Bohemian Rhapsody: inno a Freddie Mercury, il più grande cantante di tutti i tempi

Bohemian Rhapsody è un film di genere biografico, drammatico, musicale del 2018, diretto da Dexter Fletcher, Bryan Singer, con Rami Malek e Mike Myersv. La pellicola segue i primi quindici anni del celebre gruppo rock dei Queen, dalla nascita della formazione nel 1970 fino al concerto Live Aid del 1985. Il film mostra quindi l’ascesa al successo della band e soprattutto l’evoluzione, la crescita e i momenti salienti della vita del suo frontman, Freddie Mercury.

Le parole “Un nome, una garanzia” rendono davvero giustizia al grandissimo cantante considerato da molti inarrivabile, insostituibile, UNICO.  Tutto ciò è ampiamento confermato dal film: una personalità eccentrica e sopra le righe come quella di Freddie che forma  insieme agli amici Brian May, Roger Taylor e John Deacon, quella che sarebbe poi diventata una delle più importanti rock band del secolo scorso.

Fin dalle prime scene emerge il rapporto conflittuale che il giovane Freddie ha con la propria famiglia, con le proprie origini, con ciò che il padre vorrebbe lui diventasse. La famiglia, originaria di Zanzibar, scappa dal paese d’origine nel 1964 a causa della rivoluzione e si reca in Inghilterra per garantirsi un futuro migliore. Molto spesso, nella prima parte del film, Freddie viene chiamato, con disprezzo dai londinesi “Paki”, dato il suo colore di pelle e i suoi lineamenti marcati. E’ durante la prima esibizione della band nel 1970, in un pub, che il cantante conquista tutti con la sua voce, con la sua estensione vocale pazzesca. Alla prima esibizione ne seguirà una seconda, una terza e poi altre svariate e incredibili.

John Reid (Aidan Gillen): Su, ditemi, cos’hanno i Queen di diverso da tutte le altre aspiranti rockstar che incontro?
Freddie Mercury: Glielo dico io cos’abbiamo… siamo quattro emarginati, male assortiti, che suonano per altri emarginati…i reietti in fondo alla stanza che sono piuttosto certi di non potersi integrare, noi apparteniamo a loro.

I primi album della band vennero ben accolti dalla critica, con un rapido incremento della popolarità dei Queen; la volontà di Mercury era comunque quella di innovare il più possibile il loro stile musicale, attingendo ai più diversi generi musicali. Nel 1975 venne pubblicato A Night at the Opera, che consacrò definitivamente il quartetto. Il singolo Bohemian Rhapsody  divenne il simbolo della creatività del gruppo e soprattutto del suo cantante, che ne era l’autore; per la registrazione di questa sola canzone furono necessarie tre settimane, di cui una dedicata esclusivamente alla parte vocale centrale. Nei successivi anni, Mercury scrisse alcune tra le più importanti canzoni dei Queen, come Somebody to Love (A Day at the Races. 1976)We Are the Champions (News of the World, 1977), Don’t Stop Me Now (Jazz, 1978), Crazy Little Thing Called Love (The Game, 1980).

Un ruolo importante è dato al rapporto di Freddie con Mary Austin, sua storica fidanzata. Il loro incontro avviene prima della formazione stessa della rinomata band. Negli anni Settanta, i due si sono fidanzati, arrivando quasi al matrimonio ma nel 1976, il cantante fa chiarezza sul proprio orientamento sessuale e i due quindi si separano. Mary resterà sempre accanto a Freddie e sarà proprio lei a farlo rinsavire dopo l’abbandono della band per aver firmato un contratto da solista.

“Love of my life – you’ve hurt me 
You’ve broken my heart and now you leave me 
Love of my life can’t you see 
Bring it back, bring it back 
Don’t take it away from me, because you don’t know 
What it means to me.”

Love of My Life ha rappresentato uno dei capisaldi del gruppo nei concerti con ampia partecipazione del pubblico. Molti attribuiscono la dedica di questi versi da parte di Freddie Mercury a Mary Austin, per molti l’unico e vero “amore della vita” del leader dei Queen, un vero e proprio punto di riferimento per lui, tanto da confidare per prima a lei la propria malattia e da assegnarle la gestione delle proprie ceneri con collocazione in un luogo segreto al pubblico. A portarlo sulla cattiva strada è Paul Prenter, il manager della band: egli si approfitta della personalità fragile e malinconica di Freddie, della sua paura di restare solo. L’abbandono della band è sentito come un vero e proprio tradimento verso gli altri membri, verso la sua famiglia. Prenter impedisce a Freddie ogni contatto con la band e con Mary, tenendo nascosto il concerto di beneficenza, il Live Aid, che si sarebbe tenuto il 13 luglio 1985 nello stadio di Wembley. Mary si reca a casa di Freddie e lo trova in condizioni pessime, rovinato dall’alcol, dalle droghe e dall’AIDS. Nel film è riportata anche la drammatica diagnosi della malattia di cui Freddie parlerà al mondo intero solo nel 1991, un giorno prima di morire. Venuto a conoscenza del Live Aid, Freddie licenzia Prenter e torna nella band alla quale rivela di essersi ammalato.  Durante il famoso concerto, i Queen fanno di nuovo sfoggio della loro immensa bravura riuscendo a tenere in pugno 72.000 spettatori: Il frontman si riconferma il più grande performer della storia.

