Attacco notturno degli Stati Uniti, morto il leader dell’Isis

L’intelligence statunitense progettava un attacco ai danni dell’Isis da mesi. Il bersaglio era chiaro: il capo, Ibrahim al Hashimi al Qurayshi. L’obiettivo è stato raggiunto nella notte di Giovedì. Dopo un raid nel nord della Siria durato circa due ore, il leader dell’organizzazione terroristica si è ucciso facendosi esplodere, approfittando di una bomba che aveva con sé.

al-Qurayshi, Fonte: timeofisrael.com

Oltre ad essere stato lungo, l’attacco è stato abbastanza “distruttivo“: al Qurayshi infatti ha deciso di innescare l’ordigno con il quale si è tolto la vita all’interno di un edificio, causandone il parziale crollo e causando, inoltre, la morte di alcuni civili. Tra le 13 persone morte durante l’attacco (non è chiaro quante di queste siano morte a cause della bomba e quante invece per i colpi di arma da fuoco scagliati contro l’edificio dalle truppe americane), secondo le ricostruzioni, vi erano 6 bambini e 4 donne. Queste le dichiarazioni del presidente Biden in merito alla vicenda:

“Un disperato atto di codardia da parte del leader Isis”

Ha dichiarato, inoltre, di aver scelto la via del “raid via terra” al posto dei più convenzionali attacchi tramite droni al fine di salvare il numero più alto possibile di civili. Ma la scelta del suicidio tramite bomba da parte di al Qurayshi ha vanificato ogni speranza da parte degli U.S.A. di “minimizzare i danni”. Il presidente Joe Biden è apparso molto soddisfatto e, all’interno del discorso tenuto alla Casa Bianca in cui “rivendica” l’attacco ha lanciato un segnale ad eventuali altri terroristi dicendo:

“Vi verremo a prendere ovunque”

Biden. Fonte: corriere.it

Chi era al Qurayshi, il leader silenzioso

Dopo la morte, nel 2019, dell’ex califfo Abu Bakr al-Baghdadi ci furono delle lotte intestine all’interno dell’ autoproclamato Stato Islamico (Isis) per la successione. A spuntarla fu, appunto, al Qurayshi, il quale decise sin da subito di adottare una politica di comando nettamente difforme dal suo predecessore. La differenza principale stava nell’esposizione mediatica delle due figure: se da un lato al-Baghdadi rivendicava la maggior parte dei suoi attacchi, apparendo molto spesso in video, al-Qurayshi cercava di mantenere un profilo basso, quasi a voler rimanere nell’anonimato. Il che non sorprende. Difatti, non è raro all’interno di un’organizzazione criminale – sia essa terroristica o no – che il successore al comando tenda a distaccarsi da chi lo ha preceduto, ed Al-Qurayshi probabilmente vedeva nella risonanza a livello globale che aveva il movimento sotto la guida del suo predecessore il suo principale “tallone d’Achille“. Nell’ultimo periodo prima del raid, il leader spendeva la maggior parte della sua vita all’interno della sua residenza.

al-Baghdadi. Fonte: agi.it

L’attacco che sancisce la fine del terrorismo?

Ad un occhio poco attento potrebbe sembrare che questo genere di “conquista” porti inevitabilmente all’annientamento del movimento terroristico. In realtà la storia ci insegna come l’uccisione del leader non porti quasi mai ad uno smantellamento dell’organizzazione. Si ha un esempio chiaro anche all’interno dello Stato Islamico stesso che, dopo la morte di al-Baghdadi, non ha cessato di esistere sebbene abbia in parte cambiato forma. Vi è inoltre una precisazione da fare: un movimento come l’Isis si è generato dall’unione di più movimenti terroristici di dimensioni ridotte. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui non riescano a trovare un nuovo leader che succeda ad al-Qurayshi è più probabile una scissione: un ritorno a piccole identità terroristiche distaccate tra loro. Quindi, più che ad una eliminazione totale del movimento si assisterebbe ad una “dispersione” delle sue componenti.

In uno scenario in cui, seppur non totalmente sconfitta, l’Isis risulta sofferente e rimaneggiata a livello organizzativo è facile pensare che l’altra organizzazione jihadista principale, Al Qaeda, voglia approfittare della situazione e accrescere il suo controllo sul territorio.

Esercito Al Qaeda. Fonte: agi.it

Non risulta possibile, quindi, affermare che il raid statunitense di giovedì abbia contribuito ad indebolire il terrorismo. Se subentrerà un nuovo leader è probabile che gli Stati Uniti elaboreranno altri piani per catturarlo. Ciò che fa riflettere però è che, molto spesso, in queste operazioni vengono stroncate le vite di civili aventi l’unica “colpa” di essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Francesco Pullella

 

Maturità 2022. Gli studenti contro le direttive del Ministro Bianchi “ci sentiamo presi in giro”

Lunedì 31 gennaio il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha promulgato le ordinanze inerenti alle prove scritte e orali dell’esame di maturità di quest’anno. Non si è fatta attendere la risposta degli studenti, mobilitatisi in massa nelle piazze italiane. Il coordinatore della Rete degli Studenti Medi Tommaso Biancuzzi, come riportato dal Fatto Quotidiano, si è espresso in maniera critica:

«Si vuole dare una parvenza di normalità ma noi sentiamo puzza di disonestà intellettuale e ci sentiamo presi in giro»

La notizia delle sopracitate direttive non ha fatto altro che agitare maggiormente una popolazione, quella studentesca, che già negli scorsi giorni ha sentito l’esigenza di manifestare il proprio dissenso nei confronti delle autorità. La discesa in piazza di ieri segue infatti di pochi giorni quella per la morte di Lorenzo Parelli, repressa pesantemente con delle cariche da parte della polizia.

In cosa consiste l’esame di quest’anno

I maturandi dovranno svolgere inizialmente e in presenza, la prima prova scritta di italiano che come si apprende dalle fonti del Miur, si terrà il 22 giugno 2022. Essa proporrà sette tracce uguali per tutta Italia con la possibilità di scegliere la produzione di una tra le tre tipologie proposte: analisi e interpretazione del testo letterario, analisi e produzione di un testo argomentativo, riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità. La seconda prova anch’essa in presenza, diversa per ciascun indirizzo, si svolgerà il giorno successivo e sarà predisposta dalle singole commissioni d’Esame, decisione presa dal Ministero:

Per consentire una maggiore aderenza a quanto effettivamente svolto dalla classe e tenendo conto del percorso svolto dagli studenti in questi anni caratterizzati dalla pandemia.

Infine il colloquio orale, anche questo in presenza salvo comprovate esigenze di salute.

 

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

 

Il Ministro Bianchi ha tenuto a sottolineare che:

«Le scelte di oggi rientrano nel percorso di progressivo ritorno alla normalità che stiamo realizzando»

aggiungendo inoltre

«Abbiamo tenuto conto, come era giusto fare, degli ultimi due anni vissuti dai nostri ragazzi. Per questo, ad esempio, nel secondo ciclo, affidiamo la seconda prova scritta alle commissioni interne, che conoscono i percorsi personali degli studenti. Dobbiamo rimetterci in cammino verso la normalità e guardare al futuro, lavorare alla scuola che vogliamo costruire insieme»

Le considerazioni dei presidi e degli studenti

Sono state queste le parole che hanno scatenato l’indignazione da parte della comunità studentesca, ma anche da parte del Presidente dell’Associazione Nazionale Presidi Antonello Giannelli, il quale ritiene che:

«Di fatto, si perde quella interdisciplinarietà che rappresentava a nostro avviso un salto di qualità nella rilevazione delle competenze degli studenti, intesa anche quale prova di riflessione e di interiorizzazione degli apprendimenti»

Perplessità che non emergono casualmente, viste anche le condizioni della didattica ridotta a singhiozzo, metà in presenza e metà in remoto, modalità che secondo il parere degli studenti e dei docenti hanno influito negativamente sulla didattica. A questo bisogna aggiungere lo stress psicologico e l’ansia provocata da questa condizione che si è riversata inevitabilmente sulla salute degli studenti. In piazza si parla infatti anche di salute mentale, un concetto vittima di stigmatizzazioni culturali che purtroppo è stato trascurato notevolmente dal governo, che non considera le difficoltà enormi nella didattica e nell’apprendimento degli ultimi tre anni. Da qualche mese infatti, le associazioni studentesche chiedevano un esame che fosse incentrato sulle singolarità dello studente, ridimensionando gli scritti e inserendo una tesina.

