Santanché sulle concessioni balneari: «Le spiagge vanno privatizzate»

Secondo la ministra del Turismo Daniela Santanché le spiagge italiane andrebbero privatizzate, in quanto luogo scelto spesso da tossicodipendenti e riempite da rifiuti abbandonati. Di questo ne soffrirebbe il turismo, intaccando l’aspetto economico. Pertanto – sostiene la ministra -, si dovrebbe intervenire.

Le parole di Santanché: «Non svendiamo il nostro patrimonio»

La ministra ha rilasciato le suddette dichiarazioni durante l’Assemblea annuale di Confesercenti, rispondendo ad un quesito sulle concessioni balneari:

Lancio una provocazione, credo che prima bisogna assegnare le spiagge che non sono assolutamente servite, spiagge libere lasciate ai tossicodipendenti e invase dai rifiuti, che nessuno mette in ordine.

Ha proseguito: «Non dobbiamo aprire la strada alle multinazionali, non dobbiamo svendere il nostro patrimonio».

Dunque, Santanché ha precisato anche di non ritenere l’affidarsi ad investitori esteri la soluzione migliore; la sua preoccupazione sarebbe quella di «consegnare pezzi del nostro litorale alle multinazionali, che toglierebbero quelle che sono le nostre peculiarità»:

Nei nostri stabilimenti balneari, a seconda della regione, c’è un tipo di ospitalità, di cibo, di accoglienza. Mi fa sentire male l’idea: pensate se non potessimo più mangiare i nostri spaghetti alle vongole o la nostra parmigiana di melanzane, cose che fanno parte della nostra identità.

(fonte: odanisalves @ pixnio.com)

Il tema è molto controverso, i vari governi rimandano da ormai diversi anni le gare per le concessioni balneari. Santanché, rispondendo ad altre domande, ha chiarito un po’ la questione, specificando che per fare le gare ci vorrà del tempo, non meno di un anno, approssimativamente.

L’aspetto più importante, secondo la ministra, sarebbe cambiare i patti in corso, dando più stabilità alle imprese. Inoltre, ha ribadito più volte che l’esigenza delle spiagge italiane è quella di essere adeguatamente attrezzate, soggette ad una intensa pulizia dai rifiuti che risultano essere uno dei tanti aspetti caratterizzanti di questa complessa questione, ma soprattutto devono essere sottoposte ad un rigido controllo.

Le critiche dell’opposizione

(Daniela Santanché. Fonte: Immortanjoe96 @ commoms.wikimedia.org)

A causa delle sue dichiarazioni, la ministra del Turismo è stata oggetto di discussione circa la sua attività imprenditoriale. Difatti, subito dopo essere stata designata come figura guida per il Ministero del Turismo, è stata accusata dall’opposizione di non poter ricoprire una carica così importante in maniera del tutto trasparente.

Il motivo per cui la Santanchè si trova al centro di numerose polemiche si ricollega al famoso caso del Twiga Beach Club, locale esclusivo sul mare di Flavio Briatore a Forte dei Marmi, di cui la ministra risulta essere socia e di cui detiene una quota di proprietà.
A seguito delle numerose accuse di conflitto di interessi, ha stabilito di cedere per 2,8 milioni di euro il 22 % della sua quota, di cui una metà è stata destinata ad una società del Lussemburgo, controllata da Briatore, e l’altra parte a due società controllate dal compagno. Tra i soggetti che hanno duramente criticato Daniela Santanché riscontriamo il co-portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli, il quale ha affermato:

Associare chi ha problemi di tossicodipendenza con i rifiuti per giustificare la privatizzazione e cementificazione delle ultime spiagge libere è indecente. La ministra Santanchè, proprietaria del Lido Twiga, ha ceduto le sue quote al suo compagno, propone di consegnare le spiagge libere, che per legge dovrebbero essere pulite dai comuni, ai privati sapendo che le nostre coste sono cementificate e occupate per oltre il 60% , un dato record in Europa. È l’espressione vivente del conflitto d’interessi che vuole regalare le spiagge, perché con esse si fanno profitti elevati grazie ai bassi canoni: per un metro quadro di spiaggia si paga allo stato 1,20 euro l’anno. Mentre lo Stato incassa complessivamente dalle concessioni 107 milioni di euro anno, con un’evasione erariale del 50%, gli stabilimenti balneari fatturano oltre 7 miliardi di euro anno. Un regalo fatto ai privati con il demanio marittimo, un patrimonio dello Stato, quindi noi cittadini.

Il sostegno di Confimprese

D’altra parte, la neo-ministra del Turismo afferma di non essere in conflitto di interessi, in quanto non ricopre cariche direttive in seno al Twiga.
Inoltre, sostiene che la questione non spetterebbe al Ministero del Turismo in quanto il governo sembrerebbe essere intenzionato a delegare a Nello Musumeci, ministro per la Protezione Civile e le Politiche del Mare, la questione dei balneari.
Nonostante le varie posizioni contrarie, il presidente di Confimprese demaniali Mauro Della Valle appoggia quanto affermato fino ad oggi dalla ministra, dichiarando:

Apprezziamo l’intervento del ministro Daniela Santanchè circa le numerose spiagge libere che, anziché essere lasciate abbandonate dai Comuni costieri, potrebbero essere oggetto di assegnazione e tutela a giovani e capaci imprenditori balneari. Siamo certi che la Corte di giustizia europea entro febbraio 2023 contestualizzerà quanto richiesto dal Tar di Lecce, e cioè che in Italia la risorsa demaniale non è scarsa e che per un’evidenza pubblica è necessario ci sia un interesse transfrontaliero certo. Siamo in piena sintonia con l’attenta analisi del presidente di Fiba Maurizio Rustignoli, che auspica un incontro con le associazioni di categoria e ricorda l’importanza della mappatura della costa italiana ad oggi obiettivamente mai rilevata da nessun governo.

Federica Lizzio

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Polemica emendamento su Bonus cultura. Annunciate delle novità: nessuna abolizione

Da diversi giorni ormai è in corso una polemica che gravita sui social e non solo: lo scorso 9 dicembre i deputati del centrodestra Federico Mollicone (Fratelli d’Italia), Rossano Sasso (Lega) e Rita Dalla Chiesa (Forza Italia), hanno presentato un emendamento alla legge di Bilancio 2023, per cancellare il bonus cultura e usare il costo annuo di 230 milioni per sostenere in altri modi il mondo della cultura e dello spettacolo. I giovani, uniti a tutto il mondo del libro italiano – autori, editori, librai, cartolibrai, bibliotecari – hanno immediatamente chiesto a gran voce al parlamento e al governo di ritirare la proposta di cancellazione della 18App.

Fonte: Key4biz

In effetti, le proteste sembrano essere andate a segno: la nuova Carta della Cultura si farà, prevedendo addirittura un incremento dei fondi, e rispondendo finalmente alla reale richiesta di conoscenza dei giovani e alle necessità degli operatori del settore. La misura terrà inoltre conto dell’ISEE e includerà meccanismi antifrode. In ogni caso, l’opposizione ha colto l’occasione per parlare di “frettolosa retromarcia”.

 

18App e Carta Cultura, le differenze

Il Bonus Cultura, noto anche come Bonus Cultura 18app, è un’iniziativa per promuovere la cultura tra i giovani: un buono di 500€ da spendere in cinema, musica e concerti, eventi culturali, libri, musei, visite a monumenti e parchi archeologici, teatro e danza, prodotti dell’editoria audiovisiva, corsi di musica, corsi di teatro e corsi di lingua straniera, nonché abbonamenti a quotidiani anche in formato digitale (come si legge sul sito ufficiale 18app.italia.it).

In seguito alla registrazione sull’app, vengono generati dei buoni di spesa elettronici, con codice identificativo, associati all’acquisto di uno dei beni o servizi consentiti. Ciascun buono è individuale e nominativo e può essere speso esclusivamente dal beneficiario registrato.

