Boris Johnson fa dietrofront su Brexit: pronta una proposta di legge contraria agli accordi con l’Unione Europea

Boris Johnson, a capo del governo britannico, ha avanzato una proposta di legge sullo status commerciale dell’Irlanda del Nord, che va in contrasto con gli accordi precedentemente presi con l’Unione Europea. Se la proposta di legge fosse approvata, violerebbe un trattato internazionale.

La situazione dell’Irlanda del Nord

Il governo inglese non intende rispettare gli accordi presi con l’Unione Europea in seguito alla Brexit riguardo la posizione commerciale dell’Irlanda del Nord. Infatti, il paese, che fa parte del Regno Unito, rimane nel mercato comune europeo e nell’unione doganale, quindi rispetta gli standard qualitativi europei e lascia all’Europa la gestione dei controlli sulle merci. Questo, d’altronde, è quello che prevede il Protocollo dell’Irlanda del Nord, uno dei punti dell’accordo Brexit. Tale misura è ritenuta necessaria se si vuole evitare l’interruzione dei rapporti con l’Irlanda, la quale fa parte dell’Unione Europea. Non vogliamo assistere, infatti, a situazioni simili a quelle avvenute dopo la seconda guerra mondiale: episodi di violenza e lotta armata tra Irlanda e Irlanda del Nord, risolti poi con gli accordi di pace del Good Friday Agreement del 1998.

La proposta di legge

A causa della posizione commerciale dell’Irlanda del Nord, le merci che arrivano dal Regno Unito sono sottoposte a controlli e pratiche burocratiche che possono durare anche giorni, creando difficoltà alla popolazione di questa terra di mezzo. Così, il Regno Unito ha proposto una legge per alleggerire il carico di controlli: Johnson vuole creare una “corsia verde” e una “corsia rossa”. La prima per le merci provenienti dalla Gran Bretagna dirette in Irlanda del Nord, in modo che i controlli siano ridotti quasi a zero e quindi ci sia un lasciapassare. La seconda per le merci dirette nell’Unione Europea, che, invece, dovrebbero subire tutti i controlli del caso. Questo, chiaramente, violerebbe gli accordi con l’Europa.

Una corsia verde farebbe arrivare la merce in Irlanda del Nord senza alcun controllo; una volta giunta su questo territorio – che ricordiamo far parte del mercato europeo – nessun controllo sarebbe più richiesto per entrare nei territorio dell’Unione. Ciò, in poche parole, significherebbe che le merci del Regno Unito possono entrare tranquillamente all’interno dell’Unione Europea anche senza rispettare i suoi standard e il suo regime fiscale.

Le proposte di Boris Johnson non sono finite qui. Il governo britannico vorrebbe applicare all’Irlanda del Nord le stesse agevolazioni fiscali di cui beneficiano le regioni del Regno Unito: in questo modo la merce giungerebbe in Irlanda del Nord e quindi sul mercato europeo a prezzi stracciati. Inoltre, vorrebbe che fosse un un arbitrato indipendente a risolvere le controversie tra Regno Unito e Unione Europea, e non la Corte di Giustizia dell’Unione, com’è invece previsto dal protocollo su alcuni argomenti particolari.

Bandiere del Regno Unito, dell’Unione Europea e dell’Irlanda (Fonte: lawyersforbritain.org)

La precedente proposta dell’Unione

L’Unione Europea, nell’ottobre 2021, aveva proposto delle modifiche per alleggerire le pratiche burocratiche per alcuni prodotti in arrivo dalla Gran Bretagna. La carne refrigerata – fondamentale in Irlanda del Nord per la produzione di salsicce -, i medicinali e le piante sarebbero arrivate a destinazione con meno della metà dei controlli fino quel momento previsti. Il Regno Unito, però, ha rifiutato la proposta, portando la Commissione a non voler più aprire trattative.

La risposta dell’Unione e del partito laburista

La Commissione Europea, in risposta all’iniziativa britannica, ha riaperto una procedura d’infrazione, avviata nel 2021, nei confronti del Regno Unito, per presunta violazione del Protocollo dell’Irlanda del Nord. Oltre a due procedure d’infrazione minori per presunta mancata esecuzione dei controlli necessari e per la fornitura di dati statistici commerciali.

