Allarme in Sicilia: la siccità continua a peggiorare

La Sicilia sta attraversando un gravissimo periodo di siccità, per il quale la Regione ha dichiarato lo stato d’emergenza. Le piogge della seconda metà del 2023 e degli ultimi mesi sono state molto scarse e non hanno permesso un sufficiente riempimento degli invasi in molte aree della regione.

Le reti di fornitura idrica hanno già annunciato nuovi razionamenti che riguarderanno più di un milione di abitanti dell’isola: è interessato quasi un centinaio di comuni delle province di Palermo, Trapani, Enna, Caltanissetta, Messina, Catania e Agrigento. La Sicilia rappresenta infatti una delle poche zone rosse secondo l’European Drought Observatory: altre aree analoghe si trovano in Marocco, Algeria e sulla costa orientale spagnola.

In estrema difficoltà sono soprattutto il settore agricolo e zootecnico. Il riempimento degli invasi dell’isola, secondo l’Autorità di Bacino del Distretto Idrogeografico di Sicilia, è inferiore del 30% rispetto all’anno scorso, il cui dato era già di per sé scoraggiante. Gli agricoltori hanno difficoltà ad irrigare le colture, mentre gli allevatori accusano la sofferenza degli animali a causa della mancanza di foraggio verde e scorte di fieno, danneggiate dalle anomale precipitazioni della scorsa primavera. I primi razionamenti sono iniziati nella provincia di Palermo, quando l’invaso Fanaco ha raggiunto un riempimento pari a un decimo del totale. Successivamente, sono stati coinvolte altre cinque province dell’isola.

(Flickr)

I dati delle piogge

Secondo il SIAS, il Servizio Informativo Agrometereologico Siciliano, la seconda metà del 2023 è stata la meno piovosa rispetto ai medesimi periodi dal 1921. In particolar modo il dato di ottobre è fra i più preoccupanti, poiché le precipitazioni cumulative sono state inferiori del 93% rispetto alla media 2002-2022.

Nonostante nel 2023 siano stati calcolati circa 600mm di precipitazioni cumulative, non dissimili dalla media degli scorsi anni, le forti asimmetrie pluviometriche non hanno garantito un buon riempimento di dighe e laghi artificiali. Circa un terzo della pioggia dello scorso anno è infatti caduta nel solo periodo maggio-giugno. Quando le precipitazioni si concentrano su un’unità di tempo così piccola, il terreno non riesce ad assorbire efficientemente l’acqua, né riescono a riempirsi gli invasi, i quali hanno bisogno di un’alimentazione costante e graduale. L’acqua finisce quindi per disperdersi, correndo veloce verso il mare o causando alluvioni. Le forti piogge, inoltre, danneggiano gravemente colture e riserve di fieno da destinare agli allevamenti.

Questi modelli anomali di precipitazioni, insieme al rialzo termico di questo inverno, sono sempre più frequenti a causa degli effetti dei cambiamenti climatici. A questi si sommano le gravi carenze strutturali della rete idrica siciliana, le cui perdite si aggirano intorno al 50%. Inoltre l’isola, come il resto del Sud Italia, è fra le meno fornite di impianti in grado di filtrare le acque reflue da riutilizzare nell’irrigazione.

(Flickr)

I pericoli dell’estate

Il continuo permanere del terreno in stato siccitoso espone a un maggior rischio di incendi, a causa della presenza di vegetazione secca infiammabile. A ciò contribuiscono inoltre le alte temperature estive degli ultimi anni. L’agenzia Copernicus ha rilasciato lo scorso Gennaio un’immagine satellitare molto esplicativa della situazione.