Il film dell’anno per i fans della band, atteso con impazienza, da vedere assolutamente. Rami Malek, attore americano di padre egiziano e madre greca, interpreta il ruolo di Freddie Mercury. La prova non era affatto facile ma l’attore è riuscito a calarsi completamente nel personaggio: stesse movenze, stesse espressioni, frutto di mesi e mesi di sforzi. Il risultato è magnifico e fa sperare al premio Oscar per l’attore. Una recitazione che coinvolge, che commuove e fa sospirare chiunque guardi il film. Durante la visione sembra di essere in mezzo al pubblico che canta e che piange e ogni canzone non può che essere cantata a squarciagola, con gli occhi lucidi. La trama è certamente romanzata e certi fatti non corrispondono precisamente al vero ma ciò è funzionale per la sceneggiatura e per un’ottimale trasposizione degli eventi. Anche il resto del cast ha svolto un ottimo lavoro nonostante rappresenti solo una cornice, dentro la quale è la vita di Freddie ad avere il ruolo principale. Un Freddie Mercury che non si può che rimpiangere e ricordare con nostalgia, strappatoci via all’età di 45 anni. Un uomo fragile ma forte allo stesso tempo, che ha lottato fino alla fine in nome della musica, dell’arte, della passione. Un grandissimo messaggio alla fine del film: The show must go on, a ricordarci che nonostante tutto ci spinga a lasciarci andare, non dobbiamo mai abbandonare il nostro ruolo nello spettacolo dell’esistenza.

Susanna Galati

Hill House: la serie TV Netflix sul paranormale

La serie Netflix diretta da Mike Flanagan (regista de “Il gioco di Gerald”) è ispirata da “L’incubo di Hill House” di Shirley Jackson. L’autrice, nella sua opera, proponeva la storia di una casa infestata che catturò l’interesse di fanatici e scienziati, intenti a svelarne i misteri.

Flanagan, decide di sconvolgere la trama del romanzo, riprendendo alcuni personaggi e mantenendo il tema della casa infestata; questa volta ad Hill House arriva la famiglia Crain, composta da Hugh ed Olivia, due imprenditori che vogliono ristrutturare Hill House e rivenderla e dai loro cinque figli Steve, Shirl, Theo, Locke e Nell. La famiglia si traferisce nella casa inconsapevole di ciò che accadrà e del fatto che Hill House non è una casa come le altre.

La serie si muove su due linee temporali, quella terribile estate, dove tutto accadde ed il presente, quando ormai i fratelli hanno preso strade diverse. Le loro vite divenute indipendenti vengono nuovamente sconvolte da un’altra tragedia, la morte di uno dei fratelli che spinge i restanti ad indagare nel passato e a porsi domande che non si erano mai posti prima.

Hill House non è un horror che vuole mettere paura a chi lo guarda, la serie è sottile, fatta di introspezione, suspence, concentrata sul significato della famiglia, sul dolore e sulla consapevolezza che incutono più terrore di qualunque scena di sangue.

https://youtu.be/gTZyG1mpz4k

Sofia Campagna

È attivo il bando della 51esima edizione del Fotogramma d’Oro

Sono state rese note le date per l’edizione 2019 del Fotogramma d’Oro Short Film Festival. La rassegna di cinema internazionale si svolgerà a Messina dal 22 al 25 maggio 2019. Organizzata dalla Federazione nazionale Cinevideoautori (F.N.C) in collaborazione con l’associazione culturale Proposizione Scenica e il cinema Multisala Apollo e patrocinata dall’Università degli Studi di Messina, la manifestazione, giunta alla 51esima edizione, premia, tramite una giuria, i migliori cortometraggi che parteciperanno alle selezioni.

I film, a tema libero, devono avere una durata che, preferibilmente, non deve superare i 20 minuti. Possono essere realizzati in qualsiasi formato, anche attraverso l’ausilio di mezzi non convenzionali come smarthphone e tablet. Oltre ai primi tre Premi Ufficiali, la rassegna sceglierà il corto vincitore del Fotogramma d’Oro Trinakrios destinato al migliore corto girato in Sicilia e realizzato da autori nati o attivi nell’isola. Come nelle precedenti edizioni un Premio verrà assegnato anche dalla Giuria Campus, composta da studenti universitari. Altri Premi Speciali andranno alla migliore opera prima, al migliore inedito, al migliore attore/attrice, al migliore documentario e corto d’animazione.

Adolfo Celi e Sean Connery (Ansa)

Il fotogramma d’Oro è una storica kermesse, nata a Torino nel 1968, che per il quarto anno consecutivo si trasferisce sullo Stretto. Nell’ultima edizione, seguita anche dalla redazione di UniVersoMe (clicca qui per leggere l’articolo), ad apertura del festival è stata presentata una interessante mostra pittorica ispirata alle locandine storiche di alcuni film. Quest’anno la rassegna sarà dedicata ad Adolfo Celi, attore e regista messinese. Tra le interpretazioni che l’hanno reso celebre, spesso nel ruolo del “cattivo”, si possono ricordare quelle in Agente 007-Thunderball (1965) a fianco di Sean Connery e in Amici Miei (1975) di Mario Monicelli. Insieme a Vittorio Gassman è stato inoltre regista del film L’Alibi (1969).

