Antisemitismo in un cimitero ebraico

In Francia, all’interno del cimitero ebraico di Herrlisheim, 37 lapidi sono state oggetto di un atto di vandalismo: ricoperte da disegni di svastiche naziste. Oltraggiato anche un memoriale dell’Olocausto.

Il colpevole resta ancora ignoto; ma a poche ore di distanza si è verificato l’attentato ai mercatini di Natale di Strasburgo, dove un uomo armato ha sparato sulla folla causando morti e feriti, e si inizia quindi a pensare che i due casi possano essere in qualche modo collegati, ma ancora nulla è certo.

Il ministro degli Interni francese Christophe Castaner, ha denunciato l’assalto. “Quando un luogo di raccoglimento viene profanato, l’intero Paese è contaminato” ha twittato.

“Sono venuto questa mattina per sostenere la comunità ebraica e tutti gli abitanti di Herrlisheim dopo i degradi antisemiti e xenofobi commessi in questo cimitero israelita”.

Il ministro aggiunge che è stato fatto di tutto per identificare e catturare i responsabili di questo atto profano, e che ha piena fiducia nella polizia.

Benedetta Sisinni

Antonio Megalizzi, gravissimo l’italiano colpito a Strasburgo

Antonio Megalizzi, giornalista trentino di 29 anni ferito nell’attentato di Strasburgo, il cui bilancio, è di tre morti accertati, una persona in stato di morte cerebrale e 13 feriti di cui 5 in condizioni critiche.

Antonio lavora per la radio Europhonica, un progetto radio legato al mondo universitario, era da domenica a Strasburgo per seguire come ogni settimana l’assemblea plenaria dell’Europarlamento. Il giovane giornalista, che stava prendendo il tesserino da pubblicista, ha studiato all’università di Verona e poi si è specializzato in studi internazionali all’università di Trento e ora stava seguendo un master sulle istituzioni europee.

E’ stato colpito alla testa mentre passeggiava con due ragazze che, al contrario suo, sono riuscite a fuggire rifugiandosi in un locale lì vicino perdendo di vista Antonio, perché lui era rimasto a terra.

Nella sua follia omicida, il criminale ricercato ormai in tutta Europa ha sparato a sangue freddo una pallottola alla base della testa, che non gli da praticamente nessuna speranza. I medici confermano l’inutilità di un’operazione. La famiglia in nottata confessava agli amici di stare solo aspettando che la natura facesse il suo corso. Nel letto accanto ad Antonio oltre alla famiglia c’è anche la fidanzata, Luana Moresco, rimasta tutta la giornata in silenzio vicino al suo amore prima sempre sorridente; alle persone più care ha confidato di non avere più speranze, anche se ha sempre creduto nei miracoli.

“Me l’hanno portato via”. La mamma di Antonio è disperata, ma spera e si aggrappa alla fede. In questi giorni ha ricevuto in ospedale la visita degli eurodeputati Mario Borghezio e Giacomo Mancini, che sono voluti andare a portare la loro vicinanza. “Era sconvolta, è consapevole che la situazione è disperata”, ha detto all’Adnkronos Mario Borghezio, spiegando che quando è arrivato in ospedale con Mancini la signora li ha abbracciati “come fossimo della famiglia”. “Piangeva. Ci ha detto che Antonio è sempre stato un ragazzo pieno di entusiasmo, pieno di speranze – ha raccontato l’eurodeputato non nascondendo la commozione – Ci ha spiegato che sta resistendo anche se è stato ritenuto inoperabile, ma, ha detto:miracoli possono sempre avvenire”.

 

Rachele Fedele

Solo 6/100 maschi tra gli esseri umani più longevi. Perché le donne vivono più degli uomini?

Jeanne Calment (21 febbraio 1875/ 4 agosto 1997) è il nome della donna più longeva di sempre, che, con i suoi 122 anni, è risultata l’unica fino ad oggi ad avere la possibilità – 1 su 3 milioni – di vivere per un tempo ≥ 110 anni, avvalendosi così della nomina di supercentenaria. Pensate che questa signora è passata dalla prima trasmissione radio, all’invenzione dell’automobile, della TV e del computer, del cinema e del giradischi; ha vissuto la Prima e la Seconda Guerra Mondiale e gli anni della conquista dello spazio; è sopravvissuta a 22 presidenti francesi (nasce e muore ad Arles) ed a ben 10 Papi.