Maroš Šefčovič, vicepresidente della Commissione Europea, afferma:

“La fiducia presuppone l’adempimento degli obblighi internazionali. L’azione unilaterale non è costruttiva, la violazione degli accordi internazionali non è accettabile. Il Regno Unito non rispetta il protocollo: è il motivo per cui oggi avviamo queste procedure d’infrazione.”

Anche i laburisti si schierano per il rispetto del protocollo, contro Johnson. David Lammy, il deputato laburista, esprime il suo pensiero in un articolo del Guardian:

“Fu l’accordo di Boris Johnson che introdusse barriere nel Mare d’Irlanda dopo aver promesso che non l’avrebbe fatto. I conservatori devono assumersi la responsabilità dei problemi del protocollo che devono essere risolti.”

Manifestazione contro Boris Johnson (Fonte: informazione.it)

Le supposizioni sulla proposta di Johnson

La Brexit è realmente un argomento che Boris Johnson ha a cuore o solo un tentativo di spostare l’opinione pubblica su altri argomenti? Negli ultimi mesi, le feste organizzate dal primo ministro in casa sua durante il lockdown, tra il 2020 e il 2021, stanno facendo scalpore. Queste violavano le limitazioni imposte dal governo stesso contro la pandemia.

Inoltre, a causa delle diverse polemiche attorno alla figura di Johnson, 54 parlamentari conservatori avevano chiesto il voto di fiducia sul ministro. Tale voto ha avuto esito positivo, ma con una scarsa maggioranza: 148 parlamentari su 359 hanno votato contro il proprio leader. Questo dimostra quanto sia fragile l’equilibrio interno e fa riflettere sull’improbabile lunga durata del governo.

Probabilmente Johnson vuole solo distogliere l’attenzione dai problemi che stanno interferendo con la sua carriera politica. D’altronde, come afferma David Carretta, un esperto giornalista che copre le istituzioni europee:

“Ogni volta che si è trovato in difficoltà, Johnson ha usato la carta Brexit.”

 

Eleonora Bonarrigo

 

Accordo su Brexit criticato dagli unionisti nordirlandesi: ecco perché non vanno più bene alcuni suoi punti

Oggi, lunedì 22 febbraio, è iniziata una campagna politica e giudiziaria guidata dalla leader del principale partito degli unionisti nordirlandesi, il DUP (Democratic Unionist party), con l’obiettivo di convincere il governo conservatore britannico guidato da Boris Johnson ad apportare delle modifiche su alcune parti essenziali dell’accordo su Brexit. Il motivo sarebbe legato all’allontanamento dell’Irlanda del Nord dagli altri territori del Regno Unito, dovuto proprio alle conseguenze di alcuni punti del trattato.

Graffiti degli unionisti in segno di protesta. Fonte: Il Post

È con tali premesse che in questa giornata si terrà un dibattito sul tema alla Camera dei comuni britannica e che, nei prossimi giorni, verranno presentati dal partito una serie di ricorsi legali per dichiarare l’illegittimità dei punti criticati nelle corti inglesi, nordirlandesi e delle istituzioni europee.

«Le tenteremo tutte per provare a ottenere giustizia per il popolo dell’Unione», ha comunicato una fonte del partito al quotidiano britannico ‘’The Guardian’’.

I motivi delle contestazioni

Il principale motivo delle polemiche degli unionisti è il trovato compromesso del primo ministro britannico nell’ottobre del 2019, con il quale si mise fine alla situazione di stallo dovuta ai lunghi negoziati, accettando la presenza dell’Irlanda del Nord sia nel mercato comune europeo che nell’unione doganale.

In tal modo, se da una parte è stato soddisfatto un obiettivo condiviso da entrambi le parti della negoziazione (europei e britannici) di evitare la costruzione di barriere fisiche fra le due Irlande, dall’altra si è assistito ad un indebolimento del legame fra Irlanda del Nord ed il resto del Regno Unito.

