La Gran Bretagna è in allarme per l’omicidio di David Amess, il deputato conservatore inglese

Venerdì 15, la Gran Bretagna assiste ad un nuovo tragico fatto di sangue : il parlamentare conservatore inglese David Amess viene accoltellato ripetute volte e ucciso durante un incontro con gli elettori, tenutosi presso una chiesa metodista di Leigh-on-Sea, in Essex, nel sud-est dell’Inghilterra. Secondo la polizia britannica, si è trattato di un attentato terroristico, forse legato all’estremismo islamico.

Fonte: Rai News

L’accaduto – l’ultimo di una serie di attacchi contro i politici britannici – ha confermato una crescente aggressività nei confronti della democrazia inglese e rafforzato il dibattito sul tema della sicurezza dei parlamentari, oramai all’ordine del giorno nel Paese.

Le dinamiche dell’attacco

Secondo le dinamiche emerse in questi giorni, l’uomo che ha ucciso Amess si trovava allinterno della chiesa, ad aspettare l’arrivo del deputato per l’incontro periodico con i suoi elettori del luogo.

Per partecipare, era sufficiente lasciare nome e cognome agli addetti, venendo così a mancare la protezione armata della polizia presente, invece, in Parlamento: «Qui sono tutti benvenuti», recitava il cartello scritto fuori dalla porta della chiesa.

Fonte: remocontro.it

Una volta prenotatosi per l’incontro, l’uomo avrebbe dunque atteso pazientemente il suo turno prima di assalire Sir David, nel mentre che questi si stava trattenendo con i concittadini, accompagnato da suoi due assistenti. Il parlamentare è stato assalito e pugnalato ben 17 volte e a nulla sono serviti i benché immediati soccorsi: Amess è morto prima che potesse essere trasportato in ospedale.

“Mi hanno detto che dopo aver colpito sir David ha semplicemente atteso l’arrivo della polizia nella sala parrocchiale” della chiesa metodista dove si teneva l’incontro , ha raccontato al Telegraph il Vicepresidente dell’associazione di circoscrizione Kevin Buck.

L’attentatore, giovane figlio di un ex consigliere somalo

L’uomo arrestato per l’assassinio del deputato Amess è un cittadino britannico venticinquenne di origini somale, del quale è stata prolungata la custodia cautelare – almeno fino al 22 ottobre – su autorizzazione del giudice, per violazione della legge sul terrorismo (Terrorism Act). Il provvedimento è stato reso noto dalla polizia: secondo le prime indagini l’uomo avrebbe avuto «un possibile movente legato all’estremismo islamico».

Ali Harbi Ali, l’attentatore. Fonte: The Mirror

Il giovane in questione è Ali Harbi Ali, figlio di un ex consigliere della comunicazione del primo ministro della Somalia. Il ragazzo avrebbe pianificato l’omicidio con oltre una settimana di anticipo. Il padre Harbi Ali Kullane si dicetraumatizzatoai microfoni della Bbc: “Non è qualcosa che mi aspettavo o avrei mai sognato e immaginato”.

Il legame con il jihadismo

Ali avrebbe vissuto, in passato, nel collegio elettorale di Sir David, Southend West, nell’Essex, per poi trasferirsi, più di recente, in un quartiere residenziale di Londra.

Nella mattinata di sabato, la polizia ha fatto delle perquisizioni in due abitazioni di Londra, ma per gli inquirenti è da accantonare l’ipotesi che abbia collaborato con altri soggetti; più probabile che si tratti di un lupo solitario che lo scorso venerdì avrebbe agito da solo, ispirato dai jihadisti di al-Shabaab (gruppo terroristico che opera tra Somalia e Kenya, nato da una costola di al-Qaeda e radicalizzatosi online durante il lockdown).

Stando ad alcune fonti del Guardian, il ragazzo era già in qualche misura noto alle forze dell’ordine, considerato che il suo nome potrebbe essere contenuto nel database del Prevent scheme, un programma che raccoglie informazioni su soggetti a rischio radicalizzazione.

Chi era David Amess

Amess, parlamentare dal 1983, era un fervente cattolico di 69 anni, sposato e padre di 5 figli. Aveva buone possibilità di diventare il “padre della Camera dei Comuni”, vale a dire il membro più longevo.

La fede e la fedeltà alla dottrina sociale della chiesa sono state le principali fonti del suo agire politico, fa notare in un suo intervento un caro amico di Amess, Chris Whitehouse, ex parlamentare e cofondatore del network dei parlamentari cattolici assieme a lui.

Fonte: SkyTG24

Nonostante non avesse mai avuto ruoli di governo, Amess è stato un volto familiare della politica britannica, sostenitore della Brexit e dei diritti degli animali, antiabortista. Per Sir David era molto importante l’incontro periodico dei suoi elettori:

«A volte la gente andava per parlare di politica, ma la maggior parte delle volte le persone chiedevano aiuto per trovare una casa adeguata o per capire le complesse regole del welfare oppure per far entrare un figlio con bisogni speciali in una scuola adeguata alle sue esigenze. È per questi incontri che Amess era così popolare, migliaia di persone possono testimoniare quanto fosse attento e amorevole», evidenziano le parole dell’amico.

La sua morte ha rappresentato una dura perdita per tutti: per il Parlamento, la Chiesa, la vita pubblica, il partito Conservatore, per la società inglese e per la vita democratica nel suo complesso. Quanto accaduto non può essere derubricato a un attacco a un individuo, poiché si tratta di molto di più: è un attentato allo stile di vita democratico e aperto.

Il Dibattito sulla ”costituency surgery”

L’assassinio di Amess non è un caso isolato: nel 2016 venne uccisa la deputata laburista Jo Cox, mentre si dirigeva verso un incontro pubblico, e 6 anni prima il suo collega conservatore Stephen Timms venne accoltellato, sempre durante un incontro pubblico.

La sequenzialità delle aggressioni comincia pertanto a preoccupare il Regno Unito, in lutto per un omicidio che, nel suo significato, riunisce maggioranza e opposizione: a rischio è la secolare tradizione della politica britannica, basata su stretti contatti tra elettori e politici.

Il primo ministro Boris Johnson (destra) e il leader dell’opposizione Keir Starmer (sinistra). Fonte: La Repubblica

Il dibattito sulla sicurezza dei parlamentari dilaga nel Paese: l’interrogativo riguarda la possibilità o meno di continuare a esercitare, in un clima del genere, la cosiddetta attività di costituency surgery, ovvero i periodici incontri faccia a faccia con i cittadini del proprio collegio elettorale.