E’ possibile presentare la candidatura della propria opera entro lunedì 4 febbraio. Per consultare il bando:

https://fotogrammadorodotcom.files.wordpress.com/2017/11/bando-2018-it.pdf

Eulalia Cambria

L’Avventura nel viale San Martino: sulle tracce di Michelangelo Antonioni

Messina mi ha colpito di più, come ha colpito tutti gli altri: è una città che si differenzia radicalmente da tutte le altre dell’isola” (Michelangelo Antonioni, La tribuna del Mezzogiorno, 8 dicembre 1958)

Prima di trasformarsi in fotogrammi le immagini del cinema prendono forma nel canovaccio della sceneggiatura. Partendo da questo presupposto, e da un incrocio attraverso i generi dell’arte, cercheremo di Leggere Messina con le inquadrature della macchina da presa.

È 1960. L’anno della Dolce Vita. L’immaginario è popolato di starlet e paparazzi. L’avanguardia sperimentale e l’esplorazione degli stati mentali sono un territorio vivo nelle mani dei cineasti. Fa sfoggio di sè un’Italia benestante, economicamente sicura, ma non per questo libera da inquietiduini e incertezze. Dieci anni prima Roberto Rossellini (clicca quì per il link all’articolo) aveva portato alle Eolie una troupe cinematografica, scontrandosi con l’asprezza delle rocce a picco e arrivando a inserire il paesaggio sullo stesso piano della solitudine esistenziale dell’attrice protagonista. Le difficoltà, non soltanto a livello di produzione, incontrare durante la realizzazione dell’Avventura (di cui ha parlato anche Antonioni, ad esempio nell’articolo apparso sul Corriere della Sera, Le avventure dell’Avventura) in un certo senso creano un sodalizio di emozioni con lo scenario con cui si scontrano: il mare perennemente scosso, gli ostacoli negli spostamenti e i problemi materiali durante le riprese sono stati un fattore non da poco nella riuscita dell’opera. Il film è il primo di una trilogia di lungometraggi che ha al centro il tema dell’incomunicabilità, seguito dal più noto La Notte (1961) con Marcello Mastroianni e L’Eclisse (1962). A questi può essere avvicinato Deserto Rosso, il capolavoro del regista, realizzato a colori nel 1964. I rapporti umani, specialmente quelli di coppia, sono attraversati dal tarlo del dubbio, dall’instabilità e dall’impossibilità di esprimersi, di confrontarsi realmente con i sentimenti. A una dimensione razionale, tipica del neorealismo, si oppone l’ombra dello smarrimento e dell’angoscia.

La sparizione di una ragazza appartenente alla borghesia benestante romana, Anna (Lea Massari), arrivata insieme a un gruppo di amici su uno yacht nell’isolotto di Lisca Bianca, vicino Panarea, è un espediente della trama che non incide sullo svolgimento complessivo del film, che si concentra tutto sull’amore tra Sandro (Gabriele Ferzetti) e Claudia (Monica Vitti),  infatuati l’uno dell’altra durante la ricerca, pretestuosa più che interessata, di Anna. Molte le riprese realizzate in Sicilia; dalle Eolie (a Lisca Bianca, Michelangelo Antonioni tornerà nel 1983, girando un corto in ricordo dell’Avventura), Noto, Bagheria, Milazzo, Taormina e Messina. Le scene riguarderanno esterni, come quelli a Noto e alla stazione di Milazzo, ma anche l’interno di un treno che va a Palermo e ferma a Castroreale. L’Hotel San Domenico di Taormina sarà al centro di una serata mondana dove si ritrovano gli altri protagonisti e dove si consumerà il tradimento di Gabriele (nella sceneggiatura con una ragazza messinese, poi sostituita da una escort straniera), mentre la scena finale sulla terrazza, in un certo senso il perno concettuale del film, girata nello stesso albergo, mostrerà alle spalle di Claudia l’Etna coperta di neve. La luce fredda e la desolazione delle ambientazioni, nonostante si aggirino sul fondo delle vicende psicologiche, sono un fattore preminente nel cinema di Antonioni, come lo stesso regista ha ammesso. Per Nino Genovese, che ha curato il volume Messina nella sua Avventura. Omaggio a Michelangelo Antonioni, i paesaggi non rappresentano un fondale scenografico, ma hanno una preminente funzione stilistico-espressiva.

