Conferenza sull’Impegno civico e democrazia: il ruolo dell’Università e della Comunità ecclesiale

martedì 22 ottobre si è tenuta, presso l’aula magna del Rettorato dell’Università di Messina, una conferenza che ha visto la partecipazione di figure accademiche e religiose, unite nel promuovere il valore della partecipazione attiva dei giovani alla vita sociale e politica. L’incontro, aperto dalla rettrice dell’ateneo, ha sottolineato la necessità di coltivare la democrazia attraverso un impegno costante e responsabile, aggiungendo quanto sia a rischio la democrazia in Italia.

Gli interventi della conferenza

Il filo conduttore della conferenza è stato il tema della partecipazione civica e del ruolo che l’Università può e deve svolgere nel formare cittadini consapevoli e attivi.

“L’università – ha ricordato la rettrice – non è soltanto un luogo di studio, ma anche un punto di partenza per coltivare il senso civico e l’impegno verso la società.”

Tra i partecipanti di rilievo, l’arcivescovo della diocesi di Messina ha espresso gratitudine per l’invito e per il sostegno continuo che l’ateneo ha sempre dimostrato verso le iniziative ecclesiali. Nel suo intervento, l’arcivescovo ha ricordato l’importanza di contrastare l’indifferenza e di alimentare un senso di zelo e impegno, definendolo “un seme ardente nel cuore” che deve guidare l’azione di ogni cittadino, in particolare in un momento storico in cui la partecipazione è tanto richiesta quanto messa in discussione.

L’incontro ha inoltre accolto il contributo di Don Giuseppe Riggio, gesuita e direttore della rivistaAggiornamenti Sociali. Riggio ha messo in evidenza l’importanza della partecipazione politica e sociale da un punto di vista costituzionale, richiamando il ruolo della Repubblica Italiana come una democrazia fondata sulla partecipazione attiva dei cittadini. Ha inoltre collegato questi temi alla 50ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, svoltasi a Trieste, sottolineando come i cattolici siano chiamati a dare un contributo concreto alle questioni sociali del paese.

Don Giorgio Siracusano, direttore dell’Ufficio diocesano per i problemi sociali e del lavoro, ha richiamato l’attenzione su tematiche di stretta attualità come il rapporto tra economia, lavoro e politica, integrandole con la prospettiva dell’ecologia integrale. Questo concetto, centrale nella visione della Chiesa contemporanea, lega la cura dell’ambiente a quella delle relazioni umane e sociali.

Interventi e considerazioni finali 

Al termine degli interventi tutti i partecipanti, divisi in 3 gruppi, hanno discusso di diversi temi con l’obiettivo di proporre delle soluzioni per dei problemi specifici, legati alla città di Messina e provincia. I tre gruppi, ambiente e agricoltura, diritti e welfare ed economia hanno quindi focalizzato dei problemi del territorio e offerto delle soluzioni quanto più pratiche. Un momento di aggregazione, brainstorming e team working inserito all’interno di una conferenza progettata per sollecitare l’impegno civico e aggregazione.A concludere la serata un aperitivo a chilometro zero preparato da “Buona Terra”, un consorzio di sei aziende di Itala Superiore, un paesino di  collina nei pressi di Messina.

Il messaggio che è emerso con forza dalla conferenza è chiaro: l’uomo è chiamato a partecipare attivamente nella società, e in questo processo l’università e la Chiesa possono svolgere un ruolo fondamentale, lavorando insieme per stimolare idee e azioni concrete a favore del bene comune.

Marco Prestipino

Tindari: tra storia e fede

Su un promontorio costiero a picco sul mare, con ai piedi la riserva naturale orientata dei laghetti di Marinello, dalla storia millenaria, Tindari si pone come unione tra il sacro e il profano, regalando un’esperienza unica e rara.

Andiamo a scoprire Tindari, lasciandoci avvolgere dal mistero che da sempre la caratterizza.

 

Origines

Sin dal nome, Tindari  è avvolta dal fascino e mistero tipico della cultura classica, infatti, si fa derivare direttamente dal mitico re spartano Tindaro. Il nome attuale, risale alle denominazione che già gli storici Strabone e Tolomeo le avevano dato in tempi antichissimi.

La sua fondazione si fa risalire ai tempi del tiranno di Siracusa Dioniso I, nel territorio di Abacaenum (Tripi) che la donò ai mercenari siracusani che avevano combattuto contro i cartaginesi.

Nel corso del tempo, divenne sede privilegiata delle guerre marittime. Nella prima guerra punica, quando sotto il controllo di Gerone II di Siracusa, fu base navale cartaginese, infatti, nelle acque antistanti, la flotta romana guidata dal console Aulo Atilio Calatino, fece fuggire quella cartaginese.

Successivamente, passata in orbita romana, fu base navale di Pompeo e,  presa da Augusto nel 36 a.C., che la trasformò nella Colonia Augusta Tyndaritanorum, una delle cinque della Sicilia, citata da Cicerone come nobilissima civitas.

Ancora oggi è possibile vedere i resti della civiltà ellenico-romana nei resti archeologici del Teatro, dell’isolato romano e della “basilica”, un tempo identificato con un ginnasio che era il propileo di accesso all’agorà.

 

Teatro greco di Tindari.
Fonte: wikipedia.it

 

In fide Domini

Tindari, oltre ad essere stato luogo simbolo della cultura greco-romana della provincia di Messina, è da secoli meta attrattiva del turismo religioso, dovuto alla presenza del famoso Santuario.

Il Santuario

Dal 2018, il santuario viene elevato alla dignità di Basilica Minore per decreto e volere del sommo pontefice Papa Francesco. La chiesa sorge sull’estremità orientale del promontorio, dove sorgeva l’antica acropoli e, dove fino alla costruzione del nuovo santuario, sorgeva l’antica chiesetta tuttora esistente.

All’interno è custodita e venerata la statua della “Madonna Nera”, scolpita in legno di cedro, la cui datazione è imprecisata, ma probabilmente giunta in seguito al fenomeno dell’iconoclastia1.

