Aspettando gli oscar 2021: i migliori premi oscar degli ultimi dieci anni

L’attesa ormai è quasi finita: manca solamente un mese a gli Oscar 2021! La premiazione, inizialmente programmata per il 28 Febbraio,  si terrà il 25 Aprile (notte del 25/26 in Italia). La cerimonia assume un significato molto importante quest’anno: il mondo dello spettacolo e del cinema è uno dei settori messi maggiormente in difficoltà dall’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, quindi gli Oscar simbolizzano la ripresa della settima arte e magari anche una piccola boccata di normalità.

In ogni caso in attesa degli Oscar 2021, in questo articolo andremo a volgere un occhio alle passate edizioni, presentando i migliori film e artisti che sono stati onorati con la statuetta negli ultimi dieci anni.

 Miglior film

Il discorso del re: locandina. Fonte: mediasetplay.it

La categoria più importante e rinomata nella cerimonia degli Oscar è senza dubbio la categoria miglior film. Negli ultimi dieci anni grandi capolavori del cinema contemporaneo hanno vinto questa statuetta, tutti con un messaggio o una scintilla in più di altri.

Tra questi uno che merita una particolare attenzione è Il Discorso del re (The King’s speech), presentato a gli Oscar nell’edizione del 2011. Il film conta ben dodici candidature e altre tre vittorie: miglior attore protagonista a Colin Firth nei panni di re Giorgio VI, miglior sceneggiatura originale e miglior regia a Tom Hooper.

Il discorso del re racconta i problemi di balbuzie di Giorgio VI, re d’Inghilterra durante la Seconda guerra mondiale, e l’aiuto  datogli dal logopedista Lionel Logue, interpretato dall’attore Geoffrey Rush. Tale aiuto permetterà a re Giorgio di pronunciare a tutta la nazione la dichiarazione di guerra alla Germania e la conseguente entrata nel secondo conflitto mondiale.

 Miglior attore protagonista

Una scena del film La Teoria Del Tutto. Fonte MYmovies.it

La categoria miglior attore protagonista è stata costellata negli ultimi dieci anni principalmente da nuove star emergenti, ma anche da attori già affermati che magari attendevano un bell’Oscar da qualche anno (come Leonardo Di Caprio).

In ogni caso una performance che brilla più di altre è l’interpretazione del noto scienziato Stephen Hawking da parte dell’attore Eddie Redmayne ne La Teoria Del Tutto (The Theory of Everything), presentato e premiato a gli Oscar nel 2015. Oltre ad essere un’enorme responsabilità portare sul grande schermo una così importante figura della fisica e astrofisica contemporanea, questo ruolo è molto impegnativo anche per il dover riprodurre l’avanzare della malattia da cui lo scienziato era affetto: la SLA.

Per questo motivo, Eddie Redmayne, per rendere la sua performance più realistica possibile, ha incontrato lo stesso Hawking e decine di pazienti affetti da SLA, per emularne l’aspetto e la mimica al meglio.

Lo stesso scienziato successivamente si complimenterà con lui per la sua interpretazione tanto precisa e veritiera.

 

 Miglior attrice protagonista

Mildred (Frances McDormand) davanti ai suoi manifesti. Fonte milanoweekend.it

Adesso passiamo al premio per miglior attrice protagonista. Questa categoria è senza dubbio caratterizzata dalle grandi interpretazioni di donne forti e determinate.

Tra queste, l’attrice che ha maggiormente meritato il premio Oscar è Frances McDormand per la sua performance in Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri) nel 2018. Il film, scritto e diretto da Martin McDonagh, racconta le vicende di una madre, Mildred Hayes (Frances McDormand) che chiede giustizia per la morte della figlia, violentata e uccisa. Mildred si schiera con forza contro la polizia locale e lo sceriffo Willoughby (Woody Harrelson) per non essere riusciti ad agire in nessun modo e, affittando dei manifesti pubblicitari, ne denuncia pubblicamente la negligenza.

Il personaggio della Mcdormand spicca per la sua forza, per la determinazione nell’opporsi a tutto e tutti affinché la sua voce venga ascoltata . Il film inoltre ottenne altre cinque candidature: l’attore Sam Rockwell vinse l’Oscar come migliore attore non protagonista nel ruolo di Jason Dixon, poliziotto nemico di Mildred con radicali idee razziste.

A conferma della sua grande capacità e passione, la McDormand è stata ricandidata quest’anno alla medesima statuetta per il film Nomadland. 

Per concludere

Con questo articolo abbiamo voluto presentare alcune delle grandi pellicole e dei grandi artisti premi Oscar di questo ultimo decennio anche per sfatare una visione comune: si tende generalmente a pensare che il grande cinema si basi solamente sui cari e vecchi cult… ma il cinema è un’arte in continua evoluzione, che tende a rispecchiare la nostra realtà che cambia. Quindi per quanto i cult siano la storia del cinema, certamente le pellicole contemporanee ne sono delle degne eredi.

Ilaria Denaro

 

La stella polare del cinema: Stanley Kubrick

Oggi 22 anni fa ci lasciava colui che – dalla maggior parte degli amanti del cinema – è considerato il miglior regista di sempre.

Genio e sregolatezza, gentile ma maniacale, imprevedibile e audace, Stanley Kubrick ha incantato il pubblico e la critica mediante i suoi film.

Noi di UniVersoMe vogliamo rendergli omaggio andando ad analizzare tre dei suoi più grandi lavori.

Stanley Kubrick – Fonte: greenme.it

Arancia Meccanica (1971)

Kubrick in questa pellicola non ha fatto sconti a nessuno, infatti se c’era qualcosa di violento da mostrare lui lo ha enfatizzato.

Concentriamoci ad esempio sull’agghiacciante scena dello stupro.

Una delle azioni di per sé più vili che un individuo possa mai commettere, nel film viene rappresentata con tutta la brutalità tipica di questo malsano gesto e viene resa esponenzialmente ancor più disturbante dalle note di Singing in the rain cantate dal protagonista Alex DeLarge (Malcolm McDowell).

Originariamente l’attrice di questa scena era un’altra, la quale fortemente provata dall’intensità della scena e stremata dagli infiniti ciak girati dal regista (famoso per arrivare a girare una medesima scena anche 150 volte) decise di lasciare il ruolo ad Adrienne Corri.

La maniacalità di Stanley sul set per poter ottenere il massimo anche nei dettagli è una caratteristica che di certo lo contraddistingue dagli altri colleghi.

Dagli antefatti che precedono la scena dello stupro però emerge un altro elemento fondamentale del genio di Kubrick, ovvero il saper ascoltare il proprio istinto. Da copione infatti Alex non doveva cantare nulla inizialmente, poi proprio sul set al regista venne in mente di accompagnare musicalmente la scena dandole una vena maggiormente inquietante.

L’attore iniziò ad improvvisare la prima canzone che gli passò per la testa e così nacque una delle scene più iconiche della storia del cinema: il drugo stupra una donna mentre canticchia con disinvoltura come se fosse un’azione normale della sua quotidianità.

