Coronavirus, Hong Kong travolta da una grave ondata di contagi. È la peggiore dall’inizio della pandemia

Da diverse settimane, l’ex colonia britannica fa i conti con un importante aumento della curva dei contagi in meno di tre mesi dall’arrivo di Omicron, variante altamente trasmissibile. Gli ospedali sono sotto forte pressione, con i reparti pieni e pazienti lasciati nei corridoi spesso senza la possibilità di ricevere cure adeguate. Gli obitori, inoltre, sono pieni al punto che le autorità hanno fatto ricorso massiccio ai container refrigerati: infatti, l’emergenza riguarda anche la carenza di bare le cui scorte si esauriranno nel weekend. La governatrice Carrie Lam ha riconosciuto il problema, assicurando che due spedizioni di bare arriveranno molto presto dalla Cina.

 

fonte: ilfattoquotidiano.it

Il numero dei casi e dei decessi

In meno di tre mesi dalla circolazione della variante, Hong Kong ha registrato quasi un milione di infezioni e oltre 4.600 decessi, la maggior parte è concentrata nella popolazione anziana non vaccinata. In media, nell’ultima settimana, i casi positivi rilevati a Hong Kong ogni giorno sono stati 2.300 per milione di persone, contro i circa 900 per milione in Italia.

Dall’inizio della nuova ondata, che si era avviata lentamente alla fine di dicembre, sono stati rilevati 740mila casi a Hong Kong, ma secondo analisti e osservatori il dato sottostima grandemente l’entità del contagio. Un altro dato decisamente preoccupante è il numero dei decessi. Infatti, si stima che nell’ultima settimana a Hong Kong sono morte in media circa 285 persone al giorno, uno dei tassi più alti di tutto il mondo. In Italia i decessi sono stati in media 140 al giorno negli ultimi sette giorni, anche a causa di un nuovo aumento dei casi positivi da fine febbraio.

 

Grafico che dimostra la differenza tra Hong Kong e l’Italia (fonte: ourworldindata.org)

 

L’Università di Hong Kong ha stimato che l’attuale ondata abbia finora causato almeno 3,6 milioni di infezioni: quasi metà della popolazione è stata quindi contagiata in pochi mesi.

Una situazione premeditata

È apparso già chiaro, a metà del mese di febbraio, che l’impatto sarebbe stato così forte da minacciare di sopraffare il sistema sanitario. Una situazione drammatica che aveva portato la governatrice Carrie Lam a una drastica decisione: ovvero l’obbligo per i 7,5 milioni di residenti della città a essere sottoposti a tre tamponi obbligatori. In merito a ciò, la governatrice disse che:

Coloro che rifiutano saranno ritenuti responsabili

Sul fronte delle restrizioni, invece, era stata decisa la chiusura delle scuole, di diverse attività commerciali come palestre, bar e saloni di bellezza fino alla fine di aprile, e inoltre, sono stati vietati fino al 20 aprile i voli provenienti da nove Paesi, tra cui Gran Bretagna e Stati Uniti.

 

La governatrice Carrie Lam (fonte: ilfattoquotidiano.it)

 

Le accuse dei medici e le informazioni confusionarie del governo

I medici e il resto del personale sanitario attribuiscono l’emergenza sanitaria a una sostanziale impreparazione da parte del governo locale, che non aveva elaborato piani specifici per un eventuale aumento marcato dei casi, dedicando quasi tutti gli sforzi a mantenere le politiche “zero COVID”, un piano che prevedeva un maggiore ricorso ai test per la popolazione e l’apertura di nuove strutture per le quarantene. La scelta aveva del resto pagato in questi due anni di pandemia, con rari focolai che le autorità sanitarie erano riuscite a tenere sotto controllo, seppure imponendo a interi quartieri rigide regole di isolamento per settimane o mesi a seconda dei casi. Per giorni, le informazioni sono state frammentarie e in contraddizione tra loro, portando a una certa confusione e talvolta panico tra la popolazione.

Veduta aerea delle strutture temporanee per l’isolamento delle persone positive al coronavirus, nei pressi di Hong Kong – 11 marzo 2022 (fonte: poynter.org)

 

La soluzione proposta dal governo

A Hong Kong si era finora vaccinato solamente il 35 per cento della popolazione con più di 80 anni, una quota piuttosto bassa se si considera che nella popolazione generale sopra i 12 anni il tasso di completamente vaccinati è intorno all’80 per cento. La scarsa percentuale di grandi anziani con vaccino spiega in parte l’aumento dei decessi nelle ultime settimane, considerato che le persone anziane hanno rischi maggiori di sviluppare forme gravi di COVID che possono causare la morte.

A questo proposito, il governo di Hong Kong confida di cambiare le cose rilanciando la campagna di vaccinazione tra i più anziani, con varie iniziative compreso un aumento delle somministrazioni nelle case di cura e di riposo. L’iniziativa prevede che squadre di vaccinatori le visitino tutte entro la fine di questa settimana.

L’influenza della Cina sulla governance di Hong Kong

Hong Kong è una regione amministrativa speciale e mantiene numerose autonomie, ma subisce comunque un certo controllo da parte della Cina. Infatti, le modifiche alla “zero COVID” e l’intensificazione della campagna vaccinale sono derivate dalle forti pressioni da parte del governo centrale cinese, insoddisfatto sulla recente gestione dell’emergenza coronavirus. Lo stesso governo cinese nelle ultime settimane ha dovuto affrontare un importante aumento dei casi, con il più alto tasso di positivi dalle prime fasi della pandemia nel 2020. La vicina Shenzhen, infatti, è in lockdown con tutti i 17,5 milioni di residenti rinchiusi da lunedì delle proprie abitazioni a causa del riacutizzazione di Omicron nelle fabbriche e nei quartieri collegati all’ex colonia britannica.

 

Federico Ferrara

Guerra Russia-Ucraina, in Bielorussia incontro diplomatico tra le delegazioni

Dopo giorni di conflitto si ritorna a parlare di diplomazia. Mentre l’offensiva militare continua, le delegazioni di Ucraina e Russia si stanno incontrando in una località segreta al confine ucraino con la Bielorussia per discutere delle condizioni e delle necessità di entrambi gli schieramenti per terminare le ostilità, almeno sul campo di battaglia. L’incontro, fissato per stamattina e attualmente in corso, è stato anticipato di un giorno, essendo stato inizialmente programmato per domani. Il tutto si svolgerà sotto l’occhio attento di Lukashenko, leader autoritario bielorusso e stretto alleato di Mosca.

foto dell’incontro tra le delegazioni russe e ucraine, fonte: apsicilia.it

La delegazione ucraina, guidata dal Ministro della Difesa Oleksii Reznikov e che vede tra i presenti anche il rappresentante del Presidente del Donbass Andryi Kostin, chiede a gran voce il cessate il fuoco e il ritiro dei soldati russi dal territorio ucraino. Pretese che al momento sembrano inconciliabili con l’agenda di Vladimir Putin il quale, dopo un fisiologico rallentamento delle operazioni militari in seguito al respingimento delle forze russe dalla capitale Kiev, ha nuovamente intensificato le proprie azioni. Stanotte, poco dopo le 3 del mattino, sono infatti tornate a udirsi nuove esplosioni, stavolta a Kharkiv, nel nord del Paese, e nella capitale Kiev.