Le associazioni studentesche all’inizio dell’anno hanno chiesto di incontrare il Ministro, ma quest’ultimo non ha mai risposto. Da qui la risposta di Tommaso Biancuzzi che ha portato alla mobilitazione nazionale:

«Non siamo dei nullafacenti, ma abbiamo seri dubbi che il percorso formativo di uno studente si valuti in base a questa proposta di Esame di Stato. Vorremmo che ci si concentrasse sul percorso personale di ogni studente, non su capacità acritiche»

Le motivazioni e l’obiettivo della mobilitazione

Ecco dunque la mobilitazione, che ha visto più di centomila studenti in quindici città d’Italia fra cui Milano, Napoli, Roma, Palermo. Il corteo più numeroso è stato quello di Roma che partendo da Piramide è arrivato fin sotto il Ministero, “un corteo partecipatissimo che ci fa sentire vivi” come scritto nel comunicato della Rete degli Studenti Medi uscito sui social.

 

 

(fonte: ig @_retestudenti)

 

Le motivazioni sono abbastanza chiare: la comunità studentesca chiede che gli scritti siano ridimensionati in modo tale che venga dato più spazio alle esperienze compiute in questi anni caratterizzati dalla DAD e un colloquio orale basato sulla tesina, affinché gli studenti possano esprimere se stessi ed essere valutati sulle proprie capacità di giudizio. L’obiettivo della mobilitazione era quello di ottenere un incontro diretto con il Ministro Bianchi. Infatti, seguendo le parole del comunicato, i rappresentanti delle associazioni studentesche sono saliti a parlare coi dirigenti del Ministero ma non hanno ottenuto l’incontro sperato pur consapevoli che non avrebbero risolto subito:

Il Ministero ha deciso di non ascoltare le nostre richieste, spiegandoci che l’Esame va bene così e ci “aiuteranno”

Insistendo però hanno ottenuto un incontro con il Ministro Bianchi fissato a lunedì 8 febbraio. Mi auguro che possano trovare un accordo e che il Ministro sappia ascoltare le loro esigenze, ripristinando così la dignità della scuola.

              Federico Ferrara

L’eruzione del vulcano Hunga e gli tsunami nel sud Pacifico. Cosa sappiamo sinora

4 giorni fa si è verificata una potente eruzione vulcanica nei pressi di Tonga, un piccolo arcipelago del Pacifico situato a pochi chilometri di distanza dal vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’apai, provocando nel giro di pochi minuti un’onda anomala di 1,2 metri che si è abbattuta sulle coste di Nuku’alofa, capitale dell’isola maggiore Tongatapu.

L’eruzione di sabato 15 gennaio – seguita da un’altra lunedì 17 – non è un caso isolato: il vulcano era stato dichiarato attivo già lo scorso 20 dicembre, ma per gli esperti soltanto pochi giorni fa si è verificata una delle più violente attività vulcaniche registrate negli ultimi 30 anni. Un’eruzione storica che ha costretto a diramare l’allarme in un’ampia area del Pacifico, dalla vicina Nuova Zelanda a tutta la West Coast americana.
La situazione al momento è ancora critica, anche a causa di un blackout delle comunicazioni che impedisce di avere un bilancio certo di morti, feriti e dispersi. Tra le prime vittime ci sarebbero tre donne.

Le conseguenze dell’eruzione

Tonga è un arcipelago di 169 isole situato a 2.300 chilometri a nord dalla Nuova Zelanda e abitato da circa 100.000 persone. Il vulcano sottomarino si trova circa 65 chilometri a nord dell’isola principale e prima di eruttare in maniera violenta lo scorso sabato era rimasto inattivo per ben 7 anni.

Non è ancora stato possibile determinare l’entità ufficiale dell’eruzione che ha segnato il risveglio della caldera dell’Hunga-Tonga-Hunga-Ha’apai, così come non è ancora chiaro se il vulcano abbia raggiunto il culmine della sua attività.

Il fatto che l’evento vulcanico abbia provocato una fuoriuscita di cenere, vapore e gas a circa 30 chilometri nell’atmosfera indica che «è stata molto potente», ha detto Heather Handley, vulcanologa della Monash University in Australia. L’area è quindi al momento ricoperta da una grossa nuvola di ceneri vulcaniche, che mettono a rischio la qualità dell’acqua e dell’aria sul territorio e rendono i soccorsi aerei particolarmente difficoltosi: «Tonga ha bisogno di assistenza immediata per fornire ai suoi cittadini acqua potabile e cibo», ha affermato in una dichiarazione pubblicata sui social media il presidente della Camera di Tonga, Lord Fakafanua, aggiungendo inoltre che «molte aree» sono state colpite da «una sostanziale caduta di cenere vulcanica» ma «l’intera portata del danno alle vite e alle proprietà è attualmente sconosciuta».

Fuga dalle coste e blackout

Preoccupate sono anche le organizzazioni umanitarie, soprattutto per il gruppo di isole periferiche Ha’apai – più vicine al vulcano – dalle quali non si sono ancora avute notizie, fatta eccezione per un segnale di richiesta di soccorso rilevato nelle isole di Mango e Fonoi, aventi un centinaio di abitanti complessivo e un basso livello del mare.

Le immagini diffuse dai giornalisti online mostrano auto travolte dall’acqua, grandi onde che si infrangono a riva nelle zone costiere di Nuku’alofa e persone in fuga.

Un residente di Tonga racconta:

«Sembrava un’esplosione. Il terreno e la casa intera hanno iniziato a tremare. Mio fratello ha pensato che fossero delle bombe esplose lì vicino, ma abbiamo subito capito che si trattava di uno tsunami dopo aver visto l’acqua entrare da tutte le parti. Abbiamo udito le urla delle persone tutt’intorno e molte persone hanno iniziato a fuggire verso le montagne».

Anche il re di Tonga (lo Stato è una monarchia costituzionale), Tupou VI, è stato evacuato dal palazzo reale di Nuku’alofa e scortato in una villa lontana dalla costa da un convoglio della polizia.

Un blackout quasi totale di energia elettrica, linee telefoniche e servizi Internet è stato inevitabile per molte zone di Tonga, il che significa che le informazioni che si ricevono dal regno polinesiano sono scarse e continueranno ad esserlo probabilmente per altre due settimane, tempo stimato per ristabilire le comunicazioni. La causa principale sarebbe la distruzione di un cavo sottomarino nelle vicinanze del vulcano.

Gli aiuti dalla Nuova Zelanda

Dopo i gravi danni che sono stati segnalati dalla costa occidentale di Tongatapu e la successiva dichiarazione dello stato di emergenza, è attualmente in corso un’operazione di pulizia nella capitale.

Australia e Nuova Zelanda hanno inviato aerei di ricognizione per valutare la situazione e oggi, martedì 18 gennaio, i ministri hanno confermato la spedizione di due navi militari neozelandesi per fornire supporto con il trasporto di acqua fresca, provviste di emergenza e squadre di sub. La permanenza prevista è di tre giorni; questo perché il Vicecapo Missione di Tonga in Australia, Curtis Tu’ihalangingie, ha reso nota la preoccupazione che aiuti e consegne possano diffondere i contagi da Covid-19 in una nazione risparmiata dalla pandemia per tutto questo tempo:

«Non vogliamo portare un’altra ondata – uno tsunami di Covid-19», ha detto, esortando il pubblico ad aspettare che un fondo di soccorso in caso di calamità venga donato.

