TORINO – CONNATURALE PAURA

Un match tanto atteso, trasmesso in diretta su un maxi schermo in una piazza storica; ci sono migliaia di persone in maglia bianconera, tutto condito da  un clima di festa ed unione.

Fra suoni e colori, però, il fine partita si perde nel caos.

Paura, urla, calca. Piazza San Carlo è sommersa da una processione di scarpe e di vetro, è macchiata di sangue e calpestata dal terrore.

Sembra quasi che ogni luce si spenga in mezzo alla folla che, disorientata e confusa, cerca di fuggire da una possibile strage di un verosimile attentato.

Si sentono dei rumori, un botto, una griglia che ha ceduto, o forse, qualcuno che urla ”bomba” e il panico predomina, mentre a Londra si materializza un altro vile attentato.

Adesso, restano responsabilità da accertare, circa di 1.527 feriti, fra cui un bimbo di 7 anni in gravi condizioni.

Il caso della piazza è la solida manifestazione della paura con cui conviviamo: è così che chi predica e pratica la morte ci impone di vivere.

Il regime dell’orrore di alcuni vigliacchi cerca di intimorirci dal profondo: colpisce nei locali, negli stadi, per le strade, attacca ciò che più di quotidiano possa esserci per dimostraci che può trafiggere in ogni momento. E’ un voler farci smarrire la voglia di vivere, un volersi insinuare silenziosamente nelle menti di ognuno di noi, portandoci a temere i nostri spazi.

Ma non dobbiamo piegarci: bisogna essere forti in questa lotta contro la paura, contro chi ci fa temere di viaggiare, di prendere la metro, di andare ad un concerto; dobbiamo combattere l’ombra del terrorismo, che, come in questa occasione, riesce a colpire anche quando non è presente.

Jessica Cardullo

Malasanità, Errore Umano o Presunzione?

‘’Bimbo muore per otite’’

‘’Omeopatia uccide: bambino di 7 anni muore per otite’’

 

‘’Medico ammette: è stata colpa mia’’

‘’Muore a palermo per un intervento banale’’

Questi sono solo alcuni dei titoli che hanno invaso le testate giornalistiche e i media di tutta Italia. I due pazienti italiani non sono accomunati da niente, se non dalla stessa giornata che, purtroppo, segna la fine prematura della loro vita. E nemmeno i medici presi in causa hanno niente in comune se non, per il resto della loro vita, la domanda: ‘’potevo fare meglio?’’

Filippo Chiariello, 38 anni, era entrato in sala operatoria già timoroso. I familiari raccontano che in particolare aveva paura degli aghi. Il paziente era arrivato all’ospedale di Villa Sofia (Palermo) in emergenza, con dolori lancinanti allo stomaco. Dopo essersi sottoposto alla TC, il verdetto: calcoli alla colecisti, necessita un intervento in laparoscopia.

Il chirurgo ha alle spalle una carriera ventennale, nessuna ombra sul suo percorso, sa che questo tipo di intervento, senza complicanze, non dura più di 45 minuti. L’intervento inizia alle 17,30, introdotto il primo strumento chirurgico, il Trocar, viene erroneamente recisa l’aorta addominale e contemporaneamente perforato l’intestino. L’intervento viene convertito in un’operazione standard con il taglio chirurgico, il paziente ha però perso tantissimo sangue.

In tutta la città non è reperibile sangue del suo gruppo. Il paziente va in arresto cardiaco per tre volte, l’ultima volta per 40 minuti, c’è danno cerebrale. Sono passate più di otto ore. La mattina dopo alle 10.45 i medici dichiarano la morte cerebrale.

Francesco, 7 anni, ricoverato dal 24 maggio nella rianimazione dell’Ospedale Salesi (Ancona) a causa di un’otite curata con l’omeopatia invece che con gli antibiotici. Seguito da tre anni da un medico omeopata, a lui la madre e il padre si sono rivolti quando circa 15 giorni fa il figlio si è ammalato di otite bilaterale. Il bambino però peggiora, è sempre più debole, con la febbre che va e viene.