Ma perché esiste questa differenza tra i due sessi?

Si potrebbe pensare che il tutto si basi su tempistiche differenti di invecchiamento, ma le donne non vivono più degli uomini perché invecchiano più lentamente, piuttosto perché risultano essere più “resistenti” durante le varie età. Paradossalmente però, pur avendo una minore mortalità, hanno un maggiore tasso di malattia (soprattutto cronica), di visite mediche e di ospedalizzazione rispetto gli uomini. Questo quanto si legge nei lavori del professor Steven N. Austad, preside del Dipartimento di Biologia presso l’Università di Alabama a Birmingham, ed esperto di “invecchiamento”.

 

Allora in che modo le donne sono più “resistenti” degli uomini?

Di certezze ce ne sono poche, ma le ipotesi sono diverse ed avvincenti.

Una di queste è che le donne abbiano un sistema immunitario molto più robusto degli uomini. Questa opzione è confermata da numerose ricerche condotte dall’Università della Pennsylvania finalizzate alla dimostrazione che le donne sono meno soggette, o affrontano meglio rispetto alla controparte maschile, l’influenza, grazie alla “robustezza” del loro sistema immunitario. Robustezza che però si traduce in una maggiore suscettibilità (statisticamente dimostrata) delle donne nel manifestare malattie autoimmuni, patologie caratterizzate da una risposta anomala del sistema immunitario nei confronti di parti dell’organismo stesso.  Ma in che modo il sistema immunitario garantisca una più longeva sopravvivenza al gentil sesso, non si sa ancora.

Una seconda ipotesi, sicuramente più famosa, è basata sull’azione protettiva degli estrogeni, gli ormoni femminili che sembrerebbero giocare un ruolo difensivo soprattutto nei confronti di patologie quali ad esempio l’infarto e l’aterosclerosi. È nota a tutti l’incidenza maggiore nell’uomo di malattie cardiovascolari rispetto alle donne in età fertile. Questa differenza diminuisce notevolmente, finendo per far avvicinare i due valori, con la menopausa, periodo in cui la concentrazione di questi ormoni diminuisce in maniera drastica. Gli estrogeni, infatti, influenzano la biodisponibilità di ossido nitrico (NO), mediatore endogeno con effetti vasodilatatori, riducono le possibilità di formazione di coaguli e diminuiscono le LDL (il cosiddetto “colesterolo cattivo”) in circolo, riducendo così la possibilità di sviluppare l’aterosclerosi.

Gli estrogeni sono inoltre impegnati nella risposta allo stress ossidativo da accumulo di radicali liberi (molecole reattive potenzialmente pericolose), causa più che nota del normale invecchiamento in entrambi i sessi. L’estrogeno, una volta legato il suo recettore, attiva NF-kB, un fattore trascrizionale che aumenta la sintesi di enzimi con funzione antiossidante. Risulta chiaro come le donne, avendo più estrogeni e di conseguenza più enzimi anti-radicalici, contrastino meglio lo stress ossidativo.

Altra ipotesi è la cosiddetta “teoria del sesso eterogametico”: la mancanza del secondo cromosoma X causerebbe nell’uomo (XY) una serie di svantaggi dovuti alla perdita di più di 1000 geni assenti nell’Y, ma presenti nell’ X. Quindi qualsiasi allele (forma alternativa di uno stesso gene) mutato sul cromosoma X maschile non ha un corrispettivo compensatorio sul cromosoma Y, mentre la donna (XX) gode di questa opportunità. Se ciò non bastasse, ci sono evidenze che dimostrano che nel sangue periferico, più si è avanti con l’età, maggiore è il numero di cellule che tendono ad avere o il cromosoma X paterno o X materno, piuttosto che un’inattivazione random, dunque una sorta di scelta consapevole dell’allele “migliore”. Inoltre, il 17% dei geni inattivati nel cromosoma X non lo sono completamente e questo potrebbe essere un ulteriore vantaggio nella sopravvivenza a lungo termine.

