“Black Lives Matter”: manifestanti a Bristol abbattono la statua di Edward Colston

Edward Colston è stato un mercante che, nel diciassettesimo secolo, fece fortuna attraverso il traffico di schiavi provenienti dell’Africa occidentale. Il monumento in bronzo di circa 5 metri dedicato a Edward Colston è stato costruito dopo la sua morte, nel 1721, per aver donato tutte le sue ricchezze a vari enti benefici; si ritiene però che abbia trasportato circa 80 mila uomini, donne e bambini dall’Africa all’America tra il 1672 e il 1689, dei quali tuttavia si pensa che almeno 19 mila siano morti durante il viaggio. La sua statua è stata dunque divelta dal piedistallo e trascinata per le strade di Bristol per poi essere gettata nel fiume dai dimostranti antirazzisti a causa delle proteste nate dopo l’uccisione di George Floyd, l’afroamericano soffocato da un agente di polizia a Minneapolis.

Questo però non è il primo caso. Infatti, durante questo particolare periodo dove un po’ in tutto il mondo si stanno organizzando manifestazioni per combattere le discriminazioni razziali con modi più o meno pacifici, varie opere sono state imbrattate o abbattute.

Alla manifestazione hanno partecipato circa 10 mila persone. In un video diffuso sui social si può vedere tutta la sequenza dell’abbattimento: l’imbragatura della statua di bronzo, la caduta, e la folla che si accanisce sul monumento, prendendolo a calci, imbrattandolo e facendolo rotolare per la strada.

A tal proposito, il ministro della giustizia Kit Malthouse ha chiesto che i responsabili siano perseguiti. Ma il sindaco di Bristol Marvin Rees ha detto alla BBC che, pur non perdonando il danno, non ha provato alcun senso di perdita per la statua.

Non potrei mai fingere che la statua di uno schiavista nel cuore di Bristol, la città in cui sono cresciuto, una persona che potrebbe essere stato il proprietario di uno dei miei avi, non sia un affronto personale per me”, ha detto il ministro di origini giamaicane.

La polizia di Bristol ha poi spiegato di non essere intervenuta per una scelta tattica, con l’obiettivo di evitare di alimentare gli animi.

Se sono dispiaciuto per il fatto che la gente ha danneggiato una delle nostre statue, ne comprendo i motivi, è molto simbolica” ha detto alla BBC il capo della polizia locale Andy Bennet.

Il premier inglese Boris Johnson ha affermato che le manifestazioni contro il razzismo sono state “sovvertite dai criminali” disapprovando il fatto e anche gli atti vandalici compiuti sulla statua di Churchill a Londra. Questi episodi hanno riacceso il dibattito sull’eredità dei capitoli più oscuri della storia della Gran Bretagna. Le statue di figure chiave del passato imperialista britannico sono state oggetto di controversie negli ultimi anni, tra chi sostiene che rispecchino il passato e chi afferma che glorificano il razzismo.

Sull’onda delle proteste interviene anche il famosissimo street artist britannico Bansky, fortemente toccato dall’argomento in quanto natìo di Bristol. Secondo l’artista lasciare il piedistallo vuoto sarebbe inopportuno, infatti la sua idea è quella di tirare fuori dall’acqua la statua, rimetterla sul piedistallo, avvolgerle un cavo attorno al collo e far costruire alcune statue di bronzo, a grandezza naturale, di manifestanti nell’atto di tirarlo giù.

Piero Cento

 

20 mila in protesta a Parigi: il caso Floyd rievoca la morte di Adama Traoré

Sulla scia delle proteste d’oltreoceano, 20 mila persone sono scese nella piazza del Tribunale di Parigi per Adama Traoré, giovane di 24 anni che nel 2016 morì sul pavimento della caserma di Val-d’Oise, dipartimento della regione dell’Île-de-France, a nord di Parigi, dopo essere stato bloccato dai gendarmi e, ad oggi, divenuto emblema della violenza della gendarmerie transalpina.
Come accaduto per George Floyd, infatti, anche la morte di Traoré aveva sollevato l’accusa di omicidio a carico della polizia che oggi viene comprovata da una nuova perizia medica che attribuisce la sua morte ad asfissia attraverso la cosiddetta “placcatura ventrale“.

Nel tempo, però, la sua morte aveva suscitato varie dispute tra medici legali: secondo alcuni di essi il decesso era imputabile a ragioni naturali, in quanto il ragazzo soffriva già di sarcoidosi polmonare, cardiopatia ipertrofica e tratto falciforme, contribuendo all’edema cardiogeno; mentre per i medici legali indicati dalla famiglia sarebbe stata la tecnica d’arresto utilizzata l’unica causa della scomparsa del ragazzo.