La sfiducia di un esito positivo dei negoziati

Come detto, le posizioni dei due Paesi al momento sembrano profondamente inconciliabili. Nel discorso fatto da Vladimir Putin la settimana scorsa, nel corso del quale ha riconosciuto l’indipendenza dei due oblast di Donetsk e Lugansk, ha a più riprese negato l’esistenza del diritto dell’Ucraina ad essere uno Stato. Difficile dunque ipotizzare che dopo poco più di cinque giorni possa riconoscere la fondatezza delle pretese mosse da quest’ultima. Lo stesso ministro degli esteri Lavrov aveva precedentemente detto di volere dialogare con Kiev solo dopo una sua resa. Contro le prese di posizione dei vertici di Mosca vi sono i discorsi delle autorità ucraina che “non sono intenzionate a cedere un centimetro del loro territorio”, parafrasando Kuleba, il Ministro degli Esteri ucraino. In più bisogna tenere in considerazione un ulteriore elemento: la crescente aggressività dei messaggi di Putin in difesa delle proprie azioni e contro le sanzioni. Il presidente russo non si è tirato indietro dall’adoperare un linguaggio fortemente rievocativo del periodo della Guerra Fredda, parlando di “messa in stato di allerta delle forze di deterrenza del Paese”, messaggio traducibile come una velata minaccia al ricorso al nucleare.

Lukashenko e Putin, rispettivamente presidenti di Bielorussia e Russia, fonte: alphabetcity.it

Bielorussia: teatro neutrale dell’incontro ma pronta ad entrare in Ucraina

Inizialmente i colloqui di pace si sarebbero dovuti tenere a Gomel, città della Bielorussia, ma Zelensky ha più volte proposto luoghi alternativi, rifiutandosi di incontrare la Russia nel territorio di uno Stato non solo alleato della stessa ma addirittura ritenuto corresponsabile dell’invasione. Non è un segreto che la Bielorussia sia storicamente allineata alla politica di Mosca, ma sotto Lukashenko il rapport di Minsk con la Russia è divenuto una vera e propria sudditanza. Negli ultimi mesi ha infatti ospitato più di trentamila soldati russi, la cui presenza è stata giustificata ai media internazionali come necessaria per un esercitazione congiunta, e le truppe direttesi a Kiev e nel nord dell’Ucraina hanno attraversato proprio il confine con la Bielorussia. Inoltre, secondo il Kyiv Indipendent, giornale indipendente ucraino, è solo questione di ore prima che alle truppe russe si uniscano in battaglia anche le truppe bielorusse. La possibilità di una partecipazione al conflitto sembra trovare conferma anche nello strano tempismo con cui è passato un referendum costituzionale che consentirebbe il deposito di armi nucleari di provenienza estera nei confini statali.

 

Russia sempre più sola

Nel corso del fine settimana la Russia ha però pagato cara la propria “operazione speciale”. L’occidente non è infatti rimasto a guardare davanti al dispiegamento e all’uso delle forse russe in Ucraina e, benché da più parti si sperasse in un azione militare congiunta, nei paesi europei e negli Stati Uniti sono state vinte le (poche) resistenze all’introduzione di nuove sanzioni, personali e non, nei confronti della Russia. Misure economiche destinate a colpire duramente l’economia russa e che hanno portato alla decisione di tenere chiusa la Borsa di Mosca per tutta la giornata di oggi per evitare il crollo del valore del rublo. Sanzioni etichettate da Lukashenko come “peggiori della guerra” e che spingeranno Putin a “una terza guerra mondiale”. Ma l’Europa ha fatto di più: oltre alle sanzioni sono state autorizzate da più parti aiuti militari quali invio di munizioni, armi e uomini a Kiev.

Il portavoce del Ministro degli Esteri Wang Wenbin, fonte: giornaletrentino.it

Tra la Russia e l’occidente si sta dunque registrando l’ennesimo, e forse definitivo, strappo destinato a lasciare danni irreparabili nei rapporti tra due dei principali schieramenti mondiali. Dall’altro lato del continente euroasiatico la Cina continua a muoversi in maniera cauta, senza intervenire in maniera diretta con aiuti di alcun tipo ma prendendo le difese della Russia. Il portavoce del Ministro degli Esteri cinese Wang Wenbin ha definito “illegali” le sanzioni applicate e l’esclusione della Russia dal sistema Swift.

 

Filippo Giletto

Pechino 2022: quando lo sport diventa un fattore politico

Che non si sarebbe trattato di un “normale” evento sportivo lo si intuiva già dalle premesse. Quella che poteva sembrare una solita cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali, infatti, nasconde numerosi retroscena di natura politica.

L’assenza di alcune nazioni

I rappresentanti di alcune nazioni (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda) non si sono presentati alla cerimonia in segno di protesta ordinato dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che poco prima dell’inizio dell’evento aveva dichiarato:

«Stiamo valutando di boicottare le Olimpiadi invernali di Pechino»

Il Presidente americano Biden. Fonte: open.online

Il motivo sarebbe da ricercare nelle presunte violazioni dei diritti umani da parte delle autorità cinesi contro la minoranza di fede musulmana degli Uiguri. Risulta però plausibile pensare che un tale attacco simbolico si possa basare anche sulle tensioni tra Occidente e Cina, a causa della crescente vicinanza di quest’ultima con la Russia di Putin.

Le repliche di Pechino non si sono fatte attendere con il portavoce del Ministero degli Esteri che ha etichettato la protesta come:

«Una violazione della neutralità politica nello sport»

Eileen Gu e Zhu Yi, per la Cina un unicum storico

Le controversie e gli intrecci tra mondo politico e sportivo per la Cina non si fermano alla cerimonia di apertura. Infatti, l’atleta cinese Eileen (Ailing) Gu si è distinta nella disciplina speciale del Big air dello sci freestyle, riuscendo a conquistare la medaglia d’oro. La particolarità? Eileen Gu non è nata in Cina bensì in California, da genitori cinesi. Se si pensa ad un contesto sportivo come quello italiano risulterà usuale, ma per la Cina si tratta della prima volta che atlete nate al di fuori dei confini rappresentino la nazione.

Eileen Gu. Fonte: repubblica.it

La vittoria ha goduto di un clamore mediatico senza pari, soprattutto sui social dove critici, giornalisti e pubblico si sono immediatamente complimentati con Eileen, che con una prestazione degna di nota ha fatto esaltare una nazione intera. Addirittura, gli alti vertici di Pechino si sono congratulati per il risultato ottenuto, descrivendo la sua impresa come:

«Una preziosa medaglia d’oro per lo sport cinese»

La campionessa dello sci freestyle non è un caso unico all’interno di questa edizione dei giochi olimpici. Zhu Yi, come Eileen, nasce in California, a Los Angeles, da padre cinese. Ma, a differenza della sua connazionale, Zhu non si è espressa al meglio nella sua disciplina, il pattinaggio artistico. A causa di una brutta caduta durante l’esibizione ha fatto “scivolare” il suo team da un parziale terzo posizionamento ad un definitivo quinto posto.

Il caso Zhu Yi: quando la cittadinanza dipende da una sconfitta

Il mondo dei social è un mondo controverso. Si è capaci di divinizzare una persona con la stessa rapidità con cui se ne distrugge un’altra. Risulta plausibile che un’atleta professionista come Zhu Yi, nel momento della gara, metta in conto la possibilità di errore; non è strano che dopo un errore arrivino delle critiche, da cui l’atleta potrebbe addirittura trarre forza e usarle come stimolo per migliorare. Tuttavia, se la vittoria di Eileen – grazie alla particolarità della vicenda – ha generato clamore mediatico positivo, la sconfitta di Zhu rischia di diventare un vero e proprio caso politico: gli utenti social, infatti, non si sono limitati a criticare la prestazione, ma hanno continuato ad infierire sulla sfera personale, basandosi appunto sul luogo di nascita e sfociando nella xenofobia. Si va quasi a ricadere in espressioni estreme che, purtroppo, a noi del “Belpaese” non risultano del tutto insolite.