Fino alla notte del 23 maggio quando perde conoscenza. I genitori si precipitano all’ospedale di Urbino, dove una TC ha rivelato gravi danni al cervello. Viene tentato un intervento chirurgico per la rimozione dell’ascesso cerebrale, insieme a terapia antibiotica d’urto, ma le condizioni cliniche del bimbo non lasciano più speranze. Prima il coma, poi la morte cerebrale.

Sul piatto della bilancia, come già detto, ci sono due casi diversi, due medicine diverse.  Medicina tradizionale e medicina omeopatica.

Ci sono due medici. Uno che ha errato usando la medicina tradizionale, l’altro che ha errato usato la medicina omeopatica. Da questo punto in poi, il dibattito che si è susseguito in questi giorni è inarrestabile.

C’è chi si è schierato a spada tratta contro l’omeopatia, chi ha portato avanti le proprie idee a favore di essa. Chi non si è esposto, chi ha dato ragione ad un medico piuttosto che all’altro, chi ha urlato a gran voce la parola ‘’Malasanità’’.

La letteratura medica è un oceano infinito, che ogni giorno progredisce e si accresce. Nel campo medico non c’è qualcosa di completamente giusto o di completamente sbagliato. Non tutto funziona nello stesso modo per tutti, le stesse patologie non si presentano nello stesso identico modo in ogni essere umano.

Senza perder tempo, quindi, nell’analizzare quanto possa essere sbagliata o giusta una medicina piuttosto che un’altra, una corrente di pensiero piuttosto che un’altra, la vera domanda che bisogna porsi è: dove sta la presunzione e dove sta l’errore umano? A chi bisogna urlare malasanità e a chi no?

Questi due medici, rispettivamente, stanno iniziando un lungo percorso medico legale dove, alla fine, saranno o non saranno più medici.

La presunzione. La presunzione, nell’ambito medico, è un’arma a doppio taglio: può salvare un paziente oppure, insieme all’ego, può essere una trappola mortale. Una cosa è sicura: nessun medico può rischiare la vita di un altro essere umano. Lo giuriamo all’inizio della nostra carriera: ‘’Giuro, di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica”.

Da un lato, abbiamo un medico che, pur di difendere ad ogni costo le sue idee, il suo ego, il suo onore, ha ecceduto di presunzione e ha sbagliato. Le dinamiche interne non le possiamo sapere. Sappiamo, fin dal primo giorno, che le persone si fidano del camice bianco. Si fidano di quello che il camice bianco dice e consiglia.

I genitori, così tanto giudicati, hanno l’unica colpa di essersi fidati. Ma non di un pazzo medico che usa l’omeopatia, non si parla di questo perché, in alcuni casi, l’omeopatia è una medicina, per l’appunto, riconosciuta e con dei buoni range di applicazione. No. Di essersi fidati di un medico che, senza poterlo prevedere, ha messo se stesso prima di tutto, cercando di dimostrare, a chi o a cosa?, che il suo modus operandi andava bene. Un medico la cui presunzione chissà se e come verrà punita.

E poi c’è l’altro medico. Quel medico, quel chirurgo esperto, che, lui stesso dichiara, è uscito con la testa china, con le braccia basse, sconfitto, ed ha chiesto scusa ai parenti della vittima, sussurrando 3 parole: ‘’è colpa mia’’.

Parenti che, secondo le più grandi testate giornalistiche, hanno giurato fuoco e fiamme. Fuoco e fiamme contro un essere umano che, praticando il suo lavoro, quel lavoro che conosce così bene, ha errato. E, in questo campo, si sa, l’errore umano non è ammesso. Mai.