L’estate scorsa la Sicilia è stata già protagonista di vastissimi roghi che anche quest’anno minacceranno la sicurezza ambientale della regione. Da Roma, tuttavia, non è arrivato il benestare per la definizione di quegli incendi come “calamità naturale”, che avrebbe dato al governo regionale maggiori poteri amministrativi nella gestione della crisi. La giunta Schifani ha comunque dichiarato lo stato d’emergenza per la siccità, potendo così nominare Leonardo Santoro, tuttora presidente dell’Autorità di Bacino, come incaricato nella gestione della crisi. Sono stati poi stanziati circa 150 milioni di euro per gli interventi più urgenti, ma è chiaro che la soluzione al problema richiederà una gestione nel lungo termine con impegno di tutti gli enti territoriali. Serviranno nuovi laghi artificiali, ammodernamento della rete idrica e riutilizzo delle acque reflue.

La crisi climatica non cede infatti il suo passo, e sembra essere ancora più aggressiva nel bacino del Mediterraneo. Ci costringe a ripensare il nostro territorio, che cambia in maniera molto veloce ed espone tutte le nostre fragilità.

(Flickr)

Francesco D’Anna

L’Unione Europea taglia sul carbone russo. Si pensa ad embargo anche su petrolio e gas

Ieri sera, durante una riunione dei suoi ambasciatori, l’Unione Europea ha approvato il quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tra queste spicca l’approvazione dell’embargo al carbone russo. Si tratta di una misura presa in considerazione e auspicata già settimane fa, ma che arriva in seguito alle pressioni derivanti dai sospetti di crimini di guerra perpetrati negli ultimi tempi in Ucraina dall’esercito russo. Così ha commentato la proposta la Presidente della Commissione UE Ursula Von Der Leyen «che – aggiunge – costerà circa quattro miliardi di euro l’anno».

La proposta della Commissione prevedeva, inoltre, il divieto a navi ed autotrasportatori russi di entrare nei territori dell’Unione, con alcune eccezioni per determinati prodotti agricoli, aiuti umanitari ed energetici. Quest’ultimo punto è stato accolto nel pacchetto definitivo di sanzioni, cui si aggiunge l’incremento di personalità russe inserite nella black list europea e ulteriori divieti dal valore di circa 15,5 miliardi.

La prima stilettata all’energia russa

L’embargo sul carbone rappresenta un primo colpo all’energia russa, ossia il punto più discusso in materia di sanzioni. L’Unione Europea (ed in particolare l’Italia, assieme alla Germania) ha una forte dipendenza dalle fonti di energia importate dalla Russia, soprattutto dal suo gas naturale e dal petrolio. Ma gli ultimi eventi – ed in particolare il massacro di civili verificatosi a Bucha – hanno compattato la linea UE verso l’inasprimento delle sanzioni. Chiarisce la Presidente della Commissione Von Der Leyen:

Queste atrocità non possono e non rimarranno senza risposta.

D’altronde, lo stesso Premier italiano Draghi ha aperto alla possibilità di un embargo (oltre che sul carbone) sul gas russo, con un già “rinomato” quanto criticato aut-aut:

Preferite la pace o il condizionatore acceso?

Ma ad ogni modo – chiarisce il Premier – sarà l’Unione a decidere. Una linea, quella dell’Esecutivo, sempre più certa sul da farsi, a discapito delle voci di diverse aree del Parlamento che invitano alla negoziazione, anziché alle sanzioni e all’invio di armi a favore della difesa ucraina.

E l’embargo sul carbone trova l’accordo anche della Germania, che fino ad ora si era duramente opposta (assieme all’Ungheria di Orbán) allo stop collettivo di tutte le importazioni di energia russa. Il Ministro della Finanza tedesco Christian Lindner aveva infatti suggerito di considerare separatamente petrolio, carbone e gas, poiché la velocità per la sostituzione dei fornitori potrebbe variare.

Ed infatti, opponendosi ancora aspramente all’embargo sul gas, ha affermato:

Ci troviamo davanti ad un criminale di guerra, è chiaro che dobbiamo porre fine ai legami economici con la Russia il prima possibile, ma il gas non potrebbe essere sostituito nel breve periodo. Farebbe più male a noi che a loro.

(fonte: au.sports.yahoo.com)

Stop all’energia russa sì, ma quando?