La sorella maggiore di Adama, Assa Traoré, è diventata uno dei simboli della lotta contro la violenza da parte della polizia francese nei confronti soprattutto delle minoranze ed in questi giorni si è sentita in dovere di ricordare ciò che è accaduto al fratello, lasciandosi trasportare dal senso di giustizia che adesso in America sta dominando per la scomparsa di George Floyd.
La ragazza ha invitato la moltitudine ad unirsi a lei: ne è nata una mobilitazione di 20 mila persone che hanno manifestato davanti al Tribunale di Parigi per denunciare violenze e soprusi commessi dalla polizia francese, sfidando il divieto della manifestazione da parte della polizia stessa. “Traoré come Floyd“, “tutti contro la polizia“, “rivolta“, “giustizia per Adama” sono stati solo alcuni degli slogan scanditi dalla piazza. Poi tre lettere: “BLM” che sta per “Black Lives Matter” e “I can’t breathe“, “Je ne peux plus respirer“, ultime parole pronunciate da Floyd e Traoré e scritte a caratteri cubitali su cartelloni, t-shirt e mascherine indossate dai partecipanti.

“Oggi – ha detto la sorella maggiore davanti ai manifestanti questa non è più la battaglia della famiglia Traoré, è la battaglia di tutti voi. Oggi, quando si lotta per George Floyd, si lotta anche per Adama Traoré”.

Infatti, come anticipato, la protesta è stata organizzata anche sulla scia dell’uccisione di George Floyd a Minneapolis, collegando le battaglie per i diritti dei neri e delle minoranze negli Usa a quelle portate avanti in Francia dal Comitato Adama e da altri gruppi di attivisti.

“Tutte le persone che sono qui oggi entrano nella storia. Potrete dire che avete partecipato ad un rovesciamento. È solo l’inizio. Abbiamo lanciato un appello e dopo pochi giorni siamo qui. La prossima volta sarà molto più organizzato. Siamo in prima linea nella lotta contro le violenze della polizia, denunciando la “totale impunità”.- ha concluso Assa Traoré.

Inizialmente pacifica, la protesta è poi degenerata in scontri e violenti disordini che hanno infiammato la piazza del tribunale. Gas lacrimogeni, negozi, pensiline dei bus distrutti, bici, monopattini e cassettoni della spazzatura dati alle fiamme, terrazze di bar e ristoranti che hanno chiuso in tutta fretta. La prefettura, infatti, precisa che delle 18 persone fermate 17 sono state poste in stato di fermo giudiziario.

Piero Cento

I giovani medici scendono in piazza in segno di protesta: stop al precariato e più borse di specializzazione

Una manifestazione nazionale al fine di tutelare il servizio sanitario nazionale per dire basta al precariato per i medici. Nella giornata di ieri, a Roma, tutti i manifestanti si sono schierati di spalle al Parlamento togliendosi i camici in segno di protesta. Camici bianchi, mascherine e imbuti, questi ultimi a simboleggiare l’imbuto informativo dove vanno a finire i medici che non si possono formare nelle scuole, percorso che, tra l’altro, è obbligatorio.
Un altro segno, poi, la X sulle mascherine e un 29, numero che simboleggia la data del 29 maggio, giorno in cui, a partire dalle 9:00 fino alle 13:00, si terrà un grande atto di resistenza nelle maggiori piazze italiane dove verranno depositate un camice e una scatola di farmaci vuota, come simbolo di una Sanità abbandonata a se stessa.

Undici sigle associative tra studenti e specializzandi riunite per chiedere un aumento dei posti scuola-specializzazione, tali da abbattere il silenzio che sta affliggendo da anni la categoria dei medici, che vede oggi 6.000 giovani medici senza prospettive di lavoro. Lavorare è un diritto sacrosanto e per questo si chiede una riforma del percorso formativo post-laurea.
In questa emergenza, durante la quale i medici sono stati definiti eroi, in sostanza sono stati trattati da martiri: mandati al fronte senza scudi e senza armi e, ad oggi, senza alcun tipo di gratificazione o investimento nel sistema sanitario il quale, invece, meriterebbe di essere considerato non più come una spesa ma come una risorsa.

A riguardo Pierino di Silverio, Responsabile Nazionale Anaao Giovani, interviene dicendo:

“Purtroppo non possiamo occupare tutta la piazza, c’è stato concesso un numero limitato di 100 persone distanziate, ma l’affluenza è enorme e vedremo di organizzarci per far fare un passaggio a tutti in piazza. Ci saranno anche molti parlamentari, alcuni medici come l’ex ministro della Salute Giulia Grila, Paolo Siani e Paolo Russo, e molti ci hanno mandato un video-messaggio. Una partecipazione trasversale della politica che però deve ascoltarci e aiutarci. A loro chiediamo l’impegno affinché la politica non commetta sempre gli stessi errori come sta accadendo con questo Governo. Al concorso per le scuole di specializzazione si presenteranno 22 mila partecipanti ma i posti, almeno secondo l’ultimo decreto, saranno 4200 in più.  A noi servono 15-17 mila borse di studio. E’ ora di mettere seriamente mano al sistema della formazione post laurea, anche perché il 55% delle università italiane non è in grado di erogare una formazione adeguata”.