Che fine farà questo medico che ha ammesso di aver compiuto un errore? Potrà ancora fare il medico? Verrà punito più o meno dell’altro? Non essendo in una corte di giustizia, non è compito nostro rispondere. Rimane però il fatto che il suo errore, se ci si ferma a riflettere, non è del tutto suo.

Introdurre un Trocar, lo strumento che serve per gli interventi di laparoscopia, può portare questo tipo di conseguenze. I testi parlano chiaro: può capitare. E poi: ha funzionato correttamente lo strumento? O si è bloccata la leva cui è attaccato il bisturi? L’errore è umano o è dato da uno strumento difettoso?

E soprattutto: merita davvero tutto questo odio un medico che, fino alla fine, ha combattuto per il suo paziente, rispetto ad un medico che è rimasto seduto sulla sua sedia in collegamento telefonico con i suoi pazienti?

Quel che è certo è che da ora in poi questi due episodi si risolveranno nelle aule di tribunale. Un bambino, un padre di famiglia, coniugi, genitori e figli. Tutte vittime. La morte porta dolore, il dolore porta a riflettere, ma alla fine, esige silenzio.

Elena Anna Andronico

Alessio Gugliotta

“Mamma, andiamo al concerto di Ariana?”

Quanti ragazzini lo avranno detto per essere lì, in quella arena, quel 23 Maggio? 

Un concerto straordinario, incredibilmente coinvolgente, ma il terrore e la morte sono state le protagoniste di fine serata.

Erano le 22:30 (23:30 ora italiana), quando un boato si è impossessato dell’euforia post-concerto: alcuni testimoni oculari riferiscono di una bomba chiodata, scoppiata nell’area foyer poco distante dalla biglietteria.

Da quel momento ci fu solo panico.

Di lì a breve, numerosi video gireranno su internet: lo sgomento era generale, tutti erano riusciti a sentire chiaramente l’esplosione e le urla della folla. 

In un filmato caricato da Repubblica, si vedono migliaia di persone che mosse dal panico si accalcano alle uscite di sicurezza, fino a quando i contorni delle porte non si vedono più; poi un momento di silenzio e subito dopo, come in un film, la voce dello speaker dice di star calmi, che non c’è nessun problema.

Ma la realtà è drammatica: 22 morti, 60 feriti.

Si parla di vittime, dagli otto ai sedici anni, proprio quella fascia di età in cui Ariana Grande ha iniziato la sua carriera di attrice e cantante.

Solo alle 2 del mattino, la polizia di Manchester comunicherà che “l’incidente” è un atto terroristico: il kamikaze, Salam Abedi, si preparava da un anno. La notizia è stata comunicata poi dal Times, sulla base di indagini sulla creazione di fondi bancari, necessari a sostenere la spesa degli ordigni di Manchester. Inoltre, sono state ritrovate prove sufficienti a stabilire l’esistenza di un piano pronto per una seconda bomba

Inoltre, qualche giorno fa il presidente dell’House Homeland Security Commette e deputato americano, ha dichiarato che nell’attentato di Manchester è stato usato lo stesso esplosivo delle stragi di Parigi e Bruxelles. 

Fin ora sono state arrestate otto persone per presunti collegamenti con l’attentato di Manchester. 

Negli ultimi anni, gli attentati terroristici spaventano e uccidono; ancor peggio, però, attentano alla vita quotidiana, alla bellezza di un’esperienza come un concerto o un viaggio.

Il terrorismo fa così tanto terrore, perché prima che fisico, è un terrorismo mentale, che si insidia nelle mente di ognuno di noi dopo le immagini di stragi, dopo la morte di persone innocenti.