Fonte: JPress

In effetti, da quando il Regno Unito ha completato la sua uscita dall’Unione Europea il primo gennaio 2021, gli impedimenti burocratici tra l’Irlanda del Nord ed il resto dei territori britannici non hanno fatto altro che moltiplicarsi: i supermercati nordirlandesi non si sono potuti più rifornire dall’Inghilterra e ciò ha provocato un’iniziale penuria di prodotti alimentari, oltre che ad un ripensamento generale delle tratte commerciali.

Altre conseguenze – tra le più contestate dell’accordo – riguardano la necessità di un nuovo passaporto per gli animali domestici di chi viaggia fra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito e l’impossibilità di acquistare online alcuni prodotti della Gran Bretagna. A ciò si aggiunge l’entrata in vigore nei prossimi mesi di nuovi iter burocratici, come quello richiesto ad esempio per l’esportazione delle salsicce di maiale (assai diffuse nelle colazioni inglesi) che potrebbe renderle molto più costose per i nordirlandesi.

Fonte: Eunews

Il DUP cambia idea

Da alcuni anni il DUP aveva grandi aspettative sull’alleanza con il partito Conservatore, tradizionalmente più legato all’integrità territoriale rispetto ai Laburisti: alle elezioni britanniche del 2017 sostennero apertamente il governo Conservatore di Theresa May, la quale non avrebbe altrimenti ottenuto una maggioranza parlamentare e che si è sempre opposta a lasciare l’Irlanda del Nord così legata all’Unione Europea.

La leader del DUP Arlene Foster, nei primi giorni, addirittura difese il compromesso di Johnson, nella convinzione che si sarebbe comunque trovata una soluzione per preservare il legame privilegiato dell’Irlanda del Nord con gli altri territori britannici. Oggi però i toni di Foster sono completamente cambiati, come dimostrano le sue affermazioni di qualche giorno fa:

«è stato il primo ministro britannico a metterci in questa situazione e causare queste difficoltà interne al mercato britannico, quindi spetta a lui risolverle».

La Foster criticata dal giornalista Murray

Eppure – secondo quanto commentato dal giornalista Conor Murray sul sito della tv pubblica irlandese RTÉ – le critiche della Foster non sono credibili, dal momento che le potenziali conseguenze della Brexit sono già note da un anno e mezzo:

«Montare un’opposizione ai diversi regimi commerciali [fra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito] potrebbe fare parte di un cinico tentativo di galvanizzare la propria base elettorale», ha detto.

La leader del DUP Arlene Foster. Fonte: BBC

Incertezze sulla campagna di pressione del DUP

Non è ancora ben chiaro in che modo il DUP intenderebbe contestare il Protocollo definito dall’accordo su Brexit che regola lo status dell’Irlanda del Nord, ma alcune ipotesi si stanno già facendo strada: in passato il DUP e i suoi governi regionali erano ricorsi al petition of concern, un meccanismo che aveva impedito l’applicazione di alcune leggi del governo centrale nell’Irlanda nel nord senza che ci fosse il consenso della comunità nordirlandese; è possibile quindi che un simile provvedimento venga preso anche in questo caso.

Ciononostante, il governo britannico e le istituzioni europee non hanno – almeno per il momento – manifestato alcuna intenzione di modificare radicalmente l’accordo su Brexit, così come non è possibile sapere con certezza fino a che punto la campagna di pressioni del partito Partito Unionista Democratico possa funzionare.

Gaia Cautela

A partire dall’1 gennaio 2021 in vigore il nuovo accordo su Brexit. Ecco cosa cambierà

Il 24 dicembre, a pochi i giorni dall’ 1 gennaio, è arrivato l’accordo sulla Brexit con Bruxelles.

Questo sancisce definitivamente che la Gran Bretagna si separerà dall’Unione Europea.

Facciamo un passo indietro. Come si è arrivati alla Brexit?

La storia del divorzio amichevole, così come è stato definito dal Financial Times, tra Regno Unito e Unione Europea ha avuto inizio il 23 giugno 2016 con il voto popolare del referendum che approvò l’uscita del Regno Unito dall’UE. In realtà, potremmo tornare più indietro nel tempo per rintracciare i primi segnali di questa separazione. Non è un mistero che la Gran Bretagna è sempre stata euroscettica. Lo prova il fatto che aderì alla CEE soltanto nel 1973, dopo la creazione nel ’60 di un’area di scambio alternativa; lo prova la mancata adozione dell’euro; lo prova la decisione di non aderire all’ area Schengen. La Brexit, dunque, non ha colto di sorpresa l’Europa.