E’ bene, quindi, che vengano equiparate le borse di specializzazione al numero dei laureati in medicina. Diversamente, si rischia di incrementare il trend di medici laureati in Italia e fuggiti all’estero: attualmente la maggior parte dei medici che si specializzano in altri paesi europei, circa il 52%, sono italiani.

Piero Cento

Respinte le mozioni di sfiducia contro il ministro Bonafede

 

Nelle ultime settimane si è sviluppata un’estesa polemica fra uno dei magistrati antimafia più famosi in Italia, Nino Di Matteo, e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Di Matteo ha accusato pubblicamente Bonafede di avergli negato nel 2018 un prestigioso incarico al ministero della Giustizia per via di alcune pressioni ricevute da boss mafiosi, che si sarebbero lamentati dell’eventuale nomina. In sostanza Di Matteo ha lasciato intendere che Bonafede sia stato condizionato nella sua valutazione più dal parere di un gruppo di mafiosi, che dai meriti o demeriti di Di Matteo.

Ma la versione di Bonafede è diversa:

“Nel corso della telefonata, Di Matteo mi accennò a reazioni di boss a una sua eventuale nomina. Esternazioni di detenuti ascoltati dalla polizia penitenziaria, già note dal 9 giugno, ben prima della telefonata in questione. Il giorno dopo lo incontrai. Non ci fu nessuna chiusura dopo la prima telefonata, semplicemente mi convinsi che l’opzione migliore sarebbe stata quella di proporgli un ruolo paragonabile a quello che ebbe Giovanni Falcone. Avrebbe lavorato in via Arenula, al mio fianco. Ci lasciammo con quest’idea. Nel tardo pomeriggio ricevetti una telefonata. Di Matteo tornò per comunicarmi che non era più disponibile perché avrebbe preferito il Dap. Appresi con sorpresa la novità e gli comunicai che avevo già inviato la richiesta al Csm per Francesco Basentini. Questi fatti non hanno niente di eccezionale rispetto a qualsiasi nomina fiduciaria e discrezionale. Non ci furono condizionamenti, non sono più disposto ad accettare illazioni. La mafia che vive di segnali non avrebbe guardato quale ruolo sarebbe stato più in alto nell’organigramma, ma avrebbe visto che Di Matteo lavorava al fianco del ministro della Giustizia”

Tuttavia nella giornata di ieri, nell’Aula del Senato, ha avuto luogo la discussione sulle mozioni di sfiducia nei confronti del ministro Bonafede. La prima mozione, presentata dal centrodestra, critica il culmine del fallimento complessivo dell’operato di Bonafede, individuato nella vicenda del capo del Dap. Si aggiunge anche una critica sulla gestione di Bonafede riguardo le scarcerazioni durante l’epidemia da Coronavirus che hanno coinvolto alcuni boss mafiosi. La seconda mozione di +Europa, che contiene invece accuse più generiche e di principio, vuole sfiduciare il ministro criticandone la generale gestione del comparto affidato al suo ministero in senso giustizialista e populista. La mozione rimproverava a Bonafede la mancata riforma della giustizia, e varie altre colpe dalla negazione costante del fine rieducativo della pena, all’abrogazione di fatto della presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva.

Entrambe le mozioni di sfiducia sono state però respinte: quella presentata da +Europa ha ricevuto 124 sì e 158 no (con 19 astenuti), quella presentata dal centrodestra 131 sì, 160 no (con un astenuto). Dopo giorni di minacce e trattative alla fine Italia Viva, il partito fondato da Matteo Renzi che fa parte della maggioranza di governo, ha votato contro le mozioni, facendo mancare i voti che avrebbero potuto farle passare.

Negli ultimi giorni l’incertezza sul voto di Italia Viva diede voga ad una possibile crisi di governo, ma successivamente è emerso che le trattative tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Italia Viva, rappresentata dall’ex ministra Maria Elena Boschi, avevano prodotto un accordo. Italia Viva ha ottenuto in cambio del voto di fiducia un ruolo maggiore nelle commissioni alla Camera quando ci sarà il cambio delle presidenze oggi in quota Lega, ma si è parlato anche di un possibile rimpasto di governo e dello sblocco di decine di miliardi di euro di finanziamenti per progetti infrastrutturali e di edilizia bloccati.

 

Piero Cento

Covid-19 in Italia e regolarizzazione dei migranti: l’intervista ad Alfonso Pecoraro Scanio

 

Alfonso Pecoraro Scanio è un politico ed avvocato italiano. Attualmente è docente presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e l’Università Tor Vergata di Roma. E’ Presidente del Consiglio Generale della Fondazione Univerdi e Presidente del Comitato scientifico della Fondazione Campagna Amica. Pecoraro però viene ricordato soprattutto per esser stato Ministro delle politiche agricole e forestali nel governo Amato II e Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del governo Prodi II.

Ponendogli alcune domande, siamo riusciti a cogliere il parere esperto di un’importante figura politica circa il tema del Coronavirus allacciato al tema dei migranti in Italia.