Corre veloce la Francia, che col suo Ministro dell’Economia Bruno Le Maire, si ritiene «pronta ad uno stop alle importazioni non solo di carbone, ma anche di petrolio russo». Ed aggiunge:

La realtà è che bloccare le importazioni di petrolio dalla Russia è la cosa che le farebbe più male.

Tuttavia, anche La Maire riconosce l’importanza di un intervento a livello comunitario, più che nazionale. «Importante convincere anche gli altri Stati membri».

Peraltro, lo stop a tutte le importazioni energetiche da Mosca non è tra i piani a breve termine dell’Unione. Né lo stop immediato al carbone: la Germania ha infatti ottenuto di posticipare di quattro mesi l’entrata in vigore del divieto, in modo tale da realizzare il piano nazionale per l’indipendenza dal carbone russo entro l’estate. «Se rimandassimo indietro quelle navi [che trasportano carbone] rischieremmo di non averne abbastanza», ha detto di recente il vicecancelliere tedesco Robert Habeck. (Il Post)

Ad ogni modo, testate come EuroNews hanno immaginato le possibili conseguenze di uno stop alle forniture di gas russo: tra le soluzioni proposte, quella di ricorrere al gas naturale liquefatto importato dagli Stati Uniti.

Sostituire il carbone russo e ridurre le emissioni

È possibile che tagliare il carbone russo non faccia poi così male: dopotutto – afferma Bloomberg – già prima delle sanzioni le compagnie energetiche europee faticavano a trovare il suddetto carbone, anche per via delle banche che ne negavano i finanziamenti. Nota il centro di studi Bruegel, poi, che le importazioni di carbone a livello europeo erano calate drasticamente dai 400 milioni di tonnellate nel 1990 ai 136 milioni nel 2020.

Sostituire il carbone russo non sarà difficile, ma sarà più costoso: i principali esportatori sono infatti Australia Indonesia, Paesi molto più distanti dall’Europa rispetto dalla Russia. Si tratterà di aumentare i costi di spedizione.

(fonte: balkaninsight.com)

Infine, si tenga a mente l’impegno delle varie città europee verso la decarbonizzazione, uno degli obiettivi da raggiungere entro il 2050 per evitare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico. Secondo un report della Commissione Europea, gli edifici europei sarebbero responsabili di circa il 40% delle emissioni comunitarie e del 36% delle emissioni di gas serra.

Ottimizzare l’efficienza energetica rappresenta, quindi, la chiave per l’obiettivo “zero emissioni”: secondo Caterina Sarfatti, direttrice dell’azione della C40 Climate Leadership Group, permetterebbe anche di risolvere il crescente problema della povertà energetica in Europa. Politico ha delineato una serie di azioni che aiuterebbero nel raggiungimento di tale scopo a livello cittadino.

Valeria Bonaccorso

Una Conferenza internazionale per il Mediterraneo. Draghi: “Proteggere i più deboli con corridoi umanitari”

«Proteggere i più deboli anche attraverso la promozione di corridoi umanitari dai Paesi più vulnerabili e rafforzare i flussi legali, che sono una risorsa e non una minaccia per le nostre società», ha affermato il Presidente del Consiglio Mario Draghi nel corso della settima edizione della Conferenza Rome MED – Mediterranean Dialogues, promossa a partire dal 2015 dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dall’ISPI.

“Un’agenda positiva” per il Mediterraneo

Dal 2 al 4 dicembre 2021 si svolge a Roma in modalità ibrida – con partecipazioni sia fisiche che virtuali, anche attraverso lo streaming –la Conferenza nata per discutere del futuro del partenariato euro-mediterraneo, del ruolo della Nato e dell’Unione Europea nel Mediterraneo. Ed è proprio sul ruolo centrale di quest’ultimo che il Premier, nel proprio intervento, ha ribadito la necessità di un coinvolgimento dell’Unione Europea:

Il Mediterraneo non sia solo il confine meridionale dell’Europa, ma il suo centro culturale ed economico. Serve un maggiore coinvolgimento di tutti i Paesi europei, anche nel Mediterraneo.

