ASL rifiuta richiesta di aiuto al suicidio. L’associazione Coscioni: «È contro la costituzione»

Dieci anni fa la vita di un uomo – di cui non si riporta il nome per motivi legali – venne sconvolta da un incidente stradale che gli causò la frattura della colonna vertebrale e lesione al midollo spinale. Ora, quarantaduenne e tetraplegico, chiede di poter ricorrere al suicidio assistito alla Asl di riferimento, che però gli nega la richiesta.

Immediata è stata la reazione di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni, organizzazione no profit impegnata in numerose battaglie etiche, che ha lanciato un appello al Ministro della Salute Speranza:

“Sta accadendo che una persona gravemente malata, che sta patendo sofferenze insopportabili, chiede di morire e di poter essere aiutato a farlo. È un suo diritto dopo la sentenza della Corte Costituzionale e invece il servizio sanitario nazionale, contro la Costituzione, glielo impedisce.”

Marco Cappato e Filomena Gallo (fonte: Associazione Coscioni)

Filomena Gallo, avvocato e segretario dell’Associazione, ribadisce che quella dell’Asl è

una risposta che disconosce gravemente quanto annunciato dalla sentenza 242\2019 della Corte Costituzionale, che, con valore di legge, stabilisce dei passaggi specifici per tutti quei pazienti affetti da patologie irreversibili che in determinate condizioni, possono far richiesta di porre fine alle proprie sofferenza, attraverso un iter tramite SSL.

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Nel comunicato in cui l’ASL sostiene l’impedimento nell’aiuto a morire, tuttavia, viene richiamata una realtà che certamente appare singolare. Se da un lato infatti è grazie alla sentenza 242 del 2019 che è stata fatta chiarezza sulle condizioni entro cui non è possibile punire l’aiuto al suicidio se si tratta di “una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (quali, ad esempio, l’idratazione e l’alimentazione artificiale) e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”, dall’altro lato però, proprio perché in attesa di una normativa disposta dal Parlamento, essa ha tentato di porre rimedio disciplinando esclusivamente la legge sulla DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento).

Le DAT, più comunemente conosciute con il nome di “testamento biologico” o “biotestamento” ed entrate in vigore il 31 gennaio 2018, lasciano al paziente, una volta acquisita conoscenza dell’incapacità prossima di autodeterminarsi, la libertà di rifiuto dei trattamenti sanitari necessari alla sua sopravvivenza e la somministrazione inoltre di cure palliative, intese come

l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”.

La verifica di questi casi naturalmente è lasciata nelle mani non solo del comitato etico territorialmente competente ma anche delle strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale, il cui accertamento è inoltre stato ottenuto –anche se a 38 giorni di distanza- da un altro caso seguito dall’Associazione Coscioni. Si trattava in quel caso di un uomo di trentotto anni le cui speranze di controllare le sofferenze terribili a cui è sottoposto da anni, in mancanza di terapie che possano liberarlo dalla prigione in cui si sente rinchiuso, risiedono solo nell’impiego di cure palliative. Tuttavia, afferma l’avvocato Gallo,

Se accettasse la Dat, morirebbe dopo enormi sofferenze e tanti giorni di attesa”.

Questa affermazione spiega perfettamente perché, rifiuto alle cure e suicidio assistito sono due cose ben distinte e separate. Se da un lato, infatti, la legge n. 219 del 2017 riconosce il diritto del rifiuto alle cure e ad ogni trattamento sanitario – in toto o in parte – a ogni persona informata e capace di agire è vero anche che se il soggetto è strettamente dipendente dai “sostegni vitali”, alimentazione e idratazione il processo di fine vita può avvenire in maniera lenta e logorante e, secondo alcune visioni, in maniera non dignitosa.

Il suicidio assistito – che si distingue a sua volta dall’eutanasia- invece limita le sofferenze dei soggetti che hanno deciso di porre fine alla propria vita e viene compiuto dal soggetto stesso (per questo assimilabile al suicidio).

Questa distinzione ha caratterizzato la richiesta di morire di Dj Fabo, caso che ha aperto la strada all’accettazione del suicidio assistito in Italia.

LA VICENDA DJ FABO

La necessità di una legge sul suicidio assistito ha avuto echi profondissimi in Italia soprattutto grazie proprio al caso Dj Fabo e Marco Cappato. Quest’ultimo, autodenunciandosi nel febbraio del 2017, sollevò infatti la questione circa la legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale, in relazione all’istigazione e aiuto al suicidio, per il quale sarebbe stato punito dai cinque ai dodici anni di carcere per aver aiutato a morire Dj Fabo in una clinica specializzata in Svizzera, attraverso l’assunzione di un farmaco letale. Dj Fabo, infatti, richiedeva coscientemente di voler morire subito – con il suicidio medicalmente assistito –  senza sopportare lo stato di agonia mentale e fisica – sua e dei suoi familiari – di tempo indefinito che si sarebbe verificata rinunciando alle cure e a seguito della sospensione dei sostegni vitali.