All’euroscetticismo, negli anni 2000, si sono aggiunti il crollo finanziario, la preoccupazione dell’opinione pubblica sull’immigrazione e la minaccia politica del partito antieuropeista di destra guidato da Nigel Farage. Tutti fattori che hanno portato il conservatore David Cameron, nel 2015, a promettere, se avesse vinto le elezioni, un referendum sulla Brexit.

David Cameron – Fonte: www.independent.co.uk

Sono seguiti difficili anni di negoziati che hanno visto impegnata anche l’ex premier Theresa May e che si sono conclusi con la vittoria alle elezioni di Boris Johnson e il via libera del Parlamento britannico alla Brexit, la cui realizzazione è avvenuta il 31 gennaio del 2020.

Il difficile cammino verso l’accordo

A partire dall’ 1 febbraio 2020 si è aperta una fase di transizione di 11 mesi per cercare un accordo che regolasse la nuova relazione con l’UE. Mesi difficili, in cui le due parti coinvolte hanno dovuto mediare tra la difesa dei propri interessi e la necessità di scendere a compromessi.

Più volte si è prospettato lo scenario del “no deal”, cioè la possibilità di arrivare all’1 gennaio 2021 senza aver raggiunto un’intesa. Il mancato accordo, prima di tutto, avrebbe messo in pericolo l’economia sia dei paesi dell’Unione sia della Gran Bretagna. L’immediata conseguenza sarebbe stata l’introduzione di dazi e tariffe nello scambio delle merci, il che avrebbe implicato un aumento del loro prezzo per i consumatori. Mark Carney, il governatore della banca d’Inghilterra, aveva affermato che l’ipotesi del no deal avrebbe causato “uno shock istantaneo” all’economia britannica, facendo schizzare i prezzi alle stelle e diminuendo il potere d’acquisto delle famiglie. Ma sarebbero stati in pericolo anche i paesi esportatori, come l’Italia.

Theresa May – Fonte: www.independent.co.uk

A livello politico, il no deal avrebbe compromesso la carriera di Boris Johnson, salito al potere, dopo il fallimento di Theresa May, con l’impegno di realizzare la Brexit ad ogni costo e già messo in cattiva luce dalla gestione della pandemia. Non è un caso, forse, che l’accordo sia arrivato pochi giorni dopo la diffusione della notizia della nuova variante del Covid, che in Gran Bretagna ha fatto salire alle stelle il numero di vittime e ha provocato la sospensione dei voli aerei da più di 40 paesi.

Cosa prevede l’accordo

Cerchiamo adesso di capire come cambierà, in base all’accordo, la relazione tra Gran Bretagna e Unione Europea.

Il patto prevede la liberalizzazione degli scambi commerciali, grazie alla rimozione di dazi e quote. Questo, tuttavia, non implica la caduta di ogni barriera: sono previsti alla dogana controlli di merci e di persone. Gli scambi saranno più difficili e più lunghi.

Per visitare il Regno Unito sarà necessario il passaporto. Se si permane per turismo e per meno di sei mesi non sarà obbligatorio il visto, indispensabile invece se ci si trasferisce nel Paese per motivo di lavoro o per più di sei mesi.

Con l’accordo, arriva anche una nota dolente per gli studenti universitari: il governo britannico non prenderà più parte al progetto Erasmus, aderendo invece al Turing Scheme, programma che permetterà agli studenti britannici di studiare non solo nelle università europee ma anche nelle migliori del mondo.

Il patto regolamenta anche la pesca, una questione controversa che più volte ha rischiato di far precipitare i negoziati. Fino al giugno 2026, i pescherecci UE potranno accedere alle acque territoriali britanniche ma dovranno ridurre il pescato del 25%. Dopo questa data, l’accesso e le quote saranno ristabilite ogni anno.