La Madonna, rappresentata sotto forma di Theotókos Odigitria2 seduta con il bambino Gesù in braccio (posizione della Basilissa). I loro volti molto allungati e le grandi dimensioni dei nasi, sono tipici delle raffigurazioni orientali e africane, rare in quelle occidentali, ci permettono di stabilirne orientativamente la provenienza.

Alla base della statua vi è la scritta ripresa dal Cantico dei Cantici “Nigra sum sed formosa” traducibile in italiano con “bruna ma bella”.

La storia del santuario è molto travagliata. Nel 1544, durante l’assedio turco-ottomano della costa tirrenica siciliana, guidata dall’ammiraglio Khayr al-Din Barbarossa, la chiesa viene distrutta e in seguito ricostruita. È in seguito, grazie alla volontà del vescovo Previtera e, con le donazioni successive della famiglia in seguito alla sua morte, che viene costruito il nuovo santuario, successivamente ampliato dal vescovo Pullano negli anni 70 del ‘900.

Come la Porziuncola di San Francesco a Santa Maria degli Angeli ad Assisi,  così anche a Tindari all’interno delle mura che attorniano il nuovo Santuario, è custodita la chiesetta originale, da cui si vede la sottostante spiaggia di Marinello, luogo della famosa leggenda.

 

Laghetti di Marinello, luogo dove avvenne il miracolo. Fonte: santuariotindari.it

 

La leggenda

La leggenda racconta che un giorno, una donna avendo la figlia gravemente ammalata, si votò alla Madonna per ottenerne la guarigione. Ottenutala, si recò al Tindari per ringraziare la Madonna,  ma vedendola bruna in faccia ne resta delusa ed esclama: “Sono partita da lontano per vedere una più brutta di me”.   E va in cerca della bella Madonnina che le aveva concesso tanta grazia. Nel frattempo la bambina rimasta incustodita, precipita dal colle.

La madre disperata corse ai piedi della bruna madonnina pregando “Se siete voi la miracolosa Vergine che per la prima volta mi avete salvato la figlia, salvatela per la seconda volta”.

Ed ecco che si compie subito il miracolo. La bambina giocava tranquilla su un piccolo arenile formatosi improvvisamente nelle acque sottostanti, quando un marinaio che era accorso per salvarla, la restituisce sana e salva tra le braccia della madre.

Gaetano Aspa

 

 

Note

  1. Iconoclastia – La dottrina e l’azione di coloro che nell’Impero bizantino, nel sec. 8° e 9°, avversarono il culto religioso e l’uso delle immagini sacre.
  2. Theotókos Odigitria  –  Titolo, «Madre di Dio», rivendicato per la Vergine nel Concilio di Efeso (431).

 

Bibliografia:

La Leggenda è tratta da: https://santuariotindari.it/leggenda/

 

 

La Chiesa Cattolica ha chiesto all’Italia di non approvare il Ddl Zan

Il Vaticano ha chiesto all’Italia di non approvare il Ddl Zan. Da sempre contraria al disegno di legge contro l’omotransfobia, La Chiesa Cattolica ha deciso di passare dai semplici ammonimenti e prese di posizione ai canali ufficiali. Con la “nota verbale”, recapitata all’ambasciata italiana presso la Santa Sede lo scorso 17 giugno, la Chiesa interviene pubblicamente nell’iter di approvazione di una legge italiana per la prima volta nella storia repubblicana.

fonte: Il Fatto Quotidiano

La nota verbale

Sulla questione Ddl Zan già la Cei (Conferenza episcopale italiana) si era espressa ufficialmente. Nel giugno del 2020 aveva affermato l’inutilità della legge data l’esistenza di «già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio». Un mese e mezzo fa il presidente Gualtiero Bassetti ha affermato come «una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza». Più duro il vescovo di Ventimiglia-Sanremo Antonio Suetta che non si è trattenuto dal definire il disegno di legge come «un attacco teologico ai pilastri della dottrina cattolica». Posizioni forti, e non prive di successive critiche, ma pur sempre legittime.

Monsignor Gallagher, fonte: Pieriodico Daily

La “nota verbale” è stata consegnata giovedì scorso dal Segretario per i rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard Gallagher, nelle mani del primo consigliere dell’ambasciata italiana presso la Santa Sede e sita in palazzo Borromeo in Roma. Si tratta di una comunicazione formale, scritta in terza persona e non recante alcuna firma, al cui interno sono espresse le preoccupazioni della Chiesa in merito alla possibile approvazione del disegno di legge. La nota è stata immediatamente girata al Gabinetto del Ministero degli Esteri del ministro Luigi Di Maio e all’Ufficio Relazioni con la Farnesina.

Mai prima di oggi la Chiesa Cattolica aveva adoperato i canali diplomatici a sua disposizione, previsti all’interno dei Patti Lateranensi del ’29 e dagli Accordi di Villa Madama dell’84.

Le preoccupazioni della Chiesa Cattolica

«Alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato». Il primo comma assicura alla Chiesa “libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale”, mentre il terzo comma garantisce “ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

Diritti e garanzie che verrebbero lesi da una possibile approvazione del testo di legge. Ad esempio la libertà di organizzazione verrebbe lesa per via dall’assenza di forme di esenzione per le scuole private, e quindi anche quelle cattoliche, dalla partecipazione o l’obbligo di organizzazione di eventi inerenti la costituenda Giornata Mondiale contro l’omotransfobia. O ancora, e non di poco conto, la libertà di pensiero dei cattolici potrebbe essere minata, secondo la Santa Sede, da eventuali condotte discriminatorie e dal rischio di eventuali ripercussioni giudiziarie. Ripercussioni, queste ultime, che potrebbero ricadere anche sui ministri di culto. La dottrina e la propaganda cattolica sono da sempre contrarie all’equiparazione sul medesimo piano della dignità delle coppie omosessuali rispetto alla famiglia tradizionale poiché nel “disegno divino” lo scopo dell’unione è unicamente quella della procreazione. Il timore è che le eventuali posizioni esplicitamente omofobe di alcuni sacerdoti rese pubblicamente potrebbero essere perseguite come un reato.