Il Rome MED si basa su quattro pilastri: prosperità condivisa, sicurezza condivisa, migrazione e società civile e cultura. Tra gli oltre 50 ministri partecipanti: il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio, nonché i maggiori esponenti dell’Unione Europea (come l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell) e delle Nazioni Unite; si aggiungano il Vice Segretario Generale della NATO Mircea Geoana ed alcune tra le personalità più influenti del Golfo Persico.

Oltre che il ruolo del Mediterraneo, saranno oggetto della conferenza anche i flussi migratori, le elezioni democratiche in Libia, le risorse naturali, la situazione nelle regioni del Maghreb (Africa nord-occidentale che si affaccia sul Mediterraneo) e del Sahel (Africa centrale), il Golfo Persico come perno degli equilibri mediorientali, nonché le tensioni tra Israele e Palestina – la richiesta del Premier Draghi, in questo caso, è di dare nuovo impulso agli sforzi internazionali a favore del processo di pace.

Flussi migratori e il ruolo della Libia

«L’Italia sostiene con convinzione il processo di transizione politica e pacificazione della Libia», ha affermato Draghi nel suo intervento, «Siamo ormai vicini alle elezioni del 24 dicembre: un appuntamento cruciale per i cittadini libici e per il futuro della democrazia nel Paese. Il mio appello a tutti gli attori politici è che le elezioni siano libere, eque, credibili e inclusive».

(fonte: repubblica.it)

La Libia rappresenta uno dei principali attori del Mediterraneo nell’ambito delle missioni di ricerca e soccorso dei naufraghi in mare e della gestione dei flussi migratori. La sua situazione delicata la pone spesso in dibattito con i principali interlocutori dell’Unione, ma soprattutto con le ONG che si occupano del salvataggio dei migranti in mare. Ad oggi, la Libia non ha ancora ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (1951) e sui relativi diritti che dallo status ne derivano. La controversa posizione nell’ambito del rispetto dei diritti umani sembrerebbe poi porla in contrasto con l’art. 3 della CEDU sul divieto di tortura e trattamenti disumani, cui gli Stati dell’Unione sono obbligate a sottoporsi. Dall’impossibilità d’individuare la Libia come zona di sbarco sicuro ne derivano contrasti tra le ONG che rifiutano la giurisdizione di quest’ultima e gli Stati Europei che si affacciano sul Mediterraneo (come Italia, Malta).

Le parole di Draghi sul Golfo Persico

«Nel Golfo Persico, dopo anni di polarizzazione, assistiamo con interesse a nuove dinamiche cooperative. Come Italia abbiamo investito molto sulle opportunità in tal senso offerte dall’EXPO Dubai. Con l’Iran manteniamo un dialogo esigente, ma costruttivo, anche per quanto riguarda la non proliferazione del nucleare. Il nostro impegno in Iraq è rilevante. Contribuiamo al processo di graduale espansione della missione NATO, di cui assumeremo il comando per un anno a partire dal prossimo maggio». In questa zona del Medio Oriente, Russia e Turchia hanno giocato principalmente la carta militare, mentre Pechino ha rafforzato la sua presenza economica, diventando un partner chiave per molti paesi della regione.

Un dialogo difficile con l’Unione

Tra i punti principali dell’intervento del Presidente del Consiglio, anche l’esigenza di una collaborazione tra i Paesi del Mediterraneo che non si limiti ai rapporti bilaterali, né si esaurisca nella gestione delle crisi; ma anche una politica energetica condivisa per favorire lo sviluppo sostenibile. Tuttavia, il tragitto per un aperto dialogo con l’Unione per le questioni di principale interesse del bacino Mediterraneo (soprattutto sulla questione dei flussi migratori) sembra aspro e tortuoso: sono ancora innumerevoli le tensioni avvertiti ai confini con l’Europa dell’Est, ove ancora migliaia di persone sono bloccate al confine tra Polonia e Bielorussia nel tentativo di emigrare verso il territorio dell’Unione. Intanto, la Russia continua ad operare pressioni militari sull’Ucraina.