 

Marco Cappato abbraccia la fidanzata di Dj Fabo, Valeria Imbrogno, dopo l’assoluzione dell’esponente radicale. (fonte: Repubblica Milano)

La Corte costituzionale, dopo la pronuncia della Corte d’Assise d’Appello di Milano, infatti, con l’ordinanza 207 del 16 novembre 2018, ha sottolineato come, in assoluto, l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non possa essere ritenuta incompatibile con la Costituzione e, dunque, non equiparabile all’atto di istigazione al suicidio, anche se solo nelle condizioni in cui una “persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Infatti, la norma era stata formulata non contemplando situazioni inimmaginabili all’epoca in cui fu introdotta, ovvero situazioni in cui gli sviluppi della scienza medica e della tecnologia hanno reso possibile strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali.

Il suicidio medicalmente assistito è dunque di fatto un diritto già riconosciuto nel nostro paese ma tuttavia trova uno spazio di applicazione assai problematico a causa dell’assenza di una norma che stabilisca una volta per tutte il dovere dello Stato e il rispetto di una scelta autonoma quale quella di abbandonare la vita con la stessa libertà con cui si è scelto di viverla. In virtù di ciò Cappato afferma che

 “Insieme a Mina Welby e Gustavo Fraticelli ribadiamo pubblicamente l’impegno a portare avanti nuove disobbedienze civili. Se queste persone che si sono rivolte a noi – e tutte le altre che vorranno chiedere il nostro aiuto – non troveranno risposte alle quali hanno diritto, nei tempi giusti e rispettosi della loro malattia e del loro dolore, noi li aiuteremo ad andare in Svizzera, per porre fine alle loro sofferenze.”

Alessia Vaccarella

 

#OttobreRosa: la prossima settimana screening gratuito al Papardo e all’A.S.P.. Ecco come fare

(fonte: tempostretto.it)

Lo scorso 13 ottobre Palazzo Zanca si è illuminato di rosa in occasione del Pink October, ma di cosa si tratta?

Pink October è un mese dedicato alla prevenzione del carcinoma mammario (c.d. tumore al seno), una patologia che affligge principalmente le donne e che tra queste è molto diffusa, in particolare nella fascia d’età tra i 40-70 anni. La buona notizia è che, quando è ancora in fase precoce, può essere curato con efficacia e con terapie poco invasive. Ecco in cosa risiede l’importanza della prevenzione; ecco il motivo per cui anche Messina, quest’anno, ha deciso di aderire alla campagna tramite una serie d’iniziative che promuovono la prevenzione.

Quale prevenzione?

Un primo tipo di prevenzione contro il tumore al seno, non meno importante, si racchiude in una buona alimentazione ed attività fisica, oltre che nella c.d. autopalpazione della mammella (ne abbiamo parlato qui) che permette al soggetto d’individuare eventuali anomalie (ad es. noduli) nella zona mammaria.

La prevenzione secondaria risiede nello ‘screening’, esame periodico effettuato anche su chi non dovesse avvertire sintomi che consente di rintracciare e tacciare la patologia sul nascere. Su quest’ultimo tipo di esame si sono volute concentrare associazioni come l’A.S.S.O. (Associazione Siciliana di Sostegno Oncologico) e la L.I.L.T. (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori), che per tutto il mese di ottobre si sono impegnate a sensibilizzare ed invitare i cittadini alla prevenzione.

(fonte: ravennanotizie.it)

Tre giornate al Papardo

A tal proposito, il Dipartimento di Oncologia e la Breast Unit dell’azienda ospedaliera ‘Papardo’ in collaborazione con A.S.S.O., hanno dedicato tre giornate (27-28-29 ottobre) agli screening di prevenzione di cui si occuperanno specialisti del settore.

Per prenotarsi, è possibile già dal 14 ottobre chiamare il numero dedicato 090 3996251 nella finestra oraria tra le ore 9 e le ore 13 dal lunedì al venerdì. Saranno i volontari dell’A.S.S.O. ad occuparsi direttamente delle prenotazioni.

Una giornata gratuita all’A.S.P. Messina

Altre iniziative riguardano, invece, l’A.S.P. (Azienda Sanitaria Provinciale) di Messina, che ha deciso d’istituire sabato 31 ottobre un’intera giornata di screening gratuito per le donne comprese nella fascia d’età 50-69. Ad occuparsi degli esami sarà l’equipe della Breast Unit e dell’UOS Screening Mammografico dell’Ospedale di Taormina.

(fonte: asp.messina.it)

Saranno inoltre effettuate delle visite senologiche alle donne di età compresa tra 45 e 69 anni, che consiste in un esame approfondito ed indolore e che si basa sulla palpazione del seno da parte di un medico senologo.

Le prenotazioni possono effettuarsi al numero 3357753952 il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 10:30 alle 11:30, mentre martedi e giovedi dalle 15:30 alle 16:30, fino ad esaurimento della disponibilità.

Valeria Bonaccorso

Chi era Lea Vergine, la pioniera della bodyart

Si è spenta, all’età di 84 anni, Lea Buoncristiano meglio conosciuta come Lea Vergine. Ricoverata al San Raffaele di Milano dopo essere risultata positiva al covid-19, è deceduta a causa delle complicazioni del suo stato di salute. E’ stata una critica d’arte e curatrice italiana, conosciuta sia a livello nazionale che internazionale, come pioniera della body art e pietra miliare dell’arte negli ultimi 50 anni.

La carriera e la rivalsa delle donne

Nasce a Napoli il 5 ottobre 1936 e fin da giovane inizia a scrivere per quotidiani locali e a organizzare le prime mostre. Nella sua carriera scrive numerosi saggi che le danno notorietà e importanza all’interno dell’ambiente artistico. In particolare, ‘Il corpo come linguaggio, body art e cose simili’ in cui analizza l’evoluzione e la rivoluzione della body art.