Zhu Yi. Fonte: tag24.it

Dal momento in cui si decide di esprimere un pensiero ci si dovrebbe autoimporre dei confini da non superare assolutamente: il confine tra critica e insulto, tra sfera pubblica e sfera privata. Quest’ultima, qualunque sia l’esposizione mediatica della persona in questione, dovrebbe rimanere isolata da tutto. Il superamento di questi confini spesso finisce per aprire le porte a scenari atroci, come in questo caso.

Francesco Pullella

Il Nicaragua cessa i rapporti con Taiwan e si avvicina sempre di più alla Cina

Giovedì il ministro degli Esteri del Nicaragua, Denis Moncada Colindres, ha annunciato l’interruzione dei rapporti diplomatici con Taiwan e l’avvio di relazioni ufficiali con la Cina. Tre ore dopo, il Consiglio di Stato cinese ha dichiarato che i due Paesi hanno firmato a Tientsin un comunicato univoco sulla ripresa dei loro rapporti diplomatici.

Il Paese centramericano ha rilasciato un breve comunicato in cui ha citato la politica di Pechino conosciuta come “Una Cina, due sistemi“:

Il governo della Repubblica di Nicaragua oggi romperà le proprie relazioni internazionali con Taiwan e cesserà ogni contatto o relazione ufficiale. Il governo della Repubblica Popolare Cinese è l’unico governo legittimo che rappresenta l’intera Cina e Taiwan è parte inalienabile del territorio cinese.

Taiwan, isola indipendente ma rivendicata dalla Cina come parte integrante del suo territorio, si è espressa con «dolore e rammarico» nei confronti della decisione, affermando che Ortega ha tradito l’amicizia tra le popolazioni di Taiwan e Nicaragua. I due paesi, infatti, durante la Guerra Fredda, erano uniti dalle convinzioni anti-comuniste dei loro Stati autoritari monopartitici, guidati rispettivamente da Chiang Kai-shek e dalla famiglia Somoza.

L’ambasciatore cinese per le Nazioni Unite, Zhang Jun, ha affermato in un tweet che «il principio “Una Cina, due sistemi” è stato ampiamente accettato dalla comunità internazionale e non può essere messo in discussione».

Foto dell’incontro tra l’ambasciatore cinese e nicaraguense, fonte: aljazeera.com

Taiwan e il difficile percorso verso l’indipendenza

I rapporti estremamente tesi tra la Cina e Taiwan risalgono al 1949, quando a Taiwan si rifugiò il governo nazionalista cinese sconfitto dall’insurrezione comunista guidata da Mao Zedong dopo una lunga guerra civile. Da allora e fino al 1987 Taiwan si era trovata sotto legge marziale ed era stata guidata dal Kuomintang, partito formato da esuli cinesi. La Cina rimase dunque per lungo tempo divisa in due: un governo alleato e riconosciuto dall’Occidente relegato sull’isola di Taiwan, e il governo del Partito comunista a guidare tutto il resto del paese.

Le cose cambiarono a partire dagli anni Settanta quando il governo comunista di Pechino iniziò ad essere riconosciuto da più Stati. Ciò comportò un sempre minore riconoscimento a Taiwan con l’espulsione da organizzazioni internazionali. Tra queste anche l’ONU, di cui non fa più parte dal 1971. Ogni richiesta avanzata finora dal governo taiwanese di essere riammesso nell’organizzazione è stata bloccata dall’opposizione della Cina che, in sede di Consiglio di Sicurezza, detiene il potere di veto in quanto membro permanente del Consiglio.

Dopo un breve periodo come membro dell’Assemblea Mondiale della Sanità (AMS), organo legislativo dell’OMS, durante il quale al governo di Taiwan era salito un governo meno ostile alla Cina, Taiwan è stata completamente tagliata fuori dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Con l’esplosione della crisi pandemica da coronavirus, molte richieste da vari Stati (come Giappone, Canada, Nuova Zelanda) sono state avanzate per permettere al Paese di far parte quanto meno dell’AMS, incontrando sempre e comunque il rifiuto della Cina, che ha definito i tentativi di Taiwan di parteciparvi un «complotto politico».

Le recenti mosse di Xi Jinping

Alcuni mesi fa, il presidente cinese Xi Jinping è tornato a parlare di «riunificazione» con Taiwan nonostante qualche tempo prima avesse detto di voler «distruggere completamente» ogni tentativo di indipendenza dell’isola. Inoltre, le azioni bellicose della Cina nei confronti di Taiwan si sono fatte più intense e provocatorie, a tal punto che pare che da circa un anno gli Stati Uniti stiano addestrando l’esercito di Taiwan per resistere a un eventuale attacco. Un’eventualità che secondo il ministro della Difesa taiwanese potrebbe verificarsi entro il 2025.

Xi ha detto di puntare a instaurare a Taiwan il principio “una Cina, due sistemi”, su cui si basa anche il complicato rapporto tra Cina e Hong Kong.

Il presidente nicaraguense Daniel Ortega, fonte: reuters.com

Il gesto del Nicaragua come provocazione agli USA

Fonti attendibili taiwanesi hanno comunicato a Reuters che la tempistica dell’interruzione delle relazioni diplomatiche sarebbe stata provocatoria, in quanto giunta durante la partecipazione della stessa Taiwan al Summit per la Democrazia dell’amministrazione Biden. Interpellati sul caso, gli Stati Uniti hanno affermato che «la decisione non riflette le vere intenzioni del popolo del Nicaragua per via della “farsa” messa in atto alle elezioni del 7 novembre, tenutesi  in seguito alla pesante repressione di ogni realistica concorrenza ed incarcerazione degli opponenti politici».

Il Nicaragua si trova infatti da 14 anni sotto il regime autoritario del Presidente Daniel Ortega e del suo vice Rosario Murillo. I due sono stati protagonisti di una lunga e sanguinosa storia politica e non sono poche le accuse di voler trasformare il Paese in uno Stato di polizia con lo scopo di imporvi un controllo dinastico.

Fino ad alcuni anni fa, i paesi che riconoscevano Taiwan come stato indipendente e legittimo erano 21 ma con la recente presa di posizione nicaraguense il numero è, ad oggi, calato a 14 (13 più il Vaticano).

Valeria Bonaccorso

UniMe: fuori il bando Erasmus+ per il II semestre

Il Bando Erasmus + ICM per la mobilità studenti UniMe per il secondo semestre dell’a.a. 2021/22 è stato pubblicato.

Mete

Le Università partner che prenderanno parte al progetto sono divise tra: Albania, Armenia, Cile, Cina, Georgia, Giordania, Israele, Marocco e Ucraina per un totale di 26 borse. Gli studenti dovranno presentare le proprie candidature fino al 9 dicembre, giorno di chiusura per le domande, rispettando le modalità previste dal bando. Il seguente documento chiarisce nel dettaglio tutto quello che bisogna sapere per poter partecipare agli Erasmus: https://www.unime.it/sites/default/files/DR%20PUBBLICAZIONE%20BANDO%20OUTGOING%20STUDENTI_III%20CALL.pdf

Informazioni e requisiti

I requisiti necessari per poter partecipare agli Erasmus variano in base alla meta: la quasi totalità richiede una buona conoscenza della lingua inglese, ma alcuni prevedono lezioni anche in italiano russo e francese.