Cosa dice il Ddl Zan

Il Ddl Zan, intitolato «Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità», è già stato approvato alla Camera il 4 novembre scorso e attualmente si trova sotto esame in commissione Giustizia al Senato. Il testo si compone di 10 articoli ed estende l’applicazione dei reati d’odio per discriminazione razziale, etnica o religiosa a forme di discriminazione contro omosessuali, donne e disabili. La pena prevista è della reclusione fino a 18 mesi o una multa fino a 6000 euro nei confronti di chi istiga o commette atti di discriminazione. Nel caso in cui invece si istigassero o commettessero atti di violenza, o si partecipasse a organizzazioni che incitano a discriminazione e violenza, la pena sarebbe da 6 mesi a 4 anni.

Il deputato Alessandro Zan (Partito Democratico), fonte: Open

La reazione alla nota breve

In risposta alle preoccupazioni palesate dalla Santa Sede i promotori e le promotrici della legge hanno ribadito, per l’ennesima volta, come non vi sia alcuna messa in discussione della libertà di espressione. La lettera della legge non impedisce la costituzione o il mantenimento di una qualsiasi associazione che faccia campagna contro l’equiparazione dei diritti delle coppie dello stesso sesso. Ciò che si vuole impedire attraverso la criminalizzazione è, piuttosto, che venga linciata una coppia non eterosessuale in quanto, semplicemente, non eterosessuale.

fonte: Today

La nota, il cui contenuto inizia ad ricevere sostegni dalle aree più a destra e integraliste, cattoliche e non, ancora non è stata posta all’attenzione del premier Draghi né, tanto meno, del Parlamento. Sarà interessante scoprire come verrà risolta la questione essendo impossibile, come si palese in queste ore sui social dai numerosi commenti, il semplice richiamo alla laicità dello stato e alla non interferenza negli affari interni italiani. Lo Stato e la Chiesa Cattolica, che piaccia o meno, sono due realtà che condividono non solo una dimensione territoriale comune ma anche e soprattutto un sostrato storico e culturale suggellato nell’art.7 della Costituzione e rafforzatosi nelle dinamiche elettorali e politiche della storia pre e post repubblicana. L’unica via sarà dunque quella si rifarsi agli strumenti previsti all’interno dei trattati e l’articolo 14 del Concordato potrebbe essere lo strumento adeguato. In esso si stabilisce che «se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata». Soluzione amichevole sul cui esito si spera nessuno rischi la pelle.

Filippo Giletto

La Basilica di Sant’Antonio a Messina

Ancora una volta – a causa pandemia – un altro importante anniversario rischia di non essere celebrato adeguatamente; proprio quest’anno, infatti, ricorre il centenario dalla fondazione – a Messina – della Basilica di Sant’Antonio da Padova, voluta da Padre Annibale Maria Di Francia.

La rinascita di un quartiere malfamato

La Basilica è situata nel cuore della città di Messina, nel quartiere Avignone, dove, più di un secolo fa, papa Pio X donava alla comunità un luogo che sarebbe diventato anni dopo un centro religioso e un punto d’incontro per fedeli, orfani e, soprattutto, per i più poveri. Un quartiere malfamato bisognoso di un risanamento morale e che, grazie all’arrivo di un giovane sacerdote – padre Annibale – divenne un luogo dedito alla redenzione, avente come fulcro una piccola cappella dedicata al Cuore SS. di Gesù.

La dedizione nei confronti dei più bisognosi spinse padre Annibale a venerare la santità di Antonio da Padova, in particolare per il rapporto con gli orfanotrofi; infatti, nel 1882, diede vita agli Orfanotrofi Antoniani, cambiando radicalmente la realtà del quartiere Avignone.

Padre Annibale assiste un mendicante del quartiere Avignone – Fonte: basilicaantoniana.it

La devozione a Sant’Antonio, il Santo dei Miracoli

Confidando sempre nell’aiuto divino e nell’assistenza del Santo di Padova, i1 13 giugno del 1906 Annibale lanciò un invito a tutti i devoti di S. Antonio affinché con un solo obolo di ciascuno venisse acquistata una statua in onore del Santo. La statua fu trasportata da Roma nel maggio del 1907. Da quel momento molti dei miracoli invocati dai credenti divennero realtà tangibile. La prima processione fu celebrata il 13 giugno 1907.

Dopo il terremoto del 1908 – che rase al suolo le due città dello Stretto -, la statua fu ritrovata integra e adagiata.

Inoltre, in seguito a quel drammatico evento, l’allora papa Pio X donò una “chiesa-baracca” alla città di Messina, nella quale Sant’Annibale proclamò Sant’Antonio da Padova “Singolarissimo e instancabile benefattore nostro e di tutti quelli che alle nostre preghiere si raccomandano”.

Nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1919 un misterioso incendio distrusse la chiesa-baracca; immediatamente le parole di una donna offrirono un barlume di speranza in quel momento di sconforto:

Non vi preoccupate, ora Padre Francia ne farà una tutta d’oro!

Il Santuario di Sant’Antonio – Fonte: torrese.it

La struttura della Basilica

Così il 3 aprile 1921 venne posta la prima pietra per la costruzione dell’attuale Basilica, inaugurata il 4 aprile 1926 sotto il nome di “Tempio della Rogazione Evangelica del cuore di Gesù e Santuario di Sant’Antonio”.

La realizzazione dell’opera fu affidata allo Studio dell’Ingegner Letterio Savoja: obbiettivo principale era la resa armonica di una struttura ottocentesca elegante, coerente e perfetta. L’impianto a navate che dirigono lo sguardo del fedele direttamente alle absidi rivelavano l’influenza rinascimentale. Inoltre le vetrate istoriate sostituite dopo gli assedi bellici del ’44, permettono alla luce di filtrare tenue creando un’atmosfera mistica che invita il fedele stesso alla preghiera.

