Nietzsche è ancora vivo e probabilmente ascolta Jazz

Un gigante tra passato e presente

Sebbene sia ormai morto da quasi duecento anni, Friedrich Nietzsche ha scosso le fondamenta della Filosofia contemporanea, provocando grande divisione, nel corso degli anni, tra i suoi più accaniti sostenitori e coloro che non sopportano la brutale onestà con cui la sua oscura penna sputa sentenze sulla bianca carta dei libri.

Un solo aspetto del celebre filosofo nichilista riesce a mettere d’accordo tutti: egli rappresenta un punto di non ritorno nella storia della Filosofia. Il grande successo delle sue opere è sicuramente dovuto alla grande attualità dei temi affrontati: il modo che ha l’uomo di fronteggiare il dolore, la sottile linea che separa la fede cieca dall’illusione e il contrasto tra la morale imposta dalla società e la volontà del singolo individuo sono soltanto alcune delle tematiche che Nietzsche tratta nelle sue opere.

Possiamo dunque affermare che il pensiero di Nietzsche non va relegato al semplice studio accademico, bensì va considerato come un importante chiave di lettura per l’esistenza dell’essere umano in tutte le epoche.

L’apollineo contro il dionisiaco

Il concetto su cui si basa l’intera concezione che Nietzsche ha dell’universo che ci circonda è lo scontro tra l’apollineo e il dionisiaco.

Apollo era il dio greco delle arti e dei canoni, simbolo della razionalità umana. Dioniso era un dio introdotto dai greci nei loro culti a causa di influenze dei popoli asiatici con cui si sono rapportati nel corso del tempo.

Dioniso, a differenza di Apollo, non rispetta alcun canone. Non è razionale, bensì si abbatte sugli uomini come un vento impetuoso. Li spinge ad abbandonarsi ai loro istinti più primitivi, li fa sprofondare nella tentazione e li mette in contatto con la natura.

Inutile dire che la totale irrazionalità di Dioniso non può che divorare le fragili regole imposte da Apollo agli uomini.

Per Nietzsche, dunque, il mondo è stato, è e sarà sempre Dioniso e la sofferenza umana è dovuta dalla difficoltà che l’uomo ha ad accettare il disordine.

All’inizio del secolo scorso è nato un nuovo genere musicale che come tema centrale ebbe proprio il disordine: il Jazz.

Tra ordine e caos: il Jazz

Quando la popolarità di un nuovo genere musicale chiamato Jazz (si pensa il nome derivi da un vocabolo francese che richiama una sensazione di allegria e movimento) esplose a New Orleans, intorno al 1915, Friedrich Nietzsche era già morto da quindici anni.

Ci sono, però, incredibili somiglianze tra il messaggio contenuto nella filosofia di Nietzsche e la musica Jazz.

Questo nuovo genere musicale ha da subito colpito il pubblico per l’utilizzo di svariati virtuosismi e scale musicali alternative, capaci di suscitare nell’ascoltatore un grande senso di disordine e caos. Un richiamo verso gli istinti primordiali dell’uomo, un innato senso di movimento che getterebbe nella confusione anche la più razionale delle menti.

Il Jazz fa uso di un attento studio di scale musicali e virtuosismi per veicolare verso le orecchie dell’ascoltatore quella che è la natura umana: il disordine.

Proprio lo stesso senso di disordine e spaesamento si trova all’inizio del percorso che, secondo Nietzsche, deve portare l’uomo a diventare Übermensch, ovvero oltre-uomo.

La tappa iniziale di questo arduo cammino è segnata dalla morte di Dio, ovvero dalla morte di ogni certezza metafisica. Che essa sia una cieca fede in qualsivoglia religione o un’incrollabile fede nella scienza e nel progresso, ogni convinzione che serva a portare avanti il fragile ottimismo dell’uomo nei confronti della vita è destinata a crollare di fronte alla brutale verità. L’esistenza è sofferenza. L’uomo non può fare uso di alcun costrutto razionale per consolare sé stesso.

La musica come linguaggio universale

E coloro che furono visti danzare, vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica.

Nietzsche F., La gaia scienza e idilli di Messina

Con questo aforisma della Gaia scienza, una delle sue più celebri raccolte di aforismi, Nietzsche evidenzia innanzitutto la centralità della musica come linguaggio nell’esistenza umana.