La selezione avviene anche sulla base del CdL di appartenenza e, per gli studenti interessati, sono già esposte le attività di cui si occuperanno (se di studio, di ricerca o tirocinio). Queste informazioni con in più i contatti di riferimento dei diversi Atenei sono disponibili al seguente link: Elenco sedi e requisiti specifici.

Come viene stilata la graduatoria

La graduatoria dei candidati verrà invece stabilita secondo un calcolo che terrà conto di: media, crediti annui, negli specifici casi anche del voto di laurea.

La graduatoria si baserà come segue:

Σ (voto X credito) / (diviso) numero di crediti acquisiti

In particolar modo:

  1. Studenti di Primo Ciclo e Ciclo Unico
    • Punteggio = (50 * media/30) + (50 * CreditiSuAnni)/60)
      creditiSuAnni= crediti acquisiti / anni di corso
  2. Studenti di Secondo Ciclo
    • Punteggio = (50 * media/30) + (25 * (creditiSuAnni)/60) + (25 * R/33)
      creditiSuAnni= crediti acquisiti / anni di corso
      R = ((votoLaurea1livello /scalavotolaurea1livello* 30) * (3 / anniLaurea1livello) * 1,1
  3. Studenti di Terzo Ciclo
      1. Punteggio = (voto di laurea di livello I) + (voto di laurea di livello II) / 2
        oppure
        Punteggio (C.U.) = voto di laurea a ciclo unico

Borse di studio e tirocinio

Sono previste 26 borse di mobilità per studio (Erasmus+ Studio) e 5 per il tirocinio (Erasmus+ Traineeship). Per potervi accedere bisogna essere regolarmente iscritti all’Università di Messina. I beneficiari avranno una borsa di studio mensile di 700 più dei contributi che copriranno parte delle spese di viaggio. L’erogazione del contributo mensile avverrà nel seguente modo:

  • il 70% dell’importo totale, all’inizio della mobilità, a seguito dell’invio della “Conferma di
    Arrivo” da parte dell’Università ospitante;
  • il restante 30% calcolato in base ai giorni di permanenza certificati dall’Università ospitante al
    rientro, previa presentazione della documentazione richiesta.

Il contributo per spese viaggio verrà invece erogato totalmente all’inizio della mobilità, insieme al 70% dell’importo totale della borsa di studio. Il valore di ciascun contributo per le spese di viaggio varia in base alla distanza chilometrica fra la città di partenza e la città di destinazione.

Studenti laureandi

Gli studenti laureandi, interessati all’Erasmus+ Traineeship, che non sono regolarmente iscritti all’A.A. 2021/22 e che quindi non possono compilare la candidatura tramite esse3, dovranno inviare la propria candidatura dal proprio account istituzionale (codicefiscale@studenti.unime.it) all’indirizzo email: protocollo@unime.it con oggetto della stessa: “Candidatura Bando Erasmus+ ICM II semestre a.a. 2021/22 – C.A. “Unità Operativa Cooperazione e Didattica Internazionale” entro e non oltre le ore 23:59 del trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del presente bando.

Sarà inoltre necessario allegare i documenti presenti nella sezione modulistica:

  • Application Form;
  • Documento di identità in corso di validità;
  • Learning Agreement for Traineeship, debitamente compilato e firmato dallo studente, dal Referente per la mobilità internazionale del proprio CdS e – ove possibile (fortemente consigliato) – dal Referente per la mobilità internazionale dell’Università prescelta;
  • la competenza linguistica, certificata mediante una delle seguenti modalità:
    • superamento dell’esame di lingua previsto dal proprio corso di studi (con attestazione del Docente titolare del corso, riportante il livello di conoscenza acquisito secondo la classificazione
      europea);
    • Certificazioni linguistiche rilasciate dal CLA/CLAM (Centro Linguistico d’Ateneo), con la specifica del livello di conoscenza acquisito secondo la classificazione europea;
    • Certificazioni internazionali;
    • Autocertificazione.

Questione Covid-19

L’Università ha poi fatto il punto anche sui possibili imprevisti legati alla pandemia di Covid-19, che ovviamente potrebbe influenzare anche pesantemente le questioni di mobilità. L’Ateneo ha dunque specificato che, non potendo prevedere l’evoluzione della pandemia, potrebbero essere prese in considerazione cancellazioni o svolgimento in modalità virtuale delle attività Erasmus, tutto dipenderà dal proseguo della pandemia e dalle condizioni dei paesi e degli Atenei di destinazione.

Riconoscimento delle attività e modulistica

Le attività di formazione svolte dagli studenti con gli Atenei esteri saranno approvate anche da UniMe secondo quanto garantito dal Regolamento per il riconoscimento dei periodi di mobilità all’estero.

Clicca qui per leggere tutte le informazioni specifiche tratte dal regolamento.

Per quanto concerne la modulistica si trova sul sito UniMe nella sezione “Documenti e Regolamenti” (clicca qui).

Maggiori informazioni

Il Bando

Per maggiori informazioni è possibile contattare gli uffici preposti:

U. Op. Cooperazione e Didattica Internazionale
Unità Organizzativa Programmi Internazionali
Palazzo Mariani – Via Consolato del Mare, 41 1° Piano – 98122 Messina

  • Tel: 090 676 8539-8288
  • Email: progetti.erasmusicm@unime.it
  • Ricevimento: scrivere a progetti.erasmusicm@unime.it per concordare appuntamento sulla piattaforma Microsoft TEAMS.

Antonio Ardizzone

G7 2021: ecco di cosa si è parlato durante il vertice dei 7 in Cornovaglia

Si è conclusa domenica sera, a Carbis Bay, in Cornovaglia (Regno Unito), la riunione del G7, l’organismo che riunisce ogni anno i leader dei 7 maggiori Stati economicamente avanzati del mondo: Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia e Italia, più una delegazione dell’Unione Europea.

G7 in Cornovaglia. Fonte: Il Post

Il vertice, cominciato venerdì 11 giugno, si è concluso con un comunicato finale nel quale figurano – tra i principali temi trattati – il contrasto all’espansionismo del regime cinese, e qualche generico impegno relativo alla pandemia e al cambiamento climatico.

Parte significativa del dibattito è stata poi monopolizzata dalle discussioni tra il primo ministro britannico Boris Johnson e i leader dei Paesi dell’Unione Europea su Brexit. Ciononostante, i partecipanti all’incontro hanno cercato di trasmettere l’immagine di un’atmosfera cordiale e di un ritorno alla normalità, dopo i conflittuali e turbolenti rapporti che avevano in precedenza caratterizzato la presidenza Trump.

La dura condanna alla Cina

La questione dei rapporti con la Cina è stato sicuramente l’argomento più discusso durante il vertice: i sette big si sono allineati sulle posizioni di condanna al lavoro forzato e al mancato rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali della minoranza etnica degli uiguri nella regione dello Xinjang, oltre alla richiesta di autonomia di Hong Kong e Taiwan.

La sfida a Pechino è stata capeggiata dal presidente americano Biden, il quale è riuscito a convincere gli altri leader della necessità di attuazione di una politica più dura e aggressiva nei confronti del Dragone cinese.

Ancor prima dell’uscita del comunicato finale dell’incontro, gli Stati Uniti hanno pertanto annunciato di aver trovato un piano di ‘’competizione strategica’’ con la Cina, che prevede un ampio programma di investimenti in infrastrutture nei Paesi a basso e medio reddito «dall’America Latina ai Caraibi all’Africa all’Indo-Pacifico» (definizione usata per indicare le nazioni tra Asia meridionale e Oceania, che hanno interessi comuni nel contrastare la Cina).