La perdita di identità; il rifiuto del prevalere del senso della realtà sulla sfera emozionale; la romantica ribellione alla dipendenza da qualcuno o da qualcosa; la tenerezza come meta mancata e quindi frustrante; l’assenza di una forma adulta, altruistica, d’amore.

Con queste parole Lea Vergine descriveva la body art come uno strumento che permette al corpo di estranearsi da ciò che davvero rappresenta potendo diventare qualsiasi cosa, il tutto o il niente. Vedeva, nel corpo umano, un qualcosa che andava ben oltre l’ordinario.

Parte integrante della body art è anche l’arte performativa, ovvero i movimenti artistici che consistono in esibizioni di fronte a un pubblico. Teatro, musica e danza sono – ad esempio – arti performative, ad esempio, e seguono ciò che la body art offre, ovvero far si che il proprio corpo, in un modo o nell’altro, si trasformi in qualcosa di diverso e susciti un’emozione all’interno dello spettatore che assiste alla performance.

(Il corpo come linguaggio. La body art e storie simili. Giampaolo Prearo. 1974)

Un altro saggio fu ‘L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche nel 1980‘ in cui mette in evidenza gli importanti contributi al mondo dell’arte da parte del popolo femminile. Lei, infatti, da sempre si è battuta per far emergere il popolo femminile in una società dove, ancora, era l’uomo a farla da padrone non tenendo in considerazione le artiste del gentil sesso.

La storia d’amore con Enzo Mari

Enzo Mari, purtroppo deceduto anche lui il giorno prima a causa del covid-19, è stato uno dei migliori designer italiani e non. Conosciuto da Lea Vergine negli anni ’60, i due si fidanzano e iniziano a convivere finchè non furono costretti a trasferirsi a Milano a causa di una denuncia nei loro confronti. Lì decisero di sposarsi nel ’78 e concepirono la loro unica figlia, Meta.

Il rapporto tra Lea Vergine e l’arte

L’arte non è necessaria, è il superfluo. E quello che ci serve per essere un po’ felici o meno infelici è il superfluo. Non può utilizzarla, l’arte, nella vita. ‘Arte e vita’ sì, nel senso che ti ci dedichi a quella cosa, ma non è che l’arte ti possa aiutare.

Con queste parole Lea Vergine voleva far capire come l’arte non sia indispensabile per la vita, il che suona strano visto che è stato affermato da una critica d’arte. Ma questa frase può avere diverse chiavi di lettura.

L’arte non è indispensabile ma, nonostante ciò, in molti si interessano a essa. Ma perchè? Semplice: l’arte è un’emozione continua, qualsiasi essa sia. Non tutti la capiscono ma, per coloro che ci riescono, hanno un qualcosa in più che rende la vita, come detto da Lea Vergine, più felice o meno infelice.

Giacomo Guarnera

Turchia in fiamme: la lettera degli studenti che denuncia gli attacchi terroristici

(fonte: hurriyetdailynews.com)

 

Più di 400 ettari di verde sono stati devastati negli incendi scoppiati tra il 9 e il 10 ottobre nella provincia di Hatay (Turchia): nel silenzio delle autorità, la gente è convinta che si tratti di attacchi terroristici.

Già nel mese di settembre la medesima regione era stata colpita da un incendio che aveva raso al suolo 150 ettari di terreno nelle zone di confine con la Siria, tra le città di Antiochia e Samandağ.

La lettera dei residenti di Hatay

Giorno 10 ottobre, i cittadini stremati hanno deciso di lanciare un appello tramite una lettera con cui Eren Buğra Biler, portavoce della popolazione di Hatay, ci ha informato delle condizioni in cui riversa la sua regione.

Innanzitutto, questo incendio non è un disastro naturale o una qualche disgrazia divina. Tutto sta avvenendo di proposito.

Così recita l’articolo, subito dopo una premessa che vuole scongiurare alcun tipo di propaganda politica di parte.

“Il primo incendio è scoppiato ad İssume e tutti credevano che fosse dovuto ad un guasto del trasformatore elettrico, poi si è espanso fino ad una foresta ove ha distrutto più di 300 ettari di terreno. Proprio quando il fuoco è stato posto sotto controllo e tutti credevano di poter tirare un sospiro di sollievo, un nuovo incendio è scoppiato a 100 metri di distanza causando la distruzione di altri 100 ettari.”

Secondo Biler, sarebbe attribuibile al vento (che quel giorno viaggiava a 75 km/h) la causa dell’espansione delle fiamme, che in poco tempo hanno raggiunto i centri abitati di Nardüzü, Karahüseyinli e Karaağaç.

(I centri abitati interessati dagli incendi, provincia di Hatay – fonte: citypopulation.de)

 

“Sembra tutto abbastanza naturale per un incendio, non è vero? Successivamente un nuovo incendio è divampato a 3 km dal primo, a Çankaya, ma fortunatamente è stato subito domato. Ancora un altro è scoppiato a 2 km dai primi due e, mentre il primo si diffondeva ancora, ne sono divampati l’uno dopo l’altro.