In tanti sono i parlamentari che nonostante tutto desiderano portare avanti il tradizionale modo di fare politica britannico, come i deputati conservatori Robert Largan e Alec Shelbrooke. Quest’ultimo ha, infatti, twittato:

“Non possiamo lasciare che eventi come questo riducano la profonda relazione che abbiamo con i nostri elettori. È una relazione veramente importante e desidero che i miei concittadini, che mi abbiano votato o meno, possano avvicinarmi per le strade, nei pub, al supermercato o in una delle mie surgery”.

Gaia Cautela

La Polonia mette in dubbio il primato del diritto europeo sulla Costituzione. Ecco cosa potrebbe succedere

Polonia, migliaia di sovranisti scendono in piazza con lo slogan ”Io resto Ue”. Fonte: Sky TG24

Varsavia, Cracovia, Poznań: l’intera Polonia pullula di manifestanti nelle piazze dopo che la Corte costituzionale polacca ha emesso una sentenza che mette fortemente in dubbio il primato del diritto europeo sulle leggi nazionali, minando di fatto uno dei principi fondanti dell’Unione e sollevando interrogativi circa la stessa adesione della Polonia all’Ue.

Manifestazioni pro-Ue in tutto il Paese

Le iniziative pro-Ue si sono svolte tra sabato e domenica in 120 località del Paese con cento cortei e la partecipazione di migliaia di cittadini, ma resta il rischio legato ai focolai nazionalisti che potrebbero essere alimentati in Italia così come in altri Paesi esteri che contestano l’ingerenza di Bruxelles.

A sostenere la protesta di domenica 10 ottobre c’erano diversi partiti e organizzazioni, fra cui Piattaforma civica, guidata dall’ex presidente del Consiglio europeo e maggiore leader dell’opposizione Donald Tusk, in nome di una Polonia ”indipendente, europea, democratica, che si attiene alle leggi e onesta”.

https://youtu.be/0n5eIixfexs

La Corte di Varsavia rigetta i trattati Ue

Tutto è cominciato alla fine della scorsa settimana quando la più alta corte polacca, capeggiata dalla giudice Julia Przylebska, ha decretato che alcuni articoli del Trattato sull’Unione europea sono incompatibili con la Costituzione dello Stato polacco e che le istituzioni dell’Unione “agiscono oltre l’ambito delle loro competenze”.

Al centro del contenzioso vi si colloca nello specifico la riforma sulla magistratura voluta dal partito al governo Diritto e giustizia (Psi), conservatore ed euroscettico, del leader Jaroslaw Kaczynski. Tale riforma prevede un nuovo sistema di disciplina dei giudici che secondo l’Ue mina l’indipendenza del sistema giudiziario stesso.

Lo Stato polacco e il primato del diritto costituzionale

Mentre le preoccupazioni dell’Unione Europea sono alte, a Varsavia il governo del Primo ministro Mateusz Morawiecki ha accolto favorevolmente la decisione della Corte che conferma “il primato del diritto costituzionale sulle altre fonti del diritto”: secondo il portavoce Piotr Muller, la sentenza si riferisce alle competenze dello Stato polacco non trasferite agli organi Ue.

Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki. Fonte: Formiche.net

Ma l’Unione Europea non è chiaramente d’accordo, e infatti la vicepresidente della Commissione europea, Vera Jourova, ha oggi dichiarato nel suo intervento al Forum 2000:

“Il principio dello stato di diritto è che nessuno è sopra la legge, per questo noi siamo ferrei su questo. Lo stato di diritto – ha spiegato – è anche la limitazione dei poteri, principio alla base degli Stati membri. Ora, dopo la decisione della Corte costituzionale polacca, devo dire che se non confermiamo il principio nell’Ue che regole uguali sono rispettate allo stesso modo in ogni parte dell’Europa, tutta l’Europa comincerà a collassare”.

Alle origini dell’Unione europea, i principi

25 marzo 1957: a Roma nasce la Comunità economica europea. Fonte: Secolo d’Italia

Dal 1957, la costruzione europea si basa sul principio del primato del diritto europeo, il cui ordine giuridico comunitario è stato riconosciuto nel 1963 e 1964 dalla Corte di giustizia.

Entrando volontariamente nell’Unione Europea, qualsiasi Paese deve formulare e negoziare politiche e leggi con gli altri membri. La costruzione giuridica dell’Unione crollerebbe nel momento in cui uno Stato membro decidesse all’improvviso di rifiutare di rispettare e applicare una legge europea in nome di un principio interno o introducendo una legge nazionale.

In poche parole, l’individualismo nazionalista finirebbe col sovrastare quel patto politico fondamentale di fiducia reciproca alla base del successo europeo. In Polonia, membro dell’Ue dal 2004, è accaduto proprio questo.

Von der Leyen: ”Il diritto europeo prevale”

La presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, si dichiara

«profondamente preoccupata» per la sentenza della Corte costituzionale polacca e ha garantito che la Commissione userà «tutti i poteri che abbiamo in base ai trattati per assicurare» il primato del diritto Ue su quelli nazionali, incluse «le disposizioni costituzionali. È quello che tutti gli Stati membri dell’Ue hanno sottoscritto come membri dell’Unione».

Fonte: Europa Today

La presidente ha poi sottolineato: «L’Ue è una comunità di leggi e di valori: è questo che tiene l’Unione insieme e che ci rende forti». Conclude poi evidenziando l’impegno della Commissione nell’assicurare la protezione dei diritti cittadini polacchi e dei benefici derivanti dall’appartenenza Ue.

Le destre europee in difesa di Varsavia

In seguito alla sentenza, per i giudici polacchi ci sono tre opzioni: cambiare la costituzione, cambiare i Trattati o uscire dall’Unione europea.

Il premier polacco si è premurato di confermare la volontà di restare nell’Ue ma questo non è bastato a placare le formazioni politiche a sostegno di tale decisione: da tempo il premier ungherese Victor Orbán contesta le decisioni di Bruxelles, l’estrema destra francese di Marine Le Pen ha difeso la Polonia che «esercita il suo diritto legittimo e inalienabile alla sovranità» e in Italia Giorgia Meloni sostiene che «si può stare in Europa anche a testa alta, non solo in ginocchio come vorrebbe la sinistra».

Giorgia Meloni dalla parte della Polonia. Fonte: Il Fatto Quotidiano

Possibili sanzioni alla Polonia

In seguito alla decisione della Corte polacca, la Commissione europea – preoccupata sull’integrità dello stato di diritto polacco – è restia ad approvare i finanziamenti per il piano di risanamento. Il Recovery Fund per la Polonia è infatti vincolato al rispetto dello stato di diritto polacco, indebolito già da diverso tempo rispetto agli standard europei.