Tre vittime

Le prime ricognizioni effettuate nell’area sembrano escludere un bilancio catastrofico in termini di vite umane, anche se il Ministero degli Affari Esteri e del Commercio ha confermato già due decessi.

Angela Glover, vittima dello tsunami. Fonte: notizieaudaci.it

Una delle vittime è la cinquantenne britannica Angela Glover, che sarebbe stata spazzata via dallo tsunami nel tentativo di salvare i cani del suo rifugio per animali. Il corpo è stato ritrovato dal marito James, con il quale viveva a Tonga dal 2015 e co-gestiva un negozio di tatuaggi nella capitale.
In Perù, a più di 10.000 chilometri di distanza, altre due donne sono annegate sulla spiaggia di Naylamp, nella città settentrionale di Lambayeque, a causa delle onde anomale dovute all’eruzione.

Allerta nel “Ring of Fire”

L’eruzione vulcanica ha provocato onde di tsunami in molti Paesi del cosiddetto ‘’Ring of Fire’’: «la zona più sismicamente e vulcanicamente attiva al mondo», a detta dello United States Geological Survey.

In questi giorni sono scattati piani di emergenza in Paesi come il Cile, l’Australia e l’Alaska, dove gli esperti del National Weather Service di Anchorage hanno registrato il boato che sabato ha avuto origine dal vulcano. Il che significa che il suono ha viaggiato per più di 9.300 chilometri.

Le spiagge restano chiuse in molte località, dove le onde hanno distrutto le imbarcazioni dei porti turistici, dalla Nuova Zelanda al Giappone. In California, è stata colpita da inondazioni la città di Santa Cruz. Mentre le Hawaii non hanno riportato danni, soltanto la segnalazione di «piccole inondazioni» in tutte le isole.

Un parcheggio del porto di Santa Cruz allagato in seguito alle onde anomale provocate dall’eruzione del vulcano sottomarino di Tonga. Fonte: Il Post

Gaia Cautela

Rivolta in Kazakistan: adesso è repressione a guida del Cremlino. Ecco cosa sta succedendo in Asia centrale

Fonte: it.notizie.yahoo.com

Le prime due settimane di gennaio iniziano con una forte tensione in Asia centrale: una protesta del gas, cominciata il giorno di Capodanno in Kazakistan, si è rapidamente trasformata in una rivolta – tutt’ora in corso – contro l’oligarchia al potere, effetto di una più ampia lotta tra fazioni dell’élite del Paese.

Nel giro di pochi giorni le manifestazioni sono dilagate in tutto il Kazakistan, provocando un preoccupante numero di morti, feriti e arresti, e mettendo in difficoltà il regime di Kassym-Jomart Tokayev, che grazie all’aiuto militare della Russia è riuscito a reprimere gran parte delle rivolte.

Dura la reazione da parte degli Stati Uniti, mentre l’Ue si mostra neutrale con l’invito alla responsabilità delle parti. Il tutto nell’incertezza di eventi accompagnati dal blackout nazionale di Internet.

Proteste in tutto il Paese

L’aumento delle tariffe del gas – e in particolare del Gpl – annunciato nei giorni precedenti dal presidente Tokayev si è presentato come il casus belli perfetto di una rivolta che, a dire il vero, era nell’aria già da un po’ di tempo a causa dell’insofferenza nei confronti di un intero sistema fondato e guidato per un trentennio dall’ex presidente Nursultan Nazarbayev.

Nazarbayev si era dimesso nel 2019, ma da allora ha comunque continuato – fino a prima della rivolta – ad esercitare un forte controllo sul Paese in quanto presidente del Consiglio di sicurezza e “Leader della nazione”.

Le prime proteste hanno avuto inizio nel Mangystau, principale provincia petrolifera affacciata sul Mar Caspio, seguita da Almaty (cuore economico del Paese) ed estesesi poi a macchia d’olio in tutto il territorio kazako.
Stando ai bollettini più recenti, le vittime ufficiali sfiorerebbero quota 200, migliaia di manifestanti sarebbero stati incarcerati e, secondo la televisione di stato, uccisi 16 poliziotti e altri 1.300 sono rimasti feriti.

Fonte: euronews

Internet assente

È impossibile dire con precisione quale sia il bilancio delle violenze anche a causa di un blocco quasi generale di internet e della rete dei telefoni cellulari iniziato il 4 gennaio, che ha improvvisamente riportato il Kazakistan ai primi anni ’90.

Ciò sarebbe dovuto al provider Internet Kazakhtelecom che ha disabilitato l’accesso alla rete in tutto il paese e alle interruzioni dei maggiori operatori di telefonia mobile Kcell, Beeline e Tele2. I siti di notizie locali non sono disponibili.

Fonte: newsmeter.in

Si tratta di un’interruzione accertata anche dal servizio britannico NetBlocks, che monitora lo stato della rete in tutto il mondo, il quale sostiene che le interruzioni a livello della rete non possono essere aggirate, nemmeno con l’aiuto di un software speciale o di una VPN:

«Il Kazakhstan sta attualmente vivendo un blackout di Internet a livello nazionale dopo una giornata di interruzioni di internet mobile» e altre «restrizioni parziali», ha affermato l’ong, annunciando che questo «potrebbe limitare gravemente la copertura delle proteste antigovernative che si stanno intensificando», ha denunciato qualche giorno fa il gruppo di monitoraggio su Twitter.

È certo che questo accaduto porta con sé delle conseguenze che dipenderanno soprattutto dalla durata del blackout, ancora non del tutto chiara.

La missione in Kazakistan

Al momento la situazione nei maggiori centri urbani sembra essere relativamente più calma, chiara conseguenza dell’intervento di 2.500 militari provenienti da un’alleanza di Paesi guidati dalla Russia.

È la prima volta che la “Collective Security Treaty Organization” (CSTO), nella sua storia, autorizza l’invio di truppe nei territori di un Paese membro: di fronte al precipitare della crisi, al presidente Tokayev non è rimasto che proclamare lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale e ricorrere all’aiuto di Putin per fermare le agitazioni.

Così, in un comunicato, il governo kazako ha scritto che varie «infrastrutture strategiche» ora sono sotto il controllo della forza militare inviata dalla Russia, la quale ha in particolare contribuito a riprendere il controllo dell’aeroporto di Almaty, occupato fino ad allora dai rivoltosi.
Il comunicato di un altro collaboratore del presidente ha per giunta criticato i media occidentali per aver dato «la falsa impressione che il governo kazako abbia colpito manifestanti pacifici».

Fonte: geopolitica.info

Lotta tra fazioni politiche

Intanto che la repressione infuria in Kazakistan, lo scorso sabato il governo kazako ha annunciato l’arresto di Karim Massimov, ex primo ministro e leader del Comitato per la sicurezza nazionale.
Accusato di tradimento e di aver fomentato le rivolte, Massimov era una delle persone più potenti del Kazakistan e stretto alleato dell’ex presidente Nursultan Nazarbayev.

Anche Nazarbayev, come già detto, pur avendo lasciato la presidenza manteneva il controllo informale sugli apparati di sicurezza del paese. Eppure, è stato costretto a dimettersi da ogni incarico pubblico al momento dello scoppio delle rivolte, e lo stesso è avvenuto con altri suoi importanti alleati politici.
Ciò ha spinto molti analisti a pensare che dietro alle rivolte ci sia stata una più ampia lotta per il potere tra la fazione politica fedele a Tokayev e quella fedele a Nazarbayev.