Un’altra questione disciplinata è quella della concorrenza sleale tra aziende europee e aziende britanniche: è stato stabilito un minimo standard ambientale, sociale e dei diritti dei lavoratori al di sotto del quale nessuno potrà scendere, con la possibilità di intervenire nel caso in cui si ritenga che l’altra parte stia facendo concorrenza sleale.

Una vittoria importante per Johnson riguarda la Corte di Giustizia, che cesserà di avere potere giuridico sul Regno Unito e sarà sostituita da un arbitrato indipendente.

Una conquista importante per l’UE è stata invece l’introduzione di una clausola per regolare l’eventuale violazione del patto, che prevede l’imposizione di dazi su alcuni beni.

Non è presente, invece, nessuna norma relativa al settore dei servizi finanziari. Una grave perdita per la Gran Bretagna, la cui economia attinge enormemente dall’esportazione dei servizi verso l’UE. La City di Londra, l’importante centro finanziario che comprende la Banca d’Inghilterra, la Borsa, le Corti di Giustizia e molte banche e società assicurative internazionali, cesserà di far parte del mercato finanziario unico europeo.

L’entusiasmo per l’accordo

L’accordo è stato accolto con entusiasmo da Boris Johnson:

“Per la prima volta dal 1973 il Regno Unito sarà uno stato costiero indipendente con il pieno controllo delle nostre acque di pesca”.

Rassicuranti le parole di Ursula von der Leyen che precisa come si tratti di un accordo bilanciato che rispetta gli interessi di entrambe le parti.

Soddisfatto dell’intesa anche il premier Conte, sicuro che l’accordo garantisca gli interessi e i diritti di imprese e cittadini europei. Si dimostra entusiasta anche il ministro per gli affari europei Enzo Amendola:

“Deal, accordo raggiunto in extremis tra Ue e Uk. Un buon compromesso che tutela innanzitutto gli interessi di cittadini e aziende europee. Da oggi la Brexit è il passato, il futuro è l’Europa”.

Il ministro Enzo Amendola – Fonte: www.statoquotidiano.it

Sentiremo ancora parlare di Brexit?

Non possiamo, però, come il ministro Amendola essere certi che la Brexit appartenga ormai al passato. Si pensi, ad esempio, alla questione della pesca che dal 2026 riaprirà nuove trattative. Per non parlare del fatto che l’applicazione dell’accordo aprirà, di certo, in futuro delle controversie che faranno riemergere l’argomento Brexit.

Non è un capitolo chiuso né per la Gran Bretagna che sarà impegnata nei prossimi mesi ad affrontare le difficoltà implicate nell’applicazione dell’accordo né per l’Unione Europea che ne esce moralmente sconfitta. Ne è consapevole la stessa Ursula Von der Leyen:

“Questo, fino ad oggi, era il gruppo a cui tutti volevano unirsi, non andarsene”.

Chiara Vita

Le dimissioni di Dominic Cummings: chi è l’ormai ex braccio destro di Boris Johnson

Dominic Cummings, amico e braccio destro di Boris Johnson, si è dimesso dal suo incarico di principale consigliere del premier britannico. Le immagini e i video di Cummings, con una grossa scatola di cartone, abbandonare il numero 10 di Downing Street hanno trovato eco sui principali quotidiani di oltremanica. Ma perché tutta questa attenzione intorno a una figura sconosciuta ai più in Italia e in Europa?

fonte: rte.ie

Chi è Dominic Cumming ?

Nato a Durham e laureatosi in Storia presso l’Università di Oxford ha lavorato successivamente in Russia prima di tornare nel Regno Unito. Qui è riuscito a canalizzare intorno a se le attenzioni e i favori di quella parte euroscettica del Partito Conservatore britannico. Si devono a lui alcuni tra gli slogan pro leave di maggiore successo quali Take back control, o la fake news secondo cui grazie alla Brexit il Regno Unito avrebbe risparmiato 350 milioni di sterline la settimana. È stato inoltra tra i primi oltremanica ad adoperare in maniera aggressiva e convincente i social network. Si vantò di aver speso nel 2015, quando diresse il comitato elettorale che avrebbe dovuto convincere i britannici a votare per uscire dall’Unione Europea, circa il 98 per cento del budget per campagne pubblicitarie online dirette agli abitanti di quelle aree maggiormente colpite dalla globalizzazione oppure quelli estremamente diffidenti verso il primo ministro di allora, David Cameron.