Giulia Garofalo

Le relazioni e l’ignoto che è l’altro

Metti un venerdì sera due amiche un gin tonic e un negroni…

Scenda di Seinfeld (da sinistra Julia Louis-Dreyfus, Jerry Seinfeld, Michael Richards e Jason Alexander)

Ci siamo ritrovate a parlare delle relazioni.
Nello specifico di quelle amorose, la nostra visione non è più quella di quando avevamo diciott’anni, ma nemmeno quella di un anno fa. Crescendo e smussando la nostra personalità , le esigenze cambiano, inevitabilmente.
Tornata a casa ho ripensato alla discussione e alle relazioni, ne abbiamo di carattere diverso, che necessitano approcci differenti, ma c’è un comune denominatore: la convivenza.
Nel suo etimo vuol dire “vivere con” , penso a due partner, coinquilini, sposi. Ma anche dividere la propria vita con qualcuno, un amico.
Enfatizzando, potrebbe anche voler indicare il poter contare sull’altro.

Negli anni ho imparato che la convivenza è innanzitutto rispetto dell’altro, delle sue idee, e confronto.
La distanza che mi separa dall’altro, la sua unicità , è una strada percorribile con la gentilezza e l’affabilità. Ma è anche una scommessa.
Le barriere sono fisiche, anche involontariamente, la vista agisce da filtro: un paio di occhiali, dei tatuaggi, il modo di vestire influenzano il proprio giudizio. Vedere e guardare concetti distanti fra loro.
Non deve intimorire la vertigine che l’abisso dell’altro significa, anzi è proprio questa adrenalina che si trasforma in “ponte” verso l’altro.
Divenire il prossimo di qualcuno significa accettare questa affascinante differenza, anche quando è irritante o scomoda.
La unicità dell’altro non ha bisogno di imporsi deve solo poter liberamente essere e quando trova nello sguardo dell’altro quell’intesa, gli corre incontro.
E’ nell’universo della diversità che si gioca la gratuità degli affetti.

“Pugili” di Vittoria Abramo

Ed è qui che un pensiero un po’ più scomodo si è fatto spazio nella mia mente: forse che trascorriamo la vita in questa condizione, che l’unicità dell’altro ci diventi indispensabile quanto la nostra?
E’ una idea di fratellanza. Niente di deprimente pensando alla “dipendenze” dall’altro, benché ci siano relazioni di questo tipo.
Siamo tutti uguali, sono le vite che viviamo , la cultura , le varie sovrastrutture che ci rendono diversi, fondamentalmente siamo esseri semplici.
Abitudini secolari portano tutt’oggi a combattere per diritti che sono connaturati all’essere esseri umani.

La diversità è l’essenza della nostra razza. E’ questo il punto.
Ognuno ha un proprio proposito nella vita, la barriera più alta e dura da abbattere è non voler ammettere che non c’è una persona superiore all’altra, un modus vivendi migliore di un altro.
L’unico vuoto che ci separa è non conoscerci l’un l’altro. Una volta ogni tanto dovremmo gettarci nelle braccia dello sconosciuto.

In conclusione credo che rimescolando i colori ed educando il nostro sguardo alle altrui sfumature un giorno sapremo coglierne la bellezza. Anche quando, nella imprevedibilità dell’altro, ci appariranno assurde combinazioni.

Arianna De Arcangelis

Quando l’informazione è influenzata dai pregiudizi

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Quando i giovani sono protagonisti di notizie di cronaca nera, si tende a fare di tutta l’erba un fascio riguardo il luogo in cui è accaduta la vicenda. Negli ultimi giorni, Messina è stata al centro del mirino dei mass media: la 22enne Ylenia Grazia Bonavera risulta l’ennesima vittima di violenza sulle donne, è stata cosparsa dall’ex fidanzato, Alessio Mantineo, di benzina e le è stato dato fuoco. 
Nonostante le prove, la ragazza continua a difendere l’ex: paura? Lo shock ancora la influenza? Senso di colpa? Minacce ricevute? Questa non è la sede per poter fornire una diagnosi psichiatrica, né i giornalisti che si sono occupati del caso per le varie testate nazionali possono permettersi di giudicare la vicenda influenzando il pubblico, senza fornire un vero e proprio servizio di informazione.
A prescindere dai principi morali, le accuse sono state rivolte al contesto cittadino in cui la ragazza vive, e l’attenzione, informandoci in prima linea noi in quanto ragazzi universitari e cittadini di Messina, si è soffermata sulla città dello Stretto la quale è stata definita come l’ultima città d’europa e che l’atteggiamento della ragazza rispecchia perfettamente il carattere degli abitanti .Schermata-2017-01-12-alle-09.59.28-1024x575