La dottrina Putin

A condurre ora il gioco del Paese (dove la minoranza russa è consistente) è quindi il Cremlino, che ha imposto un’interpretazione forzata dell’articolo 4 del Trattato di cooperazione sulla sicurezza, secondo cui un’aggressione militare giustifica l’intervento di forze congiunte, e riadattando le norme alle circostanze di una serie di rivolte qualificate come aggressione di bande terroristiche formatesi all’estero:

«La dottrina Putin è ormai consolidata nella tolleranza zero nei confronti di tutte quelle che una volta erano state chiamate rivoluzioni colorate, che hanno interessato appunto diverse repubbliche ex sovietiche rette dalla caduta del Muro da ex funzionari del Partito comunista: Georgia, Ucraina, Kirghizistan, Azerbaijan, Bielorussia. Putin non tollera più nel suo tentativo di ricostruire la grande Russia sovietica alcun tipo di richiesta di democratizzazione che possa allontanare questi Stati dalla sfera di influenza di Mosca», ha spiegato il sociologo Massimo Introvigne.

Le posizioni di Usa e Ue

L’occidente intanto segue dall’esterno la vicenda restando vigile sui fatti, specialmente gli Stati Uniti, il cui portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha detto che essi “sorvegliano” per verificare eventuali abusi dei diritti umani da parte delle truppe russe in Kazakistan:

«Gli Stati Uniti e il mondo intero monitorano tutte le eventuali violazioni dei diritti umani e sorvegliano anche eventuali azioni che possano gettare le basi per una presa di controllo delle istituzioni del Kazakistan».

Fonte: middleeastmonitor.com

Mentre l’Unione europea mantiene una posizione neutrale, come si evince in una nota del portavoce dell’Alto rappresentante Ue per la Politica estera, Josep Borrell:

«Invitiamo tutti gli interessati ad agire con responsabilità e moderazione e ad astenersi da azioni che potrebbero portare a un’ulteriore escalation di violenza».

L’Europa, insomma, sta seguendo da vicino gli sviluppi, precisando che:

«Il Kazakistan è un partner importante per l’Unione europea e contiamo sul fatto che mantenga i suoi impegni, tra cui la libertà di stampa e l’accesso alle informazioni online e offline».

Gaia Cautela

Il congedo di Mattarella alla Farnesina: ‘’È il mio ultimo saluto alla comunità degli ambasciatori’’

Mattarella saluta per l’ultima volta gli ambasciatori. Fonte: lavocedinewyork.com

Ieri, lunedì 20 dicembre, ha preso avvio, presso la Farnesina, la XIV Conferenza degli Ambasciatori e delle Ambasciatrici d’Italia nel mondo, intitolata “Ripartire insieme: il contributo della politica estera ed europea dell’Italia alla trasformazione internazionale’’.

La sessione inaugurale della Conferenza è stata aperta dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – oltre che dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, e dal Segretario Generale della Farnesina, Ettore Francesco Sequi – che, allo scadere del suo settennato, si congeda tra applausi e standing ovation dei presenti.

L’evento sarà chiuso oggi, martedì 21 dicembre, dagli interventi del Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, e dal Ministro Di Maio.

Il riconoscimento alle forze politiche

“Consentitemi in questa ultima occasione in cui posso rivolgermi alla vostra comunità, di esprimervi fervidi auguri per il Natale, per il Nuovo Anno e per il futuro”:

La Conferenza cominciata ieri è stata l’occasione del Presidente per rivolgere un ultimo saluto a diplomatici e rappresentanti delle istituzioni italiani prima del congedo e, accanto all’ormai tradizionale scambio di auguri, diversi sono stati i punti toccati dal suo discorso: dalla gestione dell’emergenza sanitaria, al tema del lavoro accompagnato da una profonda riflessione sul nostro Paese.

Palazzo della Farnesina. Fonte: mosaico-cem.it

Mattarella ha voluto, come prima cosa, spendere alcune parole di ringraziamento e riconoscenza nei confronti del Ministero degli Esteri:

“Vorrei iniziare esprimendo la mia riconoscenza per il supporto fornito in questi anni all’attività sviluppata dalla Presidenza della Repubblica, in Italia e all’estero. Nel volgere lo sguardo ai sette anni passati, non posso non rilevare come l’attività internazionale che li ha caratterizzati non sarebbe stata possibile senza l’efficiente supporto del ministero degli Esteri, nonché dell’intera rete diplomatico-consolare “, ha detto il Capo dello Stato.

Il ricordo di memorabili italiani

Tra gli applausi e la commozione, le parole del Presidente non hanno mancato di ricordare l’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso, insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo, nella Repubblica Democratica del Congo:

“Un esempio di chi aveva messo la propria italianità a servizio della causa dell’umanità”, ha detto Mattarella.

Anche Di Maio ha voluto citare l’esempio, annunciando la decisione di voler conferire ad Attanasio il titolo onorifico di Ambasciatore di grado.

Per visualizzare il testo integrale del discorso del Presidente, visitare il sito ufficiale del Quirinale: https://www.quirinale.it/elementi/61716

 

La prima difesa del virus è la fiducia

La Conferenza degli Ambasciatori e delle Ambasciatrici è stata anche un’occasione per stilare un bilancio della pandemia, tutt’ora in corso:

Fonte: insiciliareport.it

“La pandemia ha messo in luce la vitalità e il valore aggiunto della costruzione europea, che ha saputo coordinare le risposte degli Stati membri, evitato una chiusura totale delle frontiere nazionali, messo a fattore comune le risorse europee e nazionali per finanziare ricerca e acquisto di vaccini. Infine, con il lancio di ‘Next Generation’ è riuscita a costruire un’articolata risposta ai devastanti effetti economici e sociali della crisi. Un’azione comune, frutto di una scelta lucida, che nasce dalla consapevolezza che i destini e gli interessi degli europei sono strettamente intrecciati tra loro”.

Il più grande punto toccato da Mattarella è stata proprio l’importanza dell’avere fiducia nella scienza, poiché questa rappresenta “la prima difesa del virus“.
Il Presidente ha poi constatato come sia stato dato “troppo risalto mediatico ai No Vax” aggiungendo che ciò non andrebbe comunque a scalfire “in alcun modo l’esemplare condotta della quasi totalità degli italiani”.

 

La mission dell’Ue

L’evento è stato anche occasione per ribadire lamission dell’Unione Europea:

Deve difendere i valori liberaldemocratici e i diritti ma non si deve chiudere in un atteggiamento di ‘fortezza’ perché – ha ammonito il capo dello Stato – l’atteggiamento di ”fortezza Europa” che, con scarso rispetto dei diritti umani, alcuni manifestano, non corrisponde alle ambizioni di questa Unione europea”.

L’Italia unita davanti alla pandemia

In ultimo, ma non per importanza, il Presidente Mattarella ha illustrato il quadro economico del nostro Paese, per certi versi, incoraggiante:

“Il tasso di crescita del Pil nazionale sarà tra i più alti tra i Paesi dell’Unione. A questo si aggiunge un recupero di posti di lavoro, una ripresa dei ritmi produttivi e dei consumi e un apprezzabile miglioramento della fiducia delle famiglie e delle imprese. Segnali positivi ma ancora fragili”.

Fonte: L’Eco di Bergamo

E in tempi duri come questi, il Capo dello Stato si spinge anche fino ad elogiare l’atteggiamento costruttivo che ha accomunato maggioranza e opposizione, nel nome dell’interesse nazionale, e lo spirito italiano di dare il meglio di sé proprio nei momenti più difficili:

“Una delle caratteristiche della nostra gente si manifesta quando le condizioni sono difficili: è il momento in cui riusciamo a esprimere il meglio di noi. A ritrovare la fiducia smarrita. Non rinunciamo alle differenze e alle diversità. Ma sappiamo essere uniti sulle grandi scelte, quando le circostanze della vita lo richiedono. L’augurio che rivolgo a voi e al nostro amato Paese – per il futuro – è che lo spirito costruttivo e collaborativo, reciprocamente rispettoso, possa divenire un tratto stabile dei rapporti istituzionali”.