Oggi la Basilica è considerata uno dei luoghi di culto più importanti per Messina e i messinesi. Essa, dal grande esempio di Sant’Annibale, offre ancora un servizio semiresidenziale per i minori tramite l’Istituto Antoniano.

All’interno della maestosa Basilica è possibile visitare la cripta dedicata a Padre Annibale, dove si trova l’urna contenente il corpo del Santo fondatore.

Annesso alla chiesa vi è un museo nel quale è visibile in due ali separate oggetti dedicati rispettivamente a Sant’Annibale e Sant’Antonio.

L’interno della Basilica – Fonte: lasiciliainrete.it

La processione di Sant’Antonio

Come è noto, Messina è una città ricca di secolari tradizioni religiose; e infatti, ogni anno – il 12 e il 13 giugno -, la comunità messinese rinnova la sua immensa devozione al Santo dei Miracoli svolgendo un’imponente processione. La statua di Sant’Antonio sfila per le vie del centro, seguita da innumerevoli devoti e pellegrini che indossano il saio francescano, ed è posta su di un mappamondo abbellito di fiori e ori votivi dei fedeli e attorniata da piccoli marinaretti e paggetti antoniani, in ricordo dei piccoli orfani e poveri della comunità.

Processione del Santo – Fonte: basilicaantoniana.it

Le celebrazioni per il centenario

Quest’anno le celebrazioni in onore del Santo dei Miracoli sono iniziate l’8 aprile e si concluderanno il 13 dello stesso mese.

Oggi, 10 aprile, alle ore 18 si celebrerà la Santa Messa presieduta dal Superiore Generale dei Padri Rogazionisti, Padre Bruno Rampazzo, mentre alle ore 21 si terrà – a porte chiuse –  il concerto presieduto dagli allievi del Conservatorio “A. Corelli” di Messina, con la partecipazione dell’onorevole Antonio Martino.

Domani, data del centenario, alle ore 17:30 si terrà il Solenne Pontificale, presieduto dal cardinale Marcello Semeraro – Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi -, con la lettura delle Bolla Pontificia per l’apertura del Giubileo. Conclusa la celebrazione – concelebrata dall’arcivescovo di Messina Monsignor Giovanni Accolla –  è in programma una processione interna con le reliquie di Sant’Antonio e un omaggio alla spoglie di Sant’Annibale di Francia nella cripta del Santuario.

Un festival di luci ed immagini sulla facciata della Basilica concluderà questa intensa e memorabile giornata.

 

Marika Costantino

Fonti:

basilicaantoniana.it

Si ringrazia Padre Orazio Anastasi, in particolare per le informazioni sul calendario delle celebrazioni

Immagine in evidenza:

 La facciata della Basilica di San’tAntonio – Fonte: basilicaantoniana.it

 

 

Rosario Livatino verso la beatificazione, la Chiesa: “È martirio”

(fonte: grandangoloagrigento.it, it.wikipedia.org)

Si apre la strada alla beatificazione del magistrato Rosario Livatino, ucciso dalla mafia nel 1990 ad Agrigento a soli 38 anni.

A confermarlo il decreto riguardante “il martirio del Servo di Dio Rosario Angelo Livatino”, approvato da Papa Francesco ed emanato in data 21 dicembre 2020. Tale decreto accerta che l’assassinio sia avvenuto in odium fidei, cioè per via di un disprezzo della forte fede del magistrato, e che per questo debba ritenersi un martirio.

Ciò, nel moderno processo di beatificazione, apre una seconda via rispetto al procedimento che prevede la dimostrazione di miracoli avvenuti in vita.

La vita e l’attività contro la mafia

Rosario Livatino nacque nel 1952 a Canicattì, provincia di Agrigento, e studiò Giurisprudenza laureandosi col massimo dei voti. Durante la giovinezza visse attivamente in parrocchia e neanche da adulto perse la propria dedizione, fermandosi ogni giorno a visitare il Santissimo Sacramento mentre si recava a lavoro.

La sua perspicacia, l’ingegno e la capacità di comprendere le sottili logiche della Stidda (organizzazione criminale in azione nel territorio agrigentino, in contrasto con Cosa Nostra) gli permisero di arrivare ben presto a ricoprire il ruolo di Giudice della sezione penale del Tribunale di Agrigento.

Durante questo incarico si occupò, con varie sentenze, di colpire la Stidda tramite restrizioni di libertà e confische dei beni. Per tali motivi divenne un elemento scomodo, ma risultò determinante alla sua eliminazione il fatto che fosse «inavvicinabile, irriducibile a tentativi di corruzione proprio a motivo del suo essere cattolico praticante». Difatti, la forte incorruttibilità dovuta alla fede cattolica rappresenta il movente dell’omicidio.

Ciò che si legge nel decreto da poco emanato trova conferma anche nelle testimonianze degli assassini, in particolare quella di Gaetano Puzzangaro, uno dei killer mafiosi. È stato confermato l’odium fidei anche in base alle ricostruzioni dell’originale piano, che prevedeva che Livatino venisse ucciso davanti alla chiesa in cui era praticante.

(fonte:sikelianews.it)

Il martirio e le parole del Papa

Livatino venne invece ucciso il 21 settembre 1990 sulla strada statale 640 mentre si recava a lavoro, ad Agrigento, del tutto consapevole di quale sarebbe stato il suo destino. Il decreto sopracitato afferma che il magistrato sia giunto all’accettazione del possibile martirio tramite un percorso di maturazione nella fede. Ciò lo indusse a rifiutare la scorta e, come sostiene il decreto, forse anche le nozze.

L’acquisizione del titolo di Martire, così come di quello di Servo di Dio, sono il frutto di un lavoro lungo quasi trent’anni; un processo diocesano iniziato pochi anni dopo la morte del magistrato, nel 1993, con la raccolta di testimonianze e documenti che ne garantissero le fondamenta, e terminato nel 2018.

