Israele: la riforma di Netanyahu aumenta gli scontri. Tensione alle stelle a Gerusalemme

Ci troviamo a Gerusalemme, in Israele, dove da diverse settimane sono in corso delle proteste dovute a un progetto di revisione del sistema legale del paese. La riforma giudiziaria proposta dal nuovo esecutivo di Benjamin Netanyahu eliminerebbe la separazione dei poteri e indebolirebbe le basi della democrazia israeliana, concedendo un potere smodato al governo.

I manifestanti temono che questi cambiamenti abbiano un impatto notevole sulle donne, sulle minoranze, sull’economia e sull’intera popolazione.

Il primo ministro con i suoi alleati voteranno due dei progetti di legge che hanno come obiettivo modificare la composizione del comitato di selezione dei giudici. Inoltre, limiterebbero la capacità della Corte Suprema di rivedere e modificare le leggi. Infatti, per un paese che non possiede una costituzione scritta, il potere giudiziario è l’unico che può controllare il governo e salvaguardare i diritti individuali. Di conseguenza, con l’approvazione di questa riforma crescerebbe il potere del primo ministro mettendo a rischio la democrazia.

Foto dei manifestanti. Fonte : Rai News

Il 20 febbraio decine di migliaia di israeliani sono scesi in piazza in tutto il Paese, in particolare a Tel Aviv, dove hanno bloccato per circa un’ora l’autostrada di Ayalon e impedito a diversi funzionari di lasciare le loro residenze. Invece, a Gerusalemme oltre 100.000 persone si sono riunite fuori la Knesset, il Parlamento israeliano, chiedendo di ascoltare l’ appello del presidente Isaac Herzog, il quale aveva presentato una proposta di compromesso su cui negoziare, implorando la maggioranza di fermare l’iter parlamentare dell’approvazione della riforma per giungere a una proposta condivisa.

Alcuni deputati dell’opposizione sono entrati all’ interno dell’aula principale del Parlamento con grandi bandiere nazionali per sottolineare la preoccupazione del momento. Altri, a causa di schiamazzi, sono stati trascinati fuori a forza dal personale. In un corridoio alla vista del premier Netanyahu una manifestante ha urlato:

Corrotto. Cosa hai da sorridere? Vergogna! Stai demolendo la democrazia.

Ma il Premier non si è mostrato turbato ed ha continuato a a conversare con i giornalisti.

Lo sgomento dei cittadini di uno Stato ormai lacerato

Tutti i passi che stanno per avvenire nella Knesset ci trasformeranno in una pura dittatura, tutto il potere sarà con il Governo, con il capo del governo, e saremo tutti senza diritti.

Ha detto Itan Gur Aryeh, un pensionato di 74 anni.

Fonte: Euronews

Sono tante le persone che hanno partecipato, sventolando le loro bandiere simbolo dei valori che dovrebbero guidare lo Stato, mostrando coraggio e voglia di indipendenza. Lo dimostrano anche le parole del leader dell’opposizione Yair Lapid a una riunione del suo partito alla Knesset mentre i manifestanti si ammassavano all’esterno:

«Stiamo lottando per il futuro dei nostri figli, per il futuro del nostro paese. Non intendiamo arrenderci»

 

Nonostante la determinazione dei cittadini ed il grande afflusso di gente presente alle manifestazioni, per adesso non sembrano esserci risvolti positivi. Infatti, la Knesset ha approvato lunedì, nel primo dei tre turni obbligatori di votazione, le prime due disposizioni del colpo di Stato. Entrambi sono emendamenti alla Legge fondamentale sul sistema giudiziario: una permette alla coalizione di governo il controllo sul Comitato per le nomine giudiziarie; l’altro vieta alla Corte Suprema, in qualità di Alta Corte di Giustizia, di annullare le leggi fondamentali.

Ma questo non sembra fermare la volontà degli israeliani che sottolineano: «Siamo qui per lottare per la democrazia. Senza democrazia non c’è stato di Israele. E combatteremo fino alla fine».

È chiaro che questa situazione abbia gettato in profonda crisi la popolazione, al punto da far insorgere in alcuni ministri il timore di una guerra civile. Difatti, si pensa che le proteste aumenteranno di vigore nei prossimi giorni, in quanto si sono già uniti gli oppositori della colonizzazione israeliana in Cisgiordania e i movimenti di difesa dei diritti della comunità LGBTQ+, preoccupati dalla presenza nel governo di ministri apertamente omofobi.

Donna tiene in mano un manifesto contro il governo israeliano
Donna con manifesto contro il Premier Netanyahu. Fonte: Ansa

Le dichiarazioni dell’ONU su Israele

Sempre in questi giorni, il Consiglio di sicurezza ONU afferma che gli insediamenti di Israele in Cisgiordania “ostacolano” la pace. La risposta dell’ufficio del premier israeliano Benyamin Netanyahu non si è fatta attendere:

È unilaterale, nega il diritto degli ebrei di vivere nella loro patria storica e ignora gli attentati palestinesi a Gerusalemme. Quella dichiarazione non doveva essere pronunciata e gli Usa avrebbero dovuto non aderire.