Il capo dei drughi Alex DeLarge (Malcolm McDowell) – Fonte: leitmovie.it

Il regista era solito  avere dei contrasti con gli attori sia perché cambiava continuamente i copioni (come in Shining) sia perché li costringeva ad effettuare gesta particolarmente pericolose.

Durante le sedute della cura Ludovico, Alex era obbligato a guardare scene di film assai violente sotto le note della sua amatissima Nona Sinfonia di Beethoven con gli occhi tenuti dolorosamente aperti da uno strano marchingegno.

L’attore è stato sottoposto realmente a quel trattamento ed il dottore che si vede nel film era un vero e proprio medico incaricato di inumidirgli i bulbi oculari mediante delle gocce, altrimenti sarebbe divenuto cieco (l’interprete comunque si ferì ad un occhio e perse la vista momentaneamente).

Il metodo è discutibile ma il risultato è certo: la sofferenza del personaggio non viene solo rappresentata ma viene anche provata dallo spettatore. Infine il montaggio di Arancia Meccanica, che da un punto di vista tecnico è impeccabile, permette di risaltare la comicità e l’enfasi in alcuni momenti cruciali della pellicola.

Shining (1980)

Alcuni elementi del lavoro di Kubrick in Shining li abbiamo già analizzati qui.

Molto spesso al giorno d’oggi purtroppo la pellicola viene declassata con la semplice motivazione che “non faccia così paura”.

Mettiamo subito in chiaro che non è un film ideato per spaventare, come un qualsiasi horror moderno pieno zeppo di jumpscare disseminati a caso ogni 2 minuti, ma è una pellicola basata sulla pazzia di un uomo che pian piano emerge fuori.

Ci sono certamente elementi paranormali e scene che comunque – tenendo conto dell’epoca in cui uscì la pellicola – hanno traumatizzato il pubblico, ma non è questo il tema centrale.

Jack Torrance (Jack Nicholson) leggermente indispettito – Fonte: lindiependente.it

Il regista con questo film ha creato un’opera d’arte della tensione. Le sequenze mostrate all’interno del film rappresentano perfettamente un’atmosfera carica di ansia e di imminente pericolo che, scena dopo scena, crescono sempre di più fino a culminare con lo sfogo violento del protagonista.

La scelta dei primi piani di un incredibile Jack Nicholson, le musiche ed i campi totali (una tipologia di inquadratura) costituiscono un patrimonio della cinematografia lasciatoci dal regista.

Full Metal Jacket (1987)

Penultima pellicola della breve filmografia di Kubrick.

Il film, basato sulla guerra del Vietnam, si articola in due parti: nella prima assistiamo agli esercizi ed ai metodi adottati dai marines americani per addestrare le truppe; nella seconda, ambientata sul fronte asiatico, viene rappresentata la crudeltà della guerra in sé per sé.

Il celebre sergente Hartman (Ronald Lee Ermey) mentre istruisce le nuove reclute – Fonte: gildavenezia.it

Accanto agli aspetti della vita militare, nel film vengono trattate tematiche psicologiche e viene lasciato ampio spazio a critiche sociali enormemente rilevanti soprattutto per l’epoca in cui venne proiettata la pellicola.

Kubrick tramite il film ha voluto esprimere la propria opinione sulla guerra, comunicandola con forte ironia mediante l’utilizzo del controsenso e proprio questo è uno dei punti di forza della pellicola.

Ad esempio la spilla raffigurante il simbolo della pace indossata dal protagonista Joker (Matthew Modine)  sulla propria uniforme mentre si trova al fronte, e la scelta delle musiche come Surfin Bird, che accompagna una sequenza di scene dopo una battaglia in cui vengono trasportati feriti, o la Marcia di Topolino, che i soldati cantano orgogliosamente alla fine del film.

 

Stanley Kubrick, per quanto possa essere stato particolare nei rapporti interpersonali, è riuscito a lavorare straordinariamente nel cinema basandosi su uno dei principi più rilevanti della civiltà: la libertà individuale.

Quando finiscono le pratiche burocratiche, per dar vita ad un progetto cinematografico bisogna necessariamente lasciare tutto lo spazio al regista senza interferire se non solo per fornire consigli. Solo in questo modo un cineasta può svolgere il suo lavoro e quindi concretamente raccontare una storia dal suo punto di vista.

Kubrick lo ha fatto e si è visto.

Vincenzo Barbera

Walk the line: musica e amore come medicine

“Walk The Line” è un biopic degno di nota. Racconta una storia di lotta contro se stessi e di quanto possa essere importante la musica, andando ad affrontare anche altre tematiche fondamentali per un artista – Voto UVM: 4/5

Oggi 89 anni fa nasceva una delle più celebri star della musica statunitense: Johnny Cash.

Ha conquistato il pubblico americano tramite canzoni che sono entrate a far parte di prestigiose Hall of Fame di generi diversi a testimonianza della sua poliedricità. Nonostante una vita travagliata, è riuscito a imporsi nel panorama musicale divenendo principalmente un’icona della musica country.

Johnny Cash con la sua chitarra- Fonte: arte.sky.it

Il film  Walk The Line ( Quando l’amore brucia l’anima) diretto da James Mangold ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera.

Trama

Johnny (Joaquin Phoenix) è un bambino che vive in una fattoria dell’Arkansas. Un giorno mentre è a pesca, il fratello si ferisce con una sega e muore; di lì in avanti i rapporti tra Johnny ed il padre si incrineranno notevolmente.

Nel 1950 si arruola  nell’aviazione prestando servizio nella Germania dell’Ovest dove comincia a suonare la chitarra per diletto per poi tornare in patria qualche anno dopo dove sposa la sua fidanzata ed inizia a lavorare come venditore porta a porta per vivere. Tuttavia sente che gli manca un qualcosa. Infatti, durante una giornata di lavoro , passa davanti ad uno studio di registrazione e colto dall’ispirazione decide di fondare un gruppo.

Dopo un’audizione Johnny conquista Sam Phillips (Dallas Roberts), produttore musicale e proprietario della Sun Records, il quale gli fa sottoscrivere immediatamente un contratto ed incidere il suo primo disco: Cry! Cry! Cry!

Locandina del film – Fonte: tmdb.it-maku.com

Le canzoni iniziano ad essere tramesse in radio ed il cantante parte per un tour di primaria importanza: infatti alla tournée partecipano grandi artisti emergenti del calibro di Elvis Presley e Jerry Lee Lewis e proprio in questo periodo il nostro protagonista conosce la bellissima cantante June Carter (Reese Whiterspoon) della quale si innamora perdutamente.

Tra alti e bassi, droga e carcere, Johnny non perderà mai il suo amore per la musica (e per June) e nonostante tutte le peripezie diventerà una delle più grandi star americane.

Regia

Il regista James Mangold ha voluto raccontare la storia di Johnny Cash improntandola fortemente sul lato umano.

L’amore è sicuramente uno dei temi principali della pellicola oltre- ovviamente- alla musica. E’ infatti proprio grazie a questo sentimento nei confronti di June che il protagonista trova la forza per reagire a qualsiasi problematica e spingersi oltre raggiungendo altissimi livelli.