E così, quando otto zone diverse hanno preso fuoco, la gente ha capito che non si trattava affatto di un disastro naturale. Mentre il governo e il consiglio cittadino non davano alcun tipo d’informazione, non c’erano più dubbi che si trattasse di un attacco terroristico.”

I dati e le dichiarazioni delle autorità

Più di trecento persone, cinquanta camion dei pompieri e due elicotteri sono stati impiegati per domare le fiamme e trecento civili sono stati evacuati dai centri residenziali coinvolti nel disastro.

Il sindaco del distretto, İbrahim Gül, ha in seguito dichiarato all’Anadolu Agency (un’agenzia di stampa di proprietà del governo turco) che si sospetta si tratti di incendio doloso. Quattro sono i sospetti fermati.

Il Daily Sabah, quotidiano pro-governo turco, ha dichiarato che ‘Figli del Fuoco’, un gruppo legato al Partito dei Lavoratori del Kurdistan, avrebbe di recente rivendicato gli attacchi.

Il messaggio di speranza

Mentre le autorità locali sono impegnate a ricercare i responsabili del danno, l’autore della lettera invita il maggior numero di persone possibili ad unirsi e non perdere la speranza:

“Migliaia di alberi, centinaia di animali sono andati perduti. Non è il momento di sprecare energie ad odiare questi terroristi, è il momento di supportare moralmente i residenti di Hatay. Dobbiamo unirci, dobbiamo riguadagnare la nostra forza, non possiamo rinunciare, gli uni hanno bisogno delle parole degli altri. Dobbiamo essere un’anima e un corpo per superare questo disastro!”

Il Ministro dell’Agricoltura, Bekir Pakdemirli, ha affermato che nessuno degli ettari bruciati verrà destinato ad utilità diverse dalla precedente. Cinque milioni di alberelli verranno piantati nelle zone interessate dagli incendi ed un evento di piantagione di massa, il ‘Breathe Into Future’, è stato programmato per l’11 novembre 2020.

 

(fonte: twitter.com)

 

Come aiutare?

L’autore della lettera ha lasciato l’indirizzo di due pagine Instagram da cui è possibile trovare nuovi aggiornamenti sulla situazione di Hatay: Iskenderuntube ed Hataytube.

In vista dell’evento dell’11 novembre, è stata lanciata la piattaforma ufficiale del Geleceğe Nefes (Breathe Into Future) a cui è possibile aderire affinché un alberello venga piantato nella zona della mappa che più si desidera. Al momento, la partecipazione nella regione di Hatay è del 90%, con più di 1.400.000 alberelli piantati.

Si tratta di un’iniziativa accessibile a tutti che mira a piantare circa 83 milioni di alberi in tutta la Turchia.

 

Valeria Bonaccorso

 

 

Medaglia d’oro alla memoria di Willy Monteiro e Don Malgesini, esempi di coraggio

E’ successo ieri 7 ottobre 2020: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato, su proposta del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, il decreto con il quale la Repubblica Italiana conferisce la medaglia d’oro alla memoria di Willy Monteiro Duarte e di Don Roberto Malgesini per il loro sacrificio e per l’esempio di coraggio offerto in merito alle tragedie che li hanno colpiti.

(fonte: adkronos.com)

 

Medaglia al Valor Civile per Willy

“Con eccezionale slancio altruistico e straordinaria determinazione, dando prova di spiccata sensibilità e di attenzione ai bisogni del prossimo, interveniva in difesa di un amico in difficoltà, cercando di favorire la soluzione pacifica di un’accesa discussione.”

Si legge nel comunicato della Presidenza della Repubblica, disponibile per la lettura sul sito ufficiale Quirinale.it, riguardo alla vicenda di Willy Monteiro Duarte. Lo studente di 21 anni è stato infatti ucciso lo scorso 6 settembre nei pressi di Colleferro (Roma) mentre tentava di sedare una rissa in cui era stato coinvolto l’amico. Fatale il suo incontro coi fratelli Bianchi e Mario Pincarelli, principali responsabili dell’avvenimento, che su di lui si sono avventati fino ad ucciderlo.

Il Presidente della Repubblica ha così voluto onorare la sua memoria conferendogli una Medaglia d’oro al Valor Civile per essersi prodigato ad aiutare l’amico in difficoltà.

I fratelli Marco e Gabriele Bianchi assieme a Mario Pincarelli si trovano al momento nel carcere di Rebibbia di Roma, così come disposto dal gip del Tribunale di Velletri Giuseppe Boccarrato, in attesa della sentenza che valuti le sorti dell’accusa aggravata di omicidio volontario. Di recente sono stati trasferiti nel braccio G9 (definito ‘Braccio degli infami’), che ospita rei di pedofilia e di violenza sulle donne, in seguito ad alcuni episodi di violenza di cui si sono resi protagonisti nei confronti di un detenuto di nazionalità marocchina.

 

(Willy Monteiro Duarte ritratto in una foto coi compagni di classe – fonte: cronacaonline.it)

Medaglia al merito civile per Don Roberto

Il comunicato prosegue con l’esegesi delle ragioni che hanno spinto il Presidente a conferire la Medaglia d’oro al Merito civile a Don Roberto Malgesini, ucciso lo scorso 15 settembre davanti la chiesa di San Rocco (Como) da uno dei bisognosi che era solito aiutare:

“Con generosa e instancabile abnegazione si è sempre prodigato, quale autentico interprete dei valori di solidarietà umana, nella cura degli ultimi e delle loro fragilità, offrendo amorevole accoglienza e incessante sostegno.”