Fonti diplomatiche hanno spiegato che Washington è riuscita a convincere sia Israele che i palestinesi ad accettare un congelamento di sei mesi di qualsiasi azione unilaterale.  Ciò comporterebbe un impegno a non espandere gli insediamenti almeno fino ad agosto da parte degli israeliani e da parte palestinese a non perseguire azioni contro Israele presso le Nazioni Unite e altri organismi internazionali.

Continuano i raid aerei in Cisgiordania

Malgrado la dichiarazione non vincolante in cui si esprime “preoccupazione e costernazione”, gli scontri non tendono a diminuire. Infatti, proprio stamattina giunge la notizia di un bombardamento su alcuni edifici di Gaza City da parte dell’ esercito israeliano, pare in risposta a sei razzi che si sospetta siano stati lanciati proprio da quelle strutture. I sei attacchi sarebbero dovuti, probabilmente, all’uccisione di undici palestinesi (tra i quali anziani di oltre 70 anni e un ragazzo di 16 anni), da parte dei militari israeliani nella città di Nablus e cento feriti.

E se per Israele le incursioni hanno lo scopo di contrastare futuri attacchi, per i palestinesi diventano un’ulteriore dimostrazione dell’occupazione per un conflitto che sembra non finire mai.

Serena Previti

Cisgiordania, giornalista di Al Jazeera uccisa dall’esercito israeliano

Ai giornalisti deceduti durante reportage in zone di conflitto si aggiunge il volto di Shireen Abu Akleh, dipendente dell’emittente televisiva Al Jazeera, colpita con un proiettile alla testa e morta poco dopo essere stata portata in ospedale in gravissime condizioni.

L’uccisione di Shireen

La 51enne con cittadinanza americana e palestinese si trovava in Cisgiordania, territorio rivendicato dalla Palestina, ma sotto il controllo delle forze israeliane; in un campo profughi nella città di Jenin. Stava documentando un’incursione militare di matrice israeliana quando, arrivata sulla scena di un raid dell’esercito israeliano, è stata uccisa con un proiettile alla testa. Accanto a lei, Ali Al-Samoudi, un suo collega, è stato colpito da un proiettile alla schiena. Portato in ospedale, ora si trova in condizioni stabili. Come gli altri giornalisti presenti sulla scena, anche Shireen indossava il giubbotto antiproiettile con su scritto “press” e persino l’elmetto, normalmente utilizzati per proteggersi dai pericoli dei conflitti. Questo rende chiara la volontà di chi ha sparato.

Shireen Abu Akleh (Fonte: friulisera.it)

Al Jazeera accusa gli israeliani

L’emittente con sede in Qatar accusa i militari israeliani del decesso della giornalista conosciuta in tutto il mondo arabo e che, per trent’anni, si era fatta portavoce dei conflitti tra palestinesi e israeliani. In difesa, i componenti dell’esercito israeliano affermano di aver aperto il fuoco dopo essere stati esposti al “fuoco massiccio“, evidenziando la possibilità che la giornalista possa essere stata uccisa dai palestinesi. Le parole di Al-Samoudi, però, non lasciano spazio a equivoci:

“Il primo proiettile ha colpito me e il secondo proiettile ha colpito Shireen… non c’era alcuna resistenza militare palestinese sulla scena. Se ci fosse stata, non saremmo stati in quella zona.”

Una giornalista di Quds News Network lì presente, Shatha Hanaysha, ha dichiarato che, nonostante Shireen fosse già caduta a terra, il fuoco non si è fermato e, nell’immediato, nessuno è stato in grado di raggiungerla per aiutarla.

Le reazioni israeliane e americane

L’autopsia è stata condotta all’Istituto di medicina legale Al Najah di Nablus. Intanto il ministro israeliano degli esteri, Yair Lapid, afferma che Israele ha offerto ai palestinesi “un’indagine patologica congiunta” sulla morte di Abu Akleh:

“I giornalisti devono essere protetti nelle zone di conflitto e tutti noi abbiamo la responsabilità di arrivare alla verità.”

L’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Tom Nides, si dice “molto triste” nell’apprendere la morte della donna e incoraggia “un’indagine approfondita sulle circostanze della sua morte” in un tweet.

L’orrore del funerale

Inquietanti“: è così che la Casa bianca definisce le immagini dei funerali che hanno fatto il giro del web. Tutto è cominciato all’uscita della bara dall’ospedale di Beit Hanina, quartiere arabo di Gerusalemme est: la polizia ha impedito che la bara fosse sollevata per essere portata in spalla da un gruppo di persone tra cui il fratello della giornalista. Successivamente la polizia ha assalito con i manganelli coloro che portavano il feretro della donna, facendolo inclinare verticalmente e quasi cadere. Al Jazeera ha ritenuto “aggressivo” l’atteggiamento della polizia israeliana in una circostanza così delicata. Gli agenti hanno giustificato il proprio comportamento sostenendo che dal corteo funebre sono state lanciate contro di loro pietre e altri oggetti.

Funerali di Shireen (Fonte: farodiroma.it)

 

Eleonora Bonarrigo