Johnny Cash (Joaquin Phoenix) e June Carter (Reese Witherspoon) – Fonte: pinterest.it

Mangold stesso ha dichiarato di essersi emozionato quando durante uno dei suoi ultimi incontri con il vero Johnny Cash gli chiese quale fosse il suo film preferito, ed il cantante rispose:

Frankenstein. Perché è la storia di un uomo composto da parti marce. Una specie di oscurità. E contro la sua stessa natura… continuò a lottare per essere buono.

Forse un po’ severo con se stesso, ma sostanzialmente questo concetto si avvicina a quel che era Johnny. Il cantante, come riportato nel film, per un periodo è stato fortemente dipendente dalla droga che gli ha causato gravi problemi sia nelle relazioni sia a livello legale (di fatti è stato in carcere). Un uomo che sicuramente ha sbagliato, ma definirlo un mostro risulterebbe esagerato.

Comunque, la definizione di Frankenstein in parte esprime perfettamente la sua natura: anche se Johnny Cash non si riteneva una brava persona, ha cercato comunque di fare del bene come quando nel 1968 tenne un concerto alla prigione di Folsom per i suoi detenuti e inoltre prese in giro il direttore del carcere che li maltrattava (il regista ha deciso di chiudere il film proprio con questa scena meravigliosa sulle note di una delle sue canzoni più belle, Cocaine Blues).

Cast

Joaquin Phoenix nei panni di Johnny Cash è- come al solito- monumentale ( della sua interpretazione in Joker abbiamo già parlato qui). Fortemente calato all’interno del personaggio, l’attore, mediante lo sguardo, esprime un costante stato di preoccupazione ed ansia con cui il protagonista convive a causa della sua vita tormentata.

Scena del film in cui Johnny si esibisce per i detenuti – Fonte: themacguffin.it

Le canzoni sono interpretate da Joaquin stesso, così come quelle di June Carter da Reese Whiterspoon. Incredibile la chimica instauratasi tra i due attori, in particolare quando si esibiscono sul palcoscenico: nella realtà ciò era scontato dato che i cantanti si amavano; nel film i due interpreti sono riusciti perfettamente a rappresentare quella stessa armonia.

A livello di critica la pellicola fu un successo enorme, tanto che riuscì ad aggiudicarsi 3 Golden Globes e ben 5 nomination agli Oscar del 2006 (vincendone solo uno con Reese Whiterspoon per la Miglior Attrice Protagonista).

Un film veramente piacevole da guardare che rende onore ad un grande artista e ci comunica la forza reale dell’amore e della perseveranza, perché senza quest’ultime Johnny non avrebbe mai e poi mai sfondato nella musica.

Vincenzo Barbera

 

 

Hammamet: quando Favino supera sé stesso

Un film su un politico che non è assolutamente politico. Pregi e difetti per la pellicola sugli ultimi anni di Craxi – Voto UVM: 3/5

Ci sono uomini che, nel bene o nel male, hanno fatto la storia del nostro Paese.

Chiunque ha diritto di dedicarli un libro, un quadro o un film. Fondamentale è però giudicare l’opera in sé e per sé, senza farsi condizionare da ciò che il protagonista ha fatto nel corso della sua vita.

In occasione dell’anniversario della morte di Bettino Craxi, recensiamo il film Hammamet (2020) di Gianni Amelio.

La locandina del film – Fonte: screenweek.it

Trama

La pellicola narra gli ultimi mesi di vita di Craxi. Il segretario del PSI (Partito socialista italiano) in seguito allo scandalo di Mani Pulite si è rifugiato con la famiglia in Tunisia, dove vive all’interno di una lussuosa villa sotto la protezione del dittatore Ben Ali.

L’ex presidente del consiglio conduce una vita normale: si preoccupa di badare al nipotino, riflette sul difficile rapporto che da sempre ha avuto con il figlio e fa trascrivere le sue memorie. Nonostante l’età che avanza ed una forma grave di diabete, continua a seguire con molta attenzione tutto ciò che accade in Italia.

Una notte un ragazzo si introduce furtivamente nella villa, ma viene tempestivamente catturato. Craxi riconosce che costui era Fausto, il figlio di Vincenzo Sartori (uno sei suoi uomini più fidati ai tempi della politica e morto in seguito a tangentopoli). Tra i due si instaura un profondo legame: infatti, trascorrono gran parte delle giornate a fare delle passeggiate per le strade tunisine, durante le quali il ragazzo filma Craxi mentre racconta aneddoti ed esprime i suoi pensieri.

La volontà reale di Fausto è però quella di uccidere Craxi: infatti, compra una pistola che nasconde nel proprio zaino.

Craxi (Pierfrancesco Favino) e Fausto (Luca Filippi) in una scena del film – Fonte: panorama.it

Un giorno Bettino gli rivela di essere sempre stato a conoscenza dell’arma e gli propone un patto: se lo avesse lasciato in vita, lui gli avrebbe comunicato informazioni talmente importanti da poter far venir meno l’assetto politico del Paese. Fausto accetta e dopo averlo ripreso per un’ultima volta sparisce.

In seguito l’ex Presidente riceverà altre due visite: quella di un ex amante e quella di uno dei suoi più grandi rivali politici, mentre il diabete  nel frattempo si è aggravato e la sua salute viene ulteriormente ostacolata dalla comparsa di un tumore ad un rene. Difficilmente operabile in Tunisia, la famiglia decide di tornare in Italia nonostante il forte rischio di essere scoperti e quindi di far arrestare Bettino.

Tuttavia al momento di prende l’aereo Craxi ci ripensa e si fa operare in Africa. Pochi giorni dopo l’operazione viene colto da un infarto che si rivelerà fatale.

Il film si chiude con Anita (la figlia di Craxi) che va a trovare Fausto in una clinica psichiatrica, il quale le consegnerà le registrazioni effettuate in Tunisia.

Regia

Qualsiasi critica socio-politica che si possa avanzare nei confronti di Hammamet, la lasciamo a chi non si occupa di cinema. Il regista ha scelto di raccontare la storia di Craxi da un punto di vista prettamente umano.

Il film si sofferma sugli aspetti della vita quotidiana di un uomo anziano, mostrando tutte le difficoltà causate dall’età che avanza e dal progredire della malattia.

Vengono messe a nudo tutte le paure ed i rimorsi dell’ex Presidente che, per quanto possa essere stato incredibilmente potente, è semplicemente un essere umano.

Pierfrancesco Favino ed il regista Gianni Amelio sul set – Fonte: ilriformista.it

Punto di forza della pellicola sono sicuramente le inquadrature scelte dal regista durante i dialoghi: il continuo alternarsi tra i primi piani rende partecipe lo spettatore alle acute ed articolate discussioni tra gli attori.

Tuttavia il film presenta dei momenti di vuoto puro che rallentano il racconto in maniera del tutto insensata e a tratti il film risulta essere profondamente noioso.

Favino

Ciò che rende Hammamet uno dei film italiani migliori del 2020 è obiettivamente la sontuosa interpretazione di Pierfrancesco Favino.