 

Consigliere di Boris Johnson

Con l’insediamento di Boris Johnson al numero 10 di Downing Street viene nominato dal premier britannico suo Chief Advisor (capo consigliere). Dal suo nuovo ufficio Cummings è rimasto una figura di riferimento per la macchina propagandistica della destra conservatrice. Di posizioni apertamente populiste, ha spesso rivendicato con orgoglio la sua non appartenenza (formale) ad alcun partito. Si è inoltre pronunciato a sfavore dell’apparato burocratico-amministrativo britannico divenuto, a suo dire, eccessivamente complicato e in mano a troppi “politici di professione”. Da qui alcune tra le sue proposte più stravaganti come quella di assumere “gente bizzarra, artisti, persone che non sono mai andate all’università e hanno lottato per venire fuori da un postaccio”.

fonte: ClemRutter

Personalità e scandali

Definito dai molti come un moderno Rasputin all’interno dello staff del premier, è stato spesso descritto come un bullo che ha imposto una cultura aggressiva e della paura, non solo tra i collaboratori ma anche tra gli stessi componenti del governo. I modi di fare eccentrici e la propensione agli scandali hanno aiutato a creare intorno alla sua persona un alone di curiosità e attenzioni che hanno toccato aspetti esterni a quelli della politica. Intorno alla sua figura, per esempio, è stato girato un film da HBO in cui è stato interpretato da Benedict Cumberbatch. Non ha mancato inoltre di mettere in imbarazzo lo stesso Boris Johnson, da ultimo con il suo viaggio dai genitori a quasi 500 km da Londra quando aveva ancora sintomi di Covid-19 violando le norme del lockdown.

Le dimissioni

Un addio che arriva all’indomani delle dimissioni imposte al direttore della Comunicazione del governo, Lee Cain, fedelissimo di Cummings. Le dimissioni avranno effetto immediato, scartata dunque la possibilità che Cummings mantenesse la sua posizione fino alla fine dell’anno. Il sospetto è che la volontà sia quella di allontanare figure controverse e ottenere un ammorbidimento da parte di Bruxelles nel negoziato con Londra. La crisi economica e gli effetti del Covid che imperversano sul Regno Unito non permettono un No Deal i cui effetti potrebbero essere potenzialmente catastrofici.

 

Cummings e la destra europea: cosa ci insegna

La politica e la propaganda di Cummings sono state focalizzate fino ad ora intorno alla promessa di riprendere il controllo dei confini, la nostalgia per una presunta epoca d’oro e un atteggiamento ostinatamente euroscettico. Ma come con lui è possibile rintracciare tali elementi anche nella retorica e nelle proposte di molti dei partiti europei populisti e di estrema destra: il Rassemblement National di Marine Le Pen, la Lega di Matteo Salvini o l’Alternative für Deutschland. L’ampio uso di bugie e scorrettezze, i discorsi e gli slogan che mirano più alla pancia dell’elettorato che alla testa degli stessi ed, infine, un uso aggressivo dei social network. L’allontanamento di Cummings e di figure simili non può che rappresentare un segnale positivo e incoraggiante. Che si inizi a capire che le sfide che ci attendono non si affrontino con slogan e fake news ma con dialogo e politica ?

Filippo Giletto

Brexit, Londra nel caos

A poco più di un mese dalla Brexit il quadro socio-politico sembra essere sempre più complicato.

In un ultimo disperato tentativo di salvare il divorzio Ue-Regno Unito, Theresa May ha inviato una nuova delegazione di negoziatori in Europa.

Il tutto mentre a Londra alcuni ministri hanno dato il via ad una vera e propria protesta per scongiurare l’ipotesi di una Brexit “no deal”, temuta dal Parlamento, dalla sterlina inglese e dal mercato immobiliare, come ha precisato la Bank of England.

D’altronde, a meno di due mesi dal 29 marzo, lo scenario di mancato accordo appare sempre più probabile.