La manfrina è sempre la stessa: divisione netta tra Nord e Sud Italia. Al nord una notizia negativa è solo una notizia negativa, a volte si tende anche ad oscurarla o, peggio, a diffonderla non con lo stesso giudizio rispetto al sud. I programmi di cronaca, che sfociano nello spettacolo, intervistano i protagonisti delle notizie di cronaca nera con un velo di ironia e cercano di mettere in evidenza i difetti propri del contesto sociale degli ospiti rapportandolo a tutta la comunità. differentemente succede per ospiti dello stesso contesto sociale, ma di una città del Nord.

A prescindere dalle notizie di cronaca inerenti alla violenza sulle donne che potrebbero essere commentate con le tipiche frasi “copia-incolla” (la violenza non è amore, chi ti picchia è un uomo vile, le donne devono denunciare, ecc), il modus operandi che lascia stupefatti tutti noi è che i giornalisti, anche rappresentanti di testate nazionali, riescono a discriminarci e a renderci parte di un contesto sociale ristretto. da sempre una città è composta da differenti ceti sociali, dal più basso al più, ma questo non significa che il sud sia il ceto più basso dell’Italia intera. Messina è socialmente molto varia, e consta di una popolazione giovanile eterogenea dove un ragazzo appassionato di lettere classiche può anche conoscere il dialetto tradizionale.

Noi, giovani messinesi, non giudichiamo o contestiamo la notizia, ne metteremmo mai bocca in una storia d’amore finita male. Cosa dica una ragazza traumatizzata non è compito nostro analizzarlo, le azioni di un ragazzo del genere parlano da sole.
I giornalisti e i conduttori tv si sono abbandonati all’interesse del “titolone” e dell’ “audience” scordandosi l’elemento umano se non per enfatizzarlo ed etichettando una intera città.

Quello che noi vogliamo dire è che noi messinesi, giovani o vecchi, non siamo loro, loro non sono i nostri rappresentati.
I nostri rappresentanti sono la dottoranda Giovanna Ruello, vincitrice del premio FiO/LS di NY; sono i ragazzi e i professori del dipartimento di Ingegneria con il loro lavoro sulla prevenzione sismica; i professori e ricercatori del policlinico universitario, medici che si fanno in 4 per i loro pazienti; il collega x che si mantiene da solo studiando e lavorando contemporaneamente; e poi, con una visione più grande, i magistrati anti-mafia, gli scrittori, gli attori, i cantati.
Messina è musica, arte e cultura, i messinesi anche.

Le notizie di cronaca nera devono essere trattate per quello che sono: tragedie. I protagonisti della cronaca nera, che sia cronaca del Sud, del Centro o del Nord, non possono mai essere rappresentanti di un’intera cittadina, per il semplice fatto che un pazzo che butta benzina, persone che parlano di ‘’picchiarsi quando sono arrabbiate’’, pazzi omicida, ladri, non possono mai rappresentare un cittadino onesto, anche fosse uno solo.

Elena Andronico, Arianna De Arcangelis, Giulia Greco

Classifica di valutazione degli Atenei: il Sud riprende piede, in testa l’Unime

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Negli ultimi giorni si è riunita l’Agenzia di Valutazione degli Atenei vigilata dal ministero di Istruzione al fine di valutare gli atenei stessi, in particolar modo nell’ambito della ricerca.

In otto mesi sono stati testati 118.000 lavori di 60mila persone tra docenti e ricercatori.