Nella scena di quattro minuti girata a Messina appare un campo lungo sul viale San Martino. Le riprese iniziano il 9 dicembre 1959. La strada è affollata da centinaia di ragazzi elettrizzati dalla presenza di una bella donna in abiti succinti. Gabriele è andato lì per parlare con un giornalista de L’Ora e avere delle testimonianze sui diversi avvistamenti che hanno coinvolto la fidanzata Anna. La sequenza principale avviene nel bar Grotta Orione. Quì Gloria Perkins (Dorothy de Poliolo) viene accerchiata. Poco dopo, quando finalmente la ragazza riesce a liberarsi grazie all’intervento della polizia, l’inquadratura si sposta di nuovo sul viale San Martino, all’altezza del negozio Lisitano (ancora oggi esistente). Alla fine dell’inquaratura si vede in lontananza lo stretto e l’incrocio col Viale Europa (Quartiere Lombardo). Al posto del bar Grotta Orione – un ritrovo all’epoca – adesso c’è un palazzo moderno al cui piano terra si trova un altro bar. L’episodio girato a Messina si è realmente verificato a Palermo, tuttavia Antonioni preferì non ambientarlo nel capoluogo perché i palermitani erano considerati più irascibili dei messinesi, e si temeva potessero opporre una maggiore avversione alla troupe che alloggiava al Jolly Hotel. Tantissime le testimonianze dei giovani che per 3.000 lire vennero coinvolti come comparse. Tra queste è particolarmente curiosa quella di Francesco Cimino, riportata nel volume di Nino Genovese, che viveva nella Casa dello studente di Messina e parlò del film anche con il rettore Salvatore Pugliatti. Il giovane faceva allora parte del Senato goliardico Accademico dell’Ateneo ed entrò in contatto, nel bar Irrera di piazza Cairoli, con dei componenti della produzione che diedero appuntamento il giorno dopo per un colloquio con Antonioni per affidargli il ruolo di un farmacista nella scena a Casalvecchio Siculo. Cimino sarà in seguito anche uno degli organizzatori del Festival dello Spettacolo universitario messinese.

L’Avventura è il primo film importante di Monica Vitti che, dopo questa parte, accompagnerà Antonioni in alcune delle sue pellicole maggiori. L’attrice ha un filo più diretto che la lega a Messina, avendo vissuto l’infanzia in città fino all’età di 8 anni. L’opera trionferà al Festival di Cannes nello stesso anno, ottenendo il plauso della critica, nonostante i fischi da parte di alcuni spettatori presenti che non apprezzarono l’inchiesta del triller trasfornarsi in analisi dell’interiorità umana. A quasi 60 anni di distanza il bianco e nero delle increspature del mare e degli scogli dell’isola di Lisca Bianca, l’ambientazione urbana di Messina in un periodo di fervore sociale e culturale, il vacillare sottile dei sentimenti d’amore, sono ancora elementi intatti di un capolavoro che ha condizionato la storia del cinema e la carriera del regista. Per celebrare il passaggio di Michelangelo Antonioni e la sua Avventura messinese, tra viale San Martino e viale Europa nel 2007 è stata posizionata una targa.

Bibliografia:

Omaggio a Michelangelo Antonioni. Messina nella sua Avventura, a cura di Nino Genovese, 2007

L’Avventura ovvero l’isola che c’è, Edizioni del centro studi di Lipari, 2000

Eulalia Cambria

Eyes di Maria Laura Moraci: trenta attori recitano ad occhi chiusi

 

Eyes è un cortometraggio della durata di 13 minuti, nel quale la regista ha voluto mettere in luce un tema molto attuale, ovvero l’indifferenza.

La regista e sceneggiatrice Maria Laura Moraci, alla sua prima esperienza, è una ragazza 24enne, attrice, ha lavorato con registi come Pupi Avati e Bernardo Carboni; tratta di un documentario basato su una storia vera di immigrazione e integrazione.

Ha dedicato quest’opera al pestaggio di Niccolò Ciatti, ventiduenne picchiato a morte da tre coetanei nell’indifferenza generale ad agosto 2017 in una discoteca vicino Barcellona.

L’originalità è data dal fatto che 28 attori su 30 hanno recitato ad occhi chiusi per l’intero cortometraggio, con gli occhi dipinti sulle palpebre.

Inizialmente si vedono delle prostitute che parlano tra di loro, una delle quali si allontana, con le cuffie nelle orecchie ascoltando “Mad World”.

Poi si passa alla scena principale, nella quale dei personaggi attendono presso la fermata del bus, un bus che peraltro non arriverà mai, in chiaro riferimento ad “Aspettando Godot”.

Ad un tratto si sentono delle urla provenienti davanti a loro, ma nessuno si alza. Una ragazza ha le cuffie isolandosi dal mondo esterno, una coppia si bacia, due ragazze attendono giudicando i passanti, un uomo intento a disegnare una donna cancella le sue labbra con il rosso, con rabbia, intento a cancellare il rumore fastidioso che sente. Come se non volesse sentirlo.

Nessuno si alza nonostante le grida persistano. Ma passato un po’ di tempo tutti i personaggi aprono gli occhi contemporaneamente, e decidono di alzarsi andando verso la donna che continua ad urlare.

Emozionante e intenso, Eyes ci manda delle immagini di grande impatto e potenti in cui vediamo una società che non vuole vedere, non vuole ascoltare il mondo circostante, una società egocentrica se vogliamo, ma soprattutto incapace di avere empatia verso l’altro.

Solo alla determinazione della donna, che desidera essere salvata, che crede davvero che qualcuno possa venire ad aiutarla, le persone si alzano andando verso di lei.

La fotografia è stata curata da Daniele Ciprì, autore della fotografia che ha lavorato con Bellocchio. Risulta ben fatto, il colore è saturo, caldo, rimane impresso nella mente.

Le opere cinematografiche che vogliono fare denuncia sociale, verso temi delicati ed attuali (qui la violenza sulla donna e l’indifferenza) sono da ammirare e da prendere come modelli d’ispirazione.

Il cortometraggio ha ricevuto parecchi riconoscimenti e premi in festival di tutto il mondo.