Come affermato da lui stesso ne La nascita della tragedia, una delle sue prime opere, la musica è uno dei pochi mezzi di cui l’uomo dispone per «andare in concerto di fronte alla propria anima», comprendere sé stesso in modo autentico e senza alcun filtro esterno, libero dai dettami morali di una società schiava delle illusioni.

In un mondo in cui gli uomini cercano disperatamente la consolazione, tramite mezzi razionali che non hanno alcuna efficacia, la musica è un’arte comunicativa, svincolata dalla parola umana, che necessita della conoscenza preliminare di una lingua per essere compresa. Ma arriva in modo diretto all’ascoltatore, suscitando immediatamente sensazioni forti e innate nell’anima umana.

Proprio partendo dall’evoluzione nella concezione greca delle opere teatrali, Nietzsche effettua un’approfondita disamina del cambiamento del rapporto tra l’uomo e il disordine.

Mentre, in un periodo iniziale della produzione di tragedie in Grecia, l’uomo si rapportava in modo diretto e spietato col dolore, come vorrebbe il Dioniso, in un secondo momento la tragedia greca è stata appesantita da artifici scenici ed elementi narrativi come il deus ex machina. Greci hanno dunque provato ad introdurre Apollo nella loro produzione tragica, allontanandosi dalla comprensione della vita come puro caos.

Il viaggio dell’uomo: dal dolore all’accettazione

Risulta quasi immediato il passaggio della centralità del caos, come base dell’esistenza e della sofferenza, nella filosofia di Nietzsche, alla centralità del disordine e dell’apparente insensatezza nei componimenti Jazz.

L’aggettivo apparente non è usato in modo superficiale: c’è un attento studio schematico dietro la musica Jazz, proprio come c’è una parvenza di ragione nel caos della filosofia di Nietzsche.

Senza anni di teoria musicale e senza lo studio delle complicate scale che ne costituiscono le fondamenta, sarebbe impossibile comporre un pezzo Jazz.

Allo stesso modo Nietzsche individua una via di fuga dalla ripetitività della sofferenza nell’esistenza umana. Una volta constatato il tramonto di tutte le certezze (la morte di Dio), l’unico modo che ha l’uomo per andare avanti è costruire i propri valori, obbedire unicamente alla propria morale, in modo tale da diventare oltre-uomo. Tutto ciò deve avvenire secondo una ragione interna all’uomo, che apre le porte al concetto di prospettivismo: non esiste qualcosa di oggettivamente giusto, ma i concetti di buono cattivo dipendono dalla prospettiva soggettiva da cui vengono osservati.

Filosofia e musica: la cura per l’anima

Gli anni della pandemia e del lock-down hanno gettato la società nel silenzio più totale. Non si sentiva alcun veicolo circolare in strada, niente serate nei locali, nessun evento sociale che coinvolgesse grandi gruppi di persone. Il silenzio assoluto.

Noi, in quanto esseri umani, abbiamo provato un grande sconforto nel vedere una società figlia del positivismo e della razionalità collassare su sé stessa.

Tutto ciò che la ragione aveva costruito stava crollando davanti ai nostri occhi e noi non potevamo accettarlo.

Ciò che venne teorizzato da Nietzsche nel XIX secolo non fa che ripetersi ciclicamente. Le convinzioni che l’uomo costruisce tramite la ragione crollano una dopo l’altra al presentarsi di nuovi problemi, causandoci sofferenza.

Negli anni del covid-19, è stata proprio la musica ad avere un ruolo centrale nella vita della maggior parte della popolazione globale.

Nietzsche continua a spronarci a trovare il nostro equilibrio personale nel caos, e il mezzo più potente che abbiamo per farlo è sicuramente la musica.

Possiamo, dunque, concludere, alla luce della grande attualità del suo pensiero, che Nietzsche è ancora vivo e probabilmente ascolta Jazz.