Le somme del Next Generation Ue ammonterebbero a 58,7 miliardi di euro fra prestiti e sussidi. Ma il via libera di Bruxelles non è stato ancora dato e, date le condizioni, ora più che mai è inimmaginabile:

“l’Ue e gli Stati membri devono intraprendere un’azione legale, politica e finanziaria urgente e chiarire che questi principi fondamentali non sono aperti a negoziati o al gioco”, sostiene Eve Geddie, direttrice della sede europea di Amnesty International.

Gaia Cautela

Da domenica Israele somministrerà la terza dose di Pfizer. In Italia aperto il dibattito tra gli esperti

Secondo quanto annunciato dal ministero della Sanità locale, in Israele le persone con più di 60 anni che hanno già completato il ciclo vaccinale potranno ricevere, a partire da domenica, se sono trascorsi oltre cinque mesi dall’inoculazione della seconda dose, una terza dose Pfizer. Israele è il primo paese a compiere un passo simile.

Vaccinazioni in Israele – Fonte: www.ansa.it

“Un trend gradualmente in declino dell’efficacia vaccinale”

Mercoledì un team di esperti aveva consigliato di avviare la somministrazione della terza dose dopo aver notato un calo nell’efficacia del vaccino fra quanti sono stati immunizzati sei mesi fa. Il primo a ricevere la terza dose sarà il capo dello Stato Isaac Herzog.

A parlare di “un trend gradualmente in declino dell’efficacia vaccinale” è uno studio inserito nella piattaforma MedRxiv e supportato da Pfizer e Biontech. Gli esperti hanno notato che, dopo il picco raggiunto dopo la seconda dose e fino a 2 mesi l’efficacia è del 96,2 %, dopo i 2 mesi ed entro i 4 la percentuale scende fino al 90, 1 %, dai 4 ai 6 mesi è dell’ 83,7 %.  Lo studio ha calcolato un calo medio di efficacia del vaccino Pfizer del 6% ogni 2 mesi. Fino a 6 mesi il vaccino ha comunque un profilo di sicurezza favorevole ed è altamente efficace, ma sia il trend in calo sia la diffusione capillare della variante Delta hanno fatto pensare alla necessità della terza dose.

A preoccupare Israele non è soltanto l’accertato calo di efficacia del vaccino ma anche i dati più recenti relativi ai nuovi casi di coronavirus. Ieri i contagi sono stati 2.165. I malati gravi sono saliti a 159 e l’indice di contagio si è attestato adesso sull’1,35 %.

Da ieri, infatti, è tornato in vigore il Green Pass sanitario, grazie a cui verranno limitati gli ingressi nei locali al chiuso a chi è stato vaccinato, a chi sia guarito del Covid e a chi sia in possesso di un test Pcr (tampone) negativo eseguito nel corso nelle 72 ore precedenti. Inoltre, il Ministero della salute israeliano ha annunciato che dall’1 agosto potranno essere vaccinati anche i bambini tra i 5 e gli 11 anni che rischiano complicazioni gravi o la morte a causa del Covid-19.

Il parere dell’Ema e dell’Oms

Non tutti sono pronti a seguire l’esempio di Israele. Secondo quanto dichiarato dall’Ema«è troppo presto per confermare se e quando ci sarà bisogno di una dose di richiamo, perché non ci sono ancora abbastanza dati dalle campagne vaccinali». 

Dubbiosa è anche l’Oms che invita a pensare ai paesi più poveri che non hanno ancora fatto le prime dosi o, addirittura, non dispongono di vaccini.

Nel frattempo la Commissione Europea, che non vuole farsi trovare impreparata, sta stringendo accordi con Pfizer-Biontech e con Moderna per nuove dosi. “Siamo molto consapevoli che servirà un rafforzamento del vaccino ed è il motivo per cui ci stiamo preparando, ad esempio concludendo un terzo accordo con Biontech/Pfizer, che prenota per la Ue 1,8 miliardi di dosi che servono se occorrerà fare una terza dose, oppure per combattere le varianti, o se servirà vaccinare altri gruppi come ragazzi e bambini”, ha dichiarato un portavoce della Commissione Ue.

Il dibattito in Italia

Anche in Italia si è aperto il dibattito sull’opportunità della somministrazione della terza dose. Questa probabilmente, secondo il parere di medici e virologi, sarà rivolta a soggetti fragili come anziani, immunodepressi, pazienti oncologici.

L’infettivologo Matteo Bassetti – Fonte: www.ansa.it

Secondo Matteo Bassetti, primario di Malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova, non ci sono ancora dati a sufficienza per dire con certezza che la terza dose andrà fatta e bisognerebbe vedere i dati delle seconde dosi per capire se chi ha fatto il vaccino ad un anno di distanza ha ancora gli anticorpi. Per quanto riguarda la variante Delta, sostiene l’infettivologo: “Dai dati che arrivano dalle aziende, la terza dose del vaccino a mRna è in grado di alzare di cinque volte la risposta immunitaria contro la variante Delta. Ma due dosi di vaccino proteggono dalle forme gravi della malattia, chi ha completato il ciclo è dunque perfettamente coperto”.

Mario Clerici, docente di immunologia dell’università degli Studi di Milano, sostiene la necessità della terza dose soltanto per pazienti immuno-depressi.

Secondo Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova, considerando che la variante Delta può avere gravi ripercussioni, tra coloro che hanno completato la vaccinazione da 7-8 mesi, su soggetti fragili e anziani, l’opportunità della terza dose è da valutare proprio per questi soggetti.

“Credo sia da prendere in considerazione la terza dose di vaccino anti-Covid. Anche un recente articolo della Pfizer evidenzia qualche defaillance dopo 6 mesi dal vaccino e quindi bisogna pensarci, perché siamo, me compreso, verso la fine e comincia a vedersi anche personale sanitario, come altri cittadini, positivo. Quindi, situazioni che per certi versi inquietano rispetto all’operatività degli ospedali e delle strutture sanitarie”, ha detto il virologo Fabrizio Pregliasco, docente dell’Università Statale di Milano.

Massimo Galli, direttore di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, sostiene che la somministrazione di una terza dose non ha senso, neanche per soggetti a rischio, se prima non è stata valutata la presenza di anticorpi.

L’infettivologo Massimo Galli – Fonte: www.ansa.it

Terza dose anche di AstraZeneca?