La voce è il primo elemento a rendere la prova d’attore encomiabile, anche se la prima cosa che effettivamente stupisce è la strabiliante somiglianza tra Favino e Craxi, ma di ciò se ne deve dare atto giustamente ai truccatori.

Pierfrancesco riesce a riprodurre fedelmente ogni singola lettera esattamente come veniva pronunciata dal Presidente, riproponendone anche l’autorità e la dialettica – caratteristiche che contraddistinguevano Craxi nei suoi interventi – in modo impeccabile.

Pierfrancesco Favino e Bettino Craxi – Fonte: faige.it

Da un punto di vista tecnico l’interprete è riuscito inoltre a rappresentare le movenze tipiche di un uomo anziano. Questi due elementi sono di per sé sufficienti a provare la realisticità dell’interpretazione.

Favino però va oltre questo concetto facendo uso dello strumento che più di tutti è capace di distinguere un fuoriclasse da un attore medio. Gli occhi di Pierfrancesco rispecchiano l’anima del personaggio e ci permettono di capire quanto sia stato elevato il suo livello di immedesimazione.

Favino non ci fa vedere un attore che interpreta Craxi, ma semplicemente, Craxi.

 

In conclusione, il film ha ricevuto critiche miste: come abbiamo potuto osservare anche noi, la pellicola presenta infatti pregi e difetti.

L’importante nel cinema, come in qualsiasi altra forma d’arte, è giudicare il prodotto per come è fatto (oggettivamente) e per quello che suscita in noi (soggettivamente). Politicamente? In separata sede.

Vincenzo Barbera

 

 

Speciale di Natale: 5 film e serie TV (più un libro) per passare al meglio le festività

Una cosa è sicura: quest’anno sarà un Natale diverso dal solito. Ma come trovare il giusto spirito natalizio? Sicuramente un film, una serie TV o un libro potrebbero aiutare (sopratutto se a tema).

Ne abbiamo scelti alcuni per voi, tra quelli più nuovi e adatti a tutti i tipi di età.

Holidate

Questo film originale Netflix, uscito nel 2020, è una commedia romantica di John Whitesell con attori protagonisti Emma Roberts (Sloane) e Luke Bracey (Jackson). 

Fonte: netflix.com

Sloane è una ragazza single che viene assillata dai propri parenti affinché trovi un fidanzato ufficiale così da non essere sola per le feste; prenderà in esempio lo stratagemma usato dalla zia: il festa-amico, cioè uno sconosciuto che la accompagni alle feste in famiglia. Sloane incontra in un centro commerciale Jackson, anche lui alla ricerca di stratagemmi per non passare le feste da solo, come organizzare appuntamenti al buio. In fila per restituire dei regali di Natale si conosceranno e si racconteranno le proprie vicende disastrose, decideranno così di diventare festa-amici. Cosa accadrà?

Jingle Jangle – Un’avventura Natalizia

Jingle Jangle è un musical – fantasy con attori protagonisti Forest Whitaker (Jeronicus Jangle) e Madalen Mills (Journey), diretto da David E. Talbert e distribuito da Netflix.

Fonte: spettacolo.periodicodaily.com

E’ ambientato nella cittadina di Cobbleton, in cui vive Jeronicus Jangle con tutta la sua famiglia; è un famoso giocattolaio dalle magiche invenzioni che avrà dei problemi con il suo giovane apprendista. Infatti questo lo tradirà rubandogli la sua creazione più grande insieme al libro che custodiva i segreti delle sue creazioni. A salvare la situazione ci sarà la nipotina Journey, questa farà ritrovare la speranza al nonno e riuscirà a salvarlo dalla situazione grazie ad una vecchia invenzione da lui dimenticata. Ma niente sarà facile!

Krampus – Natale non è sempre Natale

Questo film dell’Universal Pictures, uscito nel 2015, è una commedia – horror che vede alcuni attori come Toni Collette (Sarah Engel) e Adam Scott (Tom Engel) e come regista Michael Dougherty.

Fonte: themacguffin.it

Mancano pochi giorni al Natale e tutta la famiglia si riunisce. Max, figlio di Sarah e Tom, crede in Babbo Natale e vorrebbe che in famiglia ci fosse lo spirito natalizio che invece manca. Durante una cena le cugine di Max leggono ad alta voce – e davanti a tutti – la lettera da lui scritta per Babbo Natale, provocando così uno scatto d’ira che lo porta ad urlare di odiare il Natale, strappando la lettera. Improvvisamente una bufera di neve causa un blackout; strani esseri iniziano ad invadere la casa attaccando i membri della famiglia, ma ancor peggio, arriverà il Krampus, un demone che punisce chi perde lo spirito del Natale. Riuscirà la famiglia a salvarsi da lui ed i suoi mostruosi scagnozzi?

Klaus – I segreti del Natale

Film d’animazione e avventura spagnolo di Sergio Pablos, distribuito da Netflix, uscito nel 2019 con un cast di voci (nella versione italiana) che comprende Francesco Pannofino (Klaus) e Marco Mengoni (Jesper).

Fonte: nerdevil.it

Jesper, figlio di un ricco padre esperto nel mercato postale, è incapace di compiere il lavoro da postino; così viene spedito dal padre nella piccola cittadina di Smeerensburg, un’isola deserta e ghiacciata, con il compito di consegnare 6000 lettere in un anno. Con gli abitanti divisi in due fazioni, da sempre in lotta tra loro, non è un’impresa facile. Nel corso della missione si imbatte in Klaus, un vecchio falegname con una casa isolata e piena di giocattoli (da lui creati) e in Alva, una maestra che vendendo pesce fa di tutto per risparmiare per andare via da lì. Klaus, vedendo un disegno fatto da un bambino triste, inizia insieme a Jesper la consegna di regali a tutti i bambini che attraverso le loro lettere chiedono la felicità. Cosa combineranno?

Nailed It / Sugar Rush 

Serie TV statunitensi trasmesse su Netflix dal 2018/19. Delle tanti edizioni e da numerosi Paesi troviamo anche le edizioni dedicate al Natale!

Fonte: news.newonnetflix.info 

Dei pasticceri, principianti e non, si sfideranno ai fornelli per aggiudicarsi il premio di 10’000$. A giudicare le loro preparazioni un team di giudici esperti. Ne combineranno delle belle!

La preghiera di un passero che vuol fare il nido sull’albero di Natale

Avete presente quando fuori fa molto freddo e le braci sono quasi spente? Ebbene, ecco un ciocco di legno per ravvivare il fuoco del caminetto!

 Fonte: fotografia di Rita Gaia Asti

La preghiera di un passero che vuol fare il nido sull’albero di Natale è una poesia di Gianni Rodari, edita da Einaudi Ragazzi e tratta da Il secondo libro delle filastrocche del 1985.
L’autore – insignito del premio Hans Christian Andersen per la narrativa per l’infanzia – racconta la storia di un passerotto infreddolito che scorge dal davanzale di una finestra una famiglia in procinto di fare l’albero di Natale. La invita quindi a lasciarlo entrare, perché possa non solo fare il nido sul loro abete e scaldarsi, ma anche dare gioia ai più piccoli di casa, che apprenderanno l’importanza di accogliere e proteggere anche la più piccola tra le creature viventi:

E per il vostro bambino
pensate domani che gioia

trovare tra i doni, dietro
una mezzaluna di latta,
fra la neve d’ovatta
e la rugiada di vetro.