Il piano alternativo alla Via della Seta

Il piano del G7 rappresenta un’evidente risposta all’influenza della Nuova via della Seta cinese (detta anche Belt and Road Initiative, BRI), un progetto di investimenti infrastrutturali in Asia, Africa ed Europa annunciato dal presidente Xi Jinping nel 2013, con l’obiettivo di guadagnare influenza economica e prestigio politico in moltissimi paesi più poveri.

Fonte: Avvenire

Il piano, denominato Build Back Better World (B3W) in un chiaro rimando al piano infrastrutturale statunitense ‘’Build Back Better’’, prevede di mobilitare centinaia di miliardi di dollari di investimenti pubblici e privati nella costruzione delle infrastrutture in quegli stessi Paesi, al fine di creare partnership strategiche stabili e durature. In particolare, l’iniziativa concentrerà i propri progetti su «cambiamento climatico, salute, tecnologia digitale, uguaglianza di genere».

Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha annunciato che l’Italia – l’unico paese occidentale ad aver siglato il patto nel 2019 – «valuterà con attenzione» l’accordo sulla Via della Seta.

Qualche ora dopo la pubblicazione del comunicato finale, l’ambasciata cinese nel Regno Unito ha respinto le accuse sostenendo che il comunicato contenga «bugie, voci non confermate e accuse infondate», e accusando i paesi del G7 di «interferire negli affari interni della Cina».

Gli impegni del G7 in tema di pandemia

Nelle fasi iniziali del G7 si è parlato molto anche di un piano per il contrasto alla pandemia per «fare in modo che la devastazione provocata dal coronavirus non si ripeta mai più».

All’interno del piano i leader hanno annunciato l’impegno ad accelerare le fasi di sviluppo e di produzione di vaccini, di terapie e di test diagnostici in caso di una nuova pandemia. L’obiettivo prefissato sarebbe quello di riuscire ad avere terapie efficaci, un sistema di test diagnostici e vaccini pronti ad essere esportati su scala globale entro 100 giorni dopo la dichiarazione di pandemia da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), motivo per cui il G7 ha parlato di «missione dei 100 giorni».

Fonte: Avvenire

Oltre ad avere richiesto un’inchiesta da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità sull’origine del Covid in Cina, i potenti della Terra si sono anche impegnati a donare nel complesso un miliardo di dosi vaccinali contro il Covid ai Paesi in via di sviluppo. Si tratta comunque di una piccola parte degli 11 miliardi di dosi che a detta dell’OMS sarebbero necessari per raggiungere una percentuale del 70% della popolazione mondiale vaccinata.

Cambiamento climatico e tasse

Altri due temi di cui i leader hanno parlato durante il vertice sono stati il cambiamento climatico e l’imposizione di una tassa del 15% sui profitti delle multinazionali, che ha rappresentato un compromesso più concreto già raggiunto e annunciato nei giorni scorsi.
Sul tema dell’ambiente la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha anticipato la conclusione dei lavori su Twitter:

“I partner del G7 stanno firmando un importante impegno congiunto per l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050 (come ultimo termine) e per mantenere alla portata l’aumento della temperatura di 1,5 gradi. Faremo tutto il possibile per attenerci all’1,5“.

Nel comunicato finale del G7 si leggerà poi la seguente promessa:

“Ci impegniamo ad accelerare la transizione dalle vendite di auto nuove diesel per promuovere veicoli a zero emissioni”.

L’Irlanda del Nord e la ‘’guerra delle salsicce’’

Una parte consistente della copertura mediatica del G7 è stata occupata dalle discussioni tra Boris Johnson e i leader dei paesi dell’Unione Europea, in uno scontro definito dai media come ‘’guerra delle salsicce’’.

Il principale problema ha riguardato il divieto – a partire dall’1 luglio e sulla base degli accordi Brexit – di esportazione alle aziende della Gran Bretagna di carichi di carne refrigerata verso l’Irlanda del Nord, unica parte del Regno Unito rimasta nel mercato comune europeo.
L’entrata in vigore di tale divieto era già ben nota ai tempi della firma degli accordi su Brexit, ma Johnson minaccia adesso di sospendere la parte degli accordi che riguarda l’Irlanda del Nord, ricevendo così minacce di sanzioni in risposta dagli europei.

La prossima edizione del G7 è prevista per l’estate del 2022 in Germania, e si tratterà molto probabilmente del primo importante impegno internazionale della persona che succederà ad Angela Merkel nell’incarico di cancelliere tedesco.

Gaia Cautela

Disney+ vs Netflix agli Oscar 2021

Come per ogni categoria che si rispetti, anche la statuetta dei film di animazione è tra le più attese.

Come sempre, la grande casa Disney fa da padrone ( è inevitabile associare ad essa un cartone ), ma quest’anno ha la Grande N come rivale. Infatti, a concorrere agli Oscar nella categoria in questione abbiamo, tra gli altri, Soul e Over The Moon.

Soul, Disney+

La matita di Pete Docter, ancora una volta, cela dietro personaggi dagli occhi grandi e forme morbide una riflessione sulla vita, profonda e pesante allo stesso tempo. Dietro la figura di Joe Gardner si nasconde l’insoddisfazione “dell’essere umano medio”, di colui che ha dovuto rinunciare ai propri sogni pur di uniformarsi alle convenzioni.

Fonte: taxidrivers.it, il professor Joe

Pete ha disegnato un uomo in grigio la cui unica scintilla è il jazz: sarà proprio questo a farlo svegliare al mattino e a fare da sottofondo alla sua vita e a tutto il film. Infatti sono stati scritti dei pezzi originali proprio per la vita di Joe, in stile “vecchio bar americano” con nuvole di fumo e completi gessati.

Il film è geniale in quanto utilizza un linguaggio semplice per spiegare un concetto complesso: l’essere insoddisfatti e non trovare la propria scintilla perché si è costantemente persi in un mondo caotico.

Il  protagonista sarà oggetto di uno scherzo del destino: la sua vita finisce proprio quando sta per cogliere una delle più grandi opportunità, ovvero suonare con una sassofonista leggendaria. E così ci ritroviamo nell’altro mondo dove Joe, incontrandosi e scontrandosi con le altre anime, riesce – in modo non convenzionale – a comprendere la bellezza della vita. E noi la scopriremo con lui grazie alle voci di Neri Marcorè e di Paola Cortellesi che renderanno il tutto più coinvolgente e leggero.

Ma di leggero in Soul non c’è nulla. Fa riflettere tutte le generazioni, dimostra che siamo così indaffarati a cercare di modellare la nostra personalità alle convenzioni sociali che non ricordiamo l’importanza delle passioni «che sono il sale della vita» o addirittura quanto sia buona una fetta di pizza.

Fonte: ilfattoquotidiano.it, Joe e 22 in una pizzeria dell’altro mondo 

A far capire tutto questo a Joe sarà l’anima di 22; Joe da solo non sarebbe mai riuscito a trovare l’importanza della semplicità e la piccola anima cinica, senza il nostro protagonista, non sarebbe mai riuscita a tornare sulla terra e accorgersi di quanto fosse sbagliata la convinzione che non la potesse “accendere niente”.

Collaborazione, realizzazione e immaginazione sono le tre parole chiave del film che fa scendere una lacrima e accendere molte lampadine, interrogandoci in ogni momento.

Over the Moon – Il fantastico mondo di Lunaria, Netflix

Netflix ci porta in Oriente e poi sulla Luna: Over the Moon è una storia commovente, sullo stampo dei classici cartoons, un film da guardare con tutta la famiglia che lascia una sensazione di serenità e pace.

