Messina nel 1780: il quartiere “Quattro fontane/Purgatorio”

Ritorna l’appuntamento dedicato al viaggio nella Messina del 1780. L’architetto Giannone oggi ci illustra il quartiere “Quattro fontane/purgatorio”.

L’area, di cui fanno parte le antiche contrade dell’Amalfitana Grande e della Terzanà, rappresenta il luogo di connessione tra il potere civile e militare, il potere religioso e quello commerciale. Alla fine del XVI vennero aperte due grandi strade: la via Cardines e via Austria, oggi via I Settembre.

All’estremità di via Cardines vi era una piazza detta Piano dei Tramezzatori, contraddistinta dalla Chiesa delle SS. Anime del Purgatorio e, al suo fianco, della Chiesa dei Catalani.

Mappa del quartiere “Quattro Fontane/Purgatorio” – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

San Giovanni dei Fiorentini

La chiesa venne edificata nel 1624 rimpiazzando il tempio dorico di Ercole Manticlo, che venne demolito suscitando un’accesa opposizione dei messinesi; ciò la grande sensibilità della società messinese dell’epoca verso il proprio patrimonio edilizio.

Il progetto della nuova costruzione fu affidato a Vincenzo Tedeschi, che riprese le planimetrie del tempio e la inquadrò perfettamente ad angolo tra via Cardines e via Austria. Venne completata del 1714, con l’alloggiamento sul cantonale destro della fontana del Buceti.

L’architettura della chiesa è stata finemente rappresentata dall‘incisione dell’Houel, ritraente il quadrivio: si scorge una facciata ascrivibile al tardo manierismo con un portale con colonne di ordine tuscanico sormontate da una trabeazione conclusa da un arco ribassato; al centro della facciata una targa commemora la distruzione del tempio romano.

La chiesa venne distrutta dal terremoto del 1783 e non più riedificata.

Jean Houel, VI.e vue de Messine. Quartier appellè Quatrofontane, formè de deux belles rues qui se croisent à angles droits, 1784. 

San Nicolò all’Arcivescovado

Chiesa antichissima, che risale a prima del VII secolo, nel 1096 venne elevata a Cattedrale da re Ruggero e dotata di un campanile. Mantenne questo prestigioso titolo fino al 1168; con la costruzione del Duomo, successivamente, la chiesa venne integrata e gestita dall’Arcivescovado.

Rappresentava un impianto basilicale con tre lunghe navate sostenute da colonne di granito, con tre altari presso la tribuna e con portale di fattura e forme gotiche. Purtroppo anch’essa crollò a causa del terremoto del 1783.

Arcivescovado

Nel 1582 fu affidata ad Andrea Camalech la costruzione del nuovo portale e del riallineamento della facciata. Il terremoto del 1783 recò numerosi danni alla struttura e ne fu necessario l’abbattimento.

L’edificio fu riedificato, ma in stile neoclassico, su progetto di Francesco Basile; dopo il terremoto del 1908 venne nuovamente abbattuto e il nuovo palazzo venne inaugurato nel 1924, nella medesima zona, su progetto di Enrico Fleres.

Il Palazzo dell’Arcivescovado oggi- ©Silvia Molino, Messina 2022

Zecca Regia

L’istituzione fu fondata nel 493 a.C in età arcaica, quando la zecca cittadina coniava la moneta raffigurante un delfino all’interno della falce. Di appartenenza a questo edificio si hanno testimonianze solo del grande portale d’ingresso, ricostruito in stile manierista nel 1625.

L’ intero edificio crollò nel 1783 e il portale seicentesco, rimasto integro fu mutilato nel corso delle successive ricostruzioni, come testimoniano alcune fotografie anteriori al 1908.

Quattro fontane

Le fontane, di gusto Barocco, vennero costruite a scopo celebrativo dal dominio spagnolo per esaltare il Regno di Sicilia. Le fontane vennero costruite in epoche diverse, ma seguendo  il disegno originario dello scultore romano Pietro Calcagni.