 

Innanzitutto vorrei partire da un tema attualissimo, ossia il Covid-19. Come pensa che l’Italia e gli italiani stiano reagendo a questa situazione di emergenza?

Gli italiani si stanno comportando abbastanza bene e di certo non possiamo lamentarci, anche se con una leggera differenza tra nord e sud. Quest’ultimo infatti è sembrato più disciplinato invertendo la tendenza a dare più enfasi a ciò che accade al sud rispetto a quello che accade al nord. 

Come giudica le scelte del governo?

Il governo in una situazione d’emergenza con tale diffusione, contagiosità e letalità che non c’era da cent’anni – ossia dalla spagnola – ha fatto sicuramente alcuni errori. Probabilmente bisognava chiudere sin da subito la Lombardia, impedire lo spostamento dalle zone che apparivano già più infette. Quello che è venuto meno, però, è il rapporto tra le regioni e soprattutto il modus operandi di alcune di queste le quali spesso hanno cercato di fare delle scelte più per propaganda che per il bene comune, creando confusione anche nei rapporti istituzionali. Quello che secondo me servirebbe è, perciò, una maggiore concertazione istituzionale, mettendo in chiaro che in tempi di  emergenza è necessario agire in maniera centralizzato.

In ogni caso l’Italia ha assunto un grandissimo prestigio internazionale, piazzandosi nella reputazione mondiale tra i Paesi che meglio hanno affrontato l’emergenza. E questo lo dobbiamo sicuramente all’eccellenza che ha dimostrato il servizio sanitario nazionale.

Lei nella sua carriera politica è stato prima Ministro delle Politiche Agricole e poi Ministro dell’Ambiente. Pensa che a causa dell’emergenza sanitaria vi possano essere delle ripercussioni soprattutto sull’agricoltura, ma anche sull’ambiente?

Per quanto concerne l’agricoltura, tutti gli italiani hanno finalmente capito quanto questa sia essenziale e a dimostrarlo c’è il fatto che in piena emergenza tutta la filiera agricola e agroalimentare non si è mai fermata: senza cibo non si vive. Possiamo dire che la gente ha iniziato a capire perché il settore primario si chiama primario.

Ma l’elemento che è più saltato all’occhio è quanto l’Italia ha bisogno degli immigrati, e della manodopera specializzata straniera a potare le viti, mungere gli animali da cui viene, ad esempio, il Parmigiano Reggiano.

Sul versante ambiente si è potuto notare, invece, come ci sia una connessione tra ambiente e virus, perché, come molti studi confermano, le zone più inquinate atmosfericamente sono anche quelle più contagiate: le persone che respirano un’aria “sporca” hanno un sistemato respiratorio inevitabilmente più danneggiato e quindi più esposti alla polmonite, che è una delle maggiori cause di morte dovute al Covid-19.

Di recente la Ministra delle politiche agricole Teresa Bellanova ha dichiarato di volersi dimettere dalla carica se non si procederà a regolarizzare la carenza dei braccianti agricoli. Secondo lei è una scelta corretta? 

La Ministra Bellanova ha voluto mettere al centro dell’attenzione l’importanza di garantire lavoro qualificato in agricoltura e fare in modo che questo lavoro sia fatto secondo leggi rigorose, in modo da non finire in mano alla malavita organizzata. Minacciare di dare le dimissioni è semplicemente il gesto estremo che un ministro mette in atto quando vuole porre con forza un tema.

Come si può affrontare il problema delle centinaia di migliaia di immigrati irregolari che lavorano nei campi del nostro Paese, i quali la maggior parte delle volte anche sfruttati?

Bisogna far rispettare le leggi. Tagliare i permessi stagionali come si fa già in Germania, distinguendo coloro che vengono da paesi extraeuropei e coloro che provengono ad esempio dalla Romania – che in questo caso sono cittadini comunitari. In entrambi i casi, però, bisogna capire quali sono le aziende agricole che hanno bisogno, fare in modo che il percorso sia trasparente e velocizzare il visto per entrare garantendo, infine, degli alloggi adeguati per evitare che questi vengano tenuti in modo clandestino e abusivo in baraccopoli. 

Infine, da ex ministro cosa consiglia ai giovani che hanno il sogno di entrare in politica?

Innanzitutto io consiglio di avere degli ideali e degli obiettivi. Bisogna capire che la politica non è un mestiere, perché sennò diventi un faccendiere, non un politico. L’attività politica non si può fare per guadagnare. Il primo motivo per candidarsi è sapere cosa si vuol fare e come si vuole agire affinchè le cose vadano meglio. Il secondo è impegnarsi partendo dall’attivismo civico: bisogna partire dal confronto con gli altri, misurarsi su cose concrete e, infine, avviare la persecuzione di alcune battaglie democratiche, semplici e mai violente. Tutto questo può essere altamente gratificante e motivante.