(fonte: ilvaloreitaliano.it)

Alcuni giorni fa, al forum dell’Unione per il Mediterraneo (UpM) di Barcellona, l’Alto Rappresentante dell’Unione Josep Borrell aveva affermato:

Il Mediterraneo non può essere solo sinonimo di migrazioni, bensì anche uno strumento di cooperazione in quanto rappresenta la porta d’ingresso dell’Africa. Oggi nel Mediterraneo ci sono troppi conflitti e instabilità politica, a volte sembra più una frontiera che separa due mondi con enormi differenze economiche e sociali che non un nesso di unione.

Nella giornata di ieri sono stati infine approfonditi temi strategici come il ruolo dei giovani e delle donne e il loro contributo alla crescita sociale ed economica, il peso economico delle infrastrutture, la complessità della questione migratoria, il ruolo strategico della cyber security, e il contributo della società civile nelle società mediterranee.

Valeria Bonaccorso

 

COP26: stop alla deforestazione entro il 2030

E’ stato raggiunto un accordo, lunedì 1 novembre, durante la COP26 (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) iniziata a Glasgow il 31 ottobre, sotto la presidenza del Regno Unito: fermare la deforestazione, nei 100 Paesi firmatari, entro il 2030. Il patto è molto importante, se si considera che in questi Paesi è presente l’85% delle foreste mondiali. Tra i firmatari della “Dichiarazione di Glasgow su foreste e terra” anche Stati Uniti, Russia, Brasile e Cina. Il loro contributo è di vitale importanza, in quanto si tratta delle economie più forti del mondo e di Paesi che ospitano le più grandi foreste mondiali. Per promuovere politiche volte a fermare la deforestazione, saranno stanziati 12 miliardi di dollari pubblici, ai quali si aggiungeranno altri 7 miliardi da parte di società private. Nonostante il buon risultato, però, decine di migliaia di attivisti sono arrivati a Glasgow per far pressione sulla Conferenza. Alla loro guida Greta Thunberg che, arrivata nel Regno Unito lo scorso sabato, guiderà venerdì una manifestazione di protesta. Intervistata dalla BBC, ha ribadito l’importanza di non mollare, affermando che “a volte dobbiamo far arrabbiare la gente” per difendere ciò in cui crediamo. La Conferenza terminerà il 12 novembre.

L’attivista Greta Thunberg a Glasgow (fonte heraldscotland.com)

I tre grandi obiettivi della COP26

Alla chiusura del G20, tenutosi a Roma, i Paesi partecipanti non sono riusciti a trovare un valido accordo sul clima. È, quindi, di vitale importanza la Conferenza che si sta tenendo in questi giorni a Glasgow. I tre obiettivi da raggiungere sono: mantenere il riscaldamento del pianeta intorno a 1,5 gradi centigradi (rispetto ai livelli pre-industrializzazione), come previsto dagli accordi di Parigi del 2015; un intervento finanziario dei Paesi più sviluppati nei confronti di quelli più poveri, con il compito di consegnare cento miliardi di dollari l’anno, a partire dal 2022; adottare un insieme di regole scientifiche che permetteranno di misurare le emissioni che alterano il clima. Sugli obiettivi da raggiungere si è espresso anche il Premier italiano, Mario Draghi:

“Mentre pianifichiamo i nostri prossimi passi, dobbiamo porci obiettivi concreti. Questo percorso richiede creatività, ambizione e una sana pianificazione economica. Sono orgoglioso degli sforzi compiuti dall’Italia e dall’Unione Europea attraverso il programma Next Generation EU. Gli Stati membri hanno deciso di trasformare la pandemia in un’opportunità. Abbiamo avviato una serie ambiziosa di riforme e investimenti. Intendiamo accelerare la transizione ambientale nelle nostre economie e rendere la crescita più equa e sostenibile”.