La vicenda strappalacrime è quella di una bambina che perde la mamma, che crede ancora nelle fiabe ma nonostante questo possiede una spinta continua alla ricerca della verità.

Fonte: taxidrivers.it, Fei Fei e la sua famiglia 

Un’anima da scienziata dentro il corpo di una piccola Fei Fei talmente ingegnosa che arriva sulla luna.

Il regista Glen Keane, ex “cadetto” Disney con diverse medaglie, rappresenta in maniera colorata e semplice il “fantastico mondo di Lunaria”, un luogo particolare e fluorescente che farà da palcoscenico alla fiaba scritta da Audrey Weels (deceduta nel 2018) a cui è dedicato il film.

Fonte: tomshw.it, la vista di Lunaria 

I temi trattati sono evergreen: il lutto, la “gelosia” nei confronti della nuova compagna del padre,  il senso del dovere e le tradizioni di famiglia; tutto questo si trova immerso sotto la luce della luna e viene raccontato tramite musica e colori.

Il confronto

Come si può notare, la competizione anche quest’anno è molto alta. Lo streaming ha sostituto le poltrone del cinema e, nonostante questo, i film non hanno perso la loro magia. Da una parte ci sono le riflessioni sulla vita espresse mediante un film di animazione, dall’altro ci sono grandi problematiche della nostra esistenza vissute da una ragazzina; sembrano temi già trattati ma − sicuramente – richiedono una costante e ulteriore rilettura.

Soul e Over the Moon emozionano e fanno riflettere; sicuramente il far parte della categoria “film d’animazione” rappresenta una grande sfida e cela una sorta di evoluzione: possiamo affermare che i cartoni ormai non sono film solo per bambini, bensì richiedono autocoscienza e voglia di cambiare. Ci donano il desiderio di crescere, come quello che avevamo da piccoli, ma ci permettono di farlo con maggiore consapevolezza. Che grande privilegio, non sprechiamolo.

Barbara Granata

In Europa verrà istituita per la prima volta un’università cinese

Che l’influenza cinese sia divenuta, nel corso degli ultimi anni, un fattore rilevante non solo a livello economico ma anche a livello cultura è impossibile negarlo. Mai come in questo periodo  il baricentro degli interessi globali combacia in tutto o in parte con le coordinate della capitale Pechino. Qui il governo di Xi Jingping, al potere dal 2013, ha dedicato gran parte dei propri sforzi per riabilitare agli occhi del mondo l’idea di Cina investendo ingenti somme, oltre che in progetti destinati a ridisegnare il panorama degli equilibri economici e geopolitici mondiali (vedi la cosiddetta “Nuova Via della Seta”), anche nella diffusione del modello culturale cinese.

E’ in quest’ottica che dobbiamo analizzare la notizia di questi giorni circa l’apertura di una sede distaccata dell’Università Fudan a Budapest.

il Presidente cinese Xi Jingping, fonte: cfr.org

 

Un campus per 6 mila studenti nel 2024

L’Università Fudan ha sede a Shanghai ed è una delle più prestigiose università cinesi. Nel QS World University Rankings, una classifica delle migliori università mondiali, è stata posizionata al 34° posto ed è considerata sinonimo di eccellenza nel Paese orientale. La sede, secondo quanto previsto nell’accordo stipulato lo scorso mese dal governo ungherese, verrà aperta a Budapest nel 2024. Per la costruzione del campus è già stata autorizzata una donazione pari a 2,2 milioni di euro. Il progetto è di quelli ambiziosi e dovrebbe arrivare a regime ad ospitare circa 6 mila studenti ripartiti in diversi corsi di studi quali relazioni internazionali, medicina ed economia.

Sede di Shangai dell’Università Fudan, fonte: ChinaAdmissions

 

Un Ungheria più vicina alla Cina che all’Europa

Sarà la prima università cinese ad aprire in un paese dell’Unione Europea, e l’annuncio non può che mettere in evidenza i legami sempre più stretti, sia in campo economico che diplomatico, tra l’Ungheria di Viktor Orbán e la Cina di Xi Jingping. Le relazioni tra i due paesi si sono progressivamente approfondite nel corso degli ultimi anni, con una brusca accelerazione da quando alla guida dell’esecutivo ungherese si è insediato il suo attuale premier. La politica di Orbán, che si è caratterizzata per un governo di tipo autoritario, è sempre più lontana da quella dell’Unione Europea (nonostante continui a sfruttarne i fondi).

Solo l’anno scorso l’Ungheria ha accettato un prestito di quasi 2 miliardi di euro da Pechino per la costruzione di una ferrovia che unisse Budapest e Belgrado. Il tutto avvenuto con la successiva secretazione della documentazione e dei contratti stipulati. Infine, è di pochi giorni l’annuncio da parte del governo ungherese di essere vicino a un accordo per una fornitura di vaccino contro il coronavirus con la casa farmaceutica cinese Sinopharm. Sarebbe l’unico paese dell’Unione Europea a rifornirsi del vaccino cinese.

 

il Presidente Orbàn, fonte: Askanews

Il pericolo di un educazione non libera

L’annuncio dell’apertura della nuova sede dell’Università Fudan non è certamente stato accolto senza critiche. In particolare in un momento in cui la maggior parte dei paesi occidentali, tra Europa e Stati Uniti, inizia a guardare con sfavore le istituzioni accademiche cinesi. Queste ultime sono infatti tacciate di un eccessiva compromissione con il regime che governa il Paese. Molti centri culturali, che presentano varie sedi in diversi paesi, sembra fossero alle dirette dipendenze del governo di Pechino. Non mancano accuse di propaganda a favore del regime cinese e, in alcuni casi, perfino di spionaggio. É il motivo per cui negli Stati Uniti, per esempio, sono stati chiusi alcuni Istituti Confucio, istituzioni per la diffusione all’estero della lingua e cultura cinese.

La stessa Università Fudàn nel 2019 ha eliminato dai suoi regolamenti l’impegno a rispettare la “libertà di pensiero” inserendo contestualmente una clausola secondo cui la stessa “aderisce alla leadership del Partito comunista cinese e realizzerà appieno la politica educativa del Partito”.

 

Per un’Università che dai c’è un’Università che togli

Infine, è curioso come l’istituzione della sede distacca dell’Università Fudan arrivi un anno dopo la chiusura della sede di Budapest della Central European University (CEU). L’università, che al momento della decisione del governo era la migliore dell’Ungheria secondo le classifiche internazionali, era stata fondata dal finanziere e filantropo George Soros, un convinto sostenitore dell’europeismo. La chiusura è sta dovuta all’approvazione di una legge che, in teoria, puniva le università che operavano senza le dovute licenze, ma che in realtà mirava quasi esclusivamente a colpire la CEU. Questa legge, lo scorso ottobre, è stata dichiarata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea come incompatibile con il diritto comunitario.

Filippo Giletto

Li Wenliang: da colpevole a martire. Il profilo social del medico che aveva dato l’allarme sul virus diventa un “muro del pianto”

Il COVID-19 ha intaccato, modificato e stravolto la nostra quotidianità. Un po’ ovunque nel mondo ci sentiamo soli, non siamo liberi di circolare tranquillamente e consideriamo la mascherina chirurgica una costrizione. In Cina le persone hanno trovato una valvola di sfogo: il profilo Weibo di Li Wenliang, il giovane medico che aveva dato per primo l’allarme riguardo il nuovo e sconosciuto virus.