Tale bonus difficilmente verrà abolito: l’emendamento che sembrava abrogarlo, a firma Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, dovrebbe essere infatti riformulato. A tal proposito il neoministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, assicura l’arrivo di un nuovo provvedimento che possa sostituire adeguatamente la 18App.

Dire che vogliamo abolire la 18App è una fake news, contesta Sangiuliano, esprimendo la volontà di introdurre una soglia ISEE che escluda persone appartenenti a famiglie con redditi elevati”, per poi appoggiare l’emendamento alla Manovra che è stato firmato da tutto il Centrodestra:

“L’emendamento è del Parlamento – afferma il ministro – ma reputo si debba fare una riflessione. È necessario ridefinirla e rinominarla (la 18App, ndr), affinché questo strumento diventi realmente una modalità di consumi culturali per i giovani orientandoli alla lettura di libri, alla visita di mostre, ai corsi di lingua e alla musica”.

Il ministro Sangiuliano. Fonte: Il Giornale d’Italia

Carta Cultura” – così è stata soprannominata la nuova agevolazione – avrà dunque due importanti differenze riguardanti il sostegno, anche in questo caso, ai consumi culturali dei giovani, che però terrà conto dell’Isee e conterrà un «meccanismo anti-truffa». In altre parole, mira a garantire benefici per i redditi medio-bassi, e ad impedire frodi da un valore complessivo che, a detta del presidente della commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, si aggirerebbe attorno ai 9 milioni di euro.

 

Le proteste dell’opposizione

L’emendamento in questione non ha suscitato disapprovazione solo nell’opposizione: all’indignazione del Terzo Polo e del Pd e all’appello firmato da otto sigle (dall’Associazione Italiana Editori alla Siae), si erano infatti aggiunte le critiche di alcune frange della maggioranza. Ad esempio, i capigruppo di Forza Italia, Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo, si sono augurati una «riformulazione dell’emendamento» nella salvaguardia dell’obiettivo ultimo, vale a dire finanziare i consumi culturali dei più giovani.

Maria Chiara Gadda, deputata di Italia Viva, è intervenuta nella trasmissione “L’imprenditore e gli altri”, condotta da Stefano Bandecchi, su Cusano Italia Tv:

“Vedremo nelle prossime ore cosa vuole fare il governo. Dal punto di vista comunicativo c’è una retromarcia rispetto a quanto detto nei giorni scorsi. Ma il tema qui non è togliere un provvedimento fatto dal governo Renzi, è una cattiva abitudine che quando cambia un governo si prova a cancellare i provvedimenti. Io credo che questo sia uno strumento importante, i numeri dicono che ha funzionato per i giovani ma anche per il settore. In queste ore di dibattito non è emerso che, se il tema fosse davvero aiutare le famiglie più deboli, si sarebbe dovuto finanziare con la legge di bilancio il Family Act nella sua legge delega rispetto al contributo delle spese educative delle famiglie che è basato sull’Isee”.

 

La risposta alle polemiche della Meloni

La premier Giorgia Meloni fa chiarezza sul bonus e sull’importanza attribuita dal governo all’avvicinamento dei giovani alla cultura, spiegando che l’intenzione del governo è di rivedere la misura e di limitarla, al momento, ai redditi più bassi, rendendola così più impattante:

“Questi 500 euro al compimento dei 18 anni vengono riconosciuti a tutti, indipendentemente dal reddito. Io penso che non ci sia ragione per la quale i figli di un milionario, di un parlamentare, mia figlia se domani compisse 18 anni, non potrebbero rinunciare ai 500 euro per comprare dei libri o dei contenuti culturali. Credo che la stessa misura, concentrata su chi ha i redditi più bassi possa essere molto più impattante“, ha detto la Meloni nel corso di una diretta Facebook. “Credo che vada introdotto un limite al reddito – ha aggiunto – di chi accede a questa misura e che occorra lavorare un po’ sulle truffe, perché se ne sono viste diverse. Confermiamo di voler apportare modifiche alla norma senza però levare risorse da questa destinazione“.

 

Scoperte frodi da milioni di euro

Nel contesto di una polemica dell’opposizione alquanto superficiale il deputato di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone, ritiene piuttosto assurdo che i governi precedenti non abbiano mai vigilato sulle numerose frodi legate alla 18app, motivo per cui non esisterà più (senza che questo influisca sugli esercenti legali del servizio).

Pochi mesi fa, la Guardia di Finanza ha scoperto una frode che ha portato a pagamenti fraudolenti di quasi 1 milione di euro nella provincia di Lecce. Un fenomeno distorto che ha interessato l’intero Paese, arricchendo esercenti disonesti e i loro complici, che reclutavano i diciottenni sui social e offrivano loro la possibilità di monetizzare il 70% del voucher o di acquistare prodotti come computer, tablet, smartphone e televisori, esclusi per legge dal beneficio.

Fonte: AGI

Come si legge su Agi, i meccanismi più usati per le truffe sono stati i seguenti:

• Compravendita su internet attraverso piattaforme come Instagram, Facebook, Telegram;
• Conversione del bonus cultura in voucher da spendere in un periodo temporale successivo alla scadenza del periodo di validità:
• Acquisto di apparecchiature elettroniche non consentite dalla normativa, come smartphone, tablet, e console;
• Simulazione dell’acquisto di un bene consentito, poi restituito in cambio di un altro bene;
• Furto di identità digitale Spid per accedere alla piattaforma 18 App e generare il codice del buono da spendere.

Sempre stando ai dati della Guardia di Finanza, nel triennio considerato, le truffe hanno rappresentato il 3,85% della spesa complessiva del bonus cultura: su 639 persone controllate, in 501 casi sono emerse irregolarità mentre sono state 299 le persone segnalate alla magistratura.

 

Che ne sarà dei 2004?

Sulla base dei dati raccolti in 6 anni di applicazione del finanziamento 18app, con una spesa totale di circa 1 miliardo di euro, sia i ragazzi che le ragazze preferiscono particolarmente acquistare i libri, soprattutto quelli cartacei, a cui va per l’appunto la parte più rilevante delle risorse spese, nonostante l’ampia gamma di possibilità di scelta.

Fonte: AGI

Ad esempio, i nati nel 2003 (i diciottenni del 2021) hanno finora speso 37 milioni di euro in acquisti in libreria e altri 56 milioni in acquisti online, ma comunque in favore delle pubblicazioni cartacee. Sempre in base ai dati dell’ultimo anno, non vanno male nemmeno gli ebook, a cui sono andati circa 2 milioni dal 2021 fino ad oggi. A questi si aggiungono anche circa 300 mila euro in audiolibri. Più in generale i ragazzi da sempre spendono circa l’80% del loro bonus cultura nei prodotti della filiera del libro. Al secondo posto viene la musica con il 15% circa e il restante 5% suddiviso tra cinema, teatro, danza ed abbonamenti ai quotidiani.

Emendamento e dati a parte, non si sa, però, ancora quale sarà il destino del bonus per i nati nel 2004. Questo perché il regolamento non è mai stato attivato sul sito del ministero della Cultura come avveniva normalmente negli anni precedenti, nonostante la pubblicazione in Gazzetta ufficiale.

Gaia Cautela

Deforestation free: l’Unione Europea ha messo al bando i prodotti derivanti dalla deforestazione

E’ stato trovato l’accordo provvisorio raggiunto dal Consiglio e il Parlamento europeo che prevede che alcuni prodotti considerati fondamentali immessi sul mercato non contribuiscano più alla deforestazione e al degrado forestale nell’Unione e nel resto del mondo.

L’obiettivo è quello di preservare l’ambiente durante i processi di produzione, attuando delle procedure al fine di rispettare l’ambiente in cui viviamo. Motivo per cui l’applicazione del nuovo regolamento tenderà ad assicurare che una categoria di beni essenziali non siano più causa del disboscamento. In data 6 dicembre il Consiglio dell’ Ue e il Parlamento, hanno discusso la proposta – che il Parlamento aveva presentato a settembre – partendo da un primo progetto della Commissione Europea.

Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, ha dichiarato: “per vincere la lotta che stiamo sferrando alle crisi del clima e della biodiversità nel mondo dobbiamo assumerci la responsabilità di agire sia all’interno che all’esterno. Il regolamento sul disboscamento risponde all’appello dei cittadini che chiedono di ridurre al minimo il contributo europeo a questo problema e promuovere consumi sostenibili. Le nuove norme che disciplinano le spedizioni di rifiuti promuoveranno l’economia circolare e garantiranno che le esportazioni di rifiuti non danneggino l’ambiente o la salute umana in altre parti del pianeta. E con la strategia per il suolo riporteremo i terreni in buona salute, faremo sì che siano usati in modo sostenibile e ricevano la necessaria protezione giuridica.” 

fonte: la Repubblica

 

Quali effetti avrà questa misura?

Dal punto di vista economico e ambientale la riduzione delle cause principali del degrado forestale in Europa porterà in futuro a preservare la varietà di organismi viventi di un determinato ambiente, ridurre l’effetto serra, evitare il surriscaldamento globale, il cambiamento climatico e il rischio idrogeologico

Il disboscamento determina soprattutto cambiamenti nel clima e aumenta il dissesto idrogeologico, questo comporta un elevato aumento del rischio di alluvioni e frane. Inoltre un’ulteriore conseguenza a seguito dell’abbattimento delle foreste è l’estinzione definitiva di numerose specie di animali e vegetali.

«Per combattere il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, la nuova legge obbliga le aziende a garantire che una serie di prodotti venduti nell’UE non provengano da terreni deforestati in qualsiasi parte del mondo» si legge in una note del Parlamento.

Il ministro ceco dell’ambiente e presidente di turno del Consiglio europeo ambiente, Marian Jurečka, ha ricordato che «L’Ue è un grande consumatore e commerciante di prodotti che svolgono un ruolo sostanziale nella deforestazione, come carne bovina, cacao, soia e legname. Le nuove regole mirano a garantire che quando i consumatori acquistano questi prodotti, non contribuiscano a un ulteriore degrado degli ecosistemi forestali. Proteggere l’ambiente in tutto il mondo, comprese le foreste e le foreste pluviali, è un obiettivo comune per tutti i paesi e l’UE è pronta ad assumersi le proprie responsabilità».

L’attuazione di questa legge inoltre, apporterebbe un cambiamento drastico in ambito di tutela ambientale, in quanto l’Unione Europea risulta essere tra i maggiori consumatori delle materie che provocano il fenomeno della deforestazione, ciononostante sarà davvero difficoltoso far rispettare il regolamento e mettere in pratica ogni tipo di controllo.

 

l’Ue è il secondo importatore globale di deforestazione tropicale, fonte: 3csc


Quali sono i prodotti da verificare?

Dopo un’accurata verifica è stato deciso che l’importazione di alcuni beni sarà vietata se la loro provenienza risulterà derivare da terreni disboscati. Le norme verranno applicate a: cacao, caffè, soia, olio di palma, carne bovina, gomma, carbone e prodotti di carta stampata.
La legge ha come obiettivo quello di rassicurare i consumatori sulla provenienza dei prodotti , e sul fatto che la produzione di questi ultimi non danneggi le foreste.
Per questo motivo le autorità dell’Unione Europea avranno accesso alle coordinate di geolocalizzazione e potranno effettuare una serie di controlli volti a monitorare e analizzare la provenienza dei prodotti sul mercato attraverso gli appositi strumenti.


Come si dovranno comportare le aziende?

Secondo il testo concordato, «mentre nessun Paese o prodotto in quanto tale sarà vietato, le aziende non saranno autorizzate a vendere i loro prodotti nell’Ue senza questo tipo di dichiarazione». Come richiesto dagli eurodeputati «le imprese dovranno anche verificare il rispetto della legislazione pertinente del Paese di produzione, compresi i diritti umani, e che i diritti delle popolazioni indigene interessate siano stati rispettati». Per effettuare i controlli le aziende dovranno avere accesso alle informazioni geografiche riguardo i terreni di coltivazione e le materie prime. Gli stessi co-legislatori hanno accordato severi obblighi di diligenza per gli operatori, che dovranno assicurare la tracciabilità dei prodotti venduti.


Quali saranno le sanzioni?

Sono previste sanzioni molto pesanti proporzionate al danno ambientale e al valore delle materie prime, pari al 4 % del fatturato annuale degli operatori nell’Europa, nonché il divieto di partecipare ad appalti e/o finanziamenti pubblici. Attualmente Consiglio e Parlamento devono adottare formalmente il regolamento affinché possa entrare in vigore; a seguito di ciò le aziende avranno 18 mesi di tempo per documentarsi e conformarsi alle nuove norme, nel caso di imprese più piccole il tempo è prolungato a 24 mesi.

Inoltre la Fao, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha constatato che tra il 1990 e il 2020 a causa della deforestazione siano stati persi circa 420 milioni di ettari di foresta, un numero davvero significativo che induce a riflettere sulle problematiche del nostro pianeta.

Federica Lizzio

 

Iran: dopo le incessanti proteste viene abolita la polizia morale

Era il 16 settembre quando la ventiduenne iraniana Mahsa Amini veniva picchiata a morte dalla polizia morale. Quell’evento ha generato un’enorme quantità di proteste, partite dall’Iran e arrivate a coinvolgere tutto il mondo. Ad oggi, dopo circa 2 mesi dall’accaduto, si comincia ad intravedere un filo di luce in fondo al tunnel.

Da pochi giorni infatti si sta diffondendo la notizia secondo cui il programma Gahst-e Ershad, la cosiddetta “polizia morale”, è stato interrotto.

Cos’è la “polizia morale” iraniana

Quando si parla di polizia morale non si intende un vero e proprio organismo di autorità distaccato dalle forze dell’ordine regolari. Si tratta tecnicamente di un programma gestito dalla polizia locale, nato nel 2005 con il compito di far osservare determinate regole riguardanti soprattutto gli abiti indossati dai cittadini. Prima che il Ministero degli Interni iraniano desse il via al programma Gahst-e Ershad il controllo del dress code era affidato prevalentemente ai Komite, corpo poliziesco nato in seguito alla rivoluzione iraniana del 1979.

Immagine di un controllo da parte della polizia morale. Fonte: insideover.ilgiornale.it

Da quando le proteste divampano tra le strade e le piazze delle principali città della nazione risulta sempre più raro poter osservare agenti della polizia morale in azione. Infatti ad oggi sono quasi esclusivamente le forze di sicurezza ad essere presenti in numero elevato nelle zone di rivolta, con lo scopo principale di reprimere e allontanare coloro che manifestano, molto spesso anche per mezzo della violenza.

La domanda che in molti si porrebbero a questo punto è: basta la scarsa presenza “sul campo” per desumere che la polizia morale è stata abolita?

Nel caso non bastasse ciò, negli ultimi giorni sono trapelate diverse dichiarazioni in merito da parte del procuratore generale iraniano Mohammad Jafar Montazeri. Le sue parole:

«La polizia morale non ha niente a che fare con la magistratura, ed è stata abolita da chi l’ha creata».

A strozzare il grido di gioia derivante dal presunto annuncio ci ha pensato la tv di stato iraniana in lingua araba Al Alam che, durante le trasmissioni successive alla fuga di notizie riguardanti lo smantellamento del Gahst-e Ershad, ha divulgato un comunicato che recita:

«Nessun funzionario della Repubblica Islamica ha detto che la polizia religiosa è stata chiusa».

Dunque il dubbio permane.

Lo sciopero di 3 giorni

Non accennano a placarsi però nemmeno i moti di protesta. L’ultima iniziativa popolare consiste in uno sciopero quasi totale delle attività, promosso in prima battuta dagli studenti delle più importanti università dell’Iran e poi sposato anche dai sindacati dei lavoratori.

Alcuni studenti hanno anche scritto una lettera d’invito alla mobilitazione popolare. Questo il comunicato che è stato fatto circolare:

«Sono più di due mesi che ogni giorno un essere umano viene assassinato a pochi metri da noi, nella nostra città, nel nostro Paese, dal Kurdistan a Zahedan. Ogni giorno ci troviamo di fronte a una marea di nuovi prigionieri politici. Protestiamo contro questa brutale repressione».