Centro della composizione sono i mascheroni che versano l’acqua nelle tre vasche sottostanti, circondate da elementi e acquatici e zoomorfi; nella parte sommitale sono presenti le insegne imperiali e gli stemmi cittadini.

Il terremoto del 1908 le danneggiò, ma solo due vennero reinstallate nella stessa area; le altre due fontane sono conservate presso il Museo Regionale.

Ricostruzione delle “Quattro Fontane” nel 1780 – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

Una delle due fontane collocate nell’attuale via I Settembre (già via Austria) – ©Silvia Molino, Messina 2022

Chiesa delle SS. Anime del Purgatorio

Nel quartiere della Terzanà sorgeva una delle chiese più ricche e imponenti di Messina: la Chiesa delle SS. Anime del Purgatorio. Su questo sito, fino al 1620, esisteva un piccolo oratorio della Confraternita degli Azzurri, che si occupava di portare conforto ai condannati al patibolo; successivamente l’oratorio venne intitolato alla Madonna degli Afflitti e gestito dalla Confraternita della Morte, che si occupava della sepoltura delle persone indigenti.

Nel 1620 iniziarono i lavori per la costruzione di questa grande chiesa, che si protrassero per oltre un secolo. Progettata da Andrea Suppa, fu conclusa da Raffaello Margarita, autore della facciata, realizzata con la pietra di Siracusa. Di pianta pianta ottagonale, possedeva una cupola affrescata da Domenico Giordano.

Il terremoto del 1783 fece crollare la cupola, che venne restaurata nel 1794. Nonostante il successivo terremoto del 1908 non avesse creato danni strutturali alla Chiesa, questa venne abbattuta per consentire il prolungamento della via Garibaldi fino a Piazza Cairoli.

Ricostruzione della Chiesa delle SS. Anime del Purgatorio nel 1780 – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Chiesa della SS. Annunziata dei Catalani

Fondata nel 1164 con il nome di SS. Annunziata del Castellamare, dal 1271 fu la prima sede dell’ordine domenicano in Sicilia.

In età aragonese la lunghezza della chiesa fu accorciata di una decina di metri ed il portale smontato e trasferito nella Chiesa di Santa Maria la Scala.

Nel 1507  le fu aggregato l‘Ospizio dei Trovatelli ed in seguito fu concessa in gestione alla Confraternita dei Mercanti Catalani, dai quali prese il nome attuale.

Il sisma del 1783 arrecò pochi danni, e la chiesa, ormai divenuta parrocchia, fu velocemente oggetto di restauro.

Nel successivo sisma del 1908 crollò l’intero isolato su cui insisteva la chiesa, ma essa fu risparmiata e a partire dal 1919 fu completamente restaurata dall’architetto Francesco Valenti.

Dopo i bombardamenti del 1943 , la chiesa fu nuovamente restaurata con interventi protrattisi fino al 1978 e successivamente dal 2000 al 2002.

Ricostruzione della Chiesa dei Catalani nel 1780 – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

La Chiesa dei Catalani oggi- ©Silvia Molino, Messina 2022

Alla prossima!

Terminata la nostra seconda tappa, vi diamo appuntamento alla prossima puntata, in cui “visiteremo” il quartiere “Grande Ospedale/Collegio”.

 

Marta Cloe Scuderi

Fonti:

Luciano Giannone, Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa, Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2021.

… una delle più importanti spedizioni militari della storia moderna partì da Messina?

Messina, città portuale per eccellenza, per via della sua posizione privilegiata di controllo sul Mediterraneo, è sempre stata considerata una importantissima base militare, e sono dunque davvero tantissime le imprese belliche a cui è legato il suo nome; ma una è davvero importante, tanto che la troverete, in un posto di rilievo, praticamente su qualsiasi libro di storia moderna.