Selfie del dottor Li Wenliang. Fonte: Ansa

Chi è Li Wenliang

Classe 1986, era un medico oculista che lavorava presso il Wuhan Central Hospital e che aveva per primo identificato la pericolosità del nuovo virus. Tramite WeChat (applicazione di messaggistica istantanea simile al nostro Whatsapp) aveva poi espresso le sue perplessità in un gruppo di compagni universitari ormai medici. Da lì sono stati inoltrati svariate volte fino ad arrivare alla polizia di Wuhan. Interrogato, è risultato colpevole di aver diffuso informazioni false ed è stato diffidato dal diffondere altre sue idee. Successivamente era tornato a lavorare in ospedale ma aveva purtroppo contratto il virus.

La lettera di diffida che il dottor Li ha firmato recita: “Speriamo che tu possa calmarti e riflettere sul tuo comportamento”. Fonte: Wikipedia

Si è spento il 7 febbraio di quest’anno e poco tempo dopo, ad aprile, il governo cinese lo ha dichiarato martire ed eroe nazionale. Si tratta della più alta onorificenza a cui un cittadino cinese può aspirare e, nel bel mezzo della pandemia, lui ed altri 13 cittadini l’hanno ricevuta. Non solo lo stato cinese, ma anche i cittadini comuni ci tengono a ringraziare il giovane medico per il lavoro da lui svolto. Per questo motivo, ancora oggi, vanno sul suo account Weibo (il corrispettivo cinese di Facebook e Twitter) a ringraziarlo ma non solo.

Il profilo Weibo del dottor Li. Il social prevede l’utilizzo di nickname, in questo caso “xiaolwl”. Fonte: Intro Storia della Medicina

Il suo profilo social

Il New York Times scrive che questo profilo è “una sorta di Muro del Pianto virtuale“. La gente infatti lo usa per confidare gioie ma anche timori, per condividere stralci di vita quotidiana. Utilizzano i commenti di un post specifico, quello di giorno 1 febbraio in cui il medico ha condiviso di aver contratto il virus. A dieci mesi di distanza dalla sua morte, il post conta più di un milione di commenti ed il numero continua a crescere di secondo in secondo. Alcuni di questi commenti inoltre celebrano le passioni di Li Wenliang, ricordando ad esempio che amava mangiare cosce di pollo fritte o le soap opera.

Commenti del post Weibo. Fonte: il Post

“Dottor Li, come è il paradiso?”

“Dottor Li, oggi è morto il mio gatto.”

“Dottor Li, i ciliegi sono in fiore. Ricordati di guardarli.”

“Buongiorno dottor Li. Ecco a te una coscia di pollo.”

C’è chi si confida riguardo drastici cambiamenti di vita, chi esprime dubbi e perplessità riguardo il nuovo anno, chi parla della propria depressione. Insomma, il dottor Li è diventato una sorta di amico virtuale da cui trovare conforto e sostegno, ma anche una spalla su cui piangere. Tutta questa attenzione però potrebbe essere deleteria: i netizen cinesi pensano che se si continua ad usare quel post come valvola di sfogo, il governo cinese potrebbe decidere di oscurare – se non eliminare – l’account di Li Wenliang.

L’ultima foto condivisa dal dottor Li su Weibo. Fonte: Huffington Post

Non sarebbe la prima volta per il dottore, dato che a gennaio era stato prima diffidato e poi censurato riguardo le sue idee sul coronavirus. Non sarebbe la prima volta nemmeno per il governo cinese che proprio ieri ha condannato una giornalista, Zhang Zhan, ma la cui storia di censure è famosa a livello internazionale.

La giornalista Zhang Zhan. Fonte: Gazzetta del Sud

Chi è Zhang Zhan e cosa ha fatto

La giornalista Zhang Zhan, insieme ad altri suoi tre colleghi, aveva deciso di riportare sui social video e testimonianza di come la “città 0” stesse affrontando l’emergenza da COVID-19 a inizio pandemia. I suoi reportage hanno (anche questa volta) richiamato l’attenzione della polizia, che è intervenuta e ha diffidato il gruppo dal continuare il loro progetto. Al loro rifiuto sono scattate le manette. L’ex avvocato diventata giornalista Zhang è stata la prima del gruppo ad affrontare il processo, che si è concluso con una condanna a 4 anni. L’accusa è di aver “raccolto litigi e provocato problemi” durante la prima ondata e di aver diffuso “false informazioni attraverso testi, video e altri media attraverso gli internet media come WeChat, Twitter e YouTube” .

La 37enne fa lo sciopero della fame da quando è stata arrestata e al processo era incapace di camminare, tanto è che si è presentata in sedia a rotelle e visibilmente deperita. Dal momento in cui è stata emessa la sentenza, l’Unione europea si è subito mossa per liberarla e un suo portavoce dichiara:

Le restrizioni alla libertà di espressione e all’accesso alle informazioni, le intimidazioni e la sorveglianza dei giornalisti, così come le detenzioni, i processi e le condanne di difensori dei diritti umani, avvocati e intellettuali in Cina, stanno crescendo e continuano a essere fonte di grande preoccupazione.

Anche l’Unione europea quindi è preoccupata riguardo il fenomeno censoriale attuato dalla Cina. La preoccupazione è importante anche in senno degli accordi sugli investimenti discussi – ma non ancora siglati – con Pechino.

 

Sarah Tandurella

 

 

In Cina esistono dei campi di concentramento. Ecco cosa succede ancora nel 2020

Lo Xinjiang, una delle più grandi regioni cinesi, è oggi teatro di una vecchia storia che tutti conosciamo a memoria: quella dei campi di concentramento. Questa potente macchina di annientamento non vive, come un brutto ricordo, sotto le macerie del passato, piuttosto nella realtà presente. Vittime, questa volta, sono gli uiguri.

Il silenzio su questa realtà è stato rotto da un’inchiesta del 2018 pubblicata da Bitter Winter, quotidiano online sulla libertà religiosa e i diritti umani in Cina, che ha mostrato video girati all’interno di questi campi simili a prigioni. L’indagine ha confermato la più grande deportazione di una minoranza etnico-religiosa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Pechino non ha tardato a mettere a tacere le notizie circolanti dichiarandole false.

Il video tutorial per aggirare la censura

La vicenda è diventata virale quando un anno fa Feroza Aziz, una ragazzina di 17 anni, ha pubblicato su TikTok quello che apparentemente sembrava un video-tutorial per l’uso del piegaciglia, ma che si è rivelato essere una denuncia al trattamento riservato da Pechino agli uiguri. Così dirompenti le parole della giovane americana da non lasciare indifferenti:

“Questo è un olocausto”.

L’escamotage utilizzata dalla ragazza per aggirare la censura ha permesso a milioni di utenti di visualizzare il video prima che la piattaforma, per puro caso, la bannasse.

Ma chi sono gli uiguri? Perché vengono repressi e perseguitati?

Gli uiguri sono una minoranza di religione musulmana e di etnia turcofona che abita lo Xinjiang costituendo il 46% della popolazione, la maggioranza relativa della regione. Gli altri abitanti sono cinesi d’etnia Han e kazaki.

Lo Xinjiang e la Cina – Fonte: www.travelcities.net

 

Ottenuta l’indipendenza nel 1934 con la costituzione della repubblica del Turkestan orientale, la regione venne annessa alla Repubblica Popolare Cinese nel 1949 diventando terra di immigrazione cinese. Il malcontento e il dissenso si fecero sentire: nel secondo dopoguerra gli uiguri reclamarono a gran voce la loro indipendenza provocando repressioni da parte di Pechino.