Trovare un passero vero,
con un cuore vero nel petto

E’ una lettura adatta al periodo natalizio, accompagnata da illustrazioni gradevoli, capace di rasserenare l’animo e scaldare il cuore di grandi e piccini; particolarmente indicata per quei momenti di sconforto nei quali si avverte l’esigenza di alleviare le preoccupazioni.

                                                                                                                                                                                              Samuele Vita e Rita Gaia Asti

“Cinema e consumi”. Uno sguardo nuovo al mondo dei film

Si è svolto ieri 15 dicembre, il workshop di presentazione del PRIN (Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale) “Il pollo ruspante: il cinema e la nuova cultura dei consumi in Italia (1950-1973)” , coordinato da Federico Vitella, Professore Associato di Storia del Cinema al COSPECS (Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e degli Studi Culturali) dell’Università di Messina. Il seminario si è svolto interamente online dalle ore 10 alle 13 circa sulla piattaforma Zoom e in contemporanea in diretta Facebook e ha visto la partecipazione del CUC (Consulta Universitaria del Cinema) e il patrocinio dell’AIRSC (Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema).

Locandina dell’evento. Fonte: consultacinema.org

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Milada: due dittature non bastano per annientare la forza di volontà

Alcune volte il cinema è uno strumento necessario per poter comprendere il passato.
I film rappresentano realtà storiche di primaria importanza, soprattutto quando raccontate dal punto di vista di chi le ha vissute in prima persona.

I libri svolgono una funzione fondamentale per la nostra istruzione ma con le pellicole cinematografiche – di norma – riusciamo ad immergerci maggiormente all’interno di un determinato contesto. Se questi film da un lato ci permettono di conoscere profondamente una verità, dall’altro ci servono per aprire gli occhi.

Questo è il caso di Milada (2017) diretto da David Mrnka e scelto dall’associazione AEGEE per il cineforum #socialequity; il film narra la storia di Milada Horáková, una giurista e politica cecoslovacca divenuta celebre per le sue battaglie, prima contro il nazismo e poi contro il comunismo.

La locandina del film – Fonte: praguesoundtracks.com

Trama

Negli anni 30 Milada Horàkovà (Ayelet Zurer) è membro del partito socialista nazionale cecoslovacco; moglie di Bohuslav Horák (Robert Gant), anch’egli membro del partito e madre di Jana (interpretata nelle sue fasi di crescita da Daniel, Karina Rchichev e Tatjana Medvecká) si mostra da subito riluttante nei confronti della Germania di Hitler.

La donna entra immediatamente a far parte della resistenza contro l’occupazione nazista diventandone uno dei membri di spicco; sarà scoperta ed arrestata dalla Gestapo che in un primo momento la condannerà a morte. Successivamente la pena sarà convertita in ergastolo e Milada verrà deportata – così come il marito – in un campo di concentramento.

Una volta finita la guerra e dopo essere sopravvissuta agli orrori dei tedeschi, decide di candidarsi in politica. Insignita della Legion d’onore francese continuerà a svolgere le sue funzioni ribellandosi alle continue minacce del regime comunista fino a quando verrà nuovamente incarcerata e torturata brutalmente perché considerata una spia.

Milada durante un interrogatorio sovietico – Fonte: hanavagnerova.com

Trascorrono i mesi e i sovietici non permettono a Milada neppure di ricevere visite dalla famiglia; sarà costretta a vivere in una cella minuscola e a subire vessazioni fisiche e psicologiche con il fine di costringerla a dichiararsi nemica dello Stato.

Milada difenderà il suo credo ed il suo operato e lo farà fino alla fine.

Regia e cast

Il lavoro svolto dal giovane regista David Mrnka è splendido; egli è stato capace di raccontare egregiamente i fatti tragici ma (purtroppo) reali che hanno afflitto la vita di Milada.

Dato il suo ritmo lento il film sembra essere quasi drammatico; tuttavia il regista ha deciso di concedere spazio a sotto-trame secondarie per far comprendere integralmente le vicende dell’epoca così da poter dare un tono fortemente biografico al film.

Concretamente, i due generi cinematografici sono come “mescolati” tra loro in modo tale da non far prevalere uno rispetto all’altro, ottenendo così la possibilità di poter narrare una realtà nuda e cruda facendo commuovere e riflettere allo stesso tempo lo spettatore.

Una scena del film – Fonte: imdb.com

La performance dell’attrice israeliana Ayelet Zurer (così come quella degli altri membri del cast) è lodevole; profondamente calata all’interno della parte riesce ad ottenere il massimo a cui un interprete possa aspirare: non far trasparire che si stia recitando quando lo si sta effettivamente facendo.

Milada come simbolo

Affermare che Milada Horáková sia un esempio per la lotta dei diritti umani è riduttivo (soprattutto in questi tempi). Oggi, termini quali dittatura vengono utilizzati in maniera del tutto impropria per alimentare in maniera becera le propagande e per immolarsi paladini di una lotta che – almeno nel nostro e in molti alti paesi democratici – fortunatamente non esiste.

Il processo a Milada, da lei stessa definito «buffonata» – Fonte: expres.cz

Utilizzare tali terminologie solamente per creare paure e per gettare fumo negli occhi è ampiamente vile e irrispettoso nei confronti di chi ha dovuto realmente sacrificare la propria esistenza per abbattere queste tirannie.

Ad oggi diversi Stati del mondo sono sottoposti a regimi dittatoriali veri e propri e Milada è come un ausilio per distinguere la vera dittatura da quella creata per incantare le masse.

Vincenzo Barbera

Vivere nel silenzio. 5 film che danno voce alle donne vittime di violenza

Il 25 Novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Quando parliamo di violenza, purtroppo gli esempi quotidiani sono ancora tanti, ma nessuno fino in fondo può comprendere quel silenzio che avvolge la donna vittima di violenza.

Il cinema – come sempre – ci mostra ciò che spesso è difficile cogliere: molti registi hanno messo in luce cosa si nasconde dentro l’anima di una donna ferita ed emarginata, non sostenuta dalla società. In questa occasione, vi raccontiamo 5 film che parlano non solo della violenza fisica, ma anche di quella psicologica di cui è costantemente vittima il genere femminile in un mondo in cui essere donna è una lotta continua per la sopravvivenza.

1) Il colore viola, Steven Spielberg (1985)

Il colore Viola è un film diretto da Steven Spielberg, tratto dall’ omonimo romanzo di Alice Walker, che vanta un cast stellare. La pellicola ha ottenuto numerose nomination agli Oscar e un Golden Globe nella categoria miglior attrice in un film drammatico a una fantastica Whoopi Goldberg, nei panni della protagonista Celi Harris. L’opera è proiettata su personaggi femminili e tratta di violenza domestica, razzismo, abusi e incesto

Il film è ambientato nel profondo sud degli Stati Uniti dei primi anni del Novecento e racconta la storia di due sorelle di colore che vivono in un’epoca razzista e bigotta: i due personaggi sono vittime di violenza domestica e abusi sessuali da parte del padre. Un’infanzia traumatica non impedirà loro di combattere per l’emancipazione, non solo femminile in senso ampio, ma anche sessuale.