Marina Fulco

Salina Doc Fest: tre giorni sul documentario narrativo

Isolani sì, isolati no” è lo slogan del Salina Doc Fest, festival del documentario narrativo svoltasi nei giorni tra il 13 ed il 15 settembre nell’isola di Salina.
Il festival, giunto alla dodicesima edizione, vuole essere un’omaggio al rimpianto maestro del cinema italiano, Vittorio Taviani, nonché padre di Giovanna Taviani, presidente e direttrice artistica della manifestazione. E’ anche un momento per parlare di un tema importante al giorno d’oggi ovvero la comunità. Comunità intesa a coinvolgere tutti, anche gli stranieri, venuti qui per cercare migliori condizioni di vita.
Ma iniziamo a parlare del festival, che si apre con l’omaggio a Marcella Pedone, classe 1919, fotografa e pioniera del documentario etnografico.

Vengono proiettati alcuni dei suoi documentari che parlano della Sicilia e delle sue tradizioni: Festa dei tre martiri, Mercato dellaglio, Mattanza del tonno, il Giardino incantato di Filippo Bentivegna.
Successivamente, vi è la presentazione dei documentari, che concorrono per due premi: Premio Tasca dAlmerita con la giuria composta da Giorgio Gosetti (giornalista) Marco Spoletini (montatore di Garrone) e Gianfilippo Pedote (produttore e sceneggiatore); il secondo Premio Signum con la giuria del pubblico.

 

Il primo giorno, il 12 settembre, vengono presentati:“Beautiful Things” di Giorgio Ferrero e Federico Biasin (Italia, 2017, 94’); e “Happy Winter” di Giovanni Totaro (Italia, 2017, 91’).
Beautiful Things” racconta del processo della plastica, dalla produzione allo smaltimento. Tramite la vita di uomini che lavorano all’interno di processi diversi, viene presentato il lungo viaggio che fa la plastica dalla materia prima alle nostre case. Tutto è curato nei minimi dettagli, dalle immagini, colori fino alla musica curata dallo stesso Giorgio Ferrero, regista e compositore di colonne sonore.

La seconda opera in concorso è “Happy Winter” di Giovanni Totaro. Diplomato al Centro Sperimentale, realizza questo documentario “pop”, come da egli definito, basandosi sulle cabine da spiaggia di Mondello a Palermo. Racconta la vita di persone comuni che per sfuggire alla crisi economica si rifugiano in spiaggia.

Evento speciale è Amos Gitai, in video intervista, ci presenta il suo ultimo lavoro “A letter to a Gaza”. Durante il suo intervento parla della necessità per gli artisti di raccontare la realtà, indagando su di essa e per farlo bisogna conoscere la propria.
In questo momento ci sono diverse manifestazioni a Gaza, purtroppo con il silenzio dei media passano inosservate.
Il suo documentario rende omaggio ad Albert Camus e ad altri; parla di Gaza e di com’è adesso. Tema centrale è un dibattito tra due donne, che parlano rispettivamente arabo e lingua ebraica, rappresentano le due fazioni che si sono da sempre fatte la guerra.

Nel pomeriggio, nonostante le scarse condizioni meteorologiche, si è svolta una rappresentazione di cunti, tra le vie di Malfa con Mario Incudine, Gaspare Balsamo e Giovanni Calcagno. Sono di tre narratori orali che hanno messo in scena il dialogo tra Ulisse e Polifemo da angolazioni diverse.

Segue l’omaggio a Vittorio Taviani e Gian Maria Volontè, svoltasi nella sala congressi di Malfa. Ha visto protagonisti la figlia Giovanna che ha raccontato del padre e della collaborazione importante con Gian Maria Volonté, che ha segnato il successo dei fratelli registi. Continuano i cunti e racconti orali, da parte di Mario Incudine che interpreta un monologo di Gian Maria Volonté tratto dalla sceneggiatura originale del film; Yousif Iaralla presenta un cunto “Il sogno di mio padre” e Gaspare Balsamo legge “U Lamentu di Turiddu Carnevale“.

Il film dei fratelli Taviani che è stato proiettato è il loro film d’esordio, ovvero “Un uomo da bruciare”, che racconta la storia di un sindacalista siciliano, Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia nel 1955, vicino Palermo, per aver appoggiato l’occupazione delle terre da parte dei contadini. I registi si erano già occupati della Sicilia e di tematiche politiche.

Durante la giornata di venerdì, vengono presentati i documentari partecipanti al concorso: “Iuventa”(Italia, 2018, 84’) di Michele Cinque e La Strada dei Samouni”(Italia, Francia, 2018, 128’) di Stefano Savona.

Michele Cinque racconta un anno cruciale della vita di un gruppo di giovani europei coinvolti nel progetto umanitario “Jugend Rettet” fino alle pesanti accuse che hanno portato il sequestro della nave l’anno successivo. Il tema centrale è il viaggio della nave, finanziata da dei ragazzi tedeschi e salpata da Malta, per salvare le vite di duemila persone emigrate dal loro paese.

Stefano Savona, archeologo e antropologo, ci presenta la sua opera divisa tra immagini reali e animazione, dove mostra le storie raccontate dalla famiglia Samouni, verso la ricostruzione dopo che ventinove membri sono stati uccisi in seguito ad un attacco a Gaza.

Nel pomeriggio, per il premio Ravesi abbiamo un collegamento skype con il regista Abderrahmane Sissako, regista di Timbuktu, il quale è stato presentato a Cannes e ha avuto una nomination agli Oscar nel 2014 per miglior film straniero.

