Test d’ingresso medicina: meritocratico o limitante?

“Si abolisce il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina, permettendo così a tutti di poter accedere agli studi”.

Parole inattese e rivoluzionarie quelle contenute nel comunicato delle nuove disposizioni per la manovra d’abolizione del test d’ingresso nazionale della facoltà di medicina.

Nessuna spiegazione tecnica o argomentazione, poi dopo alcune ore, la parziale smentita del Ministro dell’Istruzione M.Bussetti:” Non mi risulta nulla di simile. Stiamo lavorando per allargare il numero degli ammessi”, precisa su Twitter.

Al “cinguettio” di Busetti segue la nota della presidenza del Consiglio:” Si tratta di un obiettivo politico per il medio periodo, da attuare mediante il confronto tecnico tra i ministeri competenti e la Conferenza dei Rettori delle università italiane, che potrà prevedere un percorso graduale di aumento dei posti disponibili, fino al superamento del numero chiuso”. Avversa ai nuovi probabili criteri di selezione l’associazione “Unione degli universitari”.

E. Gullini portavoce dell’associazione afferma: “Sosteniamo da anni il bisogno che l’attuale sistema di accesso venga superato”, ma rimprovera alle istituzioni ed al Governo di comunicare per slogan e di non fare chiaro ed esplicito riferimento alle procedure di cambiamento del sistema, né alle risorse economiche che dovrebbero essere impiegate per questa riforma.

Si rischierebbe dunque, di alterare le dinamiche di funzionamento delle università, che peraltro, potrebbero non essere nelle condizioni di metabolizzare il conseguente repentino aumento degli studenti.
Anche il Presidente dell’Ordine dei Medici si è espresso:” L’abolizione dei limiti d’accesso rischia di illudere i giovani, e di infrangere le loro speranze contro l’incapacità dello Stato di programmare”.

Non sono mancate neanche le dichiarazioni del Ministro della Salute G. Grillo:” Non è assolutamente meritocratico e quindi dobbiamo incidere su questo perché non è un criterio che seleziona i migliori per quella disciplina, ma semplicemente chi ha più memoria. Lo dico perché l’ho fatto e so benissimo in cosa consiste l’esame”.

 

 

 

 

 

 

Pare evidente quindi, che sessanta quesiti tra i quali anche alcuni di cultura generale, premierebbero l’abilità di esercizio mnemonico ed intellettualmente meccanico, invece che stimolare capacità come la propensione culturale, la predisposizione didattica, il temperamento emotivo e lo sviluppo di una sensibilità empatica, tutte prerogative immancabili per la maturazione di figure mediche che assolvano il delicato compito di cura della salute psicofisica del paziente,  prima che i bisogni di un mero “cliente”.

“Est modus in rebus”, la soluzione pertanto, potrebbe essere la giusta misura tra i due confini estremi del libero accesso “tout court” ed il numero chiuso: la modalità di selezione in itinere.

Questo modello, ispirato a quello francese, permetterebbe l’ingresso libero agli studi il primo anno, e in seguito sbarramenti in modo da riconoscere il merito.

In questo momento la strada che verrà intrapresa dal governo rimane l’aumento controllato dei posti disponibili e l’incremento delle borse di specializzazione.

Antonio Mulone

Caso Yara, Bossetti non si arrende e “grida” la sua innocenza

 

Il 12 ottobre appena trascorso la Corte di Cassazione si è espressa confermando l’ergastolo di Massimo Giuseppe Bossetti, condannato già in primo e secondo grado per l’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio. Il Muratore di Mapello però non accetta la condanna e continua a proclamarsi innocente.

 

All’indomani della sentenza Bossetti lancia il suo grido di disperazione per mezzo voce di Enrico Fedacci, l’inviato di News Mediaset che ha seguito il caso dall’inizio, dalla scomparsa della tredicenne, il 26 novembre 2010, fino alla condanna in cassazione consumatasi nei giorni appena trascorsi. E’ per mezzo di una lettera, scritta a mano e di suo pugno, che Bossetti chiede al cronista di dare voce alle sue parole.

“MAI smetterò di lottare con i miei avvocati che mi difendono per sincera convinzione e amore di Giustizia, per dimostrare la mia INNOCENZA!!” . Queste le parole accorate che il 48enne scrive nella lettera indirizzata al giornalista, pregando che vengano diffuse. Nonostante la condanna ormai definitiva Bossetti promette di non arrendersi contro una giustizia secondo lui ingiusta, che lo vede responsabile dell’uccisione della giovane Yara.

Ma questa non è stata l’unica lettera che l’uomo ha scritto nei giorni scorsi dalla sua cella. Ce n’è un’altra indirizzata ai genitori di Yara, l’adolescente che, secondo i giudici, è stata uccisa da lui nei pressi di Brembate di Sopra, ma il contenuto della missiva non è stato reso noto. Nei prossimi giorni, Bossetti, come da lui richiesto, potrebbe cominciare a lavorare, nell’attesa di poter presentare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, per la quale dovranno passare almeno sei mesi dalla sentenza della Cassazione.

Giusi Villa

Svolta nel caso Cucchi e la fine di un’odissea

Sono passati nove anni dall’ottobre 2009, quando il giovane geometra Stefano Cucchi veniva trovato in possesso di droga e arrestato. Da quel momento in poi il resto di ciò che è accaduto è noto a tutti. Il giovane uscirà da quella caserma col viso e il corpo tumefatto, passeranno alcuni giorni prima che lo stesso muoia sul letto di una struttura carceraria.

Dopo anni di silenzi, risposte non date, verità taciute ma conosciute a tutti e  lotte continue da parte della famiglia Cucchi per conoscere chi o cosa avesse realmente ucciso Stefano, si è arrivati dopo nove estenuanti anni alla fine di tutto questa storia.

Durante la nuova udienza davanti alla corte d’Assisi, Francesco Tedesco, uno dei cinque militari imputati per la morte di Cucchi, ha confessato quanto successo durante e dopo l’arresto. Tedesco ha indicato come autori del pestaggio due colleghi, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati con lui di omicidio preterintenzionale e di abuso di autorità.

Dunque luce è stata fatta, ciò che da sempre si sospettava è stato confermato, Stefano è stato massacrato di botte dai carabinieri che si sarebbero solamente dovuti occupare del suo arresto.

“Il muro è stato abbattuto. Ora sappiamo e saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla famiglia Cucchi” commenta su Facebook Ilaria, sorella della vittima.

Le lotte della famiglia non sono dunque state vane, ci si augura che il caso in questione possa essere d’esempio e di speranza per le altre vittime coinvolte in simili circostanze.

Benedetta Sisinni