Don Roberto era infatti conosciuto ed amato dagli abitanti del comune lombardo per gli aiuti che prestava ai più deboli della comunità, in particolare senzatetto e migranti. Il Prete degli ultimi, così veniva chiamato, perché capace di riconoscere negli occhi dei più deboli il volto di Dio.

Ad ucciderlo, un senzatetto di nazionalità tunisina affetto da problemi psichici. Secondo una prima ricostruzione, il movente dell’omicidio risiederebbe nel tentativo nascosto del parroco di rimpatriare l’uomo traendolo in trappola coi propri aiuti. Proprio in ragione di tal movente, poi ritrattato, è stato richiesto per l’imputato il parere di uno psichiatra.

E mentre la Presidenza della Repubblica decide di conferire la medaglia d’oro alla memoria del parroco, la città per cui ha servito fino alla morte, Como, gli ha invece negato la massima onorificenza dell’Abbondino d’oro.

(fonte: ilgiorno.it)

 

Il riconoscimento dopo la tragedia

Alla base del riconoscimento starebbe l’estremo sacrificio di due persone divenute modelli illustri per la comunità italiana. Willy viene infatti definito nel decreto come un esempio “per le giovani generazioni, di generosità, altruismo, coraggio e non comune senso civico”;

Malgesini, invece, lo si descrive come esempio “di uno straordinario messaggio di fratellanza e di un eccezionale impegno cristiano al servizio della Chiesa e della società civile”.

Due tragedie senza dubbio inaspettate e sentite, frutto di profonde falle nella società, da cui è dovere civico di ogni cittadino trarre esempio ed insegnamento affinché la loro memoria non vada sprecata.

 

Valeria Bonaccorso

Lockdown Israele, inferno a Gaza. Azaiza: “è sempre più difficile sopravvivere”

 

(HAZEM BADER / AFP)

 

Non molti giorni fa è stata comunicata al mondo la notizia del secondo lockdown per Israele e tutti i suoi territori (Vedi articolo), compresa la famosa Striscia di Gaza, sede di un climax di tensioni ormai da decenni. Ma il territorio è già isolato dall’interno dal 24 agosto, quando si sono verificati alcuni casi di coronavirus dovuti alla diffusione della comunità. La situazione è devastante: lo comunicano alcuni attivisti come Mohammed Azaiza, coordinatore sul campo dell’organizzazione non-profit Gisha – Legal Center for Freedom of Movement, che da anni si occupa della protezione dei palestinesi ed, in particolare, dei residenti di Gaza.

Un appello straziante

La diffusione del virus sta costringendo tutti noi a confrontarci con la terribile realtà di Gaza. Siamo estremamente consapevoli della condizione del sistema sanitario, qui. Teniamo conto del numero di ventilatori disponibili, dei test e dei risultati. Siamo anche ben consapevoli della disastrosa situazione economica che abbiamo raggiunto con questa crisi, e della debole situazione dell’infrastruttura. A metà agosto Israele ha chiuso di nuovo l’accesso al mare per due settimane ed ha costretto migliaia di persone le cui vite dipendono dalla pesca a ritornare a riva. Senza la pesca, non c’è nulla da mangiare. Un pescatore con quattro figli ha osato sfidare la decisione. ‘Mi sono messo in mare, a circa un miglio e mezzo dalla costa, anche se ho un braccio rotto per via di un alterco con la marina israeliana,’  ha detto, ‘per sfamare la mia famiglia. Mi sono sentito un ladro’.”, scrive Azaiza all’inizio della propria lettera, pubblicata sul giornale online Haaretz.com il 16 settembre. Ma non finisce qui.

La centrale elettrica è stata spenta perché Israele ha impedito la spedizione di carburante a Gaza. La fornitura di elettricità è precipitata proprio nei giorni più caldi. ‘Per tutta la notte ho strofinato le facce dei miei figli con un panno bagnato,’ mi ha detto il pescatore, che vive con la propria famiglia vicino la costa. ‘Dormono accanto alla porta, nella speranza di una piccola brezza.’ La scorsa settimana, la centrale ha ripreso ad operare ed ora abbiamo elettricità per otto ore al massimo, seguite da otto ore prive. Non è abbastanza.

(aa.com.tr)

Una previsione che si avvera

Un rapporto dell’ONU risalente al 2012, denominato “Gaza nel 2020: un luogo vivibile?” ipotizzava che, nelle medesime condizioni in cui si trovava allora, Gaza sarebbe diventata invivibile. La conferma arriva proprio oggi, dalla gente che tra il virus letale, la guerra civile ed il taglio delle risorse fatica a vedere la fine del tunnel.

Quella previsione si è avverata”, dice Mohammed, e continua: “Il 70% di noi non supera i trent’anni. Centinaia, se non migliaia, di cittadini di Gaza si sono spostati in altri paesi. Alcuni hanno raggiunto le loro destinazioni. Altri hanno perso le loro vite nel tragitto. Ed alcuni hanno poi scelto di togliersela. Immaginate come si saranno sentite quelle persone – scegliere la morte perché è più semplice che far fronte a ciò che la vita qui ha da offrire. E quando i giovani sono insorti per protestare contro la situazione disperata, abbiamo visto le proteste alla recinzione di confine, dove dozzine di persone hanno perso la vita per via dei cecchini israeliani. Abbiamo una generazione che non sa cosa sia la libertà. Questi giovani non si sentono considerati umani a sufficienza da rispettare i loro diritti, i diritti che tutti meritiamo.