Il dibattito sulla terza dose ha riguardato soprattutto i vaccini a Rna messagero. Per quanto riguarda quelli con adenovirus, l‘amministratore delegato di AstraZeneca Pascal Soriot, ha dichiarato di non avere elementi per dire con certezza se servirà o meno una terza dose del vaccino e che sarà il tempo a dare delle risposte. “Ci sono due dimensioni dell’immunità: gli anticorpi, che calano con il tempo, e la seconda, importantissima, le cellule T, che tendono a proteggere le persone dalla malattia grave ma offrono anche durata nel tempo. Con la tecnologia che utilizziamo, abbiamo una produzione molto elevata di cellule T. Speriamo di avere un vaccino durevole che protegga per un lungo periodo di tempo”, ha spiegato il manager.

Chiara Vita

Sergio Mattarella e il suo ultimo ‘’Ventaglio’’: le origini della cerimonia ed il discorso sulla pandemia

Si è svolta nella serata di ieri, mercoledì 28 luglio, la tradizionale cerimonia di consegna del ‘’Ventaglio’’ – l’ultimo del suo settennato – al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da parte del Presidente dell’Associazione Stampa Parlamentare, Marco Di Fonzo, alla presenza dei componenti del Consiglio direttivo, degli aderenti all’Associazione e di personalità del mondo del giornalismo.

Il presidente Mattarella alla cerimonia del Ventaglio. Fonte: Interris.it

Durante l’evento – che si tiene annualmente tra la fine di luglio e i primi giorni di agosto presso Palazzo del Quirinale, Palazzo Montecitorio e Palazzo Madama in vista della chiusura per la pausa estiva dei lavori parlamentari – il Presidente Mattarella ha pronunciato un discorso di rimando al tema pandemia intriso di messaggi politici, rimarcando l’importanza della vaccinazione in quanto dovere civico-morale. Successivamente, la consegna del Ventaglio realizzato da Virginia Lorenzetti, studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Roma.

Alle origini del ‘’Ventaglio’’ ed il concorso

7 luglio 1893: il Presidente della Camera Giuseppe Zanardelli ricevette dai giornalisti un ventaglio con le loro firme, un regalo pensato per combattere il caldo afoso dell’aula. Un momento che nei decenni è divenuto una cerimonia ufficiale a tutti gli effetti, con il coinvolgimento delle tre massime cariche dello Stato e l’Associazione Stampa Parlamentare.

Se il dono ricevuto da Zanardelli si limitò ad essere un semplice ventaglio di carta, dal 2007 in poi un concorso riservato agli studenti delle Accademie di Belle Arti consente ogni anno di selezionare il migliore design e realizzazione di tre oggetti. Una delle vincitrici di quest’anno è Virginia Lorenzetti, realizzatrice del ventaglio per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dall’Accademia di Roma:

“È emozionante vedere un mio lavoro in un contesto così importante. Ho partecipato spesso a mostre, perché amo confrontarmi con altri artisti, collaborare agli allestimenti, ma questo era uno dei miei primi concorsi davvero importanti”, ha confessato la studentessa ventitreenne all’HuffPost.

Il doppio binario per fronteggiare la crisi

Nel messaggio rivolto al Paese, il Presidente Mattarella ha avvisato circa la prepotente attualità dell’emergenza Covid, definendola come un incubo «che non è ancora alle nostre spalle» e contro il quale, «con uno sforzo straordinario di collaborazione globale», sono stati individuati «due filoni» per incamminarci verso l’uscita dalla crisi.
Il doppio binario di cui parla il Presidente si riferisce alla campagna di vaccinazione ed alla «scelta di mettere in campo ingenti sostegni pubblici per contenere le conseguenze delle chiusure e dei distanziamenti a livello economico, produttivo e occupazionale», sostenendo così gli sforzi di Draghi ed i temi del suo incarico come premier.

Mattarella ricorda che il virus è mutato, rivelandosi ancora più contagioso:

“Più si prolunga il tempo della sua ampia circolazione più frequenti e pericolose possono essere le sue mutazioni. Soltanto grazie ai vaccini siamo in grado di contenerlo. Il vaccino non ci rende invulnerabili ma riduce grandemente la possibilità di contrarre il virus, la sua circolazione e la sua pericolosità. Per queste ragioni la vaccinazione è un dovere morale e civico“, ha detto durante il suo discorso.

 La priorità ad una vita scolastica regolare

In uno scenario disastroso sotto numerosi punti di vista e oramai ben conosciuto dagli italiani, Mattarella ha deciso di evidenziare in particolar modo le conseguenze pagate dal mondo scolastico:

La pandemia ha imposto grandi sacrifici in tanti ambiti. Ovunque gravi. Sottolineo quelli del mondo della scuola. Ne abbiamo registrato danni culturali e umani, sofferenze psicologiche diffuse che impongono di reagire con prontezza e con determinazione. Occorre tornare a una vita scolastica ordinata e colmare le lacune che si sono formate. Il regolare andamento del prossimo anno scolastico deve essere un’assoluta priorità“.

Fonte: ANSA.it

E sempre sul tema del pesante impatto della pandemia, continua dicendo:

“Nessuna società è in grado di sopportare un numero di contagi molto elevato, anche nel caso in cui gli effetti su molta parte dei colpiti non fossero letali. Senza attenzione e senso di responsabilità rischiamo una nuova paralisi della vita sociale ed economica; nuove, diffuse chiusure; ulteriori, pesanti conseguenze per le famiglie e per le imprese”.

Prima di tutto, il ”bene comune del Paese”

Nel corso dell’incontro con la stampa parlamentare, Mattarella ha anche manifestato l’auspicio di una ritrovata consapevolezza e responsabilità collettiva in nome del bene comune della nazione e a difesa dell’autentico senso di libertà:

“Conto che le forze politiche, di fronte a un tempo che sembra volgersi verso prospettive migliori, continuino a lavorare nella doverosa considerazione del bene comune del Paese. Conto che non si smarrisca la consapevolezza della emergenza che tuttora l’Italia sta attraversando, dei gravi pericoli sui versanti sanitario, economico e sociale. Che non si pensi di averli alle spalle. Che non si rivolga attenzione prevalente a questioni non altrettanto pressanti.”

“Auspico fortemente che prevalga il senso di comunità, un senso di responsabilità collettiva. La libertà è condizione irrinunziabile ma chi limita oggi la nostra libertà è il virus non gli strumenti e le regole per sconfiggerlo. Se la legge non dispone diversamente si può dire:” In casa mia il vaccino non entra”. Ma questo non si può dire per ambienti comuni, non si può dire per gli spazi condivisi, dove le altre persone hanno il diritto che nessuno vi porti un alto pericolo di contagio; perché preferiscono dire:” in casa mia non entra il virus”.