Jose Viña e Consuelo Borrás, professori dell’Università di Valencia, hanno introdotto il concetto di “longevity associated genes” cioè di “geni associati alla longevità”, basandosi su studi condotti sui topi di laboratorio (Wistar rats). Questi geni, se iperespressi, correlano con una vita più duratura. Parliamo di geni antiossidanti, che codificano per gli enzimi impegnati nella risposta all’accumulo dei radicali liberi, e di geni che codificano per le proteine p53, nota come “guardiano del genoma”, e p16. Queste ultime sono impegnate nel controllo della replicazione cellulare, in particolare permettono alle cellule “sane” di procedere nel ciclo replicativo, mentre mandano in fase di quiescenza o, nei casi estremi, in apoptosi (morte programmata) le cellule irreparabilmente “alterate”.

 

Nel loro studio viene citata anche la telomerasi, un’enzima che evita che ad ogni replicazione del DNA, i cromosomi diventino sempre più corti con il rischio che venga danneggiata l’informazione genica e la cellula muoia o si trasformi. Quando questa è iperespressa però, aumenta la probabilità che la cellula da sana, diventi cancerogena, perché l’enzima la “immortalizza”, quindi parlare di “gene associato alla longevità” non sembra il caso. Eppure se la telomerasi si trova notevolmente espressa in cellule aventi una proteina p53 funzionante, si ha un aumento dell’aspettativa di vita del 50%. Questo soprattutto nelle femmine di Wistar rats, infatti l’enzima presenta un sito responsivo agli estrogeni e quindi la sua concentrazione aumenta di conseguenza. La telomerasi avrebbe anche un ruolo antiossidante, perché viene ad essere regolata dal glutatione (peptide con proprietà antiossidanti), i cui livelli nelle femmine di Wistar rats, sono più elevati che nei maschi.

Queste sono solo alcune delle teorie che provano a spiegare la differenza tra i due sessi in termini di longevità. Osservando i dati registrati durante carestie ed epidemie, periodi di estrema difficoltà che hanno segnato la storia mondiale, le donne sono sopravvissute dai 6 mesi fino ai 4 anni in più rispetto agli uomini. Ma come si evince dall’immagine introduttiva all’articolo, non sono solo motivi prettamente “genetici”, spesso gli uomini tendono a mettersi in situazioni pericolose senza valutarne il reale rischio.

Nella corsa per l’immortalità, insomma, le donne sono in vantaggio rispetto agli uomini. Nessuno sa se nei prossimi decenni le cose potranno inaspettatamente ribaltarsi, ma fino a quel momento cari uomini, meglio non fare arrabbiare le donne, dovrete sopportarle per tutta la vita!

 

Claudia Di Mento

Cosa accade realmente in Francia? Le profonde ragioni della crisi e la nascita dei gilet gialli

In Francia  si è appena consumata la quarta settimana consecutiva di ribellione, portata avanti dai dimostranti contraddistinti dai loro gilet gialli, in francese gilets jaunes, tipici delle emergenze stradali, proprio ad evidenziare il loro bisogno di visibilità e stato di emergenza nel quale denunciano di trovarsi.
Il movimento, sorto come protesta contro l’aumento delle tasse sui carburanti, è cresciuto di intenti e proporzioni fino a diventare un ampio sfogo sulla disuguaglianza, contro l’intera classe dirigente che risulta disconnessa dalla realtà, e contro il Presidende Macron, percepito sempre più come “Presidente dei ricchi” e incolpato di aver completamente abolito la classe media, tanto da aver interrotto la comunicazione con il resto del Paese e in particolar modo con la Francia rurale.

Ma da dove nasce la protesta?
Al contrario di quello che si potrebbe pensare, date le proporzioni attuali della protesta, il movimento è nato in sordina, da parte di una signora, Jacline Mouraud – sconosciuta fino ad allora – che sul proprio profilo social ha postato un video che ha totalizzato sei milioni di visualizzazioni.