Piero Cento

Covid-19: ecco perchè i commercianti consegnano le chiavi delle proprie attività

Risorgiamo Italia è una manifestazione di protesta ideata da Paolo Bianchini, portavoce di Ho.re.Ca e del M.I.O, che ha mostrato grande successo in tutta l’Italia, da nord a sud. Una protesta simbolica atta a chiedere maggiore sostegno da parte delle istituzioni sovra comunali. È una manifestazione pacifica di un settore, quello delle attività commerciali e delle PMI, che si sente abbandonato dalle istituzioni, una categoria fin troppo spremuta già prima della crisi legata al Coronavirus e che adesso vede messi in discussione anni di sacrifici.

I commercianti chiedono di essere aiutati sia per le spese da sostenere in vista degli adeguamenti da attuare in ossequio alle misure di sicurezza anti-Covid, sia per quanto riguarda tasse e tutela dei dipendenti. Così in molti si sono recati presso il proprio locale alzando le serrande e accendendo le insegne e le luci interne.

Nella maggior parte dei comuni italiani hanno partecipato quasi tutte le attività, circa 185 mila in 19 regioni.
Instagram e Facebook sono stati letteralmente sommersi di stories e post con l’hashtag #risorgiamoitalia, raggiungendo in una sola notte più di mille interazioni. Ma per far capire quanto sia stata sentita e partecipata la protesta ideata da Bianchini e altri ristoratori italiani, basta sapere che a Venezia il sindaco Brugnaro ha fatto illuminare il campanile di Piazza San Marco proprio con l’hashtag dell’evento.

Dopo questo “flashmob”, ristoratori e gestori di locali, estetisti e parrucchieri, chiedono dunque a gran voce di tornare ad aprire, protestando contro la decisione del Governo di mantenere la chiusura delle attività commerciali anche nella fase 2, che partirà dal 4 maggio.

Riaprire sì, ma con le modalità più consone per farlo.
Non c’è solo rabbia, seppur presente e preponderante, ma c’è una forte volontà di non mollare e di non consegnare, in maniera definitiva, le chiavi delle varie attività ai sindaci dei propri comuni.

Per loro si prospetta infatti una riapertura il 1° giugno, dopo le parole del premier Giuseppe Conte, secondo il quale il nuovo provvedimento non sarà un via libera per tutti, in quanto non possiamo permetterci di dire che si esce liberamente. Si contestano, quindi, sia la proroga del lockdown, sia le modalità di riapertura che sono assolutamente insostenibili per i commercianti. Tantissime attività, schiacciate dai costi di gestione (affitti, personale, merci deperite), rischiano di non poter riaprire.

La consegna delle chiavi è sicuramente un gesto estremo. In realtà si sa benissimo che gli imprenditori sono gli ultimi ad arrendersi, sono quelli che fanno andare avanti l’Italia e il loro gesto non sarà certo quello della resa, ma il modo per richiamare l’attenzione del Governo e dell’opinione pubblica sulla situazione insostenibile che stanno vivendo. Ad oggi non esistono i presupposti economici per riaprire le attività e tornare al lavoro: il Governo chiede di aprire con gli stessi costi che si sostenevano prima dell’emergenza epidemiologica, con una previsione di incassi che, nelle migliori delle ipotesi, sarà pari al 30% dell’anno precedente. 

Diciamo che ogni commerciante non sa se riuscirà a riaprire a giugno perché non sono chiare nemmeno le regole. 

Abbiamo subito cali di fatturato del 70% e dovremo investire per adeguare le nostre attività a nuove misure di sicurezza. Noi viviamo di convivialità e al momento non sappiamo nemmeno se una famiglia di 4 persone può stare seduta insieme al tavolo di un bar o di un ristorante. Anche sui dispositivi di protezione non c’è chiarezza, ha detto un ristoratore di Milano.

E’ evidente che è impensabile immaginare una società in cui crolli l’attività produttiva della piccola impresa: se falliscono queste attività, le conseguenze coinvolgeranno tutti, per cui, se lo Stato non dovesse intervenire immediatamente con adeguati interventi, si rischia di perdere il patrimonio economico e culturale più importante del nostro Paese.

Piero Cento

 

Repubblica e la guerra contro i pirati del giornalismo: la Procura di Bari chiude 19 canali Telegram

Ha avuto inizio già qualche settimana fa la guerra tra Repubblica e gli svariati canali pirata di Telegram. E la prima manche sembra proprio essersela aggiudicata il quotidiano più diffuso in Italia con l’ordine di sequestro da parte della Procura di Bari di 19 canali Telegram, colpevoli di diffondere gratuitamente quotidiani, periodici e libri gratuitamente.

E’ stato Repubblica stesso ad allertare circa questi nodi di pirateria presenti sull’app di messaggistica pubblicando un’inchiesta il 15 Aprile scorso contro i social che diffondono copie di molti giornali a pagamento clonate e rese virali nei sistemi di canali di Telegram. 

Da qui la Procura di Bari ha avviato un’indagine che ha portato la chiusura dei canali incriminati anche se, come riporta Repubblica, i gestori sono ancora da identificare. A questi ultimi si contestano una serie di reati in materia di violazione del copyright.