Un invito al rispetto degli impegni di spesa

Sul versante degli impegni di spesa il Presidente ha ricordato che:

“Dall’Unione Europea, sono in procinto di giungere le prime risorse del programma Next Generation. Gli interventi e le riforme programmate devono adesso diventare realtà. Non possiamo fallire: è una prova che riguarda tutto il Paese, senza distinzioni. Quando si pongono in essere interventi di così ampia portata, destinati a incidere in profondità e con effetti duraturi, occorre praticare una grande capacità di ascolto e di mediazione. Ma poi bisogna essere in grado di assumere decisioni chiare ed efficaci, rispettando gli impegni assunti“.

Fonte: DiarodelWeb.it

L’appello alla professionalità dei giornalisti

Rivolgendo poi l’attenzione ai giornalisti, Il capo dello Stato augura infine a sé stesso che nel semestre bianco (il periodo di tempo corrispondente agli ultimi sei mesi del mandato del Presidente della Repubblica Italiana), politica e mass-media evitino di chiamarlo «fantasiosamente» in causa, costringendolo a smentire le fake news sul Quirinale, come la notizia di una sua ricandidatura:

Nel “giornalismo affiora, talvolta, l’assioma che un’affermazione non smentita va intesa come confermata”. “Ad esempio, vista la diffusa abitudine di trincerarsi fantasiosamente dietro il Quirinale quando si vuole opporre un rifiuto o di evocarlo quando si avanza qualche richiesta, il Presidente della Repubblica sarebbe costretto a un esercizio davvero arduo e preminente: smentire tutte le fake news, fabbricate, sovente, con esercizi particolarmente acrobatici. Faccio appello, dunque, alla professionalità dei giornalisti e alla loro etica professionale“.

Gaia Cautela

Cyber spionaggio globale: un’inchiesta svela come i governi di tutto il mondo sorvegliano giornalisti, politici e dissidenti

Fonte: Huffington Post

Un’inchiesta giornalistica internazionale condotta da 17 grandi giornali – fra cui Washington Post (Stati Uniti), Guardian (Gran Bretagna) e Le Monde (Francia) – ha rivelato migliaia di spionaggi illegali di cellulari ai danni di giornalisti, attivisti, dirigenti d’azienda e oppositori politici in tutto il mondo.

Le rilevazioni sarebbero state effettuate mediante il software Pegasus di NSO, un’azienda israeliana in grado di vendere legittimamente a istituzioni internazionali riconosciute e governi (anche autoritari) sistemi per spiare le attività sugli smartphone di terroristi e altri criminali, tuttavia finendo col minare la privacy di soggetti che non rientravano nemmeno in indagini di polizia. Tra i Paesi che hanno fatto ricorso al software figurano l’Ungheria, Azerbaijan, Bahrain, India, Kazakistan, Messico, Marocco, Ruanda, Emirati Arabi. La società israeliana respinge le accuse.

L’inchiesta e i dati raccolti

L’inchiesta – soprannominata ‘’Pegasus Project’’ – è stata condotta grazie ad una collaborazione tra Amnesty International, un’organizzazione per la tutela dei diritti umani e Forbidden Stories, un’iniziativa giornalistica senza scopo di lucro con sede a Parigi.

Nei mesi scorsi le due organizzazioni sono infatti entrate in possesso di una lista di 50 mila numeri di telefono, individuati in paesi “noti per impegnarsi nella sorveglianza dei cittadini e noti anche per essere stati clienti dell’azienda israeliana NSO Group”, scrive il Washington Post.

I dati finora raccolti dagli esperti di sicurezza informatica del ‘’Security Lab’’ di Amnesty International hanno consentito di risalire a 67 smartphone sui quali fu tentata l’installazione dei sistemi di sorveglianza (spyware) di NSO. Si ritiene che gli attacchi siano andati a buon fine in 23 casi, mentre in altri 14 sono state trovate prove sul tentato inserimento di spyware. Per quel che riguarda i restanti 30 smartphone, invece, i test del laboratorio non hanno consentito di ottenere risultati affidabili, in parte perché, rispetto alla lista risalente al 2016, i dispositivi sono stati sostituiti nel corso degli anni.

Che cos’è il software Pegasus

Pegasus è un software militare le cui prime versioni furono sviluppate già diverse decine di anni fa da alcuni ex componenti dei sistemi di intelligence israeliani, attirando presto l’attenzione dei servizi segreti di vari paesi, interessati allo spionaggio di criminali e terroristi che tale sistema di spyware avrebbe consentito. Si tratta infatti di un malware in grado di infettare IPhone e smartphone Android, aggirando facilmente le difese e lasciando pochissime tracce degli attacchi.

Fonte: Il Post

Pegasus permette a chi lo usa di insinuarsi estraendo foto, registrazioni, e-mail, messaggi, dati relativi alla localizzazione, telefonate, password, post pubblicati sui social. Come se non bastasse, a rendere ulteriormente pericoloso e potenzialmente dannoso il programma è anche la possibilità di attivare telecamera e microfono degli smartphone, consentendo così anche rilevazioni ambientali.

Tale invasività spiegherebbe dunque il motivo per cui le attività di NSO e le capacità di Pegasus erano già state, negli anni scorsi, al centro di diverse altre inchieste giornalistiche, svelando come tali sistemi siano stati spesso utilizzati per scopi ben diversi dallo spionaggio contro il terrorismo e la criminalità.

La lista degli spiati

L’inchiesta ha permesso finora di risalire tramite i numeri di telefono presenti nella lista a un migliaio di persone in 50 paesi diversi: ad essere vittime di spionaggio 65 dirigenti di azienda, 85 attivisti per i diritti umani, 189 giornalisti e oltre 600 politici e funzionari governativi. Tra i giornalisti, nomi riconducibili ad alcune delle più grandi testate al mondo come New York Times, Wall Street Journal, Bloomberg News, Financial Times, Al Jazeera, CNN e Associated Press.

Nella lista figurerebbero tra l’altro anche i numeri di primi ministri e capi di stato, oltre che quelli di alcuni membri della famiglia reale saudita. Questi ultimi, in particolare, comparirebbero nell’elenco insieme ad altri 37 soggetti legati a titolo diverso all’omicidio del giornalista saudita del Washington Post Jamal Khashoggi, il quale condusse inchieste e scrisse editoriali molto duri nei confronti della stessa famiglia reale.

Al momento non si hanno molte informazioni circa la provenienza della lista (per tutelarne le fonti), né sono chiare le ragioni specifiche per cui tali soggetti siano stati spiati.

L’Ungheria nega le presunte attività di spionaggio

Stringendo lo sguardo all’Europa, dalle indagini emerge che il governo ungherese di Viktor Orbán potrebbe aver utilizzato la tecnologia di NSO nell’ambito della sua ‘’guerra ai media’’, prendendo di mira diversi giornalisti investigativi nel proprio Paese.