Nel video Jacline chiede a Emmanuel Macron “quando il governo la smetterà di accanirsi contro gli automobilisti”, facendo riferimento all’aumento delle accise sulla benzina. Mouraud, che vive in un paesino della Bretagna e utilizza la sua auto diesel per spostarsi ogni giorno, ha poi lanciato una provocazione che contrappone i ricchi cittadini ai francesi che abitano nelle campagne. “Voi potenti che siete nelle città la fate facile, tanto siamo sempre noi a pagare”, dice. A risponderle ci ha pensato Emmanuelle Wargon, sottosegretaria ai Trasporti, con un video su Twitter. “Non c’è nessun complotto del governo contro le auto!”, ha scritto nel post.
Dai social la protesta è passata alla strada il 17 novembre 2018, quando il movimento si è dato appuntamento per le manifestazioni in circa 600 città francesi.

A sostenere la protesta anche Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, leader della destra e della sinistra francese. L’inizio della mobilitazione però è stato segnato da un evento tragico, quando una donna è stata uccisa da un’auto che ha forzato un blocco stradale in Savoia, nel sud del Paese.
Il movimento popolare dei gilet gialli, è un movimento insolito, che ha colto impreparato il Presidente francese. E’ un movimento senza leader, e le barricate erette ai caselli, alle rotonde e ai depositi di carburante sono state organizzate tramite i social media.
Le rimostranze al governo sono sorte in seguito alle manovre economiche che dal prossimo gennaio avrebbero visto un aumento di 6,5 centesimi al litro e quelle della benzina di 2,9 centesimi. Aumenti che manterrebbero comunque la Francia tra i Paesi Ue con i prezzi più bassi. Ma a questo fatto si aggiungono critiche ulteriori da parte degli automobilisti, come la diminuzione della velocità a 80 chilometri orari sulle strade statali, l’incremento dei controlli e dei pedaggi, l’inasprimento dei requisiti per i collaudi. Inoltre, la protesta partita dai social si è allargata a una più generale critica al governo per il costo della vita e il calo del potere d’acquisto. I cittadini che vi aderiscono sono scesi in piazza per manifestare il proprio risentimento che va al di là delle accise sulla benzina.
Rimostranze che sembrano unire davvero tutta la Francia poiché un sondaggio di Le Figaro condotto venerdì 23 novembre suggerisce che il 77% dei francesi riterrebbe legittime le proteste organizzate a Parigi e dintorni, e che dunque anche coloro che non hanno preso direttamente parte ai blocchi stradali, giorno e notte, nelle città di provincia, nei paesi e nelle aree suburbane, si identificherebbero comunque col sentimento di lontananza dalla classe dirigente.
Macron, nonostante abbia costruito la propria identità politica sul rifiuto di fare passi indietro di fronte alla pressione pubblica e alle proteste di piazza, dopo la prima concessione fatta in extremis, che abolisce l’ecotassa sui carburanti, grazie alla decisione presa dall’Assemblea nazionale francese, che ha approvato con 358 voti contro 194 le misure indicate dal premier Philippe per provare a risolvere la crisi, dopo i tumulti di sabato 8 dicembre, che hanno portato ad almeno 179 feriti negli scontri con la polizia a Parigi e nelle altre principali città e a 975 arresti – ma rilasciati il giorno dopo circa la metà – decide finalmente di parlare alla nazione, affrontando così la crisi innescata dai gilet gialli contro il caro vita e la classe dirigente.
La collera è giusta, in un certo senso“, ha spiegato il presidente.

E ha annunciato che già da questa settimana verranno prese misure per affrontare lo “stato di emergenza sociale ed economico della Francia“. “Ne usciremo bene tutti insieme“, ha garantito. E ricordando le manifestazioni che hanno scosso il Paese e in particolare Parigi, il presidente ha anche ribadito che “la violenza è inaccettabile, saremo intransigenti con i violenti”. Tra le misure annunciate, anche quella che prevede che il salario minimo della Francia aumenterà di 100 euro al mese dal 2019. Macron ha poi annunciato l’annullamento della contribuzione sociale generalizzata (CSG) per i pensionati che guadagnano meno di 2.000 euro al mese.
Durane tutto il suo discorso Macron ha ripetutamente fatto appello alla Francia unita, “Per avere successo dobbiamo restare uniti” e “garantire la giustizia sociale”. Affermano inoltre, che il modo per andare avanti, prevede dialogo e rispetto.