Bibliografia:
Nietzsche F., Così parlò Zarathustra, Firenze, Giunti, 2021
Nietzsche F., Genealogia della morale, Trento, Rusconi, 2023
Nietzsche F., La gaia scienza, Milano, Adelphi, 1977
Nietzsche F., La nascita della tragedia, Milano, Adelphi, 1977
Nietzsche F., Tutto sarà allora Dioniso, Firenze, Giunti, 2023
Storia del Jazz: https://www.elegancecafe.it/storia-del-jazz-le-origini/?srsltid=AfmBOoo1hBV-T2HUjr8EJEswe2wLtnOsIL_4HW0Vbvl00RPX0mvD558y

 

Fabri Fibra è pronto a mettere ordine al “Caos” che lo circonda

L’album racchiude tutti gli elementi che caratterizzano la figura complessa del rapper: tecnica brillante, ironia, verità pura e semplice, linguaggio diretto – Voto UVM: 4/5

 

Dopo una lunga pausa è tornato l’artista che ha permesso al rap di sfondare in Italia. Sono infatti passati ben cinque anni dalla pubblicazione di Fenomeno, e Fabri Fibra sceglie di celebrare i suoi vent’anni di carriera con un nuovo full album: Caos.

Il disco è stato reso disponibile su tutte le piattaforme streaming musicali dal 18 marzo. Si sa che Fabrizio Tarducci, vero nome del rapper, non prova grande stima o simpatia nei confronti dei media tradizionali e in particolare della categoria giornalisti. Proprio per questo sceglie di raccontare e spiegare lui stesso l’album, attraverso una playlist apposita su Spotify con 17 file audio, uno per ogni traccia.

Sulla copertina di Caos, Fabri Fibra passeggia sulle spiagge di Grado. Fonte: Soundsblog

“Quanto successo devo fare per sentirmi amato?”

Questo è forse uno dei punti chiave dell’intero album. Il caos di cui Fibra parla non è solo quello che caratterizza la sua vita personale o il suo percorso artistico. È un caos generale, del mondo intero, presente ovunque: nella musica, nella politica e nei sentimenti.

L’album contiene 17 tracce e moltissime collaborazioni. Spiccano quelle con Marracash, Guè Salmo. Menzioni speciali meritano il brano Liberi con Francesca Michielin e la title track con Lazza e Madame. Ovviamente non poteva mancare il feat con Neffa, grande amico di Fibra, che compare in Sulla giostra.

La traccia che pubblicizza l’ultimo lavoro del rapper di Senigallia è Propaganda, in collaborazione con Colapesce e Dimartino. Il brano invita a riflettere sul comportamento di alcuni politici e sul loro modo di disilludere gli elettori. Caos si apre con un Intro, sul campionamento di “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, in cui Fibra ripercorre tutti i suoi vent’anni di carriera, e si chiude con un Outro, che racchiude i ringraziamenti sinceri dell’artista a tutti coloro che hanno lavorato con lui alla realizzazione dell’album.

L’energia dirompente di Fibra

I temi che Fibra affronta in questo nuovo lavoro sono tanti. Prima di tutto è palese la critica ad altri non ben definiti rapper (anche se possiamo facilmente immaginare a chi si riferisce), colpevoli di non essere autentici e di cercare solo fama e soldi. Ma la cosa che veramente disturba Fibra è il consumismo che caratterizza i nostri giorni e che sembra divorarci senza freni. Ne sono vittime anche i rapporti sentimentali che non possiamo più permetterci di vivere a pieno.

Con il successo arrivano anche coloro che vogliono approfittarsene ma Fibra non permette a nessuno di farlo. Anche le amicizie più vecchie e stabili risentono del successo ma, anche in questo caso, tutto è sotto controllo. A volte capita però che, nonostante l’armatura che il rapper si è costruito addosso, arrivino i momenti di sconforto. Questi non devono essere un blocco ma si devono accettare per quello che sono, senza vergognarsene.

Sono presenti anche brani di denuncia verso l’uso di sostanze stupefacenti. Il rapper analizza, in modo critico, gli effetti negativi che la marijuana produce e sottolinea che non c’è nulla di magico o speciale nel consumarla. Divora le tue emozioni e poi ti lascia vuoto, con l’illusione che ti riempia di energia e di vitalità.

Fabri Fibra in concerto. Fonte: Radio 105

In realtà Caos è un album così complesso e ricco di particolari che è impossibile racchiuderlo in una critica logica e sistematica. Già dal primo ascolto ti cattura e ti lascia senza fiato. Il rapper, in un file audio su Spotify, dice che ormai nessuno ascolta un disco dall’inizio alla fine, ed è vero. Io però vi consiglio di farlo e di ascoltarlo come se aveste davanti un film o, meglio ancora, una serie tv: il risultato finale è spettacolare.