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Fonte: il Fatto Quotidiano

Ma la replica al Washington Post da parte dello staff del presidente è secca:

“In Ungheria gli organi statali autorizzati all’uso di strumenti sotto copertura sono monitorati regolarmente dalle istituzioni governative e non governative. Avete fatto la stessa domanda ai governi degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Germania o della Francia?”.

L’intervento di Ursula von der Leyen

Durante una conferenza stampa a Praga, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen interviene con un commento sulla vicenda di spionaggio e l’uso improprio che sarebbe stato fatto del software Pegasus da alcuni Paesi, inclusa l’Ungheria:

“Deve essere verificato, ma se è così è completamente inaccettabile. Sarebbe contro qualsiasi regola: la libertà della stampa è uno dei valori fondamentali dell’Ue. Sarebbe assolutamente inaccettabile se fosse così”, ha detto.

Ursula von der Leyen. Fonte: La Repubblica

L’azienda israeliana respinge le accuse

La compagnia NSO «smentisce in pieno le accuse mosse nei suoi confronti» – si legge nel WP – giudicando come esagerati e privi di fondamento i risultati dell’inchiesta, e sottolineando che una volta consegnati i software ai clienti che ne fanno richiesta NSO ha un limitato controllo su scopi e modalità di utilizzo.

La società ha negato ogni coinvolgimento in attività contro Khashoggi e ha aggiunto che “continuerà a indagare” sulla base di tutte “le segnalazioni credibili di abuso” di Pegasus e “adotterà le azioni appropriate sulla base dei risultati di tali indagini“. Tali azioni comprendono anche “la chiusura del sistema di clienti” che abbiano agito in modo scorretto: NSO ha dimostrato di avere la capacità e la volontà di farlo, lo ha fatto più volte in passato e non esiterà a farlo ancora se una situazione lo richiede, la posizione dell’azienda riportata dal WP.

Gaia Cautela

In Francia è boom di prenotazioni per il vaccino dopo l’annuncio delle restrizioni per i non vaccinati: quasi un milione in poche ore

In Francia è subito corsa al vaccino: dopo il discorso in diretta tv, a reti unificate di Macron, quasi un milione di persone ha prenotato un appuntamento per vaccinarsi contro il coronavirus, nella notte fra lunedì e martedì.

Fonte: Il Messaggero

Nel messaggio di lunedì sera, rivolto alla nazione, il presidente francese ha infatti annunciato nuove restrizioni ai movimenti che riguarderanno soprattutto le persone non vaccinate, estendendo, a partire dal 21 luglio il green pass per accedere a luoghi pubblici, come ristoranti, centri commerciali, caffè e trasporti, e introducendo l’obbligo vaccinale per il personale sanitario. La decisione della Francia ha fatto nascere un dibattito sul tema in diversi Paesi, tra cui l’Italia e la Germania.

Green Pass e obbligo vaccinale

Da mercoledì 21 luglio, l’ingresso in diversi luoghi pubblici e privati come bar, musei, ristoranti e centri commerciali, sarà consentito esclusivamente a coloro che possiedono un certificato ‘’COVID-19’’, vale a dire a tutte quelle persone che saranno completamente vaccinate o risultate negative al virus tramite tampone antigenico o molecolare.
Macron ha spiegato che le misure restrittive si sono rese necessarie in seguito alla progressiva diffusione della variante Delta nel Paese:

“Al momento in cui vi parlo”, c’è una “forte ripresa” dell’epidemia legata al coronavirus che riguarda “tutte le nostre regioni”, ha spiegato il capo dell’Eliseo nel tanto atteso annuncio nazionale. ‘’Quando la scienza ci offre i mezzi per proteggerci, dobbiamo usarli con fiducia nella ragione e nel progresso’’, ha continuato, ‘’dobbiamo muoverci verso la vaccinazione di tutti i francesi, perché è l’unico modo per tornare alla vita normale’’.

Il discorso di Macron in diretta. Fonte: ANSA.it

La linea della Francia risulta essere molto chiara anche in merito al personale sanitario: il ministro della Salute francese, Olivier Véran, ha spiegato che chi non si sarà completamente vaccinato entro il 15 settembre non potrà più lavorare né verrà pagato. “Non è un ricatto”, ma una misura necessaria per evitare di “chiudere il Paese”, ha detto il ministro a Bfm-Tv.

La Francia è scettica sulle vaccinazioni

Nonostante l’indiscusso pericolo della sua contagiosità, la variante Delta non è l’unica ragione che motiverebbe la mossa di Macron, dal momento che quest’ultima ben si coniugherebbe con il basso tasso di persone vaccinate, inferiore a molti altri Paesi. La Francia sarebbe infatti considerata uno dei Paesi più scettici al mondo circa l’efficacia dei vaccini.

Una stima del ministero della Salute citata dal quotidiano francese Le Monde indica che al momento sono stati completamente vaccinati 27,3 milioni di francesi, quindi circa il 40% della popolazione complessiva; mentre il 53% ha ricevuto una singola dose del vaccino.
Dati decisamente migliori rispetto a quelli francesi sono riscontrabili in Germania, Spagna, Belgio ed anche in Italia, dove ad essere state completamente vaccinate sono il 45,01% delle persone e circa il 60% ad aver ricevuto almeno una dose.

Il boom di prenotazioni su Doctolib

Nonostante il forte scetticismo, il cosiddetto ‘’effetto Macron’’ ha sortito gli effetti sperati: dopo l’annuncio del presidente sono state registrate circa 20mila prenotazioni al minuto, tanto che Doctolib, la principale piattaforma per la prenotazione degli appuntamenti in autonomia, è andata ad un certo punto offline.

È stato il giorno in cui la Francia ha toccato il record assoluto di richieste di vaccinazioni dall’inizio della campagna, con un totale di 926 mila persone che si sono prenotate in quelle ore per il vaccino anti-Covid, di cui il 65% sotto i 35 anni, giovani che hanno positivamente accolto l’appello presidenziale con il timore di essere tagliati fuori dalla vita sociale.

La curva delle prenotazioni dei vaccini in Francia. Fonte: Huffpost

Secondo il capo di Doctolib, il numero di appuntamenti presi l’altro ieri sono:

“il doppio della giornata record dell′11 maggio e 5 volte in più rispetto a lunedì scorso. Abbiamo registrato sette milioni di connessioni in qualche minuto durante il discorso del presidente”. Il trend “proseguito durante la notte e che continua stamani. Ci sono ancora 100.000 appuntamenti disponibili questa mattina, in particolare, in alcuni grandi centri” della Francia. Per lui, “si crescerà presto a quattro, cinque milioni di iniezioni a settimana”. “In media – ha concluso – ci sono undici giorni tra la prenotazione e l’appuntamento, in questo modo, i francesi che hanno preso appuntamento ieri saranno integralmente vaccinati entro metà agosto o fine agosto”.