Gaia Cautela

Olaf Scholz è il nuovo cancelliere tedesco. «Le donne avranno la metà del potere»

Fonte: secoloditalia.it

Ieri, mercoledì 8 dicembre, si è aperta una nuova pagina politica in Germania: il leader socialdemocratico Olaf Scholz è stato nominato nuovo cancelliere tedesco e guiderà nei prossimi quattro anni il governo del Paese, subentrando al lungo mandato – durato ben 16 anni – di Angela Merkel.

Il programma del nuovo esecutivo tedesco presenta delle proposte progressiste relativamente a salari, transizione ecologica, investimenti e diritti umani, pur riconoscendo le priorità e gli sforzi che la Germania ha compiuto negli ultimi anni, specialmente nel contesto dell’Unione europea e del suo consolidamento.

La cerimonia di investitura

Olaf Scholz è divenuto ufficialmente il nono cancelliere della storica Repubblica federale della Germania dopo aver giurato di dedicare le sue energie al benessere del popolo davanti al Bundestag – il Parlamento tedesco – ed aver ricevuto la sua approvazione con 395 voti a favore: una maggioranza robusta rispetto al minimo necessario di 369.
Subito dopo aver accettato il voto del Parlamento, Scholz si è recato a Palazzo Bellevue per ricevere il decreto di nomina dal presidente Frank-Walter Steinmeier, ultimo passo per mettere ufficialmente fine all’era Merkel.

Il leader socialdemocratico si insedia a capo di una coalizione dalla composizione inedita, soprannominata ‘’semaforo’’: ne fanno parte Socialdemocratici (SPD), Liberaldemocratici (FPD) e Verdi, tutti al di sotto del 27%, divisi su molti punti ma decisi a modernizzare insieme il Paese.
Inedita è ad esempio la divisione dei ministeri tra otto donne e otto uomini, perfettamente ‘’gender equal’’, come d’altronde avevano anticipato le parole del neocancelliere, scandite da un sorriso: «Le donne avranno la metà del potere».

Le novità del nuovo programma

Otto donne e otto uomini, i nuovi ministri del governo Scholz. Fonte: Repubblica.it

La piena parità di genere è sicuramente tra le novità assolute del nuovo esecutivo e l’arrivo di Nancy Faeser, già presidente dell’assemblea regionale dell’Assia (Regione e stato della Germania occidentale) e divenuta adesso prima donna ad occupare il ministero dell’Interno, ne esprime la concreta realizzazione.

Nondimeno, l’ambizioso e pragmatico programma concordato dal nuovo governo contiene diversi altri interessanti punti:

• In materia economica, il governo vuole aumentare il salario minimo del 25 per cento, rafforzare le società partecipate dallo stato e finanziare la costruzione di 100mila nuovi appartamenti l’anno. Allo stesso tempo viene esclusa l’eventualità di aumentare in modo significativo le tasse esistenti o di introdurne delle altre;

• In materia ecologica, il governo si impegnerà a creare un fondo da 50 miliardi per combattere il riscaldamento globale, un passo molto significativo considerato che la Germania è uno dei paesi dell’Europa occidentale più legati ai combustibili fossili;

• Proposte come la legalizzazione della marijuana, «la liberalizzazione dell’arcaica legge sulla cittadinanza, la riduzione della burocrazia, una riforma elettorale per ridurre il numero dei parlamentari, maggiori diritti per le persone gay e transgender», elencate nel settimanale inglese ‘’Economist’’;

• In politica estera sembrerebbe che i tre partiti vogliano abbandonare la prudente politica dei governi guidati in precedenza dalla CDU (Unione Cristiano-Democratica) di Angela Merkel, leader tra le più disponibili in Europa a dialogare con gli avversari politici come Cina e Russia. Mentre l’atteggiamento da tenere nei confronti delle istituzioni europee resta sempre quello orientato a rimanere «l’ancora di stabilità dell’Europa».

In sintesi, il nuovo documento programmatico rappresenta un compromesso fra ambizione e accortezza, attento a tener conto della necessità di convivenza tra partiti più progressisti, come Socialdemocratici e Verdi, e quello liberale e conservatore dei Liberaldemocratici.

Chi è Olaf Scholz?

Il 63enne Scholz fa parte della SPD dal 1975 – vale a dire da quando aveva 17 anni – ed è stato sindaco di Amburgo dal 2011 al 2018, anno in cui è diventato Ministro delle Finanze e vice cancelliere del quarto (e uscente) governo di Angela Merkel.

Leader pragmatico, socialdemocratico moderato e centrista, la popolarità a livello nazionale del nuovo cancelliere è cresciuta particolarmente durante gli anni da ministro, grazie al modo in cui aveva gestito l’emergenza da Coronavirus. Scholz, infatti, con la distribuzione di ingenti sussidi statali per sostenere l’economia del paese, viene considerato tra i principali autori del Fondo della ripresa approvato dal Consiglio Europeo.

Nonostante durante la sua campagna elettorale abbia insistito molto su politiche sociali tradizionalmente progressiste, è riuscito al contempo a convincere gli elettori tedeschi che un governo di centrosinistra non sarà poi così dissimile da quelli della Merkel.

L’addio alla Merkel

Durante la cerimonia di investitura del nuovo cancelliere tedesco il Parlamento ha salutato con un lungo applauso la cancelliera uscente Angela Merkel, la quale dopo un po’ si è alzata in piedi come per dire che la giornata di ieri non fosse la sua ma del suo erede, riconfermando ancora una volta il suo stile assoluto e sobrio, anche nell’addio.

Fonte: Blitz quotidiano

La Merkel è stata una delle prime ad accogliere con un applauso l’annuncio del risultato di Scholz, al quale ha voluto dedicare alcune parole durante il passaggio dei poteri:

«Lo so per esperienza, è un momento commovente essere eletto in questo incarico – ha detto – ma se uno lo affronta con gioia, assumersi la responsabilità del nostro Paese è uno dei compiti più belli: bisogna sempre affrontare sfide nuove perché al mattino quando uno si alza non sa mai cosa succederà la sera. Prenda possesso di questa casa e ci lavori al meglio per la Repubblica».

E non è mancata una risposta di ringraziamento da parte del neocancelliere:

«Voglio ringraziarla per il suo lavoro di questi 16 anni». Sono stati anni «in cui lei ha dovuto superare grandi sfide, un periodo meraviglioso». Scholz ha voluto poi ricordare «l’ottima collaborazione» intercorsa come esponente dei governi di coalizione guidati da Merkel e che durante i 16 anni di governo dell’ormai ex cancelliera, la Germania ha dovuto affrontare “grandi sfide”, come la crisi finanziaria del 2008-2009 o la crisi migratoria del 2015. «Ora – ha aggiunto – la grande sfida è quella economica e sociale collegata al Covid».

Gaia Cautela

Sicilia, da oggi obbligo di mascherina all’aperto: tutte le restrizioni previste dall’ordinanza Musumeci

In Sicilia  da oggi sono in vigore nuove misure di prevenzione anti Covid per contrastare la diffusione del virus, anche nella nuova variante comunemente nota come ‘’Omicron’’. Tra queste, mascherina obbligatoria e maggiori controlli in porti e aeroporti.

Il presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci. Fonte: ilgazzettino.it

A prevederle, un testo di 5 articoli (vedi versione integrale dell’ordinanza) firmato ieri dal presidente della regione Nello Musumeci, e adottato in seguito alla relazione dell’assessorato alla Salute. In vista delle prossime festività natalizie, l’ordinanza sarà estesa per l’intero mese di dicembre, vale a dire dal 2 dicembre fino al 31.

L’obbligo di mascherina all’aperto

Tutti i cittadini siciliani di età superiore ai 12 anni devono indossare la mascherina nei luoghi pubblici e aperti al pubblico. Ad assicurare il rispetto della norma sono le autorità addette alla pubblica sicurezza, anche mediante l’applicazione di sanzioni previste dalla legge, ove necessario.