Un film che ci offre la possibilità di scoprire fino a che punto può spingersi la violenza ma – soprattutto – come la donna possa rialzarsi anche dopo tante disgrazie.

Whoopi Goldberg e Margaret Avery (che nel film interpreta il personaggio di Shug Avery) – Fonte: cineavatar.it

2) Precious, Lee Daniels (2009)

Film diretto da Lee Daniels, tratto dal romanzo di Sapphire Push, Precious ha per protagonista ClarencePrecious” Jones (interpretata da Gabourey Sidibe), vittima di violenza domestica, abusi sessuali da parte del padre e – come se non bastasse – di violenza psicologica da parte dalla madre. 

Precious è una ragazza madre semianalfabeta che vive in un quartiere di soli afroamericani, in un piccolo appartamento con la madre, violenta e disoccupata. Rimasta incita da parte del padre, dà alla luce una bambina con la sindrome di Down; a distanza di anni, subisce un’altra violenza sessuale sempre da parte del genitore, rimanendo nuovamente incinta. La scuola, al posto di aiutarla, la espelle. Viene ospitata, grazie all’interessamento della direttrice, da un istituto per ragazzi con problemi sociali e sarà proprio lì che inizierà a prendere coscienza di sé stessa, con l’aiuto delle sue compagne e della sua professoressa Miss Rain (Paula Patton). 

Gabourey Sidibe (Precious) e Mo’Nique, vincitrice dell’Oscar nella categoria miglior attrice non protagonista per l’interpretazione della madre Mary Lee Johnston

3) La ciociara, Vittorio De Sica (1960)

” Pace?! Sì, bella pace!”

Cesira alle truppe di alleati

Parlando di violenza sulle donne, il riferimento è d’obbligo a un grande classico nostrano della storia del cinema: La ciociara, film che fruttò alla Loren il primo (e meritatissimo) Oscar della sua carriera. Tratta dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, la trama è ispirata agli episodi realmente accaduti di violenze e stupri di massa perpetrati in Italia dalle truppe franco-marocchine durante la Seconda Guerra Mondiale.

La pellicola si apre su una Roma devastata dai bombardamenti e dalla fame: la vedova Cesira (Sophia Loren) e la figlia adolescente Rosetta (Eleonora Brown) decidono di lasciare la città e trovare dimora più sicura a Sant’Eufemia, paese d’origine della protagonista. Ma la tragedia della guerra travolge anche il paradiso bucolico della Ciociaria (così era chiamata in passato la provincia di Frosinone) e coinvolge inevitabilmente le due protagoniste.

La regia di De Sica denuncia in maniera magistrale la Storia scritta col sangue che ha per vincitori soltanto gli uomini: una Storia che non fa sconti a nessuno, che marcia sui più deboli e in particolar modo sulle donne, vittime indifese della guerra. I tedeschi vengono sconfitti, il conflitto è cessato e finalmente Cesira e la figlia sono libere di ritornare a casa. Ma a che prezzo? Gli alleati e le truppe di Goumier (soldati marocchini) al loro comando si riveleranno brutali quanto i nemici: insensibili alla voce delle donne e pronti a soffocarla sotto il boato di un conflitto disumano, come ancora oggi accade in molte zone di guerra.

Cesira ( Sophia Loren) in lacrime sulla strada del ritorno. Fonte: wikipedia.org

 

4) Uomini che odiano le donne, Niels Arden Oplev (2009)

Non avremmo potuto non citare Uomini che odiano le donne, diretto dal regista danese Niels Arden Oplev e tratto dall’omonimo best seller di Stieg Larsson. La pellicola è un thriller poliziesco dal gradissimo successo, sia di pubblico che di critica. I protagonisti sono Mikael Blomkvist (Daniel Craig), giornalista che dirige la rivista “Millennium”, e Lisbeth Salander, audace hacker dall’intelligenza fuori dal comune  che nasconde un passato segnato da violenze e abusi. Entrambi faranno luce sul caso irrisolto di una ragazzina scomparsa: ma più andranno avanti, più la storia si rivelerà spaventosa. 

Il film può considerarsi più “spoglio” rispetto al libro, perché manca una trattazione estesa del danno psicologico che creano gli uomini alle donne con la loro violenza; è quindi anche meno cruento rispetto alla lettura di Stieg Larsson. Nonostante ciò, la regia non delude, tenendoci con il fiato sospeso fino all’ultimo secondo della sua opera.

Noomi Rapace (Lisbeth Salander) – Fonte:mymovies.it

 

5) Thelma & Louise, Ridley Scott (1991)

Ultimo consiglio: una storia di riscatto priva di sdolcinato happy ending, questo indimenticabile road movie vanta la meravigliosa Susan Sarandon come protagonista a fianco della meno nota Geena Davis nei panni – rispettivamente – di Louise e Thelma, due amiche che decidono di lasciare “gli uomini” a casa e partire per un breve viaggio a bordo della propria Ford Thunderbird. Lungo il percorso non mancheranno ostacoli e pericoli: in un locale country dell’Arkansas, Thelma rischia di essere violentata e si salva solo grazie al pronto intervento dell’amica che spara al colpevole. Quel colpo di pistola proietta le due di fronte a un bivio: fuggire verso la libertà in Messico o consegnarsi alla dubbia giustizia degli uomini? La scelta delle due sarà coraggiosa e coerente fino alla fine.

“Thelma e Louise”: locandina – Fonte: l’occhiodelcieasta.com

È una strada lunga quanto il viaggio di Thelma e Louise quella da percorrere per dare voce alle donne vittime di violenza, sulle quali cala il silenzio ogni giorno; dobbiamo cercare le parole giuste per raccontare, perché discriminazioni e luoghi comuni sono spesso i primi mattoni sui quali costruiamo una realtà che sfocia inevitabilmente nella violenza.

Tanto deve essere fatto anche da noi donne: spesso nell’abbattere i muri dei vecchi pregiudizi, ci trinceriamo l’una contro l’altra nei sicuri confini di spazi a cui abbiamo finalmente accesso, ma non ancora del tutto nostri. Uno su tutti il mondo dei media, che spesso – come abbiamo visto di recente – utilizza termini impropri e umilianti, parole dubbie, giustificando persino i carnefici talvolta.

Proprio un’informazione corretta dovrebbe invece essere prerogativa e fine ultimo di tutti i mezzi di comunicazione, dai social ai giornali, dalle radio alla televisione.