Tra i più gravi, il reato di riciclaggio che Telegram , conferma la Procura di Bari, sembra non aver mai voluto contrastare collaborando all’indentificazione e spegnimento dei canali pirata aperti sulla sua piattaforma.

"Canali pirata ,sequestrati 19 canali dalla procura di Bari "Al contrario di essersi sempre spesa per “far perdere le tracce dell’origine illecita” l’app avrebbe compiuto una vera e propria operazione di “ripulitura”, assimilabile – secondo recente Cassazione – a quella che viene operata per il denaro provento di illeciti o per le opere d’arte rubate. (fonte Repubblica.it)

E’ questa è una delle tante risposte che ha espresso il quotidiano ,cioè quello di abbattere il “nemico” con un impedimento di entrata al server iniziale del canale .

La lotta è appena iniziata, perché come ha espresso Repubblica sono stati copiati non solo quotidiani  ma anche giornali mensili o settimanali e ed eBook a pagamento.

Un’ inchiesta per mettere al tappeto tutta la pirateria che sta “giocando alle loro spalle”. Sono tantissimi gli utenti – almeno mezzo milione – che navigano all’interno di questi canali per prendere informazioni, in modo gratuito e non curante delle svariate conseguenze .

La stima delle perdite subite dell’imprese editoriali è allarmante –scrive la Fieg- In un’ ipotesi altamente conservativa ,si parla di 670mila euro al giorno ,circa 250 milioni di euro all’anno . Un dato che dovrebbe indurre l’autorità di garanzia del settore ad intervenire senza ulteriori indugi , con fermezza con provvedimenti anche esemplari

La dichiarazione della Fieg parla chiaro: non possono andare avanti tutti coloro che spalmano notizie nei vari canali Talegram o Whastapp tramite Pdf.

Bisogna fermare tutto prima che sia troppo tardi perchè ciò rischia di mettere in pericolo un settore – quello dell’editoria – già economicamente indebolito dall’abitudine dei lettori a sostituire l’informazione giornalistica con l’informazione online gratuita.

Dalila De Benedetto

Prezzo del petrolio in negativo: la domanda si abbassa a causa della pandemia

 

Il prezzo del petrolio è crollato sotto lo zero per la prima volta nella storia. La discesa del West Texas Intermediate, petrolio prodotto in Texas e utilizzato come benchmark nel prezzo del petrolio, noto anche come Texas Light Sweet, ha portato la quotazione a toccare quota -37 dollari al barile.

Ciò significa che chi produce petrolio fa sconti su sconti agli acquirenti, e qualcuno è arrivato addirittura a pagare un compratore pur di non smettere di estrarre materia prima. Sul mercato c’è tanta offerta e poca domanda, ma al produttore spesso può costare di più chiudere il pozzo o trovare un posto dove immagazzinare la produzione.

Negli Stati petroliferi come il Texas operano diverse migliaia di piccoli produttori. Sono circa tremila e estraggono ogni giorno qualche centinaio di barili, ma in totale si arriva a circa 1 milione, quanto servirebbe, ad esempio, a soddisfare il fabbisogno dell’Italia. Se fermassero le loro attività non sarebbero neppure sicuri di poterle riaprire in futuro. Questo aspetto, tuttavia, è solo una parte della questione, che è soprattutto finanziaria.

Con i lockdown e le misure di distanziamento sociale che incidono sul 92% del Pil globale, la pandemia di Coronavirus sta mandando al tappeto l’industria petrolifera mondiale. Il crollo della domanda, stimata in calo del 30% rispetto al periodo pre-epidemico, sta portando in negativo i prezzi di alcuni tipi di greggio: i produttori pagano perché qualcuno lo ritiri. Nonostante gli storici accordi Opec-Russia sul taglio della produzione, benedetti dagli USA, il ribasso si accentua via via che le strutture di stoccaggio mondiali si riempiono per l’eccesso di offerta globale pari a 9 milioni di barili al giorno. Il crollo della domanda sta riempiendo, dunque, tutti i sistemi di stoccaggio con centinaia di milioni di barili immagazzinati in tutto il mondo.

Ci sono circa 160 milioni di barili di petrolio stoccati nelle superpetroliere ferme all’ancora davanti ai porti con i terminal di attracco. L’ultima volta che un fenomeno simile si era verificato era il 2009, quando in mare c’erano navi con oltre 100 milioni di barili in attesa di giocare sul rialzo dei prezzi. Le tariffe di noleggio delle superpetroliere sono più che raddoppiate nell’ultimo mese sino a 350 mila dollari al giorno.

Visto che la situazione è totalmente senza precedenti, è impossibile prevedere cosa accadrà sui mercati petroliferi, ma alcuni esperti pensano che il petrolio sia pronto per una grande fiammata. Anche se i prezzi del petrolio sono più bassi di quanto non lo siano mai stati, un fondo per l’energia pensa che 100 dollari al barile siano realizzabili. 