L’obbligo di tampone per migranti e viaggiatori

Un’altra novità introdotta dall’ordinanza di Musumeci è l’estensione dell’obbligo di tampone in tutti i porti e aeroporti ai passeggeri che arrivano in Sicilia dalla Repubblica del Sudafrica, Botswana, Repubblica Araba di Egitto, Repubblica di Turchia, Hong Kong e Stato d’Israele.
Prima di quest’ultimo provvedimento, il controllo era già previsto per chi provenisse – oppure avesse soggiornato o transitato nei 14 giorni precedenti alla partenza – da Gran Bretagna, Germania, Malta, Portogallo, Spagna, Francia, Grecia, Paesi Bassi e Stati Uniti, per un totale di 15 stati esteri.

Controlli antiCovid nell’aeroporto di Palermo. Fonte: informazione.it

Per quanto riguarda i passeggeri in arrivo da Paesi per i quali il tampone obbligatorio non è previsto, essi potranno comunque fare richiesta e sottoporsi al test direttamente presso lo scalo e a titolo gratuito.
E ancora, coloro che sono giunti in Sicilia nei 10 giorni precedenti all’entrata in vigore dell’ordinanza sono tenuti a contattare il Dipartimento di prevenzione dell’Asp territorialmente competente e il proprio medico di Medicina generale per essere sottoposti a tampone molecolare. Anche i migranti che raggiungono il territorio siciliano dovranno essere sottoposti a tampone molecolare, una volta terminato il loro periodo di quarantena.

Attività dei laboratori regionali sotto monitoraggio

Dal momento che l’ordinanza punta oltretutto ad assicurare in tutte le province dell’isola un’appropriata sorveglianza epidemiologica, per farlo il Dipartimento per le attività sanitarie e osservatorio epidemiologico (Dasoe) dell’assessorato della Salute e il Dipartimento per la pianificazione strategica eseguiranno una ricognizione dei laboratori siciliani capaci di sequenziare le varianti del virus (vale a dire individuare mediante lettura dell’intero genoma virale eventuali differenze e mutazioni) e ne coordineranno l’attività. L’obbiettivo da raggiungere è l’aumento progressivo del numero di tamponi sequenziati in Sicilia.

Assembramenti natalizi e contagi

Per comprendere il motivo di simili provvedimenti a pochi giorni dall’inizio delle festività basta pensare alle storiche scene di marzo 2020, quando prima della chiusura totale del governo Conte, centinaia di persone affollavano stazioni e treni con destinazione il Sud: sono molti i giovani studenti e lavoratori che ogni anno alimentano la movimentazione tra una regione all’altra, specie durante le feste.

Dunque, nonostante il numero dei nuovi positivi in Sicilia sia rimasto stazionario negli ultimi giorni, a preoccupare i governi sono soprattutto gli assembramenti nelle vie e piazze dello shopping e l’arrivo di gente da altre regioni, elementi che potrebbero portare ad un maggiore aumento dei contagi, potenzialmente preoccupante seppur non ai livelli dello scorso anno.

Fonte: La Repubblica

Le voci dei sindaci e Musumeci

Con l’obbligo di mascherina all’aperto, la Sicilia ha scelto di adeguarsi ad altre regioni e città dove era già scattato in precedenza l’obbligo come a Torino e a Firenze, seppur in alcuni casi il dispositivo di protezione vada indossato soltanto in determinate vie e piazze particolarmente affollate.

Il presidente dell’Anci (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), Antonio Decaro, ha fatto sapere che vari sindaci hanno richiesto al Governo di valutare l’opportunità di estendere l’obbligo a livello nazionale e fino al mese di gennaio:

“Quelli – ha spiegato – sono i giorni del Natale dove per lo shopping, per la voglia giustamente di stare insieme e di fare comunità, nelle nostre città c’è maggiore possibilità di assembramento. Se ci fosse un provvedimento nazionale, come abbiamo spiegato al Governo, sarebbe tanto di guadagnato, perché daremmo un segnale unico a tutto il Paese”.

Anche il presidente Musumeci ha detto la sua ieri:

Vogliamo passare il Natale in sicurezza, sia dal punto di vista sanitario che economico. La Sicilia non potrebbe sopportare una nuova chiusura”.

Una linea dura è stata adottata nei confronti dei ”No vax”:

“Sono convinto che nell’area “no vax” ci sia una fascia di cittadini cosiddetti non irriducibili, che per timore o insufficiente informazione, rimane diffidente. Credo che con un provvedimento drastico e restrittivo, ovviamente straordinario, potremmo recuperare questa larga fascia di indecisi. I dati dimostrano che l’80 per cento dei ricoverati negli ospedali non ha fatto vaccino”.

Gaia Cautela

Evacuazione notturna a Vulcano. Cosa sta accadendo sull’isola eoliana negli ultimi giorni

Grande preoccupazione a Vulcano, nell’arcipelago delle isole Eolie: ieri è iniziata l’evacuazione delle abitazioni dell’area portuale e delle zone limitrofe – al momento con interdizione solo notturna, dalle 23 alle ore 6 – , dopo che venerdì 19 novembre il governo Musumeci ha dichiarato lo stato di crisi e di emergenza regionale per via dell’isola, in cui è immediatamente scattata l’allerta gialla, in particolare su tre zone dell’isola. 

Fonte: corrieredellacalabria.it

Le ragioni di tale allarmismo sono riconducibili al vertiginoso aumento di CO2 nell’aria, che sta mettendo a dura prova la salute dei residenti. L’obiettivo è quello di avviare tutte le iniziative possibili in grado di garantire una risposta operativa sul territorio, mitigare i rischi e assistere al meglio la popolazione colpita dal progredire nelle ultime settimane dei fenomeni vulcanici.

L’ordinanza del sindaco

Il sindaco di Lipari Marco Giorgianni ha già provveduto a disporre un’ordinanza che da oggi, lunedì 22 novembre, coinvolgerà 100-150 persone residenti (dei 300 abitanti complessivi, all’incirca), alle quali sarà proibito dormire dalle 23 alle 6 nelle proprie case perché situate nella zona di rischio.

Il sindaco di Lipari, Marco Giorgianni. Fonte: Youtube.com

L’ordinanza sarà in vigore per un mese, durante il quale sarà vietato lo sbarco dei turisti, mentre continuerà ad essere consentito l’ingresso sull’isola ai pendolari. Escluse dall’ordinanza le località di Piano, Gelso e Vulcanello – essendo al momento ritenute sicure – ed è inoltre previsto il raddoppio h24 della guardia medica. Ad ogni modo, diverse famiglie dell’area di rischio dispongono di villette a più piani che pertanto potranno considerarsi tranquille se risiedenti ai piani alti.

Durante le ore diurne sarà consentito il normale svolgimento delle proprie attività, anche nella zona rossa, e sarà possibile frequentare le proprie case.
La durata di un mese dell’ordinanza servirà a dare il tempo alla INGV di raccogliere dati più precisi che possano prevedere dove potrebbero convergere i gas emessi dal Vulcano.

I rischi

A preoccupare i vulcanologi dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e la protezione civile del luogo sono le continue fuoriuscite di fumi con gas, anidride carbonica e solforosa da più punti alle pendici del vulcano, oltre che dal cratere. Essendo che l’anidride carbonica pesante tende ad andare verso il basso, il sindaco teme per le conseguenze sulla popolazione.

Fonte: blogsicilia.it

Trasferimento e aiuti

A causa del divieto di pernottamento nelle zone di rischio, gran parte delle persone dovrà recarsi nelle seconde case, da amici o parenti, e anche nelle strutture turistiche alberghiere delle zone fuori pericolo che si sono messe a disposizione per fronteggiare l’emergenza.

Tali famiglie saranno aiutate da un contributo mensile quantificato dall’ordinanza sindacale per l’autonoma sistemazione: previsti 400 euro per i nuclei mono familiari, 500 euro per quelli composti da due persone, 700 euro per i nuclei da tre unità, 800 euro se il nucleo è di 4 o più soggetti.
Il Comune, in ogni caso, cercherà delle soluzioni per chi non avrà provveduto in autonomia, dando la priorità a famiglie con disabili gravi, poi i fragili e gli altri nuclei familiari a seguire. Eventuali costi extra sostenuti dai cittadini saranno rimborsati.