Proprio da Messina, infatti, partì la flotta che prese parte alla battaglia di Lepanto, considerata da alcuni storici come “l’ultima Crociata”; l’ultima volta, cioè, in cui un grande esercito formato da soldati di diverse nazionalità si riunisce in risposta all’appello papale per recarsi a combattere gli Infedeli.

È il 1571 e il bacino del Mediterraneo è una bomba a orologeria: la politica espansionistica dell’Impero Ottomano, con le sue famigerate navi corsare, minaccia la sicurezza delle città marinare e dei commerci via mare delle nazioni cristiane.

A coalizzarsi contro il nemico turco sono dunque proprio gli Stati dell’epoca che dal commercio marittimo traggono i maggiori vantaggi: la Repubblica di Venezia, che all’epoca controllava gran paete dei commerci con l’Oriente; Genova e alcune città della Toscana, mosse da simili interessi; l’Ordine di Malta, che con gli Ottomani ha qualche conto in sospeso (neanche sei anni prima i Turchi erano arrivati a un passo dal conquistare La Valletta); e infine, ovviamente, il Papato.

È proprio il Papa, Pio V, a chiamare in causa il re di Spagna, Filippo II, un re devoto ai limiti del fanatismo che si fregia del titolo di difensore della Chiesa. Il monarca risponde all’appello ponendo a capo della spedizione un suo generale di fiducia, il fratellastro, don Giovanni d’Austria, all’epoca appena ventitreenne: nasce così la Lega Santa.

Quando si tratta di scegliere un quartier generale in cui organizzare le forze, nessuno ha dubbi: spetta a Messina, per la sua posizione geografica vantaggiosa, l’onore e l’onere di accogliere le forze cristiane, e la tradizione vuole che proprio lo scienziato messinese Francesco Maurolico si sia occupato di fornire le carte nautiche per la spedizione.

Lo scontro decisivo avviene al largo di Lepanto, una isola greca, domenica 7 ottobre 1571. È una mattanza nel corso della quale migliaia di soldati di entrambe le parti perdono la vita; si conclude, dopo diverse ore, con una sofferta vittoria delle truppe cristiane, che riescono a uccidere il generale nemico, Alì Pasha. I vincitori rientrano dunque a Messina, per festeggiare l’esito dell’impresa e curare i feriti: tra essi, anche un giovanissimo Miguel de Cervantes.

Si trattò di una vittoria decisiva o di un inutile spargimento di sangue?

Il dibattito storiografico su questo interrogativo è tutt’ora accesissimo, infuocato da abbastanza ovvie implicazioni politiche e ideologiche. Quel che è certo è che, per il mondo cristiano, la battaglia di Lepanto fu celebrata come un incredibile miracolo e una vittoria della Fede, tanto che fu istituita addirittura una festa religiosa per commemorarla (quella della Madonna del Rosario). Anche a Messina è rimasta viva la memoria di questo evento nell’omonima piazza Lepanto, di fronte all’Annunziata dei Catalani, dove si trova il monumento a Don Giovanni d’Austria.

Gianpaolo Basile

Messina tra Oriente e Occidente: piazza Lepanto e l’Annunziata dei Catalani

La Sicilia, si sa, è stata per secoli il cuore pulsante del Mediterraneo, un grande calderone nel quale le maggiori civiltà che si sono sviluppate sulle coste del Mare Nostrum hanno riversato senza sosta i loro frutti, e Messina ne è stata la porta: luogo di incontro, certo, per via del porto ricco e florido che l’ha resa un punto nodale negli scambi commerciali con il resto del mondo conosciuto; ma anche luogo di scontro, a causa della posizione di cruciale importanza strategica che ha consentito di trasformarla in un indispensabile punto di controllo militare.