Durante il suo intervento ha parlato della necessità degli artisti, di parlare di problemi sociali, invece che occuparsi di film volti esclusivamente all’intrattenimento. Il suo è un invito: ogni artista dovrebbe avere il dovere morale di raccontare dei problemi che affliggono la nostra società, per portare il pubblico ad una conoscenza maggiore.

La sera presso Santa Marina, si è svolta la proiezione di “Lazzaro Felice” di Alice Rohrwacher, seguito da un incontro dei protagonisti del film, Adriano Tardiolo (Lazzaro) e Luca Chikovani (Tancredi giovane) che hanno ricevuto il premio SIAE.

Parlando di emigrazione, non possiamo ricordare la nostra verso l’America alla ricerca di condizioni di vita più agiate. A tal proposito, durante la giornata di sabato viene presentato il documentario in concorso di Salvo Cuccia, “La Spartenza” (Italia, 2018, 60’). A presentarlo la sceneggiatrice, Federica Cuccia. Questo film è basato sul romanzo autobiografico di Tommaso Bordonaro, che emigrò dalla Sicilia a Garfield nel New Jersey nel 1948. Nel film si racconta la sua vita familiare e i suoi viaggi.

Sempre sabato viene presentato il documentario concorrente “Amal” (Danimarca, Francia, Germania, Libano, Norvegia, 2017, 83’) di Mohammed Siam. Il film è un racconto di formazione di un popolo intero, rappresentato dalla protagonista, Amal.

 

La sera in piazza di Santa Marina si è svolta la premiazione Tasca d’Almerita e Signum dove per entrambi premi vince Stefano Savona con “La Strada dei Samouni“.

Invece, Giorgio Ferrero e Federico Biasin hanno ricevuto una menzione speciale regia per il documentario “Beautiful Things”.
Durante la serata è stato proiettato il documentario del fotografo Francesco Zizola, As if we were tuna” e parla della brutalità della pesca dei tonni.

Infine, lo spettacolo di Fiorello con “Lettere a mio padre” con i musicisti Daniele Bonaviri e Fabrizio Palma ha concluso il festival.

 

Tutti i documentari presenti, provenienti anche da oltre il Mediterraneo, parlano di argomenti veri, attuali, che fanno riflettere su temi odierni. Ci viene mostrato lo sguardo di chi vive queste realtà, che è diverso dal nostro e per questo ci fa riflettere.

 

Marina Fulco

Marigold Hotel: L’India che non ti aspetti. O forse sì.

L’avanzare dell’età non per tutti è semplice da affrontare, soprattutto quando ci si domanda quale possa essere il proprio “ruolo” in questa fase inevitabile della vita. E’ proprio ciò che accade ai nostri protagonisti, sette personaggi di origine inglese “più in là” con gli anni che, per motivi disparati che possono variare da una semplice ricerca di un posto tranquillo dove poter trascorrere la vecchiaia, a pura necessità, si ritrovano ad essere tutti clienti – pur non conoscendosi fra loro – di un hotel di lusso, sfarzoso, moderno e appena restaurato, dedicato ai clienti della terza età, intitolato “Marigold Hotel”.

Questo hotel, tuttavia, si trova a Jaipur, in India. Così il gruppo senile comprendente Evelyn Greenslade (Judi Dench), casalinga ormai vedova, soffocata dai debiti del marito; Douglas e Jean Ainslie (Bill Nighy e Penelope Wilton ), coniugi ridotti sul lastrico a causa dell’investimento di tutto il loro denaro in progetti lavorativi della figlia; Muriel Donnelly (Maggie Smith) un’ex governante con pregiudizi raziali nei confronti di persone di colore; Madge Hardcastle (Celia Imrie), una donna sola alla ricerca di un nuovo marito; Graham Dashwood (Tom Wilkinson), un giudice improvvisamente ritiratosi in pensione e, infine, Norman Cousins (Ronald Pickup), un uomo che cerca in tutti i modi di ritrovare la propria giovinezza, tentando di conquistare qualche signora per passare una notte di piacere.

Dunque, colmi di bagagli sia fisici che astratti, i nostri si dirigono verso l’India, senza saltare qualche imprevisto di rito, come un volo in estremo ritardo. Ma le sorprese, di certo, non finiscono qui. Una volta giunti a Jaipur, il Marigold Hotel non si rivelerà essere quello che ci si aspettava: un ambiente fatiscente, rustico, di cattivo gusto e un servizio ben poco organizzato, se non improvvisato, si pone davanti ai nostri protagonisti, ovviamente delusi e disgustati da quella che sarebbe stata la loro dimora durante tutto questo viaggio.

L’avventura indiana è appena cominciata. “Marigold Hotel” (The Best Exotic Marigold Hotel) è un film del 2012 diretto da John Madden. La commedia si basa sul romanzo “These Foolish Things” di Deborah Moggach e pone l’accento sulla questione del progredire degli anni, arrivando all’anzianità dove mille domande attanagliano l’uomo ed un senso di abbandono e inutilità spesso lo circondano. Ed è proprio l’anzianità che prevale e trionfa in questa pellicola, lasciando trasparire il messaggio efficace di un’età avanzata in cui non si è finiti e non si ha smesso di fare, con ancora molte possibilità di fronte a sé, di una vita mai esausta e sempre pronta a sorprendere.