Le parole dell’esperto

Il direttore della Sezione Ingv di Palermo, Francesco Italiano, già noto alle Eolie per aver guidato la scoperta dei sistemi idrotermali sottomarini nell’isola di Panarea e dintorni, ricorda a proposito di Vulcano che:

«al momento il serio problema è rappresentato dalla massa di gas aumentata a dismisura. Dopo aver monitorato la parte geochimica dell’isola è stato accertato che i valori giornalieri di CO2 da 80 tonnellate sono lievitati a 480. Ecco perché è rischioso vivere nella zona rossa dove odore e calore sono segnali ai quali non bisogna essere esposti. Elementi che fanno capire che è meglio non dormire lì».

Fonte: zerozeronews.it

Le parole del sindaco Giorgianni suggeriscono una simile preoccupazione:

«Ci sono dei dati che riguardano l‘aumento dei gas – ha spiegato – che creano preoccupazione molto forte perché possono essere pericolosi per la salute pubblica. C’è un gas pesante al suolo che riduce la quantità di ossigeno che crea difficoltà respiratorie che possono avere effetti letali. Questo il dato giornaliero: 480 tonnellate di C02. Il dato normale è di 80. Poi dipende anche dal vento. Se si distribuisce in un territorio limitato diventa pericoloso, se in un territorio più vasto è meno pericoloso. Qualcosa quindi dobbiamo fare? Bisognerà fare una campagna in tutta l’isola per accertare i reali valori di gas e altro. Quando avremo i risultati di questo monitoraggio a tappeto si decideranno i nuovi provvedimenti».

Muscarà, la rassegnazione di un isolano

Tra gli isolani (chiamati ‘’vulcanari’’) aleggia uno stato di diffuso timore, come conferma Peppino Muscarà, membro di una delle famiglie storiche dell’isola:

«La situazione a Vulcano non è affatto buona, mi domando se la situazione fumi e gas dovesse restare così per anni… che futuro potrà avere l’isola e i suoi abitanti. Nessuno può garantire che torneremo come prima, nessuno scienziato può garantirlo. Che ne sarà’ delle nostre case, delle nostre attività, del lavoro, dei nostri animali e del turismo? Purtroppo – conclude – in questo caso non esiste un piano “B”, abbiamo a che fare con un Vulcano di natura esplosiva in una isoletta di 21 km quadrati e contro la natura in questo caso nulla si può fare per difendersi».

Gaia Cautela

Proteste ‘’No green pass’’. Ecco le nuove restrizioni annunciate dalla ministra Lamorgese

Nella serata di mercoledì scorso il Viminale ha annunciato nuove restrizioni sulle manifestazioni dei no green pass, che da ormai settimane stanno provocando forti disagi in diverse città italiane.

Fonte: TGCom24

La direttiva – vale a dire un documento che contiene norme e istruzioni – predisposta dalla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, esorta all’individuazione di aree sensibili e impone tutta una serie di altre limitazioni. L’obiettivo è garantire il diritto a manifestare ma proteggendo l’attività economica e la salute pubblica, soprattutto in vista di un nuovo sabato di proteste atteso per il 13 novembre.

Le nuove misure su cortei e manifestazioni

Con il Natale alle porte, il dilagare del fenomeno proteste per le misure emergenziali dettate dalla pandemia ed il continuo aumento dei contagi, Lamorgese ha ritenuto urgente l’imposizione di una nuova linea a chi ha il compito di tutelare l’ordine pubblico.

La ministra ha quindi inviato due giorni fa una circolare a tutti i prefetti d’Italia, che avranno la facoltà di «individuare specifiche aree urbane sensibili» e di particolare interesse per lo svolgimento ordinato della vita cittadina, che «potranno essere oggetto di temporanea interdizione» agli stessi cortei, almeno fino alla fine dello stato di emergenza.

La ministra degli Interni, Luciana Lamorgese. Fonte: Ansa

I manifestanti dovranno essere tenuti lontani da centri storici e affollati delle città, oltre che da obiettivi sensibili come sedi di sindacati e partiti, palazzi delle istituzioni e ambasciate. Tra le disposizioni c’è poi la possibilità di imporre lo svolgimento delle proteste in forma statica soltanto (sit-in), l’obbligo di mascherina all’aperto e regolamentazione di percorsi idonei a preservare aree urbane nevralgiche.

Le decisioni sulle misure specifiche – da adottare comunque caso per caso – avranno attuazione immediata e saranno affidate ai Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica (in cui si riuniscono il sindaco del capoluogo di provincia, il presidente della provincia, il questore e i rappresentanti delle forze dell’ordine).

Lamorgese e Mattarella in difesa del bilanciamento dei diritti

Nonostante la direttiva nasca con l’obiettivo esplicito di contenere i disagi derivanti dalle manifestazioni di dissenso delle ultime sedici settimane, la ministra degli Interni ha tenuto a specificare che la circolare non riguarda esclusivamente le manifestazioni ‘’No Green Pass’’ e che pertanto le restrizioni a cui rimanda potranno essere applicate anche a proteste «attinenti ad ogni altra tematica».

Intervenuta all’assemblea dell’Anci, Luciana Lamorgese ha spiegato:

«Il diritto di manifestare è costituzionalmente garantito ma esiste anche un bilanciamento dei diritti: si può manifestare ma servono regole che proteggano gli altri cittadini, il diritto al lavoro e il diritto alla salute». Ha poi messo in evidenza che «Non si può pensare che a fronte di un’economia in rialzo, la penalizziamo con tutte queste manifestazioni».

Ed in merito a ciò è intervenuto anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella:

«Dissenso non può sopraffare il dovere di proteggere i più deboli».

Il presidente Sergio Mattarella. Fonte: AGI

L’elenco dei luoghi vietati

I prefetti, in accordo con i sindaci, hanno già pensato ad una serie di provvedimenti per impedire le manifestazioni in alcune zone della città. A tal proposito, il Corriere della Sera ha stilato un elenco delle piazze italiane in cui non sarà possibile manifestare: l’intenzione è di seguire l’esempio del prefetto di Trieste Valerio Valenti, il quale ha vietato le manifestazioni in piazza Unità d’Italia fino al 31 dicembre.

Proteste No Green Pass a Firenze in piazza Santa Maria Novella. Fonte: SkyTG24

Pertanto:

• Vietate piazza Fontana, la zona del Duomo e di Brera a Milano;
• Vietata piazza del Popolo con l’indicazione di concentrarsi al Circo Massimo a Roma;
• Vietate Santa Croce e Santa Maria Novella a Firenze;
• Divieto manifestazioni sul lungomare, in piazza Dante e piazza del Plebiscito a Napoli;
• Vietata piazza Maggiore a Bologna;
• Niente manifestazioni a piazza del Ferrarese a Bari;
• Vietata piazza Sant’Oronzo a Lecce;
• Vietata piazza Verdi a Palermo;
• Divieto in piazza Garibaldi a Cagliari;
• Si valuta di vietare piazza della Vittoria a Genova;
• Al vaglio la possibilità di non concedere più piazza Dante a Trento.

La voce degli oppositori

Dopo l’annuncio delle nuove restrizioni, molti gruppi di manifestanti sono sul sentiero di guerra contro tali divieti. Altri si sono mostrati invece maggiormente disposti ad accettare piazze e altri luoghi alternativi.

Tra gli oppositori, a Milano, il Comitato che promuove i cortei del sabato ha annunciato lo stop alle trattative con la questura perché:

«dopo questo sabato, per noi è diventato impossibile sederci al tavolo con chi ha rinchiuso centinaia di manifestanti pacifici in una via e li ha trattati peggio dei criminali».