 

Giusi Villa

Le opere di Antonello in una grande mostra a Palermo. Il parere contrario degli esperti

Sarà uno degli appuntamenti più attesi nell’ambito delle iniziative conclusive promosse da Palermo capitale della cultura 2018. Nel capoluogo sta per essere infatti inaugurata una mostra dedicata al famoso artista quattrocentesco. L’esposizione, dal 14 dicembre al 10 febbraio, si svolgerà a Palazzo Abatellis, dove già si trova il celebre dipinto dell’Annunciata.

La rassegna intende celebrare in un unico spazio espositivo la personalità di Antonello da Messina riunendo un percorso inedito tra tavole provenienti da diverse collezioni. Il curatore, Giovanni Carlo Federico Villa aveva promosso nel 2006 di un’iniziativa simile alle Scuderie del Quirinale a Roma.

L’idea di questa mostra antologica non è stata però accolta con eccessivo entusiasmo da parte degli esperti in Storia dell’Arte e Beni Culturali. Dopo Palermo le opere di Antonello contenute nel Museo Regionale di Messina dovrebbero essere spostate anche al Palazzo Reale di Milano; il Polittico di San Gregorio e la Tavoletta bifronte per alcuni mesi verranno quindi trasferite altrove e non saranno più disponibili ai visitatori del rinnovato plesso museale di viale Libertà.

Così un gruppo di docenti e operatori culturali ha redatto e firmato un documento per esporre le ragioni della presa di posizione avversa all’iniziativa. Secondo il parere degli esperti spostare il Polittico rappresenterebbe un rischio per lo stato di conservazione della tavola, sensibile ai cambiamenti di umidità e temperatura. Inoltre privare delle opere di Antonello il Museo Regionale di Messina non porterebbe un ritorno di immagine favorevole all’offerta culturale e turistica della città dello Stretto.

Il Prof. Roberto Cobianchi, docente di Storia dell’Arte al DICAM, si è espresso con queste parole:

Se si tratta di un’occasione di studio nuova va bene, altrimenti non ha senso spostare un’opera semplicemente perché è di un autore di grande notorietà. Mi pare che nella bibliografia recente non ci siano delle novità documentali o attributive che giustifichino una nuova mostra su Antonello. Sarebbe auspicabile che il pubblico andasse a vedere le opere nel contesto in cui si trovano e che si abituasse ad andare con regolarità al museo. Non ritengo corretto privare i visitatori del Museo di Messina di quest’opera chiave, se non a fronte di una seria operazione culturale. Purtroppo oggi il pubblico è spinto, a volte con dei sotterfugi pubblicitari, ad andare a vedere le mostre, ma non sempre le mostre danno un vero contributo alla conoscenza dei problemi intono ai quali vengono costruite. Troppo spesso propongono una sequenza di ‘capolavori’ di autori dai nomi molto noti, ma non insegnano nulla. (L’Eco del sud)

Eulalia Cambria

Golden Globe: il successo di Lady Gaga nel cinema

Pochi giorni fa sono stati annunciati i candidati ai Golden Globe 2019, i premi televisivi e cinematografici che vengono assegnati dalla Hollywood Foreign Press Association, un’associazione di giornalisti che si occupano di cinema e televisione in diversi paesi. La cerimonia vera e propria si terrà il 6 gennaio 2019 a Beverly Hills (quando in Italia sarà già il 7 gennaio) e assegnerà i premi ai migliori film, serie tv, registi, attori, sceneggiature e canzoni per l’anno 2018.  Le categorie dei Golden Globe sono 25: 14 per il cinema e 11 per la televisione. I premi sono divisi in base al genere del film o della serie tv.

Tra i film che sono stati più nominati:

al primo posto, con sei nomination, abbiamo “Vice- L’uomo nell’ombra”  scritto e diretto da Adam McKay:  film biografico sull’ex presidente americano Dick Cheney, interpretato da Christian Bale. Al secondo posto, a pochissimo di distacco, con cinque nomination, “A Star is Born”, diretto da Bradley Cooper, con protagonista lo stesso Cooper e Lady Gaga.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo aver conquistato il mondo della musica Gaga punta a diventare la regina del cinema e riuscendoci. La cantante, infatti, oltre ad essere stata nominata ai Golden Globe 2019 come miglior attrice e miglior canzone originale, aveva già,  nel 2016, vinto un Golden Globe come miglior attrice nella serie American Horror Story: Hotel.