Già il Papa Giovanni Paolo II, durante il suo celebre discorso di condanna alla mafia del 1993, lo definì «martire della giustizia e indirettamente della fede». Papa Francesco (che già nel 2014 aveva scomunicato i mafiosi) affermerà nel 2019 che

Livatino è un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto: per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni.

(fonte:pinterest.it, ansa.it, it.wikipedia.org)

Oggi possiamo dire con certezza che Livatino fu senz’altro diretto martire della giustizia e della fede, due elementi che provò per tutta la vita a coniugare e praticare assieme. Così recita una sua riflessione, quotata anche da Papa Francesco:

Decidere è scegliere; e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto, per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. E tale compito sarà tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà le proprie debolezze, quanto più si ripresenterà ogni volta alla società disposto e proteso a comprendere l’uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione.

 

Valeria Bonaccorso

Una giornata con il FAI: alla scoperta di San Filippo Superiore

In occasione delle giornate autunnali del FAI (Fondo Ambiente Italiano) noi di UniVersoMe non potevamo di certo farci scappare l’occasione di essere guidati verso una delle bellezze naturalistiche e culturali della nostra città: il paese di San Filippo Superiore.

Le origini del borgo

Il borgo di San Filippo Superiore ha origini romane. In quel periodo il torrente omonimo, il più grande della zona, era navigabile e serviva per portare a valle i prodotti agricoli. Dal Medioevo alla metà dell’ ‘800 vi fu un’egemonia del monastero dei Basiliani, che fecero arricchire l’area con la coltivazione di cerali, fichi e agrumi e, soprattutto, tramite la vendita dei bachi da seta e della seta già lavorata. Il nome del borgo deriva dal Santo Filippo d’Agira, anche se il patrono e protettore del paese è San Nicola di Bari.

 

©Corinne Marika Rianò, Dettaglio di una delle vie del paese – San Filippo Superiore, 2020

 

L’antico centro

Inoltrandosi nella parte più antica del borgo ci si imbatte subito in due edifici: il primo, datato 1689, in buone condizioni, il secondo non in perfetto stato. In quest’ultimo si racconta vivesse la cosiddetta monaca di casa, una monaca che non viveva in convento ed usciva di casa soltanto per la messa.

Andando avanti si trova il percorso dove sorgevano gli antichi monasteri: il Monastero latino e il Convento ortodosso. Tra i vari passaggi si possono notare alcuni portali, ricchi di simboli.

Il luogo centrale del borgo è la Chiesa di San Nicola di Bari, attualmente chiusa alle visite causa lavori di ristrutturazione. Gli elementi di pregio sono le finiture interne e i cicli pittorici, originari della chiesa del ‘500. In realtà, una chiesa era già presente dall’anno 1000 e costituiva il filo conduttore del paese. Nella piazza antistante la chiesa sono ubicate delle campane antiche.

 

©Corinne Marika Rianò, Campane della Chiesa di San Nicola – San Filippo Superiore, 2020

 

La piazza è collegata da un corridoio sotto un arco che conduce a uno degli edifici più antichi, denominato la casa del cavaliere.

La nostra visita del centro del borgo si è conclusa di fronte ai resti della vecchia Chiesa della Maddalena, della quale è possibile ancora osservare la forma. La chiesa fu distrutta dall’alluvione del 1973. La tempesta d’acqua fu parzialmente arginata da un masso che fece da scudo impedendo ulteriori danni. La grande pietra, oggetto di culto dei cittadini della zona, adesso è ubicata sotto l’iconografia del Santo Patrono.

 

©Corinne Marika Rianò, L’iconografia di San Nicola e il masso che limitò i danni dell’alluvione del 1973- San Filippo Superiore, 2020

 

L’Ecomuseo del grano

La seconda tappa è stata caratterizzata dalla visita dell’Ecomuseo del Grano, fortemente voluto da Nino Bebba, nostra guida all’interno della struttura, per tenere viva la memoria dell’attività dei numerosi mulini ad acqua della zona e della coltivazione del grano, in passato la principale risorsa del villaggio.

All’inizio del ‘900, con l’avvento dell’Unità d’Italia, il sistema siciliano della molitura fu particolarmente penalizzato da una tassa sostanziosa sul macinato, voluta dall’allora Ministro delle Finanze Quintino Sella, che causò alcune rivolte dall’esito fallimentare, da parte dei contadini. Conseguentemente i mugnai di San Filippo, in seguito alle modificazioni del tipo di economia e all’ascesa dei mulini a cilindro, decisero di abbandonare il lavoro.

©Corinne Marika Rianò, Ecomuseo del grano – San Filippo Superiore, 2020

 

I mulini erano costruiti dai mastri mugnai, mastri d’ascia o della pietra. L’ultimo mastro mugnaio costruì un mulino elettrico a macina di pietra, portando avanti la tradizione e permettendo alle zone limitrofe, rimaste ormai sprovviste di attrezzature, di macinare a San Filippo. Ma gli eredi, sfortunatamente, non hanno continuato la tradizione.

Le tipologie di cereali coltivati erano il grano duro, il grano tenero e un particolare tipo di segale che cresceva in grandi quantità e senza ostacoli e possedeva ottime proprietà nutraceutiche. A giugno era raccolto e battuto, pulito dalle donne, macinato e sterilizzato.

La cooperativa di comunità, insieme all’Associazione Italiana Amici dei Mulini Storici (A.I.A.M.S.), è attiva per cercare di limitare la fuga dei giovani dalla Sicilia, terra meravigliosa ed ospitale, ormai sempre più soggetta ad emigrazione.