Più moderati i toni di Marco Liccione, portavoce del movimento ‘’Variante Torinese’’ e organizzatore da settimane delle proteste a piazza Castello che ha detto:

«non possono vietarci di manifestare. Leggeremo la circolare e, per il bene delle persone che aderiscono alla manifestazione e per rispetto dei commercianti, valutiamo per sabato di cambiare luogo di ritrovo».

Problemi di applicazione delle strette

Fonte: SkyTG24

Entro questo scenario non è ancora chiaro fino a che punto potranno essere applicate le nuove limitazioni: mentre potrebbe risultare non particolarmente complessa l’individuazione di un’area «sensibile» da presidiare con l’aiuto delle forze dell’ordine, più difficile sarà obbligare i manifestanti al concordamento del percorso, dopo che nelle manifestazioni delle ultime settimane sono stati in diversi gli attivisti privi di autorizzazione. Così come sarà altrettanto complicato obbligare eventualmente i manifestanti a protestare in forma statica.

Gaia Cautela

Tragedia sul set di ‘’Rust’’: Alec Baldwin spara ed uccide una donna. Nuovi dettagli sull’incidente

Giovedì 21 ottobre, Santa Fe, New Mexico: si consuma la tragedia sul set del film western ‘’Rust’’ – nel bel mezzo di prove con una pistola scenica – che ha visto coinvolto l’attore americano Alec Baldwin in un incidente fatale, costato la vita alla direttrice della fotografia del film e alcune ferite al regista.

Fonte: Sky TG24

Sono già passati diversi giorni dal tragico evento, ma dopo una prima ricostruzione della polizia locale – che suggerisce l’ipotesi di un mero incidente – nelle ultime ore, sono giunte nuove informazioni, che potrebbero dare un risvolto all’inchiesta. Dietro la tragedia si nasconderebbe, infatti, una catena di errori e tensioni, oltre al passato controverso di un membro della troupe.

Sospese le riprese del film (che sarebbero dovute terminare a novembre) almeno fino alla fine delle indagini.

Una prima ricostruzione della tragedia

Secondo le prime ricostruzioni, l’incidente è avvenuto verso le due del pomeriggio al Bonanza Creek Ranch, durante le riprese di alcune scene del film western “Rust”, di cui Baldwin è protagonista e co-produttore, insieme al regista Joel Souza.

Baldwin si stava esercitando prima di un ciak ad estrarre un’arma dalla fondina, quando, inaspettatamente, parte il colpo di un vero proiettile, mentre la pistola veniva puntata sulla telecamera. Nelle immediate vicinanze si trovavano la direttrice della fotografia 42enne Halyna Hutchins e Joel Souza, appena dietro di lei.

La direttrice della fotografia Halyna Hutchins e Joel Souza. Fonte: Ck12 Giornale

Il regista, rimasto ferito alla spalla dal colpo di pistola, è stato portato in ospedale e dimesso quella sera stessa. Tuttavia, non c’è stato niente da fare per Halyna Hutchins, ferita gravemente al petto e morta poco dopo in ospedale.

Souza ha raccontato di aver sentito “come il rumore di una frusta” e quindi “un forte colpo”, secondo quanto riportato da Reuters. Continua poi dicendo di ricordare la Hutchins cominciare alamentarsi di un dolore al petto e allo stomaco, oltre a dire di non sentire più le sue gambe.

Baldwin rammaricato e le dinamiche del colpo d’arma

“È stato un incidente, è stato un incidente”, alcune immagini del quotidiano locale mostrano un Baldwin sotto shock e in lacrime sul ciglio della strada all’uscita dell’ufficio dello sceriffo, poco dopo l’accaduto.
L’attore 68enne si era recato spontaneamente dalla polizia per rispondere a domande e fornire chiarimenti:

“Il mio cuore è spezzato – scrive l’attore sui social – Non ho parole per esprimere il mio shock e la mia tristezza per il tragico incidente che ha tolto la vita a Halyna Hutchins, moglie, madre e nostra collega profondamente ammirata”.

Alec Baldwin interrogato dopo la tragedia. Fonte: Tag43

Baldwin non era a conoscenza del fatto di stare utilizzando un’arma caricata con proiettili veri, nessuno è stato infatti accusato o arrestato fino a questo momento, anche se la polizia ha ritenuto necessarie indagini più approfondite sui fatti.

Baldwin avrebbe utilizzato un’arma che gli era stata consegnata dall’assistente alla regia David Halls, il quale aveva urlato ‘’cold gun’’ (letteralmente ‘’pistola fredda’’, termine molto utilizzato nel gergo cinematografico) per segnalare che la pistola potesse essere maneggiata in modo sicuro essendo scarica. Ma poco dopo l’incidente avrebbe rivelato tutto il contrario.

Accuse di negligenza contro l’aiuto regista

La società di produzione non si capacita di come un’arma che doveva essere caricata a salve (le cartucce a salve contengono polvere da sparo che produce una fiammata ma il proiettile vero è sostituito da cera o ovatta) abbia potuto uccidere.

Ci sono ancora diversi elementi da chiarire sull’incidente, come il tipo di proiettile contenuto nella pistola, chi l’avesse caricata e chi avesse le responsabilità di verificarne le condizioni. L’indagine è dunque ora concentrata sui proiettili partititi e, soprattutto, su chi avesse maneggiato l’arma prima dello sparo. Si devono inoltre verificare le responsabilità di David Halls, specie dopo quanto emerso da alcune testimonianze raccolte nei giorni scorsi sul suo passato cinematografico.

L’assistente alla regia, che ha, per ultimo, maneggiato la pistola prima dello sparo per mano di Baldwin sarebbe già stato due volte oggetto di reclami in passato, per via di gravi negligenze nel rispetto dei protocolli di sicurezza sull’uso di armi ed esplosivi. Lo racconta a CNN una pirotecnica e addetta agli oggetti di scena che nel 2019 aveva lavorato con lui in una serie di film horror, Into the Dark.

Altre ipotesi di responsabilità 

La responsabile armi, Hannah Gutierrez-Reed. Fonte: Corriere

Per molti la responsabilità risale direttamente alla società di produzione, accusata di assumere «persone non pienamente qualificate per un lavoro complicato e pericoloso» come quello del capo armaiolo «in una produzione che deve contenere molte scene di combattimento con armi da fuoco», ha scritto con rabbia Serge Svetnoy, riferendosi alla presunta inesperienza di Hannah Gutierrez-Reed, un’armaiola cinematografica di soli 24 anni. Era lei ad aver preparato la rivoltella e ad averla messa su un carrello con altre due armi.

Secondo una fonte citata dal sito ‘’The Wrap’’, la pistola era stata fra l’altro usata poche ore prima da alcuni membri della troupe con munizioni vere per fare “plinking“, termine utilizzato per indicare l’atto di sparare a lattine di birra o altri bersagli con pallottole vere.

16 ottobre, protocolli di sicurezza e proteste

Nelle ultime ore, è stato anche reso noto che sul set si era già verificato almeno un altro incidente con le armi, avvenuto il 16 ottobre scorso: la controfigura di Baldwin avrebbe sparato accidentalmente due colpi di pistola che gli avevano detto essere scarica, mentre che diversi membri della troupe, tra cui Hutchins, si trovavano all’interno di un edificio usato per le riprese. Questi avevano poi immediatamente presentato un reclamo al responsabile della sicurezza sul set, che però in quel momento non era presente.

Per questo e per via delle pessime condizioni di lavoro durante le riprese, diversi membri della troupe hanno deciso di licenziarsi poche ore prima della morte di Hutchins.

Il dramma di Santa Fe ha rilanciato un dibattito sulla sicurezza delle troupe e l’uso delle armi sui set tanto che una petizione sul sito change.org ha già raccolto più di 27.000 firme richiedendo il divieto delle armi da fuoco durante le riprese, al giorno d’oggi non più necessarie.

Fonte: Corriere

Gaia Cautela