(dailysabah.com)

I dati

“I due milioni di abitanti di Gaza necessitano disperatamente di soluzioni sostenibili e a lungo termine. L’embargo via mare e via terra, che Israele impone da tredici anni, ha condotto la principale economia di Gaza e le attività commerciali ad un freno totale. Come risultato diretto, più del 38% della popolazione vive in povertà; il 50% è disoccupato e più del 90% delle acque sono imbevibili. La decisione dello scorso mese di vietare le entrate di carburante a Gaza ha creato maggiori fardelli umanitari. Con l’aumento dei casi di COVID-19 a Gaza, il sistema sanitario deve far fronte ad un crollo totale, a meno che l’embargo – che contravviene al diritto internazionale – non venga abolito. E’ necessario ed urgente che venga eliminato.” (unric.org)

Afferma Michelle Bachelet, Alto Commissario per i Diritti Umani alla 45esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU.

Le parole degli abitanti di Gaza, ma ancor di più i dati, dimostrano la sussistenza di una situazione critica tuttavia sconosciuta a molti. Benché il mondo sia ormai consapevole del conflitto centenario che intercorre tra le due nazioni – Israele e Palestina- sembra che sempre più si stia decidendo di lasciarle al loro destino, non tenendo in considerazione le vite dei civili.

“Noi, popolo di Gaza, non abbiamo influenza o controllo sul nostro destino. Mi chiedo spesso, e sono certo che se lo chiedano anche altre persone: cos’altro dobbiamo fare affinché il mondo comprenda la criticità della nostra disperazione?

Conclude Azaiza appellandosi a chiunque, là fuori, sia disposto a porgere un orecchio e mettersi all’ascolto di questa gente abbandonata a sé stessa.

 

                                                                                                                                                                                                              Valeria Bonaccorso

Elon Musk: la start-up Neuralink e la musica trasmessa direttamente al cervello

Elon Musk è il co-fondatore e Amministratore Delegato di Tesla, società fondata nel 2003 con l’obiettivo di velocizzare l’avvento del futuro ad energia sostenibile. Egli è inoltre il co-fondatore, Amministratore Delegato e Lead Designer di Space X, Space Exploration Technologies, una società che si occupa della supervisione delle fasi di sviluppo e produzione dei razzi e veicoli spaziali di nuova generazione, utilizzati per missioni interne ed esterne all’orbita terrestre, con l’obiettivo di creare una città autosufficiente su Marte. Elon, infine, è anche Amministratore Delegato di Neuralink, che si occupa dello sviluppo di interfacce cervello-macchina a larghezza di banda elevatissima da utilizzare nelle comunicazioni tra il cervello e i computer.

Quest’ultima, fondata nel 2016, è una delle start-up più importanti finanziate da Musk. Il magnate della tecnologia ha iniziato a rilasciare dettagli riguardati il nuovo progetto dell’azienda su Twitter, mentre si aspettano più informazioni in una dichiarazione programmata per il 28 Agosto.

Con Neuralink vuole creare un’interfaccia neurale, ossia la possibilità da parte dell’uomo di avere il contatto e far comunicare il proprio cervello con un calcolatore, come un computer super intelligente. Secondo quanto appreso da una presentazione del 2019, la società starebbe lavorando ad un dispositivo collegato al cervello tramite alcuni piccoli fori nel cranio realizzati con un laser. Questo dispositivo si pone l’obiettivo di riparare connessioni neurali danneggiate (come quelle che causano il Parkinson), ma le applicazioni potrebbero essere molteplici, compresa la stimolazione di rilascio di sostanze chimiche nel cervello per combattere ansia e depressione.

Dunque, già è stato mostrato al pubblico, durante una conferenza, un primo prototipo dell’impianto costituito da un microchip flessibile dotato di elettrodi di dimensioni ridotte, all’incirca del diametro di un capello. Il microchip verrà innestato nel cervello umano unicamente da un robot e iniettato con un micro-ago attraverso una piccola incisione con l’ausilio di anestesia locale. Una volta entrato in funzione il dialogo cervello-macchina si attiverà in modalità wireless, dove ogni persona potrà contenere fino a 10 microchip.

Le prime cavie utilizzate per testare il dispositivo sono stati i topi, mentre, successivamente Neuralink è stato iniettato su uno scimpanzé che è riuscito a inviare, incredibilmente, comandi a un computer. In entrambi i casi i test hanno dato esito positivo, e per questo motivo entro pochi mesi Elon Musk ha intenzione di avviare la sperimentazione sull’uomo.

Tuttavia, il primo obiettivo del progetto ha uno scopo soprattutto dimostrativo: la prima applicazione realizzata per il cervello potenziato con Neuralink avrà la finalità di controllare uno smartphone soltanto con comandi dati dal pensiero. Uno dei passaggi successivi a questa prima fase di test consisterà nell’aiutare persone che hanno subito amputazioni, infatti il dispositivo potrà riabilitare i pazienti aiutandoli a guidare arti robotici con la forza del pensiero.