Le posizioni di Ue e Germania

Anche l’Ue è intervenuta sul tema obbligo vaccinale, la quale ha ribadito tramite portavoce:

le campagne vaccinali sono competenze nazionali, quindi se siano obbligatorie o meno è una decisione che spetta agli Stati membri”, ricordando in ogni caso l’importanza della vaccinazione come “via d’uscita dalla pandemia” e l’obiettivo dell’immunizzazione del “70% degli adulti”.

Per quel che riguarda invece la Germania, la cancelliera Angela Merkel ha ribadito di non stare programmando la resa obbligatoria della vaccinazione anti-Covid:

Non abbiamo intenzione di procedere sulla strada proposta dalla Francia. Abbiamo detto che non ci sarà un obbligo di vaccino”. La cancelliera ha poi però sottolineato che esiste la possibilità che vi siano nuove mutazioni anche più pericolose, ”già contro la variante Delta l’efficacia dei vaccini è un po’ più bassa”. Bisogna ”continuare a osservare la situazione” anche a livello globale – ha concluso- ricordando che ”finora le varianti sono arrivate in Germania da altri Paesi del mondo”.

Il ”modello Macron”: si accende il dibattito anche in Italia

Le strette francesi contro la variante hanno fatto accendere un dibattito tra favorevoli e contrari anche in Italia. Il modello Macron piace al commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, generale Francesco Paolo Figliuolo, mentre incontra la forte opposizione del leader leghista Matteo Salvini.

Concordo con Macron sul fatto che la vaccinazione è una delle chiavi per il ritorno alla normalità. Per convincere gli ultimi irriducibili utilizzare il green pass per questo tipo di eventi potrebbe essere una buona soluzione. Potrebbe essere anche una spinta per la vaccinazione”, ha spiegato Figliuolo lunedì al Tg2 Post su RaiDue.

Il generale Figliuolo. Fonte: YouTG.NET

Continua poi dicendo:

“Dobbiamo raggiungere l’80% della popolazione vaccinata per la fine di settembre”, sottolineando “una serie di iniziative, pensiamo alle notte magiche, agli open day, open night, per avere vaccino senza prenotazioni”. “Siamo a 58 milioni di inoculazioni, intorno al 45% della popolazione – ha evidenziato – lo ritengo un dato importante, chiaramente non basta. Dobbiamo intercettare i cosiddetti indecisi, a livello europeo li chiamano esitanti“.

Gaia Cautela

Dalle prossime Politiche, i 18enni potranno votare per eleggere i senatori: arriva l’ok definitivo alla riforma

Fonte: Open

Scende da 25 a 18 anni l’età minima per partecipare al voto per l’elezione dei membri del Senato: a Palazzo Madama è stata approvata ieri, giovedì 8 luglio, la riforma costituzionale che attribuisce il voto ai 18enni, così soppiattando il vecchio vincolo stabilito dall’articolo 58 della Costituzione, che riservava questo diritto soltanto alle persone con più di 25 anni di età.

A partire dalle prossime elezioni politiche saranno, dunque, 4 milioni i giovani elettori che potranno votare anche per eleggere i senatori, oltre che per i rappresentanti della Camera.
Saltata, invece, l’ipotesi di abbassare l’età per essere eletti senatori, cosicché resta invariata la regola per la quale è richiesta un’età minima di 40 anni per essere candidati ed eventualmente eletti.

Prevista la modifica della Costituzione

Al primo comma dell’articolo 58 della Costituzione, le parole “dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età” sono soppresse.

E’ con questo breve testo che viene modificato l’articolo 58.

Il provvedimento per la modifica è stato approvato con 178 voti favorevoli, 15 contrari e 30 astensioni. Si è trattata della quarta lettura del provvedimento, conforme con le due precedenti della Camera, del 31 luglio 2019 e 9 giugno 2021, e con la prima del Senato del 9 settembre 2020.

L’entrata in vigore del provvedimento

Dal momento che il disegno di legge non aveva ottenuto il quorum di due terzi nella seconda votazione alla Camera, bisognerà attendere tre mesi prima dell’entrata in vigore, in modo tale da lasciare spazio ad un eventuale referendum confermativo.

In base all’articolo 138 della Costituzione, il referendum potrà essere richiesto da un quinto dei membri di una Camera o 500mila elettori o 5 consigli regionali. Nel caso in cui tale richiesta non verrà avanzata, la riforma entrerà comunque in vigore una volta trascorso l’arco di tempo stabilito.

Tutto è cominciato da una polemica in Commissione

A detta di Giuseppe Brescia del M5S, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera e primo firmatario della proposta di legge costituzionale per il voto ai 18enni al Senato, tutto è nato da una polemica del 2019 con il Partito Democratico (Pd) – che ai tempi si trovava all’opposizione – sul taglio del numero dei parlamentari.

Giuseppe Brescia. Fonte: il Manifesto

Quando allora si discusse in prima lettura il testo sulla riduzione dei parlamentari, si riuscì infatti a trasformare gli scontri in azione costruttiva, concordando la presentazione di proposte di legge da affrontare separatamente in tempi veloci e con un doppio relatore, uno di maggioranza ed uno di opposizione al Governo, superando così quella linea di frattura impeditiva maggioranza-opposizione.

Le opinioni politiche a favore

L’approvazione della riforma ha immediatamente suscitato le varie reazioni politiche: il relatore Dario Parrini, presidente della Commissione degli Affari costituzionali del Senato, ha dichiarato che con la riforma le due Camere avranno la stessa base elettorale e, quindi, le stesse maggioranze politiche.

Il ministro M5s per i Rapporti con il Parlamento, Federico d’Incà, ha  commentato su Facebook che in questo modo si «favorisce la partecipazione delle nuove generazioni alla vita politica». Ha poi continuato scrivendo:

«Il voto di oggi testimonia anche che il metodo delle riforme puntuali, che ha già portato alla riduzione del numero dei parlamentari lo scorso settembre, non solo è efficace ma è anche utile ad approvare le riforme necessarie con larga maggioranza, come testimonia il voto di oggi del Senato».

Fonte: Cosmopolitan

Un commento è arrivato anche dalla Senatrice del Partito democratico, Valeria Fedeli:

«Con il via libera definitivo al ddl costituzionale che abbassare da 25 a 18 anni l’età dell’elettorato attivo per il Senato si compie un’importante passo, atteso da anni: finalmente le ragazze e i ragazzi che diventano maggiorenni saranno pienamente e attivamente coinvolti, attraverso il diritto di voto anche per il Senato, nella partecipazione alla vita democratica del nostro Paese».