Va detto però che a causa della mancanza di un coordinamento adeguato risulta difficile che lo sciopero sortisca gli effetti desiderati. La partecipazione alla protesta è inoltre ostacolata dalla comprensibile paura di molte persone legata a ciò che potrebbe accadere nel caso venissero arrestate.

I negozi rimasti chiusi. Fonte: avvenire.it

La “repressione brutale” non si placa

Il governo iraniano continua a non essere intimorito dai vari moti e iniziative di rivolta. Anzi la sensazione che si ha è che più la protesta risulta ambiziosa e rumorosa più la reazione delle autorità è dura e aggressiva.

«Il corpo paramilitare dei basij, la polizia e le forze di sicurezza non esiteranno a fronteggiare duramente i rivoltosi, i criminali armati e i terroristi che sono stati assoldati dai nemici. Dopo la sconfitta della nuova sedizione, creata dai nemici, il sistema sacro della Repubblica islamica continuerà con forza a realizzare la sua causa e sconfiggerà il fronte unito dei nemici»

Questo il comunicato delle Guardie della rivoluzione iraniana. Parecchio pesanti anche le dichiarazioni del capo della magistratura iraniana Gholamhossein Ejei:

«I rivoltosi, condannati a morte per “Guerra contro Dio” o “Corruzione sulla Terra” saranno impiccati presto».

Queste parole generano brividi e non fanno altro che far crescere la preoccupazione per la situazione dei cittadini iraniani. La speranza è che tutte le proteste e rivolte riescano a scuotere le alte cariche dello stato perché non è accettabile che nel 2022 esistano ancora dei posti nel mondo in cui alcuni valori imprescindibili dell’essere umano, come la dignità e la libertà personale, vengono calpestati in maniera così spietata.

Francesco Pullella

 

 

Cappato indagato per un nuovo caso di aiuto al suicidio: «La condizione del sostegno vitale una trappola dello Stato»

82 anni, ex giornalista toscano e residente a Peschiera Borromeo, il signor Romano era ormai costretto a vivere con forti dolori dovuti al Parkinsonismo atipico dal 2020, malattia che gli impediva di svolgere una qualsiasi attività in autonomia, ma non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale.

«Mio marito Romano è affetto da una grave malattia neurodegenerativa, una forma di Parkinson molto aggressiva che gli ha paralizzato completamente gli arti e che ha prodotto una disfagia molto severa che lo porterà a breve a una alimentazione forzata», ha affermato la moglie di Romano.

Per questo motivo, la famiglia ha scelto di supportare l’uomo nella decisione di porre fine alla sua vita, chiedendo a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, di procedere con il suicidio assistito in Svizzera.

«Ho sempre fatto le mie scelte e ho sempre pensato che la nostra vita ci appartenga, prima ancora che questa frase diventasse centrale nella campagna dell’Associazione Luca Coscioni. Così ho iniziato ad informarmi sulle possibilità di organizzare il mio fine vita nel modo più dignitoso possibile, ma presto mi è stato chiaro che la situazione italiana è più complicata di come potessi pensare. L’opzione di recarmi in Svizzera in clandestinità mi spaventa perché non voglio assolutamente mettere i miei familiari nella condizione di rischiare di affrontare vicissitudini giudiziarie. Trovo però che sottrarre la libertà di scelta in questi casi sia anacronistico e crudele, e non mi arrendo all’idea di non essere libero».

Le condizioni per l’accesso al suicidio assistito

L’uomo, come più volte sottolineato, non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e quindi non rientrava nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale per l’accesso al suicidio assistito in Italia. Secondo quanto deciso dalla Consulta, infatti, il suicidio assistito sarebbe possibile e legale quando la persona malata che ne fa richiesta risponda a determinati requisiti verificati dal Sistema Sanitario Nazionale:
1) Affetta da una patologia irreversibile.
2) Fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche.
3) Pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
4) Tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale.

L’accusa di aiuto al suicidio

Non è la prima volta che ad un soggetto viene negato il trattamento in assenza di uno dei requisiti: è stato anche il caso della signora Elena Altamira, 69enne veneta malata terminale di cancro, aiutata a porre fine alla propria vita dallo stesso Marco Cappato, che risulta adesso nel registro degli indagati con l’accusa di aiuto al suicidio.

Per questo motivo Marco Cappato si è autodenunciato il 26 novembre presso i carabinieri della Compagnia Duomo a Milano per aver portato in una clinica in Svizzera l’uomo, rischiando fino a 12 anni di carcere.

Il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni però afferma che «la trappola nella quale l’82enne stava per cadere definitivamente era quella di acquisire il cosiddetto quarto criterio previsto dalla Corte costituzionale – diventare dipendente dal trattamento di sostegno vitale, ma allo stesso tempo avrebbe perso la capacità di intendere e di volere che è una delle condizioni indispensabili per ottenere l’aiuto alla morte. Questa è una condizione di oggettiva violenza esercitata dallo Stato».

Ha ribadito nuovamente la sua posizione alla trasmissione di Radio 24 “Uno, nessuno, 100Milan”: «Romano aveva due possibilità: morire come non avrebbe mai voluto, cioè incapace di intendere e di volere, attaccato a una Peg come sarebbe stato a breve, oppure morire potendo salutare senza soffrire le persone che lo hanno amato, ovvero la moglie e i figli. Questo è un suicidio? Per me non lo è».

A riguardo è stata intervistata la figlia del signor Romano, Francesca: «Mio papà ha appena confermato la scelta di morire. Io sono arrivata dalla California per essere qui con lui in questi giorni. In California, la scelta che ha fatto mio papà è legale e, nel caso di una malattia come la sua, avrebbe potuto scegliere di morire in casa, circondato dai suoi cari e dalla sua famiglia. Noi abbiamo dovuto fare questo viaggio per venire in Svizzera perché lui potesse fare questa scelta e io spero che in Italia, presto, sia possibile per le persone poter fare questa scelta a casa propria e morire a casa propria, circondate dalle persone care». 

Federica Lizzio

In Cina esplode la rabbia contro la politica zero Covid. Su Twitter il governo tenta la censura

Durante lo scorso fine settimana, in svariate città della Cina sono andate in scena una serie di proteste contro le restrizioni Covid, causando un’ondata a livello nazionale che non si vedeva dai moti pro-democrazia del 1989. A catalizzare la rabbia pubblica un incendio mortale (10 vittime) a Urumqi, la capitale della regione dello Xinjiang, dopo che molti hanno accusato le restrizioni sanitarie di aver reso impossibili le operazioni di soccorso.

Fonte: Wired Italia

È il culmine dell’insoddisfazione pubblica in costante crescita negli ultimi mesi nel Paese asiatico, uno degli ultimi al mondo ad applicare una rigida politica “zero covid”, che implica confinamenti continui e test molecolari quasi quotidiani della popolazione. Ma le manifestazioni di questo fine settimana hanno anche fatto emergere domande di maggiori libertà politiche, addirittura di dimissioni del presidente Xi Jinping, appena riconfermato alla testa del paese per un terzo mandato.

Slogan di protesta in tutta la Cina

Dopo l’incendio, la protesta scoppia prima sui social poi nelle strade: il 27 novembre una folla di manifestanti, rispondendo ad appelli sui social network, aveva espresso la sua rabbia principalmente a Pechino e Shanghai, prendendo alla sprovvista le forze dell’ordine. Tra gli slogan gridati all’unisono: “Basta test covid, abbiamo fame!”, “Xi Jinping, dimettiti! Pcc (Partito comunista cinese), fatti da parte!”, “No ai confinamenti, vogliamo la libertà”. Lo stesso giorno si sono svolte diverse manifestazioni a Wuhan (dove quasi tre anni fa è stato confermato il primo caso al mondo di Covid-19), a Canton, a Chengdu e a Hong Kong. Nella città meridionale di Hangzhou, due giorni fa le autorità hanno arrestato diverse persone bloccando un raduno sul nascere.