Benché questo possa essere un messaggio puro e lodevole da trasmettere, l’opera di Madden non gli rende giustizia, risultando una commedia a volte piacevole, altre sottotono, che non riesce a farsi comprendere fino in fondo, lasciando lo spettatore un po’ con l’amaro in bocca. Un prodotto che cercava di risaltare grazie anche ad un cast arricchito da alcune “stelle” – da Dev Patel (“The Millionaire”, “Lion”) a Maggie Smith (“Harry Potter”) – ma che, tuttavia, rimane nell’ombra, incapace di trasmettere a pieno le ragioni citate sopra. Complessivamente “Marigold Hotel” si rivela un prodotto discreto, un po’ sotto le aspettative, ma che cerca di porre l’attenzione su un tema mai da trascurare che potrebbe, ad uno spettatore più anziano di chi scrive, suscitare più che semplice “indifferenza”.

Giuseppe Maimone

Film e serie tv in uscita.

27 giugno

HURRICANE – ALLERTA URAGANO

regia: Rob Cohen

cast: Toby Kebbell, Maggie Grace

trama: Dopo la morte del padre, vittima di uno dei tornado, Will  meteorologo del Governo impegnato a studiare Tammy: un uragano in arrivo sull’Alabama che si preannuncia essere il più violento nella storia degli Stati Uniti. Mentre gli abitanti cominciano ad evacuare la zona, Will, suo fratello e l’ agente del Tesoro Casey si ritrovano soli in mezzo alla furia dell’uragano e, allo stesso tempo, alle prese con un gruppo di rapinatori che vuole approfittare dell’imminente catastrofe per compiere una rapina  alla Zecca dello Stato.

28 giugno

IL SACRIFICIO DEL CERVO

regia: Yorgos Lanthimos

cast: Colin Farrell, Nicole Kidman, Barry Keoghan, Alicia Silverstone

trama: Un famoso chirurgo cardiotoracico insieme alla moglie Anna e ai loro due figli vive una vita felice e ricca di soddisfazioni.
Un giorno Steven stringe amicizia con Martin un sedicenne solitario che ha da poco perso il padre e decide di prenderlo sotto la sua ala protettrice.
Quando il ragazzo viene presentato alla famiglia, tutto ad un tratto, cominciano a verificarsi eventi sempre più inquietanti, che progressivamente mettono in subbuglio tutto il loro mondo, costringendo Steven a compiere un sacrificio sconvolgente per non correre il rischio di perdere tutto.

 

LA GUERRA DEL MAIALE

regia: David Maria Putorti

cast: Victor Laplace, Arturo Goetz, Ricardo Merkin, Vera Carnevale

trama: La comune convinzione che l’uomo invecchiando finisca per maturare serenità e saggezza è falsa. L’essere umano una volta superato l’acme della propria esistenza, comincia l’inesorabile e inevitabile discesa verso la morte e in questo lento diminuire la paura cresce dominandolo, trasformandolo in un essere vulnerabile, egoista e vigliacco.
Questa semplice e cruda riflessione e il ciclico conflitto tra le generazioni sono il nucleo del film, adattamento dell’enorme successo editoriale dello scrittore argentino Adolfo Bioy Casares.

 

L’ALBERO DEL VICINO

regia: Hafsteinn Gunnar Sigurosson

cast: Steinpór Hróar Steinporsson, Edda Björgvinsdóttir, Porsteinn Bachmann, Selma Björnsdóttir, Dóra Jóhannsdóttir

trama: Agnes caccia di casa Atli e non vuole che lui veda più la loro figlia Ása. L’uomo si trasferisce dai genitori, coinvolti in un’amara disputa riguardante il loro grande e magnifico albero, che fa ombra al giardino dei vicini. Mentre Atli lotta per ottenere il diritto di vedere la figlia, la lite con i vicini si intensifica: la proprietà subisce danni, animali scompaiono nel nulla, vengono installate telecamere di sicurezza e gira voce che il vicino sia stato visto con una motosega in mano.

 

TULLY

regia: Jason Bateman

cast: Charlize Theron, Mackenzie Davis, Mark Duplass, Ron Livingston

trama: Il duo Jason Bateman – Diablo Cody torna sul grande schermo dopo il successo di Juno e Young Adult. Qui raccontano la faticosa vita di una madre di tre bambini e le gioie e gli ostacoli della maternità. Marlo è al limite delle forze, incapace di donare a ciascun componente della famiglia le attenzioni di cui ha bisogno, una giovane Mary Poppins in skinny jeans suona alla porta.
La tata Tully arriva per prendersi cura dei bambini e della loro stanchissima madre. All’inizio Marlo fatica ad abituarsi ai modi inconsueti e stravaganti della baby sitter e ai numerosi cambiamenti apportati alla sua sfibrante routine serale, col tempo le due donne stringeranno una proficua alleanza che si trasformerà in un sincero legame d’amicizia.

 

29 giugno su Netflix

GLOW

Tornano le” Gorgeous Ladies Of Wrestling”. La serie racconta delle lottatrici che acquisirono notorietà negli anni Ottanta, con corpi statuari, costumi striminziti e glitter. Creato da Jenji Kohan sceneggiatrice e produttrice di “Weed” e “Orange is the new black”.
Le avevamo lasciate sul ring e nel tripudio della registrazione del primo incontro chissà cosa accadrà in questa seconda stagione.