Ma le nomination per Lady Gaga,  come protagonista e autrice della colonna sonora del film,  non sono mica finite qui. Miss Germanotta è stata candidata anche ai Grammy, con 4 nomination,  per “Shallow”, colonna sonora del Film.  E’ stata proposta pure ai Satellite Award sempre come miglior attrice e miglior canzone e ha vinto come miglior attrice ai National Board of Review. Possiamo dire dunque che è nata veramente una stella (del cinema), perché come cantante già brillava da molti anni.

Andrea Sangrigoli

FCRLAB SI AGGIUDICA PREMIO EUROPE ICT 2018

Nella città di Vienna è stata indetta la “Discover Open Data Challenge”, con la collaborazione della FIWARE foundation, sfida che ha come obiettivo quello di creare strumenti per aiutare i cittadini europei ad orientarsi con gli open data.

La sfida è stata lanciata il 4 dicembre da Brigitte Lutz, Data Governance Coordinator della città di Vienna, durante la FIWARE ICT Challenge, un hackaton tenutosi nel corso della conferenza ICT 2018, organizzata dalla Commissione Europea.

I vincitori sono stati il dott. Antonino Galletta, dottorando UniME, ed il dott. Alessio Salzano, amministratore della Alma Digit srl, spin-off UniME; che hanno progettato un prototipo di piattaforma, integrata con il Portale Europeo dei Dati, facilmente utilizzabile dagli utenti grazie alla possibilità di fornire dati provenienti da diversi cataloghi di dati europei, di confrontarsi con altri ricercatori, di seguire i dataset o i topic di proprio interesse.

La premiazione è avvenuta il 6 dicembre per mano della Commissaria Europea per l’Economia e la Società Digitali Mariya Gabriel e del Ministro Austriaco dei Trasporti, dell’Innovazione e della Tecnologia Norbert Hofer.

I vincitori hanno ricevuto un premio in denaro e il supporto tecnico per la realizzazione della piattaforma, insieme all’invito a presentare il proprio progetto all’Open Data Days Austria 2019.

Benedetta Sisinni

Carta Famiglia, esclusi gli extracomunitari

Un nuovo emendamento alla legge di bilancio, presentato dalla Lega e approvato ieri, esclude gli extracomunitari regolarmente residenti in Italia dalle agevolazioni per le famiglie numerose. La carta famiglia era entrata in vigore nel 2017 e garantiva alle fasce più deboli della popolazione uno sconto fino al 20% su medicine, mezzi di trasporto, alimenti, bollette, eventi culturali e materiale scolastico. Come si leggeva in Gazzetta ufficiale, “Hanno diritto alla carta famiglia tutti i nuclei familiari – italiani e stranieri, regolarmente residenti in Italia – con almeno tre componenti minori di età e con un indice Isee in corso di validità che non superi i 30mila euro“.

Da ora, però, le cose cambiano. Come spiega l’emendamento approvato dalla commissione bilancio della Camera, i nuovi beneficiari della carta famiglia saranno esclusivamente le “famiglie costituite da cittadini italiani ovvero appartenenti a Paesi membri dell’Unione europea regolarmente residenti nel territorio italiano, con almeno tre figli a carico”. Via i cittadini extracomunitari residenti in Italia, in quella che da carta famiglia si trasforma in carta italiani. In compenso, viene eliminato il paletto della minore età dei figli, alzata fino ai 26 anni. Inoltre, scompare ogni riferimento all’Isee. Si tolgono gli stranieri quindi, ma si amplia la platea di potenziali beneficiari italiani, qualunque sia il loro reddito: basta avere tre figli. Secondo i dati dell’Istat, sono 4 milioni gli extracomunitari regolarmente residenti in Italia e che verranno tagliati fuori dal nuovo emendamento alla legge di bilancio.