                                                                                                                             

Alessia Orsa, Angelica Rocca

 

Immagine di copertina: magazzininesistenti.it

Le cinque migliori interpretazioni di Leonardo DiCaprio

Ammettiamolo: qualsiasi sia il contenuto di questo articolo, le nostre scelte faranno storcere il naso a qualcuno. Ma se questo potrebbe essere visto come un nostro demerito, in realtà è soltanto il risultato dell’immenso talento di uno degli attori più “prolifici” della storia del cinema contemporaneo, capace di recitare sempre a livelli altissimi.

Vediamo dunque le nostre – opinabili ma inevitabili – scelte che, nella settimana del suo 46esimo compleanno, tentano di racchiudere l’intera filmografia di Leo in soli 5 titoli.

Shutter Island, Martin Scorsese (2010)

Uno dei titoli certamente più affascinanti targati Scorsese-DiCaprio, ma – paradossalmente – l’unico a non aver ricevuto nemmeno un candidatura agli Oscar (mentre gli altri 4 vantano un totale di ben 31 nomination e 9 statuette). Poco importa, sappiamo quanto sia stato un tabù – sfatato – per Leo il premio più ambito in ambito cinematografico, se la pellicola, oltre alla combinazione trama-soggetto-sceneggiatura davvero accattivante, può contare su uno protagonista straordinario.

Mark Ruffalo e Leonardo DiCaprio in una delle scene iniziali – Fonte: nospoiler.it

DiCaprio ci accompagna nei meandri della psiche umana, incarnando perfettamente quel tanto ricercato genere del thriller psicologico: la vita di un uomo in bilico tra finzione e realtà, tra presente e passato, raccontata da un interprete che si adatta perfettamente ai vari colpi di scena che il film offre, risultando sempre carico di sicurezza e risolutezza, ma anche emotività, fino allo smarrimento finale.

Tutta la poetica dell’opera si potrebbe riassumere con le ultime battute, pronunciate con un tono tale da far dubitare anche lo spettatore più distaccato, come solo i grandi attori sanno fare.

The Aviator, Martin Scorsese (2004)

Il film narra la vera storia di Howard Huges (Leonardo DiCaprio), un regista ed aviatore celebre negli anni 40 per avere implementato nuove tecniche di ripresa e per aver pilotato l’idrovolante Hughes H-4 Hercules.

DiCaprio è autore di un’interpretazione straordinaria e ed in questo caso occorre definirla anche coraggiosa.

Come si può evincere facilmente dalla pellicola infatti, Huges soffriva di una pesante forma di disturbo ossessivo compulsivo. Leonardo – in virtù della sua professionalità – ha deciso di immedesimarsi profondamente nel ruolo, cercando quindi di ricreare dei rituali da mettere in atto prima di dover fare una determinata cosa, così da poter comprendere meglio la patologia di Howard.

Fonte: ondacinema.it

Sostanzialmente l’attore ha provato a ricreare una mente alterata all’interno della suo stesso cervello: in pochi possono riuscirci. La truccatrice stessa ha dichiarato di doverlo “acchiappare” tra una scena e l’altra perché l’attore in preda ai suoi tic non riusciva a stare fermo.

The Wolf of Wall Street, Martin Scorsese (2013)

Ennesimo titolo nato dalla perfetta collaborazione attore-regista, la pellicola racconta l’ascesa del broker newyorkese Jordan Belfort, ispirandosi alla biografia dell’uomo d’affari pubblicata qualche anno prima. Ancora una volta, DiCaprio sembra calarsi perfettamente nella parte: giovane, bello e spregiudicato, nell’immaginario collettivo gli agenti di borsa americani sono esattamente così.

Fonte: mymovies.it

Ma oltre gli stereotipi c’è molto di più, in un film che racconta gli eccessi, il cinismo “sfrenato” di una generazione di broker che hanno intuito alla perfezione come fare più soldi possibili, forse un po’ troppi: ecco che la vita viziosa dei personaggi entra in crisi, mostrando l’altra faccia della medaglia. Leo riesce ad esprimere tutto ciò con una performance che disturba quasi lo spettatore. Nei suoi occhi troviamo tutta la lucida follia dell’uomo d’affari, nelle sue parole – i frequenti turpiloqui fruttarono alcune critiche al film – tutti gli eccessi di chi vive costantemente al limite. Chi osserva la pellicola si trova così in uno stato che oscilla tra risate, esaltazione e ribrezzo, a tratti quasi pena.

È un film difficile che porta me stesso e la pellicola a rischio di molte critiche. È un atto di accusa contro quel mondo, non ci piacciono queste persone, ma ci siamo impegnati a isolare il pubblico nella mentalità in cui questa gente viveva, così da capire qualcosa in più della cultura reale in cui viviamo ora.

Lonardo DiCaprio si difende dalle critiche su “La Presse”

The Revenant, Alejandro González Iñárritu (2015)

Interrompiamo per un momento il duetto con Scorsese per parlare del film che ha permesso a Leo di ottenere la tanto agognata statuetta, che inoltre ottenne anche gli Oscar per miglior regia e fotografia. Possiamo affermare che i premi – per una volta – rispecchiano perfettamente i punti di forza della pellicola, che trae impulso da tutto il talento di DiCaprio, perfettamente diretto da Iñárritu e valorizzato dalla fotografia di Emmanuel Lubezki.

Fonte: taxidrivers.it

Il film è in parte basato sul romanzo Revenant – La storia vera di Hugh Glass e della sua vendetta (2002) di Michael Punke, che narra la vita del cacciatore di pelli Hugh Glass, in particolare l’episodio che, nel 1823, lo portò a dover tentare di sopravvivere durante una spedizione commerciale lungo il Missouri, abbandonato in fin di vita dai suoi compagni.

Pertanto, la trama – molto individualista –, la regia che sfrutta lunghi piani sequenza, la fotografia dai toni perfettamente adattati ai paesaggi spogli, sembrano cucite addosso al protagonista.

Tutto orchestrato per “consegnarli” l’Oscar? A posteriori, è facile dire di .

That’s all folks

Avevamo promesso 5 titoli, ma lasciamo l’ultima parte di questo articolo per le opinioni di tutti i lettori, cinefili e non. Come dimenticare la complessità machiavellica di Inception? E ancora, il capolavoro The Departed – Il bene e il maleun giovanissimo DiCaprio in Buon compleanno Mr Grapela brillantezza del personaggio Frank Abagnale in Prova a prendermi , per finire con Django Unchained, Il grande Gatsby e C’era una volta a… Hollywood. 

Film per tutti i gusti, che mostrano un DiCaprio versatile e diretto da grandissimi registi: a voi l’ultima parola.

Emanuele Chiara, Vincenzo Barbera

Chi era Gigi Proietti: un ultimo saluto al primo One man show italiano

Oggi, lunedì 2 novembre, ci lascia all’età di ottant’anni, nel giorno del suo compleanno, Luigi Proietti, per gli “amici” Gigi: teatrante, mattatore, attore di cinema e tv, doppiatore, conduttore e direttore artistico.

L’attore romano si trovava nella clinica in gravi condizioni già da una quindicina di giorni, ma la famiglia aveva voluto mantenere il massimo riserbo; aveva avuto un attacco cardiaco, soffriva già di problemi al cuore. Nella clinica anche le due figlie, entrambi attrici, Susanna e Carlotta, e la moglie Sagitta Alter.