 

©Corinne Marika Rianò, Il signor Nino Bebba, fondatore dell’Ecomuseo del grano – San Filippo Superiore, 2020

 

La valle dei 40 mulini e la cascata di San Filippo

L’ultima tappa della nostra visita ci ha dato l’opportunità di immergerci nella splendida Valle dei 40 Mulini, chiamata così perché in passato costellata da circa una quarantina di mulini, i più antichi risalenti persino al 1200. Nel nostro percorso abbiamo incontrato alcuni ruderi; in uno di questi si vede chiaramente il canale dell’acqua, in dialetto saia, che portava l’acqua al salto azionando la ruota.

 

©Corinne Marika Rianò, Sentiero dei 40 mulini – San Filippo Superiore, 2020

 

Ammaliati dalla bellezza di alcuni scorci paesaggistici, si percorre un sentiero tracciato che conduce alla magnifica cascata di San Filippo, la quale scorre tutto l’anno, anche nei mesi più caldi; nel periodo estivo è molto piacevole fare il bagno nel pozzetto sottostante. Sotto la cascata inoltre c’è spazio per scattare qualche foto, per riposarsi e, soprattutto, per godersi lo spettacolo.

 

San Filippo Superiore è uno dei tanti luoghi di Messina in cui la storia si fonde con la natura in un intarsio prezioso. La riflessione sul rilancio della nostra città dovrebbe avere come fulcro la valorizzazione del nostro patrimonio storico-culturale, soprattutto quando è strettamente intrecciato con i meravigliosi paesaggi bucolici della natura incontaminata.

©Mario Antonio Spiritosanto, Dettaglio della natura di San Filippo – San Filippo Superiore, 2020

 

 

Corinne Marika Rianò, Mario Antonio Spiritosanto

 

Immagine in evidenza:

© Chiara Raffaele, cascata di San Filippo – San Filippo Superiore (ME), 2020

Tradizioni messinesi: la festa di Sant’Annibale

L’emergenza Covid-19 ha modificato drasticamente il nostro stile di vita andando ad intaccare anche le nostre tradizioni. Una di queste, che interessa sia credenti che non, è la festa in memoria di Sant’Annibale. Prima di parlare della festa ripercorriamo le tappe significative della storia del “Santo dei poveri” e vediamo insieme da dove sorge l’amore che tuttora la città di Messina nutre nei suoi confronti.

Biografia in breve

Nasce a Messina il 5 luglio 1851 da famiglia nobile. Ebbe quella che può essere definita «intelligenza del Rogate», facendo suo il versetto del vangelo: «La messe è molta ma gli operai sono pochi. Pregate [Rogate] dunque il Padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe» che divenne uno strumento importante per l’evangelizzazione.

Sant’Annibile in mezzo alla sua gente (disegno) – Fonte: difrancia.net

 

Un evento significativo della sua vita fu l’incontro con il cieco Zancone che lo mise in contatto con la situazione difficile vissuta nelle “Case Mignuni” (Case Avignone), uno dei quartieri più poveri della città di Messina (nei pressi di Zaera). Proprio a quel quartiere dedicò gran parte della sua vita.

Dopo il terremoto del 1908, il papa S. Pio X donò una chiesa-baracca. Nel 1921 venne posta poi la prima pietra per la costruzione dell’attuale Santuario di Sant’Antonio, che occupa oggi l’area dell’antica chiesa.

Il Santuario di Sant’Antonio – Fonte: torrese.it

 

Per realizzare i suoi progetti missionari fondò due nuovi ordini religiosi: la Congregazione delle figlie del Divino Zelo e la Congregazione dei Rogazionisti. Questi sono tuttora diffusi in tutto il mondo, con l’intento di mettere in pratica la filosofia di vita del Santo: l’evangelizzazione e l’aiuto concreto, sul campo, a poveri ed indigenti.

Muore a 76 anni nel 1927. “Andiamo a vedere il Santo che dorme”, erano le parole della gente, omaggio all’uomo che era stato e all’aiuto concreto che aveva portato. La teca contenente il corpo del Santo si trova tutt’oggi nel Santuario di Sant’Antonio.

I funerali di Sant’Annabile – Fonte: difrancia.net

 

Processo per la Beatificazione e Canonizzazione

Già nel 1934 Luigi Orione richiese l’avvio immediato per il Processo per la Beatificazione e di Canonizzazione del suo caro amico. Dopo 35 anni l’arcivescovo Mons. Cannavò aprì il processo che portò Padre Annibale a diventare prima Venerabile (1989) e poi Beato (1990), grazie all’intercessione per la miracolosa guarigione della giovane Gleida Danese (primo miracolo seguito poi da quello che interessò la piccola Charisse Nicole Diaz, decisivo per concludere la causa di la santificazione).

Così, il 16 maggio 2004 papa Giovanni Paolo II lo iscrisse ufficialmente nell’albo dei Santi, adempiendo alla richiesta a gran voce dell’intera città di Messina.

La canonizzazione di Sant’Annibale (Piazza San Pietro, 16 maggio 2004) – Fonte: villaggiomatera.it

 

La particolare storia della festa di Sant’Annibale

La festa di S. Annibale Maria Di Francia si celebra il 16 maggio, e nei giorni antecedenti, presso il santuario di S. Antonio, Messina. La scelta di questa data, e non della morte (come avviene di regola per tutti i Santi), ha una storia particolare.

Il 1 giugno (data della sua morte) la Chiesa celebra la memoria di San Giustino, Santo patrono dei filosofi, che riveste un ruolo importante per tutta la Chiesa cattolica. La Congregazione dei Rogazionisti aveva deciso inizialmente di spostare la celebrazione di San Giustino al giorno successivo. A Messina, però, il 2 giugno è la vigilia della memoria della Madonna della Lettera, Patrona della città dello Stretto.

Per questo motivo alla diocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela è stato concesso di celebrare la memoria liturgica di Sant’Annibale il giorno dell’anniversario della sua canonizzazione.

La celebrazione a Messina: ieri e oggi

Le celebrazioni in memoria del “Santo dei poveri” cominciano nei giorni antecedenti, solitamente con un triduo di preghiere e di messe in suo onore. Il 16 si celebrano le Sante Messe nella cripta, dove è presente il corpo del Santo, e la solenne Messa nella Basilica,  arricchita, negli ultimi anni, dalla presenza del Piccolo Coro Antoniano “Placido Vitale”.

