brutale” dalle forze nazionali. 

Victoria Calvo

Colpo di Stato in Sudan: l’esercito arresta il primo ministro e spara alla folla

È stato messo in atto, lunedì 25 ottobre, un colpo di Stato in Sudan. Artefici del golpe alcuni generali militari che hanno arrestato il primo ministro sudanese, Abdalla Hamdok, il ministro dell’Industria, Ibrahim al Sheikh, il ministro dell’informazione, Hamza Baloul e uno dei consiglieri del primo ministro, Faisal Mohammed Saleh. Successivamente al loro arresto, il generale a capo dell’operazione, Abdel Fattah al-Burhan, ha affermato che la presa di potere da parte dei militari è la conseguenza di una seria crisi che ha portato a una continua instabilità politica. Al-Burhan ha, inoltre, dichiarato lo scioglimento del Consiglio Sovrano e degli organi locali, insieme allo scioglimento del governo. Al loro posto, un consiglio militare che governerà nel Paese fino all’estate del 2023. Il Consiglio Sovrano del Sudan è l’organo collettivo civile e militare che ha sostituito, nel 2019, il Consiglio Militare di Transizione, ponendo fine al governo trentennale del dittatore Omar al-Bashir (che si trova attualmente in prigione). A capo del Consiglio Sovrano c’era proprio il generale al-Burhan ed era stato il Consiglio stesso a scegliere Hamdok come primo ministro. Al-Burhan continua il suo intervento affermando che i militari “continueranno la transizione democratica del paese”.

Il generale al-Burhan, al centro (fonte Ilpost.it)

La democratizzazione mancata

Il principale obiettivo della rivoluzione sudanese del 2019, che ha rovesciato la dittatura di al-Bashir, era quello di avviare e portare a compimento un delicato processo di democratizzazione nel paese africano. Alla base del processo c’era un’alleanza tra civili rivoluzionari e militari dell’ex regime. I rapporti tra le due parti erano molto instabili: da un lato i civili rivoluzionari, desiderosi di democrazia, dall’altro i carnefici a capo dell’ex dittatura. In merito alla questione era intervenuto anche il primo ministro, Hamdok, che l’aveva definita “alleanza paradossale”. Con l’arresto di quest’ultimo, i militari hanno posto fine al paradosso.

Come succede per ogni colpo di Stato, anche in Sudan gli attentatori hanno cercato di rendere impossibile qualsiasi forma di comunicazione, interrompendo le trasmissioni televisive e bloccando l’accesso a Internet. Le uniche emittenti attive erano quelle musicali che trasmettevano canzoni popolari nazionaliste. Il popolo sudanese non è però rimasto a guardare. Le ultime parole pubbliche di Hamdok sono state:

“Andate in piazza, non permettete ai nemici della democrazia di uccidere la rivoluzione del popolo”

In migliaia hanno seguito le sue parole, occupando le strade delle città sudanesi di Karthoum e Omdurman per arrivare al quartier generale dell’esercito e manifestare contro i militari. L’esercito ha però risposto sparando contro la folla che invocava la democrazia e la libertà, causando sette vittime e circa 140 feriti.

La manifestazione in Sudan (fonte globalist.it)

Il popolo diviso e le parole del ministro Yusif

La manifestazione del 25 non è stata la sola e unica. Nei giorni precedenti, migliaia di persone avevano protestato, a Khartoum, invocando l’istaurazione di un regime militare che secondo loro avrebbe posto fine alla crisi politica e economica nella quale il Paese si trova da anni. La situazione si è aggravata, appunto, proprio nel 2019, in seguito alla fine della dittatura di Bashir. I civili che avevano guidato le proteste contro Bashir, due anni fa, arrivarono a un accordo con i militari. L’accordo prevedeva la formazione di un nuovo governo, composto da civili e militari, e presieduto da Hamdok. Nonostante i buoni propositi, però, l’alleanza non ha dato i risultati sperati e la situazione di crisi è degenerata ancor di più.

Ad esprimersi in merito alla situazione è stato anche il ministro per gli Affari, Khalid Omer Yusif, che si trova, per il momento, agli arresti domiciliari. Yusif ha così commentato l’arresto di Hamdok:

“Hamdok non rassegnerà mai le dimissioni per lasciare la guida del Paese ai generali. Il suo è un atto di coraggio che non può rimanere inascoltato”.

Yusif  ha inoltre aggiunto che:

“Solo pochi giorni fa il golpe in corso era previsto, le avvisaglie erano chiare. I militari stanno utilizzando la profonda crisi economica e il malcontento di una parte della popolazione sofferente per creare il caos e soffocare la transizione democratica civile”.