I tempi stringono, tra qualche giorno infatti, si terrà l’attesa votazione sull’accordo Brexit, confermata dalla stessa Theresa May, che la scorsa settimana aveva chiesto più tempo ribadendo: “Se non sarà raggiunta prima un’intesa, farò una dichiarazione in Parlamento il 26 febbraio e il 27 si terrà il voto significativo sull’accordo”.

I membri del gabinetto che si oppongono a una separazione senza accordo affronteranno la May a viso aperto questa settimana.

I ministri, tra cui il segretario alle finanze Amber Rudd, il segretario agli affari Greg Clark e il segretario alla giustizia David Gauke, diranno alla premier che il Parlamento potrebbe costringerla a cercare un’estensione dei colloqui sulla Brexit con l’obiettivo di evitare danni economici imponenti.

L’opzione no deal potrebbe diventare uno stratagemma negoziale per spaventare l’Ue.

Per tentare di convincere l’Unione Europea ad avanzare nuove concessioni, col fine ultimo di salvare il suo accordo sulla Brexit, la May ha inviato in tutta Europa alcuni dei ministri più coinvolti nel processo di divorzio burocratico.

Il segretario degli affari esteri, Jeremy Hunt, volerà a Berlino, Bruxelles e Copenaghen; mentre il Segretario per la Brexit, Steve Barclay, continuerà a dialogare con il negoziatore europeo Michel Barnier.

La Prime Minister britannica, invece, incontrerà il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker questa settimana e cercherà di parlare con i leader dei restanti Paesi nei giorni successivi.

L’incertezza delle prospettive socio-economiche attanaglia la Gran Bretagna, che nella sua soria, mai aveva vissuto momenti così dinamici ed imprevedibili.

Chissà se la reazione del popolo britannico sarà ancora una volta elegante e garbata come storia e costumi impongono, o se questa volta l’ansia e la paura prevarranno.

Antonio Mulone

Brexit,tra perplessità e contraddizioni: stop agli europei in cerca di lavoro

“Dopo la Brexit non sarà più possibile per le persone di arrivare dall’Europa nella remota possibilità che possano trovare un lavoro” a renderlo noto è il premier britannico Theresa May sul suo profilo Facebook personale.

 

 

 

 

 

 

A distanza di due anni dal voto che ha deciso l’estromissione della Gran Bretagna dall’UE, le trattative per la Brexit rimangono aperte. Il 12 luglio scorso la premier britannica, Theresa May, ha pubblicato sul suo profilo Facebook una nota in cui parla del futuro del Paese post Brexit. In giornata è stato presentato anche il cosiddetto “Libro bianco” che stabilisce le condizione previste per il divorzio dall’Unione.

Non sarà più permesso alle persone arrivare qui da tutta Europa nella remota possibilità che possano trovare un lavoro. Accoglieremo sempre i professionisti qualificati che aiutano il nostro paese a prosperare, da medici e infermieri a ingegneri e imprenditori – chiarisce – Ma per la prima volta da decenni, avremo il pieno controllo delle nostre frontiere. Sarà il Regno Unito, non Bruxelles, a decidere a chi dovrebbe essere permesso di vivere e lavorare qui.

Il documento propone, insomma, una Brexit morbidissima, già ribattezzata “soft-Brexit“, decretando le anticipate dimissioni dell ministro degli Esteri, Boris Jhonson, e di quello della Brexit, David Davis, suscitando parecchia stizza tra le fila degli euroscettici.

Non mi pare che i britannici avessero votato per questo!

A fare il punto della situazione, con la solita – forse troppa – franchezza, è il Presidente USA, Donald Trump, sottolineando come, l’uscita di Londra dall’Europa assomigli sempre più ad una messa in scena. Siamo di fronte ad una “libertà di circolazione sotto altro nome“, come sostengono i pro-Brexit. Ed in effetti, pare che sul piano economico, il governo May, intenda restare soggetta alle regole del mercato unico, per quanto riguarda industria e agricoltura; mentre in merito a servizi finanziari e digitali, il Paese sarà svincolato dalle leggi dell’Unione, camminando solo.