Il paradosso è che Matteo Salvini, quando viene accusato di xenofobia, dice di avercela soltanto con gli irregolari. “Immigrati regolari che pagano tasse e portano rispetto sono fratelli. Il mio problema è la clandestinità”, twittava l’anno scorso. Togliere loro una forma di sostegno per l’accesso a beni e servizi primari è uno strano modo di mostrare questo riconoscimento fraterno. Lo stato, peraltro, non ci guadagna un euro. Nel provvedimento originario si specifica infatti che “dalla disposizione non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Questo perché gli sconti legati alla carta famiglia non sono a carico dello Stato, quanto piuttosto degli esercizi commerciali che possono scegliere in modo libero e volontario se aderire all’iniziativa, attraverso un bollino esposto in vetrina – “Amico della famiglia” in caso di sconto del 5%, “Sostenitore della famiglia” per gli sconti fino al 20.

 

Rachele Fedele

 

 

‘Ndrangheta: 90 arresti tra Italia Europa e Sud America

Una rete gigantesca che dai paesini della Locride si estende fino al Sud America, passa per l’Europa e trasforma fiumi di cocaina in immobili, imprese, attività. Novanta sono state le persone arrestate da polizia, carabinieri e guardia di finanza nel corso di un’operazione coordinata dalla procura nazionale antimafia e da quella di Reggio Calabria, nell’ambito di un’inchiesta che è stata in grado di varcare i confini nazionali.

Per la prima volta, l’indagine è stata sviluppata da un vero e proprio team europeo di inquirenti e investigatori di Paesi diversi, ma con un obiettivo comune: colpire la ‘ndrangheta e le reti di supporto che in tutta Europa hanno permesso non solo di importare droga, ma anche di riciclare e reinvestire i profitti che ne derivano. Un lavoro durato anni, frutto di un coordinamento vero e reale, che ha portato all’arresto in contemporanea in quattro diversi – Italia, Belgio, Olanda e Germania e Colombia – di 90 persone, tutte accusate a vario titolo di associazione mafiosa, traffico internazionale di droga e intestazione

fittizia di beni.

Nel mirino, gli storici casati di ‘ndrangheta della Locride, i Pelle-Vottari di San Luca, i Ietto di Natile di Careri e gli Ursini di Gioiosa Ionica, pionieri del narcotraffico internazionale e tuttora specialisti del settore. All’alba di ieri, più di trenta sono finiti in manette, incluso il reggente del clan Pelle, erede del potere dello storico patriarca ‘Ntoni Gambazza. Secondo quanto emerso dalle indagini, per l’Italia coordinate dal procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, e dall’aggiunto Giuseppe Lombardo, registi dell’affare sarebbero stati i Pelle, che con il supporto degli altri casati storici della Locride avrebbero strutturato la rete che ha permesso di inondare l’Europa di tonnellate di cocaina, smistata anche grazie a solide basi logistiche costruite in Germania, Belgio e Olanda. È qui che sarebbe stata individuata una vera e propria organizzazione criminale, composta per lo più da soggetti di origine turca, specializzata nella creazione di doppifondi di auto e camion, poi incaricati di smistare le diverse partite di droga nei vari Paesi.

 