Sarah Tandurella

Se questa è comunicazione… è una comunicazione del caos

È una continua lotta a chi la spara più grossa. L’eterna ricerca dell’opinione più risonante, più provocante. Tanta scena, poca sostanza. Tanti insulti, poca informazione. Tante parole scritte, dette, pubblicate, ma poca democrazia.

È sempre più raro trovare opinioni di matrice costruttiva. È sempre più, se ci fate caso, una gara a distruggere. Distruggere gli altri con un flusso di odio continuo e depredare la buona comunicazione dalle sue regole portanti.

In questo articolo, da addetta ai lavori, darò sfogo alla rabbia scaturita dalle tante storpiature ed orrori che ho avuto modo di analizzare in questi mesi complicati.

Il mondo della comunicazione sta vacillando perché ognuno sente di poter dire ciò che vuole, quando e come vuole.

Dalle persone più comuni, passando per i professionisti, le imprese, la scienza, per arrivare ai politici e alle istituzioni; non sono stati pochi gli strafalcioni che, voluti o meno, hanno minato gli equilibri e il diritto all’informazione.

Una riflessione questa scaturitami dall’addio all’Ordine dei Giornalisti da parte di Vittorio Feltri, il celebre quanto irritante direttore editoriale di Libero che – con il suo tono sempre poco accomodante (per usare un eufemismo) – ha motivato questa mossa dicendo che così potrà dire quello che vuole da libero cittadino.

Cari amici lettori, dire tutto ciò che si vuole non equivale a libertà di espressione. E, soprattutto, non porta da nessuna parte.

La comunicazione è “mettere in comune”. Non è irrompere nella sfera pubblica e privata parlando a vanvera, senza rispetto per l’altro. Per carità, che lo si faccia pure ma c’è una cosa da sapere… tutto ritornerà sempre in faccia come un boomerang.

È un po’ come cogliere alle spalle qualcuno e urlargli nelle orecchie. Non sentirà quello che avrete da dire e magari vi troverete una bella cinquina stampata in faccia.

Ci stiamo stancando di queste grida continue. Di questi “dibattiti” unilaterali che non hanno altro ruolo se non aumentare il caos informativo.

Siamo saturi di sentire Salvini fare propaganda in qualsiasi momento (Ah no?!), Sgarbi non perdere occasione per insultare e dare risalto al suo personaggio (guai a chi mi ripete ancora che è un uomo di “cultura”), Trump dire di fare iniezioni di disinfettante contro il Coronavirus, come se non avesse chi lo informa del fatto che è un’assurdità.

Passo senza troppi scrupoli dall’internazionale al locale e annovero anche il nostro sindaco Cateno De Luca tra gli esempi negativi del fare comunicazione: in questi mesi abbiamo assistito alle sue fittizie conferenze stampa che, in realtà, erano più soliloqui dagli echi autoritari, con eterna aria di sfida alle istituzioni. E tutto questo solo per arrivare dalla Barbarella di casa Mediaset e spopolare sui social su scala nazionale. L’ultima azione, di gravità inaudita, è stata, poi, quella di far diventare l’Ufficio Stampa del Comune – mezzo che dovrebbe essere totalmente neutrale – uno strumento di diffusione di informazioni scopi puramente personalistici a difesa della giunta che lo sostiene.

Ma anche gli insospettabili scienziati – che sembrerebbero disinteressati alla ribalta mediatica – ci hanno infarcito di ricerche, opinioni, supposizioni che ora erano la rivelazione e subito dopo venivano smentite da qualche altro membro di quella che dovrebbe essere “la comunità scientifica”. L’arena scientifica ha preso le sembianze dell’arena politica. Risultato? Forse meglio credere ai messaggini via whatsapp che dicono quello che gli altri ci nascondono.

Anche la comunicazione aziendale non se la passa bene e lo strafalcione della settimana passata se lo aggiudica Easy Jet con lo slogan paradossale, che recitava più o meno così: “scegliete la Calabria visto che non ci va nessuno a causa dei terremoti e della mafia”.  