Il premier Draghi a Glasgow (fonte agi.it)

 

Il Premier ha, inoltre, sottolineato l’importanza di coinvolgere le banche multilaterali di sviluppo e la Banca Mondiale, invitandole a impegnarsi nella condivisione dei rischi con il settore privato. Draghi ha parlato anche delle ripercussioni che il cambiamento climatico ha su pace e sicurezza globali: l’esaurirsi di risorse naturali fa aggravare le tensioni sociali, può portare a nuovi flussi migratori e contribuire all’aumento di terrorismo e criminalità organizzata.

USA, Germania, Cina: gli interventi dei leader

Il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, durante il suo discorso alla COP26, ha riconosciuto la grande responsabilità che il suo Paese può avere nel dare l’esempio. La sua speranza è quella di trasformare la più grande economia del mondo in una delle più innovatrici per energia pulita:

“Quello che faremo è ridurre le emissioni del 50-52% rispetto al 2005 entro il 2030. La mia amministrazione sta lavorando incessantemente dimostrando che queste non sono parole ma azioni. Puntiamo all’obiettivo di 1,5 gradi entro il 2030, trasformando la più grande economia del mondo nella più innovatrice. Ecco perché oggi abbiamo un programma per arrivare a emissioni zero entro il 2050”.

La proposta della cancelliera tedesca, Angela Merkel, è quella di far pagare un prezzo per le emissioni di Co2. Questo spingerebbe le industrie dei Paesi ad adottare migliori tecnologie per raggiungere la neutralità climatica. La speranza della Merkel è quella di raggiungere un mondo a emissione zero, speranza che può diventare realtà, secondo lei, solo se si blocca il finanziamento internazionale di elettricità generata dal carbone.

Anche il presidente cinese, Xi Jinping, seppur non fisicamente presente alla Conferenza, ha invitato tutti i Paesi a “intraprendere azioni più forti per affrontare insieme la sfida climatica”. Per il leader, gli effetti negativi del riscaldamento globale sono sempre più evidenti e l’urgenza di un’azione globale continua a crescere.

Un altro importante intervento è quello della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che scrive così in un tweet:

“La Cop26 è un momento di verità per i nostri piani per fermare il cambiamento climatico. L’Europa si impegna a essere il primo Continente neutrale dal punto di vista climatico al mondo e unire le forze con i suoi partner per un’azione per il clima più ambiziosa. La corsa globale per lo zero netto entro la metà del secolo è iniziata”.

L’UE si impegnerà per ridurre del 30% le emissioni di gas metano e per finanziare tecnologie green:

“Dobbiamo mobilitare fondi per il clima per sostenere i Paesi vulnerabili per adattarsi. L’Ue contribuirà in pieno per raggiungere i nostri obiettivi globale sull’adattamento. Con quasi 27 miliardi di dollari nel 2020, Team Europe è già il maggior fornitore di finanziamenti per il clima, di cui la metà per l’adattamento”

Beatrice Galati

 

Giornata Nazionale degli Alberi: il contributo di Messina

 

Letteraemme.it

 

Cavalcando l’onda della sensibilizzazione sul cambiamento climatico anche la nostra città aderisce ad iniziative green.

Stiamo parlando della Festa dell’albero, indetta dal Circolo Legambiente dei Peloritani in collaborazione con l’Istituto comprensivo “Enzo Drago” e l’assessorato al Verde urbano del Comune di Messina.

Nella giornata di giovedì 21 infatti gli studenti della stessa scuola hanno piantato 12 melograni a Villa Dante, nella zona di Provinciale.

Tempostretto.it

 

Presente all’evento anche l’agronomo Saverio Tinnino, il quale si è complimentato con i giovani invitandoli a “continuare a curare gli alberi per tutto l’anno”.

In seguito i ragazzi hanno creato un inventario, con l’ausilio di Qr Code e schedari, di tutti gli alberi presenti nella villa comunale.