Non esiste luogo che possa aiutarci a comprendere questo duplice ruolo meglio di quello che stiamo andando a descrivervi oggi: stiamo parlando di Piazza Lepanto, piccola piazzetta di forma triangolare che dà sulla via Cesare Battisti, a pochi passi dal Duomo, e su cui si affaccia uno dei meglio conservati monumenti storici di Messina, la suggestiva Chiesa dell’Annunziata dei Catalani.
Costruita nella seconda metà del XII sec.,secondo alcuni storici sopra i resti dell’antico Tempio di Nettuno, in epoca aragonese divenne cappella reale e fu concessa a una congregazione di mercanti catalani, da cui il nome. Più volte rimaneggiata nel corso della sua storia centenaria, e risparmiata dal terremoto del 1908 (è per questo che il suo piano di calpestio si trova circa 3 metri più in basso di quello del resto della città) la chiesa si presenta come un curioso ibrido stilistico, dove, su una base architettonica di stile bizantino, si innestano, armonizzandosi fra loro, elementi decorativi arabi, romanici, latini e normanni.

 

Nonostante la facciata anteriore appaia abbastanza spoglia, eccezion fatta per l’elegante portale fiancheggiato da colonnine e sovrastato dallo stemma romboidale aragonese, la vista posteriore, che dà sulla via Garibaldi, rende abbondantemente l’idea di questo coacervo stilistico, con le tre absidi adornate


dalla successione di loggette cieche sorrette da colonnine e la elegante decorazione ad intarsio, in cui la tradizione geometrica dell’architettura araba incontra quella del romanico europeo: il tutto sovrastato dalla cupola centrale ad alto tamburo, di struttura tipicamente bizantina. Se poi si ha la fortuna di trovarla aperta, si può entrare all’interno, dove gli archi bicolori e le colonne fanno quasi pensare a Cordova, alla Grande Moschea. Il risultato complessivo è quello di un suggestivo incontro di culture e mondi differenti.

 

 

 

 

Ma le attrattive di Piazza Lepanto non finiscono qui. Proprio davanti alla facciata principale, è stato trasportato, a seguito delle ristrutturazioni urbanistiche successive al sisma del 1908, il monumento a don Giovanni d’Austria, datato 1573, opera del carrarese Andrea Calamech, allievo dell’Ammannati. Il monumento ci ricorda che proprio da Messina, che nel ‘500 era un avamposto di prima linea nella lotta all’espansione ottomana e alla pirateria barbaresca, partì la flotta della Lega Santa che affrontò quella turca nella Battaglia di Lepanto: e al comando di questa flotta c’era proprio questo giovane generale, figlio bastardo di Carlo V e appena ventiquattrenne all’epoca del conflitto. Il sanguinoso scontro, consumatosi il 7 ottobre 1571, si concluse con una sudata vittoria delle armate cristiane, cui molti storici attribuiscono un ruolo chiave nella storia del mondo occidentale. Ed è proprio di vittoria l’espressione che illumina il volto giovanile della scultura bronzea che rappresenta il condottiero trionfante, con in mano il bastone di comando a tre fasci (emblema della triplice alleanza fra Spagna, Venezia e il Papato), al fianco una grande spada e indosso una armatura da parata finemente cesellata: simboli di trionfo che quasi fanno trascurare all’osservatore il macabro dettaglio del piede sinistro, che calpesta la testa mozzata del comandante nemico, il turco Ali Pasha; un dettaglio inconsueto, nella statuaria celebrativa dell’epoca, e proprio per questo prezioso in quanto testimone della accesa rivalità della città di Messina verso il nemico ottomano.

 

In Piazza Lepanto, dunque, si condensano le tracce di un passato che ha visto Messina all’interfaccia fra Oriente e Occidente, come luogo di incontro e integrazione di elementi culturali da un lato, di inevitabile conflitto militare e religioso dall’altro; un complesso intreccio di suggestioni che oggi, agli occhi del visitatore contemporaneo, non può che strappare una riflessione su tematiche più attuali che mai.

Gianpaolo Basile