Cosa succederà effettivamente ancora non ci è dato saperlo. Tra perplesssità e contraddizioni, il treno Brexit pare correre sempre più veloce, anche se non si è ben capito verso quale direzione.

Elisa Iacovo

 

 

 

Un MAV all’improvviso

Chi trova un amico (teoricamente) trova un tesoro. Un detto cosi inflazionato che spesso e volentieri lo associamo erroneamente a relazioni che con l’amicizia non hanno nulla a che fare. A parte che ultimamente l’unico vero amico, quello che ti segue ovunque, che non ti molla mai e soprattutto che ti dice sempre le cose come stanno è il tanto caro libro di testo. In periodo di Sessione Estiva (non per il clima naturalmente, visto che fino a qualche giorno fa il simpatico messinese-tipo voleva ritirare fuori il piumino) c’è cosi poco tempo per rilassarsi, pensare ad altro, spammare qualcosa su Facebook per sentirsi intelligenti (vorrei ma non posto). Ad ogni modo a distrarci un po’ sono arrivati i tanto agognati Europei di Calcio, seguiti con grande partecipazione sulle scale del Rettorato: censuriamo ovviamente il lancio omicida di birre (simpatico si, ma occhio alla mira) e la luce del proiettore dietro lo schermo che, siamo convinti, abbia causato qualche problema visivo per alcuni giorni ai malcapitati, il sottoscritto in primis. Per fortuna oltre alla nostra Nazionale, volata agli Ottavi di Finale da prima in classifica, a renderci più allegri è arrivato il Cda, che qualche giorno fa ha ridotto la tassa di conguaglio della principesca percentuale del 6%. Ma guarda un po’, che gentile concessione: tenendo conto del servizio offerto agli studenti, sbottonarsi un po’ di piu male non avrebbe fatto. Cosi scopriamo il motivo per il quale il Sole24Ore ci posiziona al 32esimo posto per “giudizio dei laureandi su corsi di studio”. Forse l’immagine che meglio di qualsiasi parola può esprimere questo paradosso è l’imponente mole di residuati informatici e non, ammassati sul retro della Sede Centrale. Roba da far piangere Steve Jobs, Renzo Piano, Madre Teresa e Green Peace al completo. Nessuno nega (e noi a maggior ragione) che la riduzione sia comunque un beneficio per gli studenti, ma chiedere uno sforzo maggiore all’istituzione accademica non è reato, anzi, è un suggerimento di cui fare tesoro. E se si vuole, proprio noi siamo i primi a dare l’esempio: mentre dal sotterraneo dei locali ex SUS (ora Scienze Politiche e Giuridiche) è emersa una quantità abnorme di spazzatura rimasta li a marcire da anni e finalmente smaltita qualche settimana fa, nel plesso accanto sono state aperte le nuove aule studio. Poca roba si dirà, ma ad aiutare gli operai sono stati innanzitutto gli studenti, che si sono occupati della sistemazione dei tavoli e della pulizia delle stanze, lavoro per il quale c’è gente pagata, perché era prima di tutto “loro” interesse creare uno spazio vivibile per la vita universitaria. Siamo sicuri che gli studenti, “questi” studenti, meritino solo il 6% in meno di tasse? Noi lanciamo dei sassi, moniti e osservazioni, molto umilmente, sperando di vedere qualcosa di più. Qui ci starebbe il detto “la speranza è l’ultima a morire”, ma noi preferiamo il termine “fiducia”.
Non si può non chiudere questo Editoriale salutando e ringraziando il nostro Paolino da Londra (altro che Mentana e Damilano) che ci ha offerto uno spaccato originale della situazione post-Brexit, con il Regno Unito che saluta (pare ancora senza rimpianti) e se ne va per i fatti suoi (ce ne faremo una ragione). Probabilmente è stata fatta l’Europa ma non gli Europei. Se è stata una ossa sbagliata, se la pagheranno solo loro o la pagheremo tutti, solo il tempo lo dirà, cosi come il tempo ci saprà dire se lo studente è ancora al centro dell’Università, e non un suo antiquato accessorio.
Shalom!

 

graduation hat with euro money