Tuttavia, già a marzo la pandemia aveva depresso i costi. Poi è arrivata la guerra dei prezzi tra la Russia e il cartello Opec dominato dall’Arabia Saudita. Come risposta al calo della domanda, l’Opec aveva tagliato la propria produzione mentre la Russia, la cui economia è totalmente legata alle materie prime energetiche (greggio e metano), aveva rifiutato. L’Opec aveva risposto inondando i mercati. Poi è intervenuto Donald Trump che ha messo d’accordo il presidente russo Vladimir Putin e il saudita Mohammed Bin Salman, che hanno concordato a partire da maggio tagli storici alla produzione pari a 10 milioni di barili al giorno, il 10% della produzione mondiale, per tentare di sostenere i prezzi. A questi potrebbero sommarsi altri tagli di Paesi non-Opec, come gli Usa, per altri 10 milioni di barili al giorno.

Il fatto è che le industrie fondate sul carbonio, come quella del petrolio, sono state storicamente la pietra angolare delle interazioni sociali e della globalizzazione, la cui prevenzione oggi è la principale difesa contro il virus. Paradossalmente questa saturazione del sistema mondiale di stoccaggio del greggio alla fine creerà uno shock inflazionistico di approvvigionamento di petrolio di proporzioni storiche.

Questa disfatta significherà che sempre più produttori shale oil americani dovranno ridurre la produzione, alcuni dei quali in modo permanente. In tale contesto i produttori coinvolti nel recente accordo tra Opec e i membri alleati per frenare la produzione, potrebbero porre le basi per un rimbalzo dei prezzi negli anni a venire. Mentre lo shale oil degli Stati Uniti era già in grave declino con l’invecchiamento dei pozzi del Texas occidentale, con il crollo del prezzo del petrolio è stato ulteriormente gravato da fallimenti e da decine di migliaia di dipendenti licenziati. Probabilmente tornerà in affari quando ci sarà una carenza di capacità inutilizzata. Bassa offerta, alta domanda. Le previsioni fanno comunque pensare che quando questa pandemia terminerà, la domanda di petrolio si normalizzerà molto rapidamente.

Piero Cento

Il piano contro il Covid-19 tenuto segreto: “avrebbe spaventato gli italiani”

 

Un piano segreto per contrastare l’epidemia da Coronavirus sarebbe stato stilato in via preventiva già dal mese di gennaio, ma scattato solamente a fine febbraio, con tutto ciò che ne è conseguito. Come prevedibile, sono giunte le prime reazioni sulla vicenda, a cominciare da quella di Attilio Fontana, governatore della Lombardia, la regione più colpita dal Covid-19. Secondo Fontana, il governo era al corrente dei rischi della pandemia, ma li ha tenuti segreti. “L’ha detto il Direttore generale del Ministero della Sanità,  Andrea Urbani, parlando di un piano riservato. Sono rivelazioni gravissime. L’Italia e la Lombardia hanno il diritto di sapere e chiedo chiarimenti al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte”, aggiunge il governatore.

Urbani respinge tutte le accuse. Dal 20 gennaio era, di fatto, già pronto un piano secretato e quel piano è stato seguito. La linea adottata è stata, dunque, quella di non spaventare la popolazione e lavorare per contenere il contagio, ovvero per un piano nazionale di emergenza” per contrastare il pandemia.

In quelle pagine sono descritti tre scenari del Coronavirus in Italia, uno però troppo drammatico per essere divulgato a cittadini e Parlamento senza il rischio di scatenare il panico tra la popolazione. Per questo motivo il piano è stato secretato. Ma quello scenario non si è realizzato perché il governo ha scelto di mettere l’Italia in lockdown e di imporre il distanziamento sociale. Questa la ricostruzione dei tecnici del Ministero della Salute.

Urbani, inoltre, assicura che non c’è stato nessun vuoto decisionale. Eppure, la Lombardia è stata la regione colpita con più violenza dal Coronavirus in Italia. Il Direttore generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute riconosce, però, che le chiusure possono essere state tardive, con la necessità di un lockdown immediato. D’altra parte, ricorda che c’erano solo due cittadini cinesi contagiati, quindi sono state assunte scelte proporzionate. Egli cita lo studio dell’Imperial College, secondo cui in Italia ci sarebbero stati 600-800 mila morti senza le zone rosse e le misure di contenimento. All’inizio siamo stati sbeffeggiati. Poi ci sono venuti tutti dietro, anche Francia e Gran Bretagna”, dice il direttore.

Per quanto riguarda invece il ritardo nell’acquisto dei ventilatori per i casi più gravi, il Ministero della Salute ricorda che “comprare le strumentazioni spetta alle Regioni“. E si evidenzia che il governo in 25 giorni ha raddoppiato le terapie intensive. Ora che la curva dei contagi scende, ci si concentra sul rischio di una seconda ondata. Quindi, verrà potenziata la risposta ospedaliera e verranno potenziati i centri Covid.