Piccoli impegni, questi, favoriti dalla riconosciuta importanza alla necessità di prenderci cura del nostro pianeta.

Un bisogno particolarmente sentito dai giovanissimi, dal centro mediatico di Greta Thunberg fino ai ragazzi delle scuole medie della nostra città, nella speranza di poter fare la differenza.

 

Angela Cucinotta

Dentro i reali meccanismi del cambiamento climatico

Il 24 maggio c’è stato il secondo sciopero nel giro di pochi mesi organizzato dal movimento Fridays for Future di cui la giovane Greta è diventata simbolo e portavoce in difesa della nostra Casa, l’ambiente. Ma cos’è realmente il climate change che desta tanta preoccupazione nei tecnici del settore e in che modo e misura la specie umana ne è responsabile?D’altronde differenti ere climatiche si susseguono dagli albori del pianeta Terra, accompagnandosi ad enormi e radicali variazioni nell’ambiente. Cos’è diverso adesso? Cerchiamo di capire quali siano gli indicatori del cambiamento climatico che ci intimoriscono maggiormente, di comprendere uno dei più semplici modelli matematici sul clima, l’Energy Balance Models (EBMs), e quali implicazioni e previsioni questo porti con sé.

Partiamo da noi. Abitiamo questo Pianeta nel periodo definito postwurmiano, un’epoca interglaciale che ha inizio circa 10.000 anni fa. All’interno di ciascun periodo geologico ci sono però ampie oscillazioni, le fasi stadiali, così ad esempio l’optimum climatico è stato raggiunto nel “periodo caldo medievale” (PCM) al quale si è succeduta, a partire dal XIV secolo, la “piccola era glaciale” (PEG) che ha permesso a generazioni di illuministi e romantici di pattinare su un Tamigi totalmente congelato (ma pare, per gli storici, essere anche stata causa di rilevanti carestie). Dal 1850, dall’inizio della rivoluzione industriale, però la temperatura è in costante aumento. Osserviamo quindi alcuni indicatori utilizzati dagli esperti per definire il benessere di questi cambiamenti, cioè se siano un’oscillazione fisiologica e quindi una normale fase stadiale, o meno, e quanto l’attività umana vi contribuisca.

  1. Aumento della Temperatura o Global Warming

Il primo indicatore del cambiamento climatico è proprio la temperatura in aumento. In immagine vediamo la ricostruzione delle anomalie della temperatura rispetto allo zero (optimum climatico, al quale il PCM tende) effettuata per gli ultimi duemila anni e, con una lente d’ingrandimento, dal 1880 ad oggi. La prima immagine prende il nome di “hockey stick”per la somiglianza ad una mazza da hockey, dovuta al brusco incremento di temperatura media che ha inizio nella seconda metà del XIX secolo. Il secondo grafico mostra ripetute oscillazioni, ma è chiaro il trend in costante aumento degli ultimi 150 anni.

  1. Riduzione del Mar Glaciale Artico

Il ghiaccio del Mar Glaciale Artico è diventato più sottile di circa il 43% negli ultimi 25 anni, raggiungendo il valore record di minima espansione invernale il 7 marzo 2017 (NASA). Il Mar Artico infatti subisce variazioni stagionali, estendendosi verso sud nei mesi invernali. Dall’altro capo del mondo, l’oceano antartico invece aumenta in volume, ma non è nulla di rassicurante perché ciò è dovuto alla perdita di ghiacciai dalla Penisola Antartica.

  1. Innalzamento del Livello del Mare

Diretta conseguenza della perdita di ghiacciai ai poli è l’innalzamento del livello del mare che pone a rischio tutte le zone costiere. Anche l’aumento della temperatura media globale gioca un ruolo importante, determinando l’espansione del volume dell’acqua.