Sono solo alcuni esempi degli ultimi tempi e i più rilevanti per la gastrite che hanno provocato alla sottoscritta. Siamo sommersi da opinioni non richieste dove personaggi pubblici e privati ricorrono ad indossare la maschera più ridicola e sfacciata per attirare l’attenzione ed emergere. Mi sembra di vivere continuamente nell’imbarazzo che provocano le opere pirandelliane. La differenza è che qui non si procede per paragoni estremi e stereotipie. È la realtà.

Comunicare ha delle regole che partono dall’ascolto e dalla riflessione. Comunicare non è solo avere un faro puntato addosso, bisogna avere anche qualcosa da dire che non sia solo “io io io”. La comunicazione è strategia, pianificazione. È costruzione. Di rapporti umani e fiducia.

A chi mi dice “ti dico tutto quello che voglio”, lo sapete come rispondo? Ma chi te lo ha chiesto!

La libertà di espressione è tale solo per i limiti che contempla. Il continuo scavalcarli sta portando come unico risultato il tracollo di tutti questi soggetti: sta cedendo loro il terreno sotto i piedi, insieme a tutti castelli in aria che si erano costruiti, i consensi estorti e la credibilità che non hanno mai avuto.

Martina Galletta

Sotto il cielo c’è una gran confusione.

Il caos regnava prima ed è solo aumentato col nuovo anno.

noemi554266_396001393827287_301528613_n-f7613La confusione è amica dei potenti, getta sabbia negli occhi della maggioranza e scredita gli “investigatori della verità”.
Il caos è mezzo favorito per difendersi spostando l’attenzione su fatti per i quali l’incidenza è teoricamente pesante e permettendo così di agire verso il fine reale.
Si attaccano prima i magistrati e il sistema giudiziario per poi passare alla stampa divulgatrice di falsità e costantemente opposta al potere di turno.
Lavoro non facilitato da quella cerchia di giornalisti e comuni cittadini che , un po’ per divertimento un po’ per la retribuzione , diffondono il falso e tendono alla calunnia. Questa è questione antica lo stesso Umberto Eco in una intervista con Livio Zanetti alla fine degli anni Novanta criticava certa stampa di titoli ingannevoli o falsi scoop.
C’è bisogno di buon senso di discernimento per destreggiarsi nel bombardamento di informazioni a cui siamo sottoposti quotidianamente, l’errore è comunque in agguato.

Mentre gli spettri della xenofobia e nuovi nazionalismi aumentano di forza e dilagano in Europa  in Italia c’è un’istinto di “coprirsi gli occhi”.
Il 1968, l’anno in cui Pier Paolo Pasolini teneva settimanalmente la rubrica “Il caos”  in cui documentava e rifletteva sulle questioni di quegli anni, sembra una realtà estranea da quella odierna.
La politica preferisce parlare di “scissioni” “dimissioni” “nuove elezioni” e non di compromessi in virtù di fini superiori e comuni.
Se una faccia della medaglia è l’ immobilismo politico dall’altra il caos : in mezzo mondo milioni di donne e uomini si ribellano, gridano no ai soprusi dei governi e aspirano ad un cambiamento, le piazze si riempiono e si fa politicaCrk-PPLWIAEtu4b

Hobsbawm nel suo “Secolo breve” che iniziava cronologicamente con lo scoppio della prima guerra mondiale parlava di fallimento di ideologie e presenza di uomini forti e terminava con la prima guerra del Golfo.
Il saggio si conclude con una riflessione  sulla possibilità di una implosione o esplosione della società conosciuta fino ad allora e avverte che il futuro non può essere una semplice continuazione del passato. 

Per i greci Χάος era un “immenso spazio vuoto”  l’opposto di ciò che è ora per noi, e per i filosofi il luogo in cui il si attinge per la formazione dell’ordine.
E’ in questo spazio vuoto che si inseriscono le novità.
La molteplicità può portare a soluzioni uniche ed adatte a sciogliere i nodi. Trovando i punti di contatto, eliminando il superfluo e il nocivo, tutto sta nella capacità della formazione sociale di “capare” il necessario. 

Il pluralismo può confluire in univocità : l’Europa può ridefinire gli elementi fondamentali e proporre adeguati modelli meritevoli del suo eterno (fino ad ora) soprannome  di  “patria della democrazia”.

Arianna De Arcangelis