Tuttavia, il peggiore scenario descritto nel dossier, occultato per non generare allarmismo, aveva una tempistica comunque ottimista. Si prevedeva infatti il picco dopo un anno dal primo caso, quindi il contagio sarebbe stato lento. Si prevedevano mille pazienti ricoverati dopo cinque mesi, in 243 giorni si sarebbe arrivati a occupare il 75% delle terapie intensive. Si prevedeva inoltre di arrivare in due anni a 646 mila contagi, 133 mila dei quali con ricovero in terapia intensiva. Una prospettiva che sarebbe apparsa terrificante a febbraio. Il virus invece è stato veloce.

Sicuramente sono state perse settimane preziose, permettendo al virus di portare avanti la sua strage. Solo il 1° marzo è stato trasmesso il primo documento governativo che invita ad agire secondo un modello di cooperazione coordinato a livello nazionale per un incremento delle disponibilità di posti letto del 50% nelle unità di terapia intensiva e del 100% in quelle di pneumologia e malattie infettive.

Piero Cento

 

Casa di riposo da incubo sequestrata a Palermo

Mentre l’Italia è ancora in piena emergenza Coronavirus e le residenze sanitarie assistenziali sono sotto il mirino di controlli e indagini per negligenze in termini di contenimento del contagio degli ospiti, in una casa di riposo di Palermo si compivano violenze e maltrattamenti nei confronti degli anziani presenti nella struttura. Attraverso le telecamere di sorveglianza nascoste, la Guardia di Finanza ha potuto raccogliere i ripetuti episodi di violenza fisica e psicologica contro gli anziani: schiaffi, calci, spintoni, bastonate, insulti, persone legate alla sedia a rotelle, che in alcuni anziani hanno innescato comportamenti di autolesionismo e tentativi di suicidio.

“Se ti muovi ti rompo una gamba, devi morire, puoi crepare, sei una schifosa, devi dire che fai schifo”, sono solo alcune delle violenze verbali perpetrate dalle assistenti della casa di riposo Bell’Aurora di Palermo. Ed è così che dopo 2 mesi di indagini il nucleo della Guardia di Finanza, coordinato dalla Procura della Repubblica, ha arrestato sei donne, mentre il giudice per le indagini preliminari ha disposto il sequestro preventivo della società che gestisce la residenza per anziani palermitana.

Inoltre, secondo le prime rilevazioni, la società che gestiva la struttura risulta imputabile anche per bancarotta fraudolenta, riciclaggio e autoriciclaggio. Nell’ordinanza, il Gip sottolinea l’urgenza di interrompere un orrore quotidiano, evidenziando come l’indole criminale e spietata degli indagati impone l’adozione della custodia cautelare in carcere ritenuta l’unica proporzionata alla gravità e alla immoralità della condotta e l’unica a contenere la disumanità degli impulsi. Inoltre, gli anziani ospiti della casa di riposo Aurora, saranno adesso sottoposti anche a controlli medici visto che all’interno della struttura non sono mai state adottate le procedure per il contenimento del Coronavirus.

A finire in manette, dunque, sei donne tra le quali l’amministratrice della casa di riposo, nonché referente delle società precedentemente fallite che hanno avuto in mano la gestione della Residenza sanitaria assistenziale dal 1992 in poi e che, inoltre. avrebbe potuto contare su alcuni appoggi esterni, tra cui amministratori esterni (incluso un impiegato comunale) e altri soggetti compiacenti.

In tutta Italia, sin dall’inizio dei controlli dei Nas (Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dell’Arma) presso le Rsa, sono state chiuse 15 strutture e 61 persone sono state denunciate per mancato rispetto delle procedure da applicare nelle residenze sanitarie assistenziali per il contenimento dei contagi da Covid-19: oltre il 17% di quelle sino ad ora controllate presenta irregolarità.

Tuttavia, in questo periodo molto difficile per il nostro Paese e per tutti gli altri nel mondo, non è la prima volta che si sente parlare di questo assurdo tema. Infatti, da quando l’epidemia iniziò a diffondersi in tutta Italia, vari sono stati i casi di questo tipo, soprattutto nella regione Lombardia.

Ad esempio, gli investigatori della GdF, qualche giorno fa, si sono presentati negli uffici del Pio Albergo Trivulzio di Milano,  con decreti di perquisizione e acquisizione di documenti, tra cui cartelle cliniche, per far luce su almeno 143 morti tra marzo ed oggi.

E in questa maxi inchiesta in più filoni, su una diffusione di contagi da Covid-19 legata a presunte carenze ed omissioni che avrebbero causato centinaia di decessi nelle case di riposo milanesi, anche la squadra specializzata di polizia giudiziaria è andata, nel frattempo, a perquisire altre residenze. Intanto, la strage silenziosa negli istituti per anziani continua a non risparmiare nemmeno le altre province lombarde e indagini e blitz si moltiplicano. Solo nei primi giorni di aprile i carabinieri del Nas di Brescia hanno effettuato una quindicina di ispezioni nelle case di riposo bergamasche, mentre il Nas di Milano è entrato in quelle milanesi, ma anche delle province di Como, Varese e Monza.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

Piero Cento