Le aree valutate sono state 16, 450 gli esperti valutatori. Sono stati consegnati dei lavori ai quali sono stati attribuiti punteggi da eccellente ad accettabile, accompagnati da un breve giudizio scritto.

Ovviamente i primi posti della classifica lasciano spazio alle ‘’classiche’’ università italiane che rappresentano l’elitè del nostro paese: Trento (al primo posto), Padova, Ca’ Foscari, Milano Bicocca e Bologna.

La ripresa del sud è forte e dinamica, superiore alle attese. Secondo il secondo (scusate il gioco di parole) rapporto della valutazione della qualità della ricerca proprio l’Università di Messina è in testa, essendo cresciuta nel punteggio complessivo del 17% (era a -30% nella prima tornata, quella dal 2004 al 2010). L’ateneo resta comunque nella seconda metà della classifica degli atenei, però questi dati prevedono un buon indice di ripresa e quindi di risalita.

Tali, a quanto si evince dai dati, da far guadagnare anche finanziamenti pubblici per potere aiutare i settori di ricerca dell’ateneo. 

Secondo i commentatori, primo tra tutti il prof. Graziosi (presidente dell’Anvur), la ripresa del sud sarebbe avvenuta grazie al funzionamento della legge Gelmini sul versante management. La non rieleggibili dei rettori e i cda più stabili hanno consentito politiche rigorose sui bilanci, un buon recupero di fondi comunitari e migliori assunzioni.

Elena Anna Andronico

REFERENDUM TRIVELLE. VINCONO GLI ASSENTEISTI E I SI’ MA NON C’E’ QUORUM, QUINDI NON SI AVRA’ NESSUN EFFETTO

 

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I dati sul referendum delle trivelle sono ormai certi e i risultati che riguardano la durata delle concessioni per le ricerche petrolifere non ha raggiunto il quorum (50%+1 degli aventi diritto al voto).

 

Il dato sull’affluenza per quanto riguarda gli 8000 comuni italiani al voto vede una percentuale di votanti che si attesta intorno al 32,15%, mentre la Sicilia si attesta al 28,40%.

 

Per quanto riguarda proprio la Sicilia, dati alla mano, ci indicano che Trapani è la città dove si è votato di più (33,30% di affluenza), seguita da Agrigento, Ragusa e Catania. A Palermo, dove ha votato anche il Presidente Mattarella, si è registrata una affluenza alle urne pari al 7,54% seguita da Siracusa con il 26,98%. Caltanissetta con il 22,50% si conferma la provincia dove si è votato meno e infine Gela che è il comune dove l’astensione è stata praticamente la regola.

 

Nella Città dello Stretto, dove ha votato il 24,4% delle persone aventi diritto, sono stati registrati percentuali per il “SI’” pari al 91,37% mentre i “NO” si sono attestati intorno all’ 8,63%.

 

I risultati del referendum cosiddetto “sulle trivelle” sono arrivati a partire dalle 23 della giornata di ieri per poi diventare più certi nel corso della notte. Il quorum del 50%+1 non essendo stato raggiunto fa sì che il referendum non avrà valore sul tema su cui era stato convocato.

 

Tanta fino all’ultimo la confusione delle persone sulle modalità di voto. Tale referendum era stato convocato per decidere se abrogare o meno la parte di una legge che permette, a chi ha ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa, di rinnovare la concessione fino all’esaurimento del giacimento.

 

Sul non raggiungimento del quorum ha giocato una cospicua indifferenza di molti italiani non solo al tema, ma anche allo stesso uso dello strumento del referendum rispetto a scelte giudicate troppo tecniche e limitate.

 

Per questa ragione molti sostenitori del “no”, ovvero coloro che erano a favore del mantenimento della norma, avevano puntato più sulla questione assenteismo che sulla ragione del voto contrario, cercando di incentivare il mancato raggiungimento del quorum necessario affinchè il risultato del referendum fosse considerato valido. Alla fine, sono questi che hanno vinto.

Pietro Genovese