Fonte: Ansa

Nei giorni scorsi sono stati fermati anche alcuni giornalisti: domenica un cronista della Reuters, trattenuto per breve tempo prima di essere rilasciato, quindi Ed Lawrence, della Bbc. Un fatto “scioccante e inaccettabile” ha sottolineato il premier britannico Rishi Sunak. Per questa vicenda, ieri l’ambasciatore cinese a Londra è stato convocato dal Foreign Office. Nel frattempo, le proteste si sono estese anche davanti alle ambasciate cinesi di Londra, Parigi e Tokyo, oltre che alle università negli Stati Uniti e in Europa.

Il rigido controllo delle autorità cinesi sull’informazione e le restrizioni sanitarie sui viaggi all’interno del paese complicano la verifica del numero totale di manifestanti. Ma una sollevazione così estesa è rarissima in Cina, tenendo conto della repressione attiva contro tutte le forme di opposizione al governo: ciò fa credere che la mobilitazione è stata probabilmente la più grande dai disordini pro-democrazia del 1989. Tuttavia, “ci sono alcune differenze” tra le proteste in Cina di questi giorni e i fatti di Tiananmen del giugno 1989, quando le Forze di sicurezza cinesi hanno massacrato migliaia di studenti e cittadini che dall’iconica piazza della capitale chiedevano libertà e democrazia nel Paese. È il commento ad AsiaNews di Wei Jingshou, il “padre della democrazia” del colosso asiatico, attualmente in esilio negli Stati Uniti.

La rivolta dei fogli bianchi

La pagina bianca è diventata un elemento iconico del movimento di protesta, che molti ora chiamano «protesta del foglio bianco» o «protesta A4». Durante le varie manifestazioni, infatti, sono state viste parecchie persone esibire in mano un foglio di carta bianco, simbolo di tutte le cose che in Cina non si possono dire.

In un video virale – risalente a sabato, secondo quanto riferito – un uomo non identificato ha portato via uno di quei fogli di carta dopo che una donna dell’Università di Nanchino lo aveva sollevato. In un altro video di quella notte, dozzine di altri studenti sono state viste nel campus con in mano pezzi di carta bianca, in piedi in silenzio. Scene simili si sono verificate anche in altre grandi città durante il fine settimana.

Basta zero Covid

Il sito della Bbc riporta un prospetto delle conseguenze nefaste che la politica zero Covid portata avanti dal governo cinese ha comportato nell’ultimo anno. Oltre all’incendio di Urumqi sopra menzionato, all’inizio di questo mese, una famiglia di Zhengzhou ha detto che il loro bambino è morto dopo che un’ambulanza è stata ritardata a causa delle restrizioni di Covid. Lo scorso settembre, ai residenti di Chengdu è stato impedito di lasciare le loro case durante un terremoto di magnitudo 6,6 che ha ucciso 65 persone. A ottobre, un padre ha riferito che la figlia di 14 anni ha sviluppato la febbre durante la quarantena nella provincia di Henan ed è morta dopo non aver ricevuto cure adeguate in un centro di quarantena. Durante il lockdown di Shanghai ad aprile, le persone si sono lamentate della mancanza di cibo e delle difficili condizioni in cui versano gli anziani, portati con la forza nei centri di quarantena.

“Le persone hanno raggiunto un punto di saturazione dato che non ci sono direzioni chiare sulla via per porre fine alla politica zero covid”, spiega all’Afp Alfred Wu Muluan, esperto di politica cinese all’Università nazionale di Singapore. “Il partito ha sottovalutato la rabbia della popolazione”, aggiunge.

In foto Mi Feng, portavoce e vice direttore del Dipartimento della comunicazione della Commissione sanitaria nazionale cinese. Fonte: italian.cri.cn

Il portavoce della Commissione sanitaria nazionale Mi Feng ha affermato che i governi dovrebbero “rispondere e risolvere le ragionevoli richieste delle masse” in modo tempestivo. Alla domanda se il governo centrale stia riconsiderando le sue politiche anti-Covid, Mi ha replicato che le autorità “hanno studiato e adattato le misure di contenimento della pandemia per proteggere al massimo l’interesse delle persone e limitare il più possibile l’impatto sulle persone stesse“.
Ma nonostante la replica evasiva di Mi Feng, all’inizio del mese la Cina ha annunciato 20 misure intese a semplificare i controlli sanitari e di prevenzione del Covid-19 e a correggere le “misure politiche eccessive” intraprese dalle autorità locali, sotto le costanti pressioni di Pechino per tenere sotto controllo il numero di casi di infezione nei propri territori.

Una valanga di spam come censura

Le proteste degli ultimi giorni – apertamente antigovernative e schierate contro il presidente Xi Jinping – sono molto insolite in Cina, dove il dissenso viene sistematicamente soppresso. Ed è per questo che, oltre a utilizzare gli agenti per stroncare sul nascere ulteriori manifestazioni, dal 28 novembre la censura delle autorità cinesi lavora per cancellare ogni traccia dell’ondata di proteste dei giorni precedenti: decine di milioni di post sui social sono stati filtrati, mentre lo Stanford Internet Observatory ha notato un aumento di “tweet spam” che mostrano contenuti porno, annunci di escort e giochi d’azzardo e che stanno oscurando la protesta dei cinesi. Secondo l’Osservatorio, oltre il 95% dei tweet contenenti il termine di ricerca “Pechino” provengono da account spam che diffondono questo tipo di informazioni.

Non a caso Twitter è balzata improvvisamente tra le app più scaricate in Cina: in seguito alla censura del governo, molti cittadini hanno usato le Vpn per accedere ai servizi Internet e ai social media come Twitter e Telegram per organizzare le proteste. Ma l’elevato volume di spam rende più difficile trovare informazioni legittime e utili sulle proteste e ha anche un impatto sugli utenti al di fuori della Cina che stanno cercando di ottenere informazioni sul campo riguardo gli eventi. Anche i media hanno sostituito le notizie sul Covid con articoli sui Mondiali e sui risultati delle missioni spaziali della Cina.

https://twitter.com/WallStreetSilv/status/1597862999812734976

Per non parlare dei social network cinesi, dove tutte le informazioni riguardanti le manifestazioni del fine settimana sembrano già essere sparite.
Ad esempio, sulla piattaforma Weibo (una sorta di Twitter cinese) le ricerche “fiume Liangma” e “via Urumqi”, due dei luoghi di protesta del giorno precedente, non davano alcun risultato legato alla mobilitazione. Persino i video che mostravano gli studenti cantare e manifestare in altre città sono scomparsi dalla piattaforma WeChat: sono stati rimpiazzati da messaggi che avvertivano che il post era stata segnalato come contenuto sensibile contrario al regolamento.

A coronare il tutto, la pubblicazione di un articolo sul Quotidiano del popolo – il più diffuso e autorevole giornale della Cina – che mette in guardia contro la “paralisi” e la “stanchezza” di fronte alla politica zero covid, senza tuttavia accennarne un termine. D’altronde, come George Orwell insegna, la parola ha un enorme potere nella delimitazione dei confini del pensiero delle masse.

Gaia Cautela

Il popolo di Twitter ha votato, Trump è stato riammesso nella piattaforma

Da quando Elon Musk è diventato CEO di Twitter la piattaforma è tornata al centro di numerose polemiche. Le rumorose decisioni prese da Musk hanno fatto discutere e hanno creato parecchio dissenso nei confronti della sua figura. L’ultima è stata probabilmente la più importante: Creare un sondaggio rivolto a tutti gli utenti della piattaforma, chiamati a decidere circa la riabilitazione dell’account Twitter di Donald Trump. Dopo la vittoria del “si” con il 51,8% dei voti l’ex presidente degli Stati Uniti può effettivamente riapprodare sul social network che negli anni aveva utilizzato per far crescere il consenso elettorale nei suoi confronti tramite tweet spesso diretti e taglienti.