Santoro Mangeruca

Perché facciamo l’albero di natale? Ecco le sue origini e il vero significato

Dicembre è arrivato, e sebbene il periodo di preludio al Natale sembra diventare sempre più ampio, l’ufficialità dell’inizio dei festeggiamenti e degli allestimenti natalizi, sembra rimanere in capo all’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione, che per i cattolici simboleggia il vero e proprio inizio del periodo natalizio. Tra lucine colorate e ghirlande di muschio spuntano, immancabili nella consacrata tradizione natalizia, presepi e alberi di Natale.
Ma cosa rende questi due oggetti simboli principali della celebrazione della nascita di Gesù?
Se per il presepe la risposta sembra abbastanza semplice, poiché risulta essere una rappresentazione fedele del momento della nascita del Bambin Gesù, con tanto di ambientazione storica, per l’albero più celebrato al mondo, non si può applicare la stessa analogia, in quanto il significato non appare così diretto e scontato, rimanendo così sconosciuto ai più.
Anche se più banalmente, quello che ci spinge ad allestire i nostri alberi di Natale è la voglia di omologazione della società consumistica, concedendoci di provare quella sensazione di “calore” tanto bramata nel periodo delle feste, conoscere quale sia la vera storia dell’albero di Natale – oltre che doveroso – potrebbe rendere più consapevole questo gesto e riempirlo di nuovi significati.
Alla base dell’albero natalizio ci sono gli antichissimi usi, tipici di varie culture, di decorare i vari Alberi del Paradiso con nastri e oggetti colorati, fiaccole, piccole campane, e la credenza che le luci, che li illuminavano, corrispondessero ad altrettante anime. Allo stesso modo venivano ornati anche i vari Alberi cosmici con simboli del Sole, della Luna, dei Pianeti e delle stelle. In particolare l’abete era sacro a Odino, potente dio dei Germani. Nei tempi antichi, i tedeschi erano convinti che sia la Terra che gli astri pendevano da un gigantesco albero, il Divino Idrasil o Albero dell’Universo, le cui radici erano nell’inferno e la punta nel cielo. Per celebrare il solstizio d’inverno che si verificava in questo periodo nell’emisfero settentrionale, decoravano una quercia con delle torce (che rappresentavano gli astri) e ballavano intorno ad essa.
Intorno all’anno 740, San Bonifacio, l’evangelizzatore della Germania e dell’Inghilterra, abbatté la quercia, che rappresentava Dio Odino e la sostituì con un sempreverde, il simbolo dell’amore eterno di Dio.
L’albero venne adornato con mele, che per i cristiani rappresentano le tentazioni, e candele, che simboleggiavano la luce del mondo e la grazia divina. Essendo una specie perenne l’abete è il simbolo della vita eterna, inoltre la sua forma triangolare rappresenta la Santissima Trinità.
L’ albero divenne quindi simbolo di Cristo, inteso come linfa vitale, e della Chiesa, rappresentata come un giardino voluto da Dio sulla terra. Nella Bibbia il simbolo dell’albero è peraltro presente più volte e con più significati, a cominciare dall‘Albero della vita posto al centro del Paradiso Terrestre (Genesi, 2.9), per arrivare all’Albero della Croce, passando per l‘Albero di Jesse ( è un motivo frequente nell’arte cristiana tra l’XI e il XV secolo: rappresenta una schematizzazione dell’albero genealogico di Gesù a partire da Jesse, padre del re Davide, il quale è di particolare importanza nelle tre religioni abramitiche, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam.) 

L’albero cosmico o albero della vita è stato quindi associato alla figura salvifica di Cristo e alla croce della Redenzione, fatta appunto di legno. Secondo una pia leggenda, il legno della croce sarebbe stato ricavato da un ramoscello dell’Albero della Vita del Paradiso Terrestre. Per il Cristianesimo l’abete diventò simbolo di Cristo e della sua immortalità.
Nel Medioevo questa usanza si diffuse in quasi tutto il mondo e fu esportata anche in America dopo la conquista. Il primo albero di Natale, decorato come lo conosciamo oggi, fu visto in Germania nel 1605, da quel momento iniziò la sua diffusione.
In Italia la prima ad addobbare un albero di Natale fu la Regina Margherita nella seconda metà dell’Ottocento al Quirinale, e da lei la moda si diffuse velocemente in tutto il paese.
Col passare del tempo, le mele e le candele usate come ornamento nell’antichità, oggi sono state sostituite da sfere decorate, ghirlande e luci colorate, rimanedo invariati i chiari riferimenti al mondo del divino, grazie ai temi sempre presenti degli angeli, e della stella usata come puntale, a rappresentare la fede che guida la nostra vita, così come rappresentò la guida per i Re Magi verso Gesù.
Dal dopoguerra in poi, l’allestimento dell’albero cominciò ad assumere una connotazione più consumistica e commerciale, divenendo così il simbolo del Natale più comune a livello planetario, discostandolo inesorabilmente dal suo primordiale significato, tanto da arrivare a perderne completamente le tracce, e chiedersi quale sia il suo legame con il natale, se non quello di rendere più allegre e festose case, strade e vetrine.

 

Giusi Villa