La Messa si conclude con la celebre benedizione delle gardenie e la processione per le vie cittadine con le Reliquie del Cuore di Sant’Annibale.

Il percorso della processione interessa i luoghi principali in cui in vita il Santo messinese ha operato: le vie in cui sorgeva il quartiere Avignone, la Chiesa del Carmine (ricostruita dopo il terremoto) e Piazza del Popolo. Proprio sotto i portici dell’attuale Piazza Lo Sardo generalmente viene distribuito il pane “padre Francia”.

Oltre alla festa di giorno 16 maggio viene celebrata la solennità liturgica giorno 1 giugno, con manifestazioni tra cui l’omaggio floreale al monumento cittadino di Sant’Annibale, situato nell’omonima piazza.

La processione delle Reliquie di Sant’Annibale – fonte: tempostretto.it

 

Quest’anno a causa delle restrizioni dovute all’emergenza Covid-19, le celebrazioni religiose si terranno a porte chiuse e le manifestazioni civili sono state annullate. Per permettere la partecipazione a distanza dei fedeli saranno previste le dirette streaming su Facebook e su YouTube delle preghiere delle Messe, sia del triduo che del 16 maggio.

Locandina della festa in onore Sant’Annabile (2020)

 

Insomma, anche in tempi difficili si può trovare un modo per mantenere vivo il ricordo di un Santo che alla città di Messina ha dedicato tutta la sua vita.

Cristina Lucà, Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

difrancia.net

basilicaantoniana.it

siciliainfesta.com

torrese.it

Si ringrazia Padre Orazio Anastasi, in particolare per le informazioni sulla calendarizzazione della celebrazione

Paesaggi di neve: un borgo e un castello all’ombra del Gran Sasso

Et chi andarà in cima del Corno Monte gli parrà andar sopra le nuovole (Francesco De Marchi, In cima al Corno Monte)

Se cercate un luogo in Italia dove sentirvi riparati da alte cime vertiginose e attorniati da ampie praterie, se vorreste attraversare paesaggi mozzafiato e antiche contrade, rilassarvi in mezzo alla natura e praticare sport invernali sulla neve, probabilmente l’Abruzzo è ciò di cui avete bisogno. In questa tappa di Around, la nostra rubrica dedicata ai viaggi, vi porteremo nel borgo Calascio e nel suo castello, quest’ultimo inserito da National Geographic nella classifica dei quindici castelli più belli al mondo (link).

Un giro nei dintorni

Corno Grande – La cima più elevata del Gran Sasso

A un altitudine di 2912 m s.l.m il Corno Grande è la più alta cima del massiccio del Gran Sasso e dell’intero arco appenninico. Francesco De Marchi nel XVI secolo è stato il primo alpinista a compiere l’impresa della scalata. I vari sentieri che si arrampicano lungo le rocce calcaree partono a sud dall’Osservatorio di Campo Imperatore e a nord da una funivia presso i prati di Tivo. Raggiunta la cima, gli escursionisti più allenati, godranno della vista di buona parte del territorio dell’Abruzzo, e, quando il cielo è più limpido, potranno abbracciare il panorama fino a scorgere in lontananza il mare Adriatico. Tra i guinness che la montagna detiene c’è quello di ospitare il Calderone, considerato il ghiacciaio più a sud d’Europa!

Campo Imperatore – Il Tibet di Italia

Campo Imperatore è un altopiano posto a circa 1.800 m. di altitudine modellato dalla fusione di antichi ghiacciai. Anche questa distesa ha un primato: lunga 20 km e larga tra i 3 e i 7 km rappresenta la piana più grande di Italia. Il suo territorio è disseminato da laghetti, che hanno forse un’origine meteoritica, mandrie e greggi che praticano l’alpeggio in estate, impianti di sci nella stagione invernale e addirittura set cinematografici. Sì, la sconfinata superficie nel Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga ha ospitato numerosi registi attratti dal suo suggestivo paesaggio che Folco Maraini ha definito “un piccolo Tibet”: dal Deserto dei Tartari con Vittorio Gassmann e Philippe Noiret a Così è la Vita di Aldo, Giovanni e Giacomo. L’appellativo deriva dalla azione antropica e dalla elevata quota che ha reso rada la vegetazione e dal vastissimo paesaggio incuneato tra specchi d’acqua e profondi solchi.

Hotel Campo Imperatore – La prigione di Benito Mussolini

Posta sulla sommità del Campo Imperatore la struttura ricettiva, ancora in funzione, deve la sua fama a una pagina poco gloriosa della storia di Italia. Nel settembre 1945 l’operazione Quercia organizzata dalle milizie tedesche portò alla liberazione e alla fuga di Benito Mussolini, confinato sul Gran Sasso per ordine del re Vittorio Emanuele III dopo l’armistizio di Cassibile che segnò la fine ostilità verso gli alleati anglo-americani e di fatto l’inizio della resistenza. Un gruppo di paracadutisti si calò sull’albergo e qui, con una rocambolesca strategia, riuscì a prelevare Mussollini e a condurlo a Monaco dal Fuhrer.

Un borgo e un castello

Rocca Calascio – La roccaforte medioevale normanna e medicea

Con i suoi 135 abitanti, Calascio, in provincia dell’Aquila, è uno dei borghi più caratteristici dell’Abruzzo. La sua attuale circoscrizione comprende il centro di Calascio, fondato intorno all’anno 1000 dai normanni, e l’antica comunità di Rocca Calascio, passata dalla famiglia Piccolomini alla podestà dei Medici. Entrambi i centri nacquero con la funzione di controllo dell’area, ai piedi del massiccio del Gran Sasso. Un terremoto nel 1700 distrusse tuttavia la zona della Rocca, fondata probabilmente anch’essa per volontà di Ruggero D’Altavilla, che venne da allora abbandonata. Recentemente, negli ultimi decenni del’900, Rocca Calascio è tornata ad essere abitata da un piccolo nucleo di abitanti e riqualificata come meta turistica, forse anche grazie al fatto di essere stata scelta per l’ambientazione di alcuni film di successo.