Il nostro cervello verrà potenziato, raggiungendo un’elevata potenza di calcolo e sarà in grado di ordinare alla macchina ad esso collegato una serie di istruzioni e ordini ad una velocità inimmaginabile. La super intelligenza potrà dare un input sostanziale ad una nuova evoluzione, una rinascita della civiltà.

Come detto, i test sugli esseri umani non hanno ancora avuto inizio in quanto si tratta di un progetto momentaneamente teorico, ma resta il fatto che la tecnologia è sempre più vicina al raggiungimento di un traguardo visto finora soltanto nella fantascienza.

 

Piero Cento

Joe Biden: maxi-piano per l’energia pulita

 

Con in mano ben 2 mila miliardi di dollari, Joe Biden ha già le idee ben chiare di come utilizzarli: un piano per costruire le infrastrutture e produrre energia pulita.

Il clima è sempre più al centro del piano di Joe Biden per far ripartire l’economia nel post-Covid. Con un maxi investimento da 2 trilioni di dollari (2 mila miliardi) da investire in quattro anni per lo sviluppo di energia pulita e un obiettivo di produzione di elettricità green al 100% entro il 2035, il candidato democratico in corsa alla Casa Bianca imprimerebbe una svolta verso le priorità ambientali a svantaggio dei combustibili fossili. Con questo piano sull’energia pulita, Biden cercherà sia di spingere gli Stati Uniti fuori dalla recessione causata dalla pandemia di Coronavirus, sia di affrontare problemi sistemici che esistevano già prima che il virus colpisse.

Tra i punti salienti del piano vi sono:

  • rendere l’intero settore dell’elettricità completamente privo di emissioni di Co2 entro il 2035,
  • ristrutturare quattro milioni di edifici in quattro anni,
  • costruire 500 mila stazioni di ricarica per veicoli elettrici,
  • finanziare la ricerca su una varietà di tecnologie avanzate per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica e per l’energia nucleare.

Raggiungere il 100% di elettricità pulita entro il 2035 è visto come un obiettivo ambizioso, ma un numero crescente di utility presenti in tutte le parti del Paese ha già obiettivi simili, anche se la maggior parte si avvicina alla metà del secolo. Tuttavia, molte regioni americane sono sulla strada giusta, in quanto nella rete elettrica texana di ERCOT, l’eolico e il solare hanno rappresentato il 39% della produzione di energia elettrica nella prima metà del 2020, molto più del carbone e non lontano dalla quota del gas naturale, pari al 44%.

I nuovi impegni imprimeranno, dunque, una forte accelerazione al settore delle energie rinnovabili a discapito dell’industria del petrolio, che risentirebbe pesantemente della transizione energetica dai combustibili fossili alle fonti green. Anche il settore automobilistico ne sarà coinvolto, ma in maniera positiva, perché il programma prevederebbe incentivi per vetture ibride, elettriche e a idrogeno.

Biden sostiene che il suo piano creerà addirittura 1 milione di posti di lavoro nell’industria automobilistica e milioni di posti di lavoro nella costruzione di infrastrutture, come strade, ponti, spazi verdi, sistemi idrici e reti elettriche.

Il piano mira anche a sostenere il trasporto pubblico con metropolitane leggere, autobus e biciclette. Le proposte sull’energia pulita rappresentano, quindi, un elemento chiave del più ampio piano di Biden per rilanciare l’economia americana. Il piano di Biden invertirà, inoltre, alcuni dei tagli fiscali di Donald Trump alzando l’aliquota fiscale per le corporation (al 28% dall’attuale 21%), così come per le famiglie ad alto reddito, e allo stesso tempo punta ad aumentare il salario minimo da 7,5 a 15 dollari l’ora.

Biden ha poi criticato fortemente lo stesso Donald Trump, attuale Presidente degli Stati Uniti, accusandolo di non aver mai creduto nella scienza dato che ha prima negato l’esistenza del Covid-19 e in passato ha sottovalutato problemi globali, come il surriscaldamento del pianeta e l’emergenza energetica, dando strada libera a potenze come Cina e Russia sul campo della tecnologia.

 

Piero Cento

 

 

 

Anonymous si scaglia contro l’app del momento TikTok

 

Mentre TikTok continua ad attrarre un numero maggiore di utenti anche a causa delle misure di lockdown anti Covid-19, la reputazione dell’app viene messa in discussione da un bacino di persone sempre più ampio. Il social network del momento, popolare soprattutto tra i giovani, è al 79° posto nella classifica dei primi 100 brand più ricchi al mondo, ma di recente ha trovato posto sui giornali per l’attacco subito dal collettivo di hacker Anonymous.

Dopo il governo USA e l’India adesso anche Anonymous si scaglia contro l’app di balletti attraverso Twitter. Secondo il famoso gruppo di hacker, l’applicazione più trend del momento è in realtà un’arma di controllo di massa creata dal governo cinese. Nessuna conferma ufficiale o prova di ciò, ma a quanto pare i cellulari in cui è installata l’app possono essere forzati dall’intelligence cinese, la quale avrebbe così accesso a tutti i dati rilevanti del dispositivo.

La situazione è preoccupante anche considerando i precedenti: il Pentagono aveva proibito ai propri lavoratori di utilizzare TikTok già a gennaio per dei rischi potenziali e solo pochi giorni fa si è scoperto che nella versione beta di iOS 14, l’ultimo sistema operativo di Apple, TikTok accedeva segretamente agli appunti degli utenti; mentre l’India ha bandito questa e altre 58 app cinesi per gli stessi motivi.