Il ban dopo i fatti di Capitol Hill

Era il 6 Gennaio del 2021 quando, in seguito all’assalto a Capitol Hill, l’account Twitter di Donald Trump venne “sospeso in maniera permanente“. Il provvedimento da parte della piattaforma generò molti contrasti.

Molti lo considerarono come una pesante violazione della libertà di pensiero e di parola. La piattaforma dalla sua ribadì come l’ex presidente si fosse reso protagonista più volte di tweet contenenti notizie false, insulti pesanti ai suoi avversari politici e, come nel caso di Capitol Hill, incoraggiamento alla violenza.

Fu un brutto colpo per l’azione politica di Trump, che si era distinto negli anni precedenti per un utilizzo massivo della piattaforma. Proprio in questa situazione difficile, vedendosi privato del suo profilo che al tempo del ban contava circa 88 milioni di followers, decise di dare vita ad un suo social network: Truth social. La piattaforma però non riscosse un gran successo. Dopo un boom di iscrizioni durante i primi mesi di vita, da Marzo la mole è calata drasticamente e ad oggi si stima che soltanto il 27% degli americani la conoscano.

Cosa non accenna a diminuire però è l’affezione di Trump nei confronti di Truth, da lui considerato come un luogo speciale che si differenzia dai media mainstream che, a parer suo, fanno della censura la loro caratteristica principale. A testimonianza di ciò l’ex presidente, in occasione del sondaggio, ha mandato un appello agli utenti della sua piattaforma:

«Votate con positività ma non preoccupatevi, non andrò da nessuna parte».

Va detto però che appare surreale che Trump non approfitti dell’ampio seguito di cui gode su Twitter.

Donald Trump. Fonte: lastampa.it

Elon Musk: “Vox Populi, Vox Dei”

La politica di Elon Musk da quando è diventato amministratore delegato di Twitter è chiara: rifondazione. Lui che non aveva mai nascosto di non ritrovarsi d’accordo con la decisione di bloccare alcuni account – quelli di Jordan Peterson e Babylon Bee su tutti – ha subito deciso autonomamente di riabilitarli. Per il caso Trump invece, data l’importanza notevolmente maggiore, ha deciso di far esprimere il popolo.

Si può dunque affermare che la decisione di reintegrare l’ex presidente è stata presa dal 51,8% delle 134 milioni – questo il dato citato dallo stesso Musk in un tweet – di persone che hanno votato il sondaggio? Il dubbio sorge dal momento in cui è lo stesso CEO di Twitter a concepire la possibilità che i sondaggi all’interno della piattaforma possano essere “viziati” da bot creati appositamente per esprimere preferenze.

Molte sono le perplessità legate anche alla motivazione che ha spinto il proprietario di Tesla ad indire un “referendum” così controverso. Tanti sostengono infatti che sia stata una decisione presa con lo scopo di far dimenticare le azioni parecchio discutibili che avevano caratterizzato i suoi primi giorni come patron della piattaforma.

Se fosse realmente così a Musk non avrà di sicuro fatto piacere la decisione di Donald Trump di prendere le distanze da Twitter. Lo testimonia uno dei suoi ultimi tweet:

Un’ilare immagine accompagnata da una descrizione parecchio dissacrante basteranno a far cadere l’ex presidente nella tentazione dell’uomo più ricco al mondo?

Francesco Pullella

Il lato oscuro dello sport: quando la disciplina è scandita da abusi e umiliazioni

Nelle ultime settimane sempre più atlete hanno denunciato di vessazioni all’ interno della federazione di ginnastica ritmica. Tutto è partito dalle campionesse Nina Corradini, Anna Basta e Giulia Galtarossa che riportano di maltrattamenti psicologici negli anni in cui hanno frequentato l’Accademia di Desio, caratterizzati in particolare da offese e mortificazioni da parte delle allenatrici federali per soddisfare i parametri del peso della squadra azzurra di ritmica.

Ossessione per il peso e violenza psicologica. Ecco cosa si nascondeva tra le mura dell’Accademia

Il 30 ottobre Nina Corradini, durante un’ intervista, ha rivelato quali fossero i motivi che l’avrebbero portata ad abbandonare lo sport. Dando vita così a una serie di rivelazioni poi condivise dalle sue ex colleghe.

“Mangiavo sempre meno ma ogni mattina salivo sulla bilancia e non andavo bene: per due anni ho continuato a subire offese quotidiane”.

Il suo racconto è molto dettagliato, a tratti sgradevole, tenendo conto del fatto che lei era minorenne all’epoca dei fatti. Quotidianamente era costretta a sentire frasi come “Vergognati”, “mangia di meno”, “come fai a vederti allo specchio? Ma davvero riesci a guardarti?” tutte espressioni che la facevano stare male e sentire inadeguata e sbagliata.

La ginnasta era arrivata al punto di assumere lassativi per pesare meno, mangiava di nascosto ed era terrorizzata dai rigidi controlli a cui l’allenatrice la sottoponeva.

Oggi non è ancora uscita da quel tunnel, ma con questa confessione spera di essere d’aiuto a tutte quelle ragazze che hanno vissuto tali pressioni, soprattutto spera di proteggere tutte le bambine che si affacciano al meraviglioso mondo della ginnastica ritmica prima che si trasformi in un orrendo incubo.

E può dire di avercela fatta. Infatti solo due giorni dopo Anna Basta è intervenuta sulla questione con un lungo messaggio pubblicato sui social.

“Io e Nina vogliamo alzare la testa anche per chi non ha più forza”

Anche lei ha deciso di esporsi perché, nonostante il vuoto immenso dovuto all’abbandono della sua più grande passione, ha scelto la salute e il benessere fisico e psicologico.

E ancora l’ex campionessa mondiale di ginnastica ritmica Giulia Galtarossa ammette:

«Sono stata costretta a spogliarmi davanti a tutti, mi chiamavano maialina. Mi hanno fatta sfilare davanti alle compagne schierate a mo’ di giuria, facendomi prendere in giro. L’esperienza all’Accademia di Desio mi ha rovinato la vita».

Un tale tormento per lei da chiedere alle allenatici di mandarla via. Non c’era più nulla di “sportivo”, non c’era più passione, solo paura e sensi di colpa.

“Mi hanno fatto il lavaggio del cervello. Per tanto tempo ho pensato fosse colpa mia e credevo davvero di essere grassa e brutta. L’unica mia colpa invece è essere rimasta in silenzio fino a oggi”.

Le reazioni delle autorità sportive

Non si è fatta attendere la risposta del presidente della Federginnastica Gerardo Tecchi:

«L’obiettivo è arrivare a zero casi, non vogliamo insabbiare nulla, bisogna tirare fuori anche i casi del passato, denuncino alla procura».

“Credo nelle pene giuste, non in quelle esemplari. I ragazzi e le ragazze devono sentirsi rispettati e liberi di denunciare. E’ necessario che non si superino certi limiti”.

Sono state invece le parole di Andrea Abodi, ministro per lo sport.

Le indagini sono iniziate e sono state affidate alla procura federale e al Safeguarding Officer, un organo con competenze nel campo legale e psicologico. Nina Corradini e Anna Basta il 17 novembre sono state convocate a Roma e ascoltate, in qualità di persone informate dei fatti. Dopodiché, venerdì 18, il procuratore federale Michele Rossetti incontrerà lo staff tecnico e la direttrice tecnica dell’Accademia di Desio Emanuela Maccarani, che è stata rimossa dal ruolo di direttrice, ma non da quello di allenatrice della Nazionale. Ma che è stata oggetto di discussione per via di un audio circolato su WhatsApp dove sostiene che le atlete sono state manipolate.  Di seguito le sue parole :

“Credo che siano vittime degli abusi di alcuni adulti o comunque di persone anche specializzate nelle varie materie che in questo momento stanno vicino a loro”.

Centinaia di atlete hanno bisogno di aiuto:  l’ associazione ChangetheGame lo dimostra.