Biografia e carriera teatrale

Gigi Proietti nasce a Roma il 2 novembre del 1940. Appassionato di musica sin da bambino, suona la chitarra, il pianoforte, la fisarmonica e il contrabbasso, e nel tempo libero inizia a esibirsi come cantante nelle feste studentesche, nei bar all’aperto, e nei night-club più celebri della capitale.

Iscrittosi quasi per caso al Centro Teatro Ateneo, è stato allievo di personaggi di spicco come Arnoldo Foà, Giulietta Masina e Giancarlo Sbragia. Dopo la maturità classica, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università ‘La Sapienza’ ma interrompe gli studi a sei esami dalla laurea.

Intervista Gigi Proietti Unomattina – Fonte: RaiPlay

“La mattina frequentavo le lezioni, il pomeriggio provavo all’Ateneo, la sera cantavo nei locali notturni.”

Inizia allora a frequentare il corso di mimica del Centro Universitario Teatrale tenuto da Giancarlo Cobelli, il quale, notando subito le sue qualità di musicista, lo scrittura per uno spettacolo d’avanguardia da lui diretto, “Can Can degli italiani”, per poi interpretare senza sosta numerosi spettacoli teatrali sino a “A me gli occhi, please”, del 1976. Gigi segnò uno spartiacque nel modo di intendere il teatro, totalmente privo di guida registica, ebbe modo di scatenare la sua dote attoriale poliedrica come monologhista, cantante, imitatore, ballerino, in estenuanti tour de force, tali da attribuirgli il soprannome di One Man Show.

Sempre molto riservato sulla sua vita privata, nel 1967 Gigi Proietti sposa un’ex guida turistica svedese, Sagitta Alter, dalla quale ha due figlie: Susanna e Carlotta.

La carriera di Gigi negli anni ’70 passa anche attraverso la radio, con la conduzione di due stagioni del Gran Varietà.

Nel 1978 nasce il suo Laboratorio di Esercitazioni Sceniche per giovani attori, dopo essere diventato direttore artistico del Teatro Brancaccio di Roma. Una grande scuola che ha sfornato celebri nomi del mondo dello spettacolo, tra cui Flavio Insinna, Rodolfo Laganà, Chiara Noschese, Enrico Brignano, Giorgio Tirabassi, Francesca Reggiani e Gabriele Cirilli.

Il cinema: da attore a regista

Gigi esordì sul grande schermo a soli 14 anni, con un cameo nel film di Vittorio Duse del ’55 Il nostro campione. Successivamente interpretò una piccola parte in Se permettete parliamo di donne, film del 1964 diretto da Ettore Scola. Nel 1966 il suo vero e proprio debutto sul piccolo e sul grande schermo nel ruolo di un maresciallo dei carabinieri, personaggio che reinterpreterà, ben 30 anni dopo, in una delle serie Rai più amate di tutti i tempi: “Il maresciallo Rocca“.

La prima esperienza al cinema da protagonista arrivò nel ’68 nel film L’urlo di Tinto Brass. Il boom per la sua carriera si ebbe nel 1970 quando fu chiamato a sostituire Domenico Modugno, che aveva avuto un incidente, nella commedia musicale di Garinei e Giovannini Alleluja brava gente, nel ruolo di Ademar.

Il Mandrake – Fonte: Tom’s Hardware

Nonostante il sodalizio con il cinema non abbia spesso dato i frutti sperati, raggiunse la consacrazione cinematografica nel 1976 con il celebre Febbre da cavallo, film di Steno, nel ruolo dell’incallito scommettitore Bruno Fiorelli, detto Mandrake, che con il passare degli anni è divenuto un vero e proprio film di culto, tanto da meritare un sequel nel 2002, con la regia dei fratelli Vanzina (con i quali iniziò un vero e proprio sodalizio).

Dalle “mandrakate” alla scena del “whisky maschio” è forse questo il ruolo interpretato da Gigi Proietti più amato di sempre.

Intraprese simultaneamente anche la carriera di doppiatore, da Gatto Silvestro nel 1964, alla voce prestata ai grandi divi hollywoodiani, da Robert De Niro a Dustin Hoffman, senza dimenticare la sua interpretazione nei panni del Genio in Aladdin.

Nel 1983 debuttò come conduttore televisivo, guidando la quarta sfortunata edizione del varietà Fantastico 4, diretto da Enzo Trapani. Riscuoterà maggiore fortuna come protagonista degli one-man show targati Rai “Io a modo mio” e “Di che vizio sei?”. Come regista televisivo debuttò nel 1990 con una delle prime sitcom italiane, “Villa Arzilla”, basato sulle vicende di un gruppo di anziani pensionanti in una casa di riposo; otto anni più tardi si auto dirigerà nel film Un nero per casa dove interpretò la parte principale di un architetto.

Gli Anni 2000

L’attore prende parte nell’ultimo decennio a diversi ruoli tra televisione, “Preferisco il Paradiso”, “Il signore della truffa“, “Una pallottola nel cuore”, “L’ultimo papa re“, e cinema, “Tutti al mare“, “Box Office 3D – Il film dei film”, “Ma tu di che segno 6?”.

Lavora anche come giudice al talent “La pista“, condotto dal suo allievo Flavio Insinna, e a “Tale e quale show” condotto da Carlo Conti.

Nel 2016 debutta come attore al teatro Globe Theatre, da lui fondato nel 2003, portando in scena lo spettacolo “Omaggio a Shakespeare“. Nel 2017 conduce in prima serata su Raiuno il varietà “Cavalli di battaglia“.

Nel 2019 conduce in diretta su Raiuno l’evento inaugurale di “Matera capitale europea della cultura 2019”, compare nella prima puntata di “Meraviglie – La penisola dei tesori”, programma condotto da Alberto Angela, e a dicembre fu protagonista al cinema, nel ruolo di Mangiafuoco, in “Pinocchio”.

Negli ultimi mesi ironizzò molto sulla “nuova normalità” a cui siamo costretti, causa corona virus:

Fonte: Il Fatto Quotidiano

 “Quando sento dire ‘non bisogna allarmarsi’, è il momento in cui mi preoccupo” 

Aveva prestato la sua voce anche a uno spot Rai dedicato agli anziani, nonni come lui: “Restiamo a casa. Prima finisce tutto, prima andremo ‘ndo ce pare”; il giorno del Natale di Roma, il ventuno aprile, in pieno lockdown, era apparso in video, intervistato da Rainews 24, dedicando uno speciale sonetto alla Città eterna; infine a luglio aveva presentato la stagione del Globe Theatre, il suo teatro shakespeariano-elisabettiano nel cuore di Villa Borghese.

Si spegne oggi, rendendo ancor più triste un anno già duro. Nato e morto a Roma, casa sua, lascia una eredità insormontabile. In moltissimi stanno visitando gli esterni della clinica e lasciando mazzi di fiori, tra questi anche allievi della scuola di recitazione, perché tutti sono e saranno sempre “amici” di Gigi.

Manuel de Vita