Negli anni ’90 le tensioni si intensificarono. Nel 1991 uno studente religioso, fortemente influenzato dagli ideali della jihad afghana, organizzò una rivolta nel distretto di Baren per la ricostituzione dello Stato indipendente del Turkestan orientale; nel 1997 un gruppo estremista di uiguri islamici lanciò bombe sugli autobus ad Urumqi. Soltanto due dei numerosi atti che rafforzarono la stretta repressiva di Pechino.

L’attentato alle torri gemelle del settembre 2001 ha avuto un forte impatto sulla vicenda: la lotta al terrorismo degli anni 2000, unita alla paura che la minoranza musulmana potesse rappresentare un pericolo per il paese, non favorì gli uiguri che guardavano all’indipendenza. Pechino intensificò le repressioni, le limitazioni alle libertà personali, l’indottrinamento, tanto da suscitare forte reazioni da parte degli uiguri. Una fra queste fu la marcia organizzata ad Urumqi nel luglio del 2009, degenerata in uno scontro con le forze armate di Pechino. Una relazione sicuramente burrascosa che, come riportato da documenti del New York Times, portò il segretario generale del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping, di fronte alle violenze uigure del 2014, a consentire l’utilizzo di misure di antiterrorismo che violavano i diritti umani. Tra queste, i campi di reclusione.

Uno sguardo all’interno dei campi: ecco cosa succede

Quello che si sa oggi sulla vicenda basta a suscitare biasimo e indignazione.

Secondo le immagini satellitari ottenute dall’Australian Strategic Policy Institute, sono 380 i campi presenti nello Xinjiang, tra campi di rieducazione con sistemi di sicurezza più deboli e vere e proprie prigioni fortificate.

La struttura dei campi – Fonte: agcnews.eu

I destinatari sono presunti musulmani ribelli, pericolosi ed estremisti che vengono arrestati senza alcun processo. La violazione dei diritti opera, dunque, ancor prima della reclusione.

Sono ritenute colpe dei detenuti: l’astensione dalla carne, il rifiuto dell’alcol, il possesso di libri di cultura uigura musulmana, l’uso della barba lunga. Se da una parte è vero che l’estremismo in Xinjiang esiste e che può degenerare nel terrorismo, dall’altra parte è chiaro che le pratiche appena elencate non ne sono prove manifeste. Si tratta, quindi, non di una lotta contro i terroristi, piuttosto dell’annientamento di un’intera tradizione culturale.

Questo è provato dalle stesse pratiche adoperate: gli uiguri sono costretti ad imparare il mandarino, a sottoporsi ad un indottrinamento quotidiano finalizzato ad una venerazione del partito comunista cinese e a torture di vario tipo. I detenuti guadagnano crediti per il rispetto della disciplina fino a giungere ad una vera e propria trasformazione culturale, al termine della quale vengono trasferiti in altri campi per formarsi in ambito lavorativo. I tempi della rivoluzione culturale di Mao Tse-Tung, dunque, non sono lontani come sembrano.

Le testimonianze sui campi di reclusione

La conversione ideologica non avviene senza minacce di morte, violenze e abusi, come confermano numerose testimonianze.

Sconvolgenti le parole di Gulbahar Jelilova, una donna detenuta per un anno e tre mesi:

“La stanza era di 20 m² e non c’erano finestre. All’interno c’erano una quarantina di donne. La metà di loro era in piedi, altre coricate per terra, l’una contro l’altra. Portavamo tutte pesanti catene ai piedi”.

La donna continua descrivendo a quali pratiche erano soggetti i reclusi: venivano loro mostrati video su Xi Jinpig e costretti a scrivere recensioni su di lui, per accertarsi che le loro idee stessero cambiando; ogni lunedì alle 9:55 dovevano cantare l’inno cinese, il resto della settima cinque canzoni al giorno.

A Radio Free Asia un funzionario della polizia che ha lavorato per sei mesi in un campo di lavoro della città di Aksu, ha rivelato che nel suo campo sono morti 150 musulmani di etnia uigura. Gli abusi, a detta di quest’uomo, che comprendono violenze fisiche e psicologiche, non riguardano soltanto gli incarcerati ma gli stessi familiari, costretti ad invitare a casa propria dei membri del partito comunista di etnia Han, che sono incaricati di sorvegliare sulle loro abitudini e idee politiche.

Circa un anno fa è stato pubblicato un video su Youtube da un utente anonimo, poi fatto circolare dall’emittente televisiva Cnn, che mostrava uomini in divisa da carcerati, bendati, con le mani legate e la testa rasata, sorvegliati da agenti della polizia. Secondo il quotidiano britannico The Guardian si tratta del trasferimento di detenuti uiguri da un campo ad un altro.

Antiterrorismo o repressione?

Queste testimonianze provano l’esistenza di una realtà per anni tenuta all’oscuro. I fatti smentiscono le dichiarazioni degli esponenti politici del partito comunista cinese, i quali presentano le loro azioni come operazioni di antiterrorismo. I campi di detenzione sarebbero dunque dei campi rieducativi finalizzati a purificare gli animi dalla tendenza alla violenza e all’estremismo. Di certo, come abbiamo visto, il terrorismo sovversivo esiste nello Xinjiang, ma come considerare antiterroristiche delle azioni rivolte ad un’intera comunità culturale?

Le dichiarazioni di Pechino sembrano essere false, soprattutto se si considera il generale clima di controllo e repressione che si respira in Cina, di cui i campi di concentramento per gli uiguri sarebbero ulteriore conferma. Si pensi alla campagna di sinizzazione avviata da Xi Jinping non solo contro l’islam ma anche contro il cristianesimo e il buddhismo tibetano, oppure alla repressione delle proteste intraprese dai mongoli contro il divieto di insegnare la lingua locale.

Inoltre, non si possono negare gli interessi economici e strategici del partito comunista nello Xinjiang, una regione ricca di risorse petrolifere e frontiera esterna della Cina, confinante con gli Stati dell’Asia centrale e, dunque, area fondamentale nelle nuove vie della seta promesse da Pechino. Questo è un dato importante da considerare per comprendere come il governo centrale, a differenza di quanto dichiari, sia profondamente interessato ad un controllo totalizzante della regione. Controllo che, tra l’altro, viene esercitato non solo attraverso i campi, ma anche per mezzo di una continua sorveglianza di sicurezza che prevede la possibilità di ispezionare i cellulari alla ricerca di contenuti sospetti, o di verificare l’identità delle persone usando software di riconoscimento facciale.

Altri campi di concentramento nel mondo

Tutti i sogni e le speranze di un mondo fondato sulla libertà e il rispetto dei diritti umani sembrano infrangersi. La delusione è profonda se si guarda ad una realtà della quale la Cina non rappresenta un’isola in mezzo all’oceano. Campi di concentramento esistono ancora oggi in tutto il mondo.

In Korea del Nord tra 80000 e 120000 persone, per lo più prigionieri politici, vivono nei kwanliso. In Myanmar, Malaysia e Bangladesh la reclusione ha come vittime i rohingya, una minoranza etnica musulmana a cui il governo birmano non ha concesso la cittadinanza. Esistono campi di internamento anche negli Stati Uniti, come quello di Clint in Texas, al confine messicano, in cui nel 2019 sono stati rinchiusi 250 minori non accompagnati in condizioni disumane. In Turchia ci sono campi in cui vivono 3,6 milioni di rifugiati siriani. In Libia sono rinchiusi i migranti dell’Africa Subshariana. Ci sono campi anche in Iraq e in Siria. E i Cie e i Cpr italiani? Nonostante il nome sia differente, si tratta di veri e propri campi di detenzione, in cui vivono, in condizioni disumane, migranti in attesa di essere identificati e rispediti, poi, contro la loro volontà, nella loro terra.

Chiara Vita