ChangeTheGame è un’ organizzazione di volontariato fondata nel 2018 da Daniela Simonetti e da Alessandra Marzari con l’obiettivo di combattere ogni tipo di violenza in campo sportivo.

Logo del sito Fonte: Change The Game

Guida le giovani vittime e le loro famiglie nel faticoso percorso davanti agli organi di giustizia ordinaria e sportiva.  Inoltre all’interno del sito è presente un’apposita sezione in cui vittime e testimoni possono denunciare “situazioni e condotte di abuso” in sicurezza e anonimato.

Sono numerose le richieste di aiuto che arrivano regolarmente e dovute anche al forte impatto mediatico di questi ultimi giorni. I dati testimoniano più di 100 casi disseminati in tutta Italia, che evidenziano come non si tratti di un’eccezione ma sia un problema concreto da non sottovalutare.

Dopo la ginnastica ritmica lo scandalo colpisce anche l’aerobica

A testimonianza del fatto che non si tratti di un caso isolato, interviene  anche Davide Donati, 28 anni, tre volte campione del mondo. Facendo dichiarazioni a dir poco sconvolgenti :

“le ragazze erano divise in grasse e magre. Ciascuna con il suo tavolo. La separazione fisica era per loro un’umiliazione quotidiana. Il menu ovviamente cambiava in base ai tavoli. Quelle considerate magre potevano mangiare qualcosa in più delle altre.

Aggiungendo che i maschi nascondevano pezzi di pane per portarlo alle ragazze dopo il pranzo. E sottolineando più volte come fosse impossibile che la federazione non ne fosse a conoscenza. “ Nel 2020 abbiamo elencato le problematiche e raccontato ciò che accadeva».

I tecnici davano loro soprannomi offensivi e mentre erano in palestra le camere erano perquisite  per “toglierci le poche provviste che ci eravamo portati da fuori”

Nessuno mette in dubbio che nello sport ci siano dei sacrifici e delle rinunce da fare. Bisogna dare il massimo anche dal punto di vista fisico per rendere nel migliore di modi ed evitare infortuni. Per vincere si deve eccellere e per farlo è necessario tanto impegno e saper tener duro. Ma lo sport è anche altro: è gioco di squadra, è dedizione, è benessere mentale.

Dunque, perché deve trasformarsi in qualcosa di negativo che provoca solo disprezzo per sé stessi?

Per molti ragazze e ragazzi far parte di una squadra è come avere una seconda famiglia e venire offesi e presi in giro da un allenatore, che diventa come un padre o una madre acquisita, è straziante. Dare più valore al peso che alla persona non ne temprerà il carattere, ma al contrario farà emergere solo fragilità, sensi di colpa per aver fallito e voglia di scivolare sempre più giù dove gli altri non possono vedere.

 

Serena Previti

Attacco terroristico a Instanbul. Erdogan: “Vile attentato”

Domenica di terrore nel cuore di Istanbul: attorno alle 16:20 (le 14:20 in Italia) una forte esplosione in Istiklal Avenue – trafficata via dello shopping del centro città – ha causato almeno 6 morti e 81 feriti, di cui 2 in gravi condizioni. Tuttavia, si dice che il bilancio dell’accaduto sia destinato ad aggravarsi e che, nonostante non siano ancora ben chiare le dinamiche, le autorità di Ankara abbiano confermato la pista terroristica: probabilmente una bomba lasciata a terra in una borsa da una donna, oppure un vero e proprio attacco kamikaze. D’altronde il 13 novembre è da diversi anni una data difficile da dimenticare.

Istiklal Caddesi, la strada dell’attentato. Fonte: Corriere

Ad ogni modo, il ministro della Giustizia Bekir Bozdağ ha annunciato che la Procura nazionale ha già aperto un’indagine, mentre la via dove si è verificata l’esplosione è stata chiusa. Oltre ai soccorritori, alla polizia e ai vigili del fuoco, è arrivato sul posto anche il ministro dell’Interno, Süleyman Soylu.

L’esito delle prime indagini

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha definito quanto accaduto «un vile attentato»:

«Forse sarebbe sbagliato dire che si tratta di terrorismo, ma i primi sviluppi, le prime informazioni che il mio governatore ci ha fornito, mi dicono che c’è odore di terrorismo qui».

Fonte: Sicilia Report

Il sito web di notizie turco Mynet ha riferito che le forze di sicurezza stanno analizzando i filmati delle telecamere di sicurezza per determinare dove sarebbe stata collocata la borsa piena di esplosivo.
Secondo il vicepresidente Fuat Oktay, a compiere l’attentato è stata una donna kamikaze. «Lo consideriamo», ha detto, «un attacco terroristico provocato da una bomba fatta esplodere da un assalitore che, secondo le informazioni preliminari, sarebbe una donna». I media turchi hanno già pubblicato una foto della sospettata, anche se il ministro della Giustizia turco Bekir Bozdag ha spiegato che la borsa che trasportava sarebbe potuta esplodere anche a distanza con un telecomando. In ogni caso, una donna è di per certo rimasta seduta in panchina per 40 minuti e poi si è alzata in piedi; l’esplosione è avvenuta 1 o 2 minuti dopo.

Una donna kamikaze dietro l’attentato. Fonte: ANSA

Diversi sono i video che stanno circolando nelle ultime ore sui social: uno in particolare, ripreso da una telecamera di sicurezza, mostra l’esplosione e gli istanti successivi da molto vicino, con forti botti, fiamme divampanti e centinaia di persone che fuggono. Dopo l’esplosione e poco prima di partire per il G20 di Bali, il presidente Erdoğan ha dunque parlato di un «attentato dinamitardo», aggiungendo che i tentativi di conquistare la Turchia con il terrorismo «non avranno buon fine né oggi né domani, come non lo hanno avuto ieri».

In Turchia torna il terrore

C’è un motivo se si è subito pensato al terrorismo come causa dell’esplosione, giacché la Turchia ha un precedente sanguinoso: tra il 2015 e il 2017 il Paese, situato a metà strada tra Europa e Asia, è stato infatti teatro di attentati, ad opera dell’Isis e di altri gruppi terroristici.

Ritenuti i più sanguinosi mai avvenuti nella storia della Turchia, la serie di attentati di Ankara del 10 ottobre 2015 sono stati compiuti da terroristi affiliati all’autoproclamato Stato Islamico. La mattina di sabato 10 ottobre, alle 10:04, due kamikaze, vicini all’Isis, si sono fatti esplodere nella piazza centrale di Ankara, antistante la stazione, dove si stava tenendo un corteo per la pace con i curdi, in opposizione alle politiche del presidente Tayyip Erdogan. Allora l’attacco aveva ucciso ben 103 persone, oltre a ferirne più di 245. Dopo gli attentati, la città di Ankara ribattezzò la piazza della stazione, dandole il nome di piazza della Democrazia.

La gente guarda mentre la sicurezza e i medici esaminano la scena in seguito all’esplosione alla stazione ferroviaria principale della capitale turca Ankara, il 10 ottobre 2015. Fonte: Internazionale.it

Ma la scia di sangue proseguì anche dopo di allora. Qui di seguito è riportata una lista degli attentati più gravi in Turchia:
12 gennaio 2016 – Sultanahmet, Istanbul: kamikaze contro i turisti. Dodici i morti tra cui 11 tedeschi e un peruviano;

19 marzo 2016 – Via Istiklal, Istanbul: un attentatore suicida, un turco che si era unito all’Isis in Siria, si fa esplodere nella via dello shopping. Muoiono cinque civili, tutti stranieri;

20 giugno 2016 – Gaziantep (est): un ragazzino con un giubbotto riempito di esplosivo si fa esplodere ad un matrimonio di curdi uccidendo 57 persone;

28 giugno 2016 – Istanbul: tre uomini armati (due russi e un kirghizo) con addosso cinture esplosive attaccano il terminal internazionale dell’aeroporto Ataturk. Due di loro si fanno esplodere, l’altro viene ucciso dalla polizia prima di azionare il detonatore. I morti sono 44, per lo più stranieri;

1° gennaio 2017 – Istanbul, Ortakoy: un uomo armato apre il fuoco contro i frequentatori del nightclub Reina, dove si celebra il Capodanno. Trentanove persone muoiono. Questo è il solo attacco rivendicato ufficialmente dall’Isis.