Beatrice Galati

Thailandia: il simbolo di “Hunger games” il segno della ribellione e della democrazia

Dal 14 ottobre la Thailandia vive una situazione politica precaria. Nell’ultimo periodo è cresciuto il dissenso soprattutto dei giovani nei riguardi del primo ministro Prayuth Chan-ocha, l’ex comandante dell’esercito che è salito al potere il 22 maggio 2014 con un colpo di Stato di natura militare. L’inizio delle proteste non è recente ma ora sembra esserci una svolta.

Prayuth Chan-ocha, premier della Thailandia. Fonte: Khaosod English.

Mercoledì 14 ottobre

Nella mattinata vari gruppi di protestanti hanno chiesto la caduta del premier Prayuth, una nuova Costituzione e la fine delle persecuzioni dei dissidenti politici. È stato richiesto anche una limitazione ai poteri del re. A questi gruppi protestanti si sono opposti vari gruppi monarchici, che hanno smontato le tesi dei primi. Queste due fazioni si sono schierate nell’area attorno il Monumento per la Democrazia (Bangkok) e non si è arrivati allo scontro diretto grazie alla presenza massiccia di poliziotti intervenuti per permettere al re di passare in serata nell’aria occupata.

Quando l’auto che trasportava il re Vajiralongkorn e la regina Suditha è passata nell’area, i migliaia di manifestanti presenti hanno reagito in due modi: chi urlava insulti ai reali (un reato punito con particolare durezza in Thailandia, con l’imprigionamento dai 3 ai 15 anni) e chi alzava tre dita unite e due piegate al passaggio dell’auto del re. Quelle tre dita sono il simbolo di resistenza e ribellione usate dalla protagonista della trilogia “Hunger Games“. Con quelle tre dita, Katniss si opponeva al regime dittatoriale del presidente Snow. Non è la prima volta che i protestanti thailandesi usano questo simbolo: nel 2014 lo avevano usato proprio per manifestare contro il colpo di Stato di Prayuth.

Giovani studenti manifestano contro il governo in carica. Fonte: Corriere della Sera.

Giovedì 15 ottobre

Nella giornata di giovedì è stato proclamato lo stato di emergenza date le minacce alla sede dell’esecutivo da parte dei manifestanti a Bangkok. Lo stato prevede sostanzialmente due punti: il divieto di assembramento per più di 5 persone e di non diffondere tramite social network messaggi e notizie dannose per la sicurezza nazionale. Ciò ha scoraggiato molti manifestanti ma non tutti. In centinaia sono scesi in strada per manifestare, sfidando il divieto imposto dal governo poche ore prima. Nella serata si sono poi dispersi pacificamente.

I partecipanti alle proteste marciano pacificamente. Fonte: Business Insider

Venerdì 16 ottobre

Infine ieri, è iniziata la terza giornata di proteste. I giovani studenti che hanno partecipato si sono organizzati all’ultimo momento e via social, utilizzando i messaggi come unico strumento di comunicazione. I poliziotti hanno cercato di disperderle con potenti idranti che lanciavano acqua mista a vernice. Tuttavia nemmeno la pioggia è riuscita a fermarli. L’arrivo degli agenti antisommossa ha cambiato le carte in tavola ma i manifestanti non si sono scoraggiati nemmeno in questa occasione e hanno preparato nuove barricate con oggetti di fortuna. Ciò ha portato allo scontro diretto con le prime file di manifestanti e con il ferimento di essi.

epa08582184 Thai student and pro-democracy activists flash the three-fingered salute for anti-government, as they take part on a Harry Potter themed pro-democracy protest against the government near the Democracy Monument in downtown Bangkok, Thailand, 03 August 2020. The pro-democracy activists gathered to protest the government and to call for change. EPA/NARONG SANGNAK
Fonte: ANSA

Sabato 17 ottobre

Oggi i manifestanti sono raddoppiati e si sono organizzati in modo efficiente per il quarto giorno di proteste. Essi si sono divisi in tre punti diversi per aggirare la polizia ed il traffico. La folla si è divisa in zone lontane tra di loro, nelle parti periferiche a nord, ovest ed est della capitale. In particolare, il punto a nord sembra essere quello che raccoglie più manifestanti. Al momento non sono presenti agenti di nessun tipo in queste aree ma si prevede non solo un inasprimento delle lotte ma anche una risposta da parte del governo, magari con un aumento delle pene.

Riot police stand on guard during the demonstration. Thousands of Thai anti-government protesters move from the democracy monument to The Thai Government House in Bangkok and prepared to stay-overnight here. They demonstrated demanding the resignation of Thailand (SOPA Images / SIPA/SIPA / IPA/Fotogramma, Bangkok - 2020-10-15) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate
Agenti antisommossa bloccano i manifestanti. Fonte: TIMgate

Sarah Tandurella