  1. Anidride Carbonica Atmosferica

Altro indicatore è la concentrazione di anidride carbonica atmosferica. A partire dal 1960 i livelli di CO2 in atmosfera misurati in ppm mostrano rapide oscillazioni, ma il trend è in continuo aumento, superando nel 2015 soglia 400. I livelli raggiunti non sono in realtà una novità per il Pianeta, che ha conosciuto in ere geologiche passate concentrazioni ugualmente e più elevate, ma l’incredibile parametroda tenere in considerazione e a destare timoreè il rate dell‘incremento, ovvero la velocità con cui i livelli di CO2 aumentano.Esiste peraltro una stretta correlazione fra l’incremento di CO2 e della temperatura, sebbene ci siano letterature discordi su quale sia la causa e quale l’effetto. Secondo l’Energy Balance Models, l’accumulo nell’atmosfera di anidride carbonica e di altri gas costituirebbe uno schermo alle radiazioni emesse dalla Terra, favorendone il suo surriscaldamento. La maggior quota di CO2 è prodotta dall’attività umana e cioè dalla combustione di combustibili fossili. Un secondo gas serra in aumento è il metano che trova una delle sue principali sorgenti negli allevamenti intensivi. L’uomo è quindi uno dei principali attori protagonisti in questa storia.

Ma in che modo possiamo utilizzare questi indicatori e informazioni per proiettarci nel futuro? L’Energy Balance Models è un modello climatico sempliceche considera la Terra come un corpo nero che, dotato di specifica temperatura (T), riceve ed emette radiazioni. Conoscendo quindi poche variabili: l’energia radiante emessa dal sole (S), l’albedo (a; cioè la frazione di questa energia riflessa dalla Terra) e l’emissività (e) della Terra è possibile calcolare la temperatura del corpo ed effettuare previsioni sul suo andamento nel futuro.

Considerando:            Calore assorbito = (1-a)S    Calore irradiato = eσT^4con σ=k Boltzmann;  uguagliando i termini e risolvendo l’equazione per T, si può ottenere la temperatura   in un dato momento, funzione del calore assorbito e di quello emesso dalla Terra. Si calcola che una diminuzione nelle radiazioni emesse, come avviene in seguito all’accumulo di gas serra nell’atmosfera che schermano tali radiazioni, si accompagna ad un incremento significativo nel valore di T, dimostrando una correlazione diretta fra l’aumento dei gas serra e l’aumento della temperatura.  Ciò avrebbe effetto sinergico con la perdita dei ghiacciai, che contribuiscono in larga parte alla riflessione delle radiazioni solari “rinfrescando” la temperatura media globale. La perdita della riflessione da parte dei ghiacciai comporterebbe un ulteriore aumento della temperatura.

Minime variazioni della temperatura media sono associate a notevole incremento della probabilità che si verifichino eventi climatici estremi(relazione esponenziale), come confermato dalla aumentata incidenza di eventi catastrofici negli ultimi decenni. Precipitazioni estreme e inondazioni potrebbero pertanto diventare in futuro ancora più frequenti, la perdita dei ghiacciai e l’immissione in mare di acqua nuova potrebbero alterarne la salinità provocando sconvolgimenti negli ecosistemi polare e marino, oltre alla distruzione di città costiere.

L’homo sapiens è la prima specie animale in grado di comprendere il potere e le conseguenze delle proprie azioni. Il cambiamento climatico è reale e una donna di 16 anni ha già urlato al mondo una richiesta di aiuto. In molti percepiscono la responsabilità ed hanno risposto, accorrendo nelle piazze a protestare per richiedere che l’innalzamento della temperatura si attesti al di sotto di 1.5C, valore soglia, per fermare le nazioni nell’utilizzo dei combustibili fossili, per cambiare la storia del clima del Nostro Pianeta. We have come here to let you know that change is coming, whether you like it or not. The real power belongs to the people”(Greta Thunberg).

Mattia Porcino

Fonti:

https://www.nasa.gov/feature/goddard/2018/arctic-wintertime-sea-ice-extent-is-among-lowest-on-record

https://www.nature.com/articles/ngeo1327?cacheBust=1508262790376