Il castello di Rocca Calascio – Un set d’elezione

Uno dei castelli più elevati di Italia, costruito nel medioevo a scopo di difesa del territorio e controllo dei tratturi, i sentieri di transumanza diretti all’Adriatico, candidati patrimonio UNESCO. Da questo nucleo dovette svilupparsi in seguito il borgo sottostante. La struttura, interamente in pietra, è circondata da un muro merlato e da quattro torri ad angolo dalla forma circolare. Danneggiata dai terremoti che hanno colpito la zona, è stata più volte oggetto di restauro. Il luogo ha ospitato celebri set cinematografici, tra cui il film fantasy del 1985, Ladyhawke, scene de Il nome della rosa e di The American con George Clooney.

Michelle Pfeiffer in Ladyhawke

Chiesa di Santa Maria della Pietà – La perla a forma di ottagono

Fondata nel luogo dove, secondo la leggenda, la popolazione locale sconfisse una banda di bigranti, sul sentiero verso il Castello, la chiesa di Santa Maria della Pietà, eretta nel 1596, è un magnifico edificio a pianta ottagonale, attaccato su una parete ad una sagrestia e inserito in mezzo al verde. Probabilmente edificata su una precedente edicola rinascimentale, la struttura è oggi adibita a oratorio e meta spirituale per i pellegrini che, arrivati in cima, scorgeranno un panorama invidiabile.

Eulalia Cambria

@FOTO DI Salvatore Cambria

Santi Pietro e Paolo: un monastero basiliano nell’antica valle fluviale d’Agrò

A poco più di 40 km da Messina, nella natura boschiva dei Monti Peloritani, sulla costa Jonica, sorge nella sua solitudine non ancora intaccata, una chiesa di impianto bizantino e arabo-normanno. Quasi senza dare alcun preavviso di sé appare in mezzo al verde, nei pressi di Casalvecchio Siculo, dopo avere percorso un itinerario che si inerpica su strade di campagna. La valle, abbracciata tutto intorno dal torrente Agrò, uno dei corsi d’acqua maggiori della costa, che deve il nome alla parola αγρός, terra coltivata, grazie alla presenza dei campi è stata frequentata dall’uomo fin dai tempi antichi. Ne sono una testimonianza i ritrovamenti risalenti al neolitico, ma nei secoli molti altri popoli tra cui fenici, greci, bizantini e arabi hanno coltivato e abitato le terre fertili attorno alle sue acque, disseminando nel territorio una serie di centri urbani. Dall’antica Phoinix, emporio dei fenici, al cui posto oggi sorgono i comuni di Savoca e Santa Teresa, furono prelevate anche sei colonne di granito utilizzate per riedificare la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo.

Esito della convergenza nel tempo diversi stili architettonici, il complesso si presenta oggi in discreto stato di conservazione. Dal profilo esterno, osservando la merlatura del tetto, è chiaro che ebbe un tempo il ruolo di fortezza: la sua particolare posizione permetteva ai monaci, fin dall’epoca normanna, di tenere d’occhio la valle che collegava il mar Tirreno allo Ionio. In base all’Atto di Donazione, scritto in greco nel 1116, che fu tradotto in latino da Agostino Lascaris, il conte Ruggero II D’Altavilla, durante un viaggio da Palermo a Messina, incontrò il monaco Gerasimo dell’ordine dei basiliani. Il frate chiese al sovrano normanno il consenso per edificare la chiesa e coltivare i campi nel territorio, ottenendo la facoltà anche di controllare un intero villaggio, dove oggi sorge il borgo di Forza D’Agrò. In seguito a un violento terremoto che colpì la Sicilia orientale nel 1169 la chiesa venne ristrutturata dall’architetto Gherardo il Franco, come si osserva dall’iscrizione in greco che appare nell’architrave del portale dell’edificio.

Le origini della costruzione risalgono però a epoche più remote. Il nucleo della chiesa è bizantino e può essere datato al 560 d.C. Il motivo a spina di pesce e l’alternanza del bianco e del nero delle pietre laviche dell’Etna nelle decorazioni esterne  sono alcuni degli elementi che si possono riconoscere di questo stile, evidente anche nella croce di tipo bizantino incisa nella porta di ingresso. All’elemento arabo, risalente alla fase di conquista islamica, è da ricondurre la forma caratteristica delle cupole e il disegno ad alveoli che sorregge quella che delle due copre il presbiterio. L’abside, rivolto verso est, assume all’esterno la forma di un torrione rettangolare, mentre ai lati dell’ingresso principale compaiono due torri, caratteristica, questa, delle grandi cattedrali normanne, come quelle di Cefalù e Monreale. All’interno invece la pianta si presenta a tre navate, con volta a crociera nelle navatelle e piana nella copertura centrale. Priva di elementi pittorici conservati, appare spoglia e raffinatamente decorata nella struttura in pietra. Pochi ruderi restano invece di quella che fu un tempo la biblioteca che costituiva parte dell’edifico annesso all’abbazia.

L’insieme di più stili, elemento che richiama la storia dei popoli che hanno colonizzato la Sicilia e la sua ambientazione silenziosa, oltre all’atmosfera sacrale che l’avvolge, fanno della Chiesa di San Pietro e Paolo D’Agrò un gioiello dell’architettura siciliana. Dopo che anche una richiesta ufficiale è stata avanzata per l’inserimento tra i siti UNESCO c’è da sperare che si prosegua nell’operazione di valorizzazione e promozione turistica dell’abbazia e del suo comprensorio. Attualmente la chiesa è accessibile al pubblico ed è possibile visitarla negli orari di apertura.

@FOTO DI Salvatore Cambria

Eulalia Cambria