 

Ocean’s 8: il gruppo di ladre al femminile.

C’è chi lo definisce un sequel, chi uno spin off ma Ocean’s 8 è una storia a sé che di condiviso ci ha solo il cognome della capitana della associazione di ladre : Debbie Ocean la sorella di Danny.
Debbie Ocean è la cara Sandra Bullock la quale progetta da “5 anni, 8 mesi e 12 giorni” di rubare una collana di Cartier , la Toussaint, dal valore di 16 milioni di dollari durante l’annuale MET Gala al Metropolitan Museum.
Viene rilasciata e contatta l’amica di vecchia data Lou (Cate Blanchett) e con lei formano il team : Rose la stilista (Helena Bonham Carter), Daphne Kluger la star (Anne Hathaway),  l’hacker Nine/Eight Ball (Rihanna), Amita (Mindy Kaling) la contraffatrice, il palo Tammy (Sarah Paulson) e Constance (Awkwafina).

Dal predecessore assoluto Frank Sinatra alla trilogia di Clooney & co. il “brand” Ocean rientra nelle commedie brillanti con quel pizzico di azione che non guasta mai.
Questo film dal cast stellare, composto da attrici impeccabili, comiche (Mindy Kaling) e il pezzo da novanta dell’industria musicale che è Rihanna. La sceneggiatura è stata scritta da Gary Ross (che ha anche diretto il film) e Olivia Milch.

Il film è stato girato a New York nel periodo delle elezioni americane, implicitamente si potrebbe pensare a un prodotto creato solo ed unicamente per il vento di cambiamento che soffia in USA, per il movimento “Metoo”, per tutti gli argomenti “caldi” che hanno al centro la donna.
Ma la verità è che in un mondo migliore (forse quello che arriverà presto) l’idea e la creazione di un film dove il genere dei protagonisti viene invertito rispetto all’originale,  o che hanno al centro solo personaggi femminili , non dovrebbe essere una idea innovativa, una notizia clamorosa. Se non la decisione più naturale da seguire.

 

 

Una lettura del film in questo senso svilirebbe il lavoro compiuto dal cast e dalla troupe.
Il franchise Ocean’s ci racconta la storia di un gruppo di persone,  dei ladri, che lavorano sodo per raggiungere un obiettivo comune, irraggiungibile da sole.
Sono in genere film piacevoli per i personaggi, i dialoghi e dell’esecuzione complessiva, ma sarebbe noioso e fastidioso senza la dinamica collettiva dei suoi protagonisti.

Ocean’s 8 ha tutte le carte in regola per essere un buon prodotto, non ci resta che aspettare il 26 luglio per poterlo vedere in sala.

NB: in America nelle prime due settimane ha sbancato il botteghino, la prima settimana si è classificato al primo posto con 41.5 milioni e la seconda settimana al secondo posto con 19.5 milioni. Insomma chi dice che i film con protagoniste donne non portano denaro si sbaglia di grosso (per riprendere il discorso della Blanchett agli Oscar del 2014 quando vinse).

 

Arianna De Arcangelis

 

Sicilian Film Makers al Circolo delle Lucertole

Domenica 17 giugno 2018 presso il Circolo delle Lucertole si è svolta una giornata dedicata interamente ai film makers.

Presenti molti registi della provincia, che hanno presentato i loro lavori e parlato del lavoro dietro la macchina da presa.
Presenti alla giornata Graziano Molino, Emanuele Torre, la Encelado Films e la Phoenix Production; intervistati da Santi Catanesi, giovane regista ed appassionato di cinema.

 

 

Graziano Molino ha studiato e lavorato a Roma come regista di cortometraggi e spot. Attento alle tradizioni e alla cultura locale, ci presenta il suo documentario “i Spiritari” dove racconta di un antico mestiere siciliano, ovvero l’estrazione a mano dell’olio essenziale di agrumi.
Si è parlato della difficoltà della creazione di cortometraggi nella zona, sia per quanto riguarda la mancanza di figure professionali, sia per la ricerca di fondi.
Senza dimenticare l’importanza della valorizzazione del territorio: la Sicilia è un luogo pieno di racconti, cultura, tradizioni, che necessitano essere raccontati.

Collaboratore del documentario “I Spiritari” è Emanuele Torre;

 

Al momento impegnato nella realizzazione di “Visilla”, documentario nato dalla necessità di raccontare la tradizione di un antico canto, appartenente alla processione barcellonese delle Varette, in occasione della Pasqua.
Attualmente sta avendo un discreto successo, sopratutto per quanto riguarda i video musicali, tra i quali spicca “Too Late”, della band siciliana “Veivecura”.

La Encelado Films, formata da giovani ragazzi appassionati di Milazzo, ci presentano il loro ultimo lavoro, “Make your choice”, cortometraggio innovativo dove la scelta del finale sta allo spettatore.

Per quanto riguarda la Phoenix Production è stato proiettato il cortometraggio “Limbo” diretto da Damiano Grasso, insieme a Santi Catanesi.

Il Circolo delle Lucertole è un luogo di ritrovo dove artisti, operatori culturali o chiunque altro voglia possono condividere e cooperare insieme per la diffusione della cultura.

 

Marina Fulco