Nei primi mesi del 2020 il Garante per la privacy aveva chiesto una task force europea contro i rischi del social. A preoccupare non c’è solo il diritto alla riservatezza, spesso violato secondo Anonymous, ma anche il percorso dei dati del singolo utente. Soprattutto se si considera che Tik Tok è presente su tantissimi smartphone di minorenni (il 66% ha meno di 30 anni), è distribuito in 150 Paesi ed è tradotto in 75 lingue.

“Cancellate TikTok in questo stesso momento e se conoscete qualcuno che lo usa, spiegategli che non è nient’altro che un malware nelle mani del governo cinese, intento in una colossale operazione di sorveglianza di massa.” 

Spesso con gli hacker di Anonymous è difficile attribuire la paternità del tweet all’intera collettività di hacker, poichè non si tratta di un’organizzazione con un vertice, ma di un gruppo decentralizzato. L’account che ha diffuso il cinguettio è però divenuto nel tempo una delle voci più seguite in riferimento alle attività di Anonymous, motivo per cui c’è ragione di credere che la posizione assunta sia per lo meno condivisa da una nutrita schiera di membri del gruppo.

Tuttavia non è  la prima volta che TikTok viene accusata di violazione della privacy degli utenti. Lo sviluppatore ByteDance ha sempre risposto alle accuse negando ogni addebito, ma la sua provenienza cinese ha alimentato i timori di Paesi come gli Stati Uniti e l’India, preoccupati che i dati raccolti possano finire nelle mani del governo locale. Non bisogna aspettarsi però un’azione concreta da parte di Anonymous nei confronti di TikTok: quella del gruppo per il momento va considerata una semplice presa di posizione su un’app e un tema che online stanno facendo discutere da mesi.

I misteri su quella che sembrava essere un’innocente app social continuano a infittirsi.

 

Piero Cento

 

Tensioni fra Corea del Nord e del Sud: distrutto ufficio di collegamento intercoreano

Si complicano i rapporti tra la Corea del Nord e la Corea del Sud dopo i recenti eventi che hanno visto alcuni attivisti del Sud lanciare diversi palloncini, contenenti volantini e materiali contro la propaganda nordcoreana, al confine tra le due nazioni.

Qualche giorno fa la sorella nonché braccio destro del leader supremo Kim Jong-un, Kim Yo-jong, ha annunciato di aver intenzione di mobilitare addirittura l’esercito per far fronte ai continui attacchi da parte degli attivisti, in gran parte disertori dalla Corea del Nord, considerati dal governo nordcoreano come dei “traditori e delle fecce umane“. La tensione tra le due Coree si sono successivamente aggravate dopo che la Corea del Nord ha deciso di far esplodere l’ufficio diplomatico di Kaesong, cittadina in prossimità della Delimitarized Zone, utilizzato per i diversi incontri diplomatici tra le due fazioni politiche.

Dopo le dichiarazioni di Kim, il governo sudcoreano ha ordinato un meeting di emergenza e il presidente, Moon Jae-in, ha annunciato di voler riportare le due nazioni in una situazione pacifica. Proprio due anni fa, i due leader si erano incontrati nella Joint Security Area al confine, in un evento storico che aveva visto le due nazioni imboccare quella che era una via di ricongiunzione.

Si tratta di un’azione molto decisa da parte del governo nordcoreano, un intervento militare con l’intento di distaccarsi dalla gemella sudcoreana dopo i tentativi di ricongiunzione degli ultimi due anni che facevano pensare ad tregua attesa da tempo.

Il Presidente della Corea del Sud ha espresso il proprio rammarico per la distruzione dell’ufficio di collegamento, avvertendo, però, che Pyongyang risponderà con forza se il regime di Kim intenderà proseguire con azioni che possano peggiorare la situazione. L’incidente dei volantini ha irritato la Corea del Nord, che aveva deciso di tagliare i collegamenti diretti con la nemica Seul, nonostante il Ministero dell’Unificazione sud-coreano avesse promesso punizioni per gli attivisti anti-Corea del Nord. L’ufficio di collegamento inter-coreano è stato aperto a settembre 2018, scaturito dagli accordi tra i due Paesi presi in occasione del primo dei tre summit tra Kim e il Presidente sud-coreano Moon Jae-in nell’aprile di quell’anno.

“Tutto ciò rappresenta un tradimento delle aspettative di quanti auspicano lo sviluppo di relazioni inter-coreane e il raggiungimento della pace nella penisola coreana. Chiariamo che la responsabilità di qualunque cosa accada a causa di questo ricadrà interamente sulla parte nordcoreana”, ha dichiarato al termine del Consiglio di Sicurezza Nazionale Kim You-geun, numero due dell’organismo governativo sulla sicurezza della presidenza.

Tuttavia, la distruzione dell’edificio ha destato preoccupazione anche a Mosca. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha chiesto moderazione, confermando che la Russia sta seguendo con particolare attenzione la situazione, ma che non ha in programma dei contatti diplomatici per un allentamento delle tensioni nella penisola. Da Pechino, invece, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha rinnovato l’auspicio che Corea del Nord e Corea del Sud, in quanto appartenenti alla stessa nazione, possano raggiungere pace e stabilità.

Piero Cento