I messaggi di cordoglio di Meloni, Tajani e Zelensky

L’Italia, così come anche diverse altri Paesi, non è rimasta indifferente dinanzi a delle terribili immagini che hanno avuto la prontezza di immortalare minuti fatali di panico e morte in una nazione facente parte dell’Unione Europea dal 2005:

«Sono terribili le immagini di Istanbul, voglio esprimere le nostre più sentite condoglianze alla Turchia per l’attentato subito e la morte di cittadini innocenti», ha affermato la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Attentato Istanbul, Tajani. Fonte: Il Messaggero

Più loquace e ardito l’intervento del ministro degli Esteri, Antonio Tajani:

«L’Italia condanna con la massima fermezza il vile attentato che ha sconvolto oggi la città di Istanbul. Nell’esprimere solidarietà alle famiglie delle persone colpite e auguri di pronta guarigione ai feriti, l’Italia riafferma la sua vicinanza alle istituzioni e al popolo turco e ribadisce, nel giorno dell’anniversario della strage del Bataclan, il suo risoluto impegno nella lotta al terrorismo. Il Consolato Generale, in stretto raccordo con l’Unità di Crisi, si è immediatamente attivato per verificare l’eventuale coinvolgimento di connazionali. Al momento non risultano italiani né tra le vittime né tra i feriti».

Su Twitter, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha scritto:

«È con profonda tristezza che ho appreso del numero significativo di morti e feriti durante l’esplosione avvenuta a Istanbul. Esprimo le mie condoglianze ai parenti dei morti e auguro una pronta guarigione ai feriti. Il dolore del cordiale popolo turco è il nostro dolore».

“Divieto di trasmissione” per un terrorismo che non passa

L’emittente statale turca RTÜK ha annunciato che, in seguito all’esplosione, tutti i media del paese sono soggetti a un «divieto di trasmissione» in base a una legge approvata di recente che punisce severamente la diffusione di informazioni false sui giornali e su Internet: per questo le notizie che stanno circolando sull’evento non sono moltissime.

Ma non sono necessarie molte informazioni per proiettare il singolo episodio all’interno di uno scenario tanto ampio quanto avvilente: anche in Turchia c’è un passato che non passa e si accompagna ad antiche vicende e nuovi problemi, dalla questione curda alla guerra di Siria. Il terrorismo costituisce ancora una sanguinosa variabile dell’attualità turca.

Gaia Cautela

Lo “sbarco selettivo” dei migranti in Italia: il punto sulla situazione

In Italia si torna a parlare di immigrazione e aiuti umanitari e lo si fa di fronte ad una situazione urgente e delicata. Tutto ha inizio con varie operazioni di salvataggio in mare da parte di alcune Ong, che hanno accolto a bordo delle loro navi molte persone e successivamente hanno ricercato porti sicuri dove attraccare. Due di queste imbarcazioni, la Humanity 1 e la Geo Barents, sono arrivate al porto di Catania dove hanno ricevuto un accoglienza particolarmente fredda da parte del governo italiano. Il neo ministro dell’Interno Piantedosi ha, infatti, “aperto le porte” a donne incinte, bambini e persone che versavano in grave stato di salute, lasciando a bordo gli altri.

 

Il provvedimento interministeriale

Questo duro atteggiamento nei confronti dei migranti fa tornare alla mente il periodo nel quale il posto di ministro dell’Interno era occupato da Matteo Salvini. Proprio il segretario della Lega, attualmente ministro delle Infrastrutture e vicepremier, ha firmato un provvedimento interministeriale insieme allo stesso Piantedosi e al ministro della Difesa, Guido Crosetto.

Tale provvedimento impone l’obbligo per le navi di tornare in acque internazionali, con tutte le persone “non idonee” ai parametri di accoglienza a bordo. Attualmente però le imbarcazioni non accennano a lasciare il porto andando contro di fatto alla decisione del governo.

Inoltre, la Ong Sos Humanity, responsabile della Humanity 1, ha deciso di fare ricorso al Tar del Lazio. Di conseguenza, con molta probabilità, avrà inizio una vicenda giudiziaria tra le due parti.

Intanto, però, sulla nave divampano le proteste, con molte persone che hanno iniziato uno sciopero della fame, rifiutando il cibo che gli veniva fornito. Moti di protesta che sono presenti anche sulla “terra ferma” e vedono la partecipazione in prima linea di una voce politica che si è distinta particolarmente nelle scorse elezioni: Aboubakar Soumahoro.

Foto della Humanity 1. Fonte: roma.corriere.it

Il dibattito politico: il disordine del centro-sinistra

«Salirò sulla nave Humanity 1 nelle prossime ore se il governo Meloni terrà sospese le vite umane nelle acque territoriali italiane per propaganda ideologico-identitaria. Le vite umane si salvano. È finita la campagna elettorale. Governare è rispettare la Costituzione»

Questa la dichiarazione di Soumahoro. Il deputato dell’alleanza VerdiSinistra Italiana, che durante la scorsa campagna elettorale ci aveva abituati a parole incisive e forti, anche questa volta non è stato da meno. Questa “linea dell’intransigenza” però non è stata sposata da tutti i partiti dell’opposizione che, per l’ennesima volta, appare estremamente disunita.

Molti degli esponenti del centro-sinistra, infatti, hanno atteso parecchio prima di esprimersi in merito alla questione. Ad esempio l’ex premier Giuseppe Conte ha rotto da poco un silenzio durato due giorni. queste le sue parole:

«Questo governo scoprirà che il nazionalismo arrogante non porta da nessuna parte. Serve un coordinamento europeo per l’adozione di un meccanismo comunitario di gestione, accoglienza e redistribuzione dei migranti che raggiungono le coste europee. Dobbiamo incrementare le iniziative di cooperazione, nel segno di un partenariato fra eguali, con i Paesi terzi di origine e di transito delle rotte migratorie. Abbiamo bisogno di rafforzare il sistema dei rimpatri per i migranti che non hanno diritto ad alcuna protezione».

Sono state parecchie le critiche nei confronti dell’attuale presidente del Movimento 5 stelle a seguito di questa dichiarazione. Spicca tra queste il tweet di Carlo Calenda, leader del partito politico “Azione”:

Lo sbarco completato a Reggio Calabria

A poca distanza da Catania, presso il porto di Reggio Calabria, si è verificato uno scenario completamente diverso. La nave Rise Above dell’Ong lifeline ha attraccato al molo di ponente e tutte le persone a bordo sono sbarcate in completa sicurezza. Questa differenza di trattamento tra le imbarcazioni si è verificata, perché la missione umanitaria della Rise Above è stata considerata come un evento SAR  (acronimo di Search and Rescue). Ovvero, è stato un recupero pianificato, in accordo e coordinazione con le forze dell’ordine e le autorità italiane.

La nave Rise Above. Fonte: tgcom24.it

L’Ocean Viking e il rifiuto di attraccare

Risulta essere singolare il caso dell’imbarcazione Ocean Vikings. Osservando la situazione al porto di Catania, i comandanti della nave hanno deciso di non attraccare e di cercare altri porti che potessero garantire uno sbarco integrale e non “selettivo”.

«devono essere sbarcati senza ulteriori ritardi e senza distinzioni. L’attuale situazione di stallo è disumana, viola molteplici principi del diritto marittimo e umanitario. E mette ulteriormente a rischio persone che sono in urgente bisogno di protezione. Questo gioco politico non può continuare a violare il diritto dei naufraghi a sbarcare il prima possibile».

Queste le parole di Nicola Stalla, coordinatore dei soccorsi a bordo. Dopo aver chiesto aiuto anche a Spagna e Grecia la nave dell’Ong francese Sos Mediterranée ha ricevuto il via libera proprio della Francia dove sbarcheranno tutte le 234 persone a bordo.

Francesco Pullella