L’astensione di Forza Italia

Su una linea opposta si trova invece Forza Italia che si è astenuta dal voto, come annunciato dal vicepresidente vicario dei senatori Lucio Malan:

«Forza Italia non si assocerà al coro pressoché unanime in favore di questa riforma. Noi abbiamo grande rispetto per i giovani ma anche per la serietà e i giovani non ci chiedono di votare per il Senato, chiedono invece serietà, più opportunità e meglio di altri respingono la politica dei like, di cui questa riforma è chiara espressione».

Il senatore, quindi, ha proseguito:

«Vorrei evidenziare che dopo la riduzione dei parlamentari, che noi abbiamo contrastato, bisognava porre subito mano ad una serie di riforme per far fronte agli squilibri che quella sbagliata riforma produrrà dalla prossima legislatura. Fu Zingaretti, allora segretario del Pd, tra i primi a dire che si sarebbe subito passati agli atti conseguenti. Nulla, non è accaduto nulla, se non questa legge che di fatto peggiora le cose».

Le parole del vicepresidente Malan troverebbero giustificazione in un’attenta analisi dei numeri della rappresentanza politica in seguito al taglio dei parlamentari, approvato con il referendum costituzionale del 20 e 21 settembre 2020: se con la riduzione del numero di parlamentari avremo un senatore ogni 233 mila elettori, con il voto ai 18enni il numero salirà ancor di più, arrivando a 260 mila e rendendo la proporzione meno favorevole. In questo modo, i giovani avranno molto meno potere nella scelta dei loro rappresentanti.

Gaia Cautela

Turismo in allarme: mancano migliaia di lavoratori stagionali

Nel vivo della stagione turistica, sono molti gli imprenditori del turismo che, nelle ultime settimane, si sono lamentati della mancanza dei lavoratori stagionali, come baristi, camerieri, cuochi, addetti alle pulizie, bagnini.

Gli imprenditori in allarme

L’allarme corre un po’ per tutta la penisola. Come riportato dal quotidiano La Repubblica, il presidente pugliese e vicepresidente nazionale di Federalberghi Francesco Caizzi ha affermato: “Nel settore alberghiero pugliese mancano almeno seimila persone, ossia il trenta per cento del fabbisogno totale che è di circa 25mila lavoratori”.

Lo stesso Emanuele Frongia, presidente di Confcommercio Sud Sardegna, ha espresso la sua preoccupazione per la mancanza, in Sardegna, di diverse migliaia di persone fra lavapiatti, addetti di sala e alla reception, camerieri, sommelier.

Difficoltà anche in Toscana, come emerge dalle parole di Stefano Gazzoli, presidente dei balneari della Toscana di Confesercenti: “Nelle chat degli operatori toscani c’è una ricerca frenetica, specie per i lavoratori dei servizi accessori di bar e cucina”.

La situazione è difficile anche in Emilia-Romagna dove mancano, secondo l’associazione Albergatori di Rimini e Confcommercio, 7mila lavoratori stagionali, 5mila nel settore ricettivo, balneare e negli alberghi, 2mila nella ristorazione.

Colpa del reddito di cittadinanza?

Tutto questo sembra essere un paradosso se si pensa all‘aumento di disoccupati registrato dall’ Istat: molti non hanno un lavoro, eppure mancano i lavoratori.

Massimo Gravaglia – Fonte: www.initalianews.it

La ragione maggiormente plausibile per spiegare questa situazione è che sembrerebbe che gli italiani preferiscano percepire il reddito di cittadinanza, piuttosto che finire in balia del mondo del lavoro italiano, da sempre e ora ancor più problematico. A puntare il dito contro gli aiuti erogati da parte dello Stato è lo stesso ministro del Turismo, Massimo Garavaglia:

uno dei temi è certamente il reddito di cittadinanza, su cui si deve intervenire. Perché un intervento dello Stato deve essere temporaneo, se si dà l’idea che sia strutturale distorce il mercato“.

La pensano allo stesso modo gran parte degli imprenditori:

molti stagionali godono del reddito di cittadinanza o di altri sistemi di sostegno legati al Covid: legittimo, ma c’è una gran fetta di persone che accontentandosi di questa situazione non si dedica più al lavoro stagionale“, ha affermato Stefano Gazzoli.

Però, non si può semplicisticamente accettare questa spiegazione. Infatti, se il reddito di cittadinanza, che in media ha un valore mensile inferiore ai 500 euro al mese, può entrare in competizione con uno stipendio reale, è perché, evidentemente, lo stipendio proposto ai lavoratori di questo settore è inadeguato rispetto alle ore e alle condizioni di lavoro.

Il vero problema è che nel turismo vengono offerti posti di lavoro di scarsissima qualità, con salari da fame“, ha detto  Christian Ferrari, segretario regionale della Cgil in Veneto.

Le inchieste del Fatto Quotidiano

Le inchieste realizzate dal Fatto Quotidiano, che ha provato a fare colloqui con albergatori e titolari di stabilimenti balneari della Riviera Romagnola, riprendendoli con telecamera nascosta, mostrano perfettamente le assurde condizioni di lavoro offerte nel settore del turismo.

Sette giorni su sette senza alcun giorno di pausa nei tre mesi estivi e “se uno non è abituato a questi ritmi, si deve abituare”, dice il gestore di un hotel. Lo stipendio? 1500 euro al mese, ovvero 4 euro l’ora. C’è poi il gestore di un lido che cerca un addetto spiaggia anche senza brevetto da bagnino, disposto a svolgere diverse mansioni: mettere a posto le sdraio, richiudere gli ombrelloni, pulire la spiaggia. Il tutto sotto il sole dell’estate romagnola, dalle sette del mattino fino alla sera alle ventidue, con due ore di pausa al pomeriggio. “E se sto male?” chiede il presunto dipendente, “ma nel caso uno viene al lavoro lo stesso, ti metti nella casetta a riposare sperando che ti ripigli”, risponde l’imprenditore. Per 11 ore di lavoro al giorno la paga è di 1300 euro al mese. “Ma sulla busta paga ti segniamo sei ore e quaranta al giorno, anche se tu poi ne farai di più”, specifica il titolare.

Dopo le assurde offerte di lavoro, alcuni imprenditori spiegano, addirittura, come comportarsi nel caso di controlli:

se viene un controllo, devi dire che fai sei ore e quaranta e che hai il giorno libero. Sai che devi fare il giorno libero, ma che non sai quando lo farai perché cambia sempre in base ai turni. Questo è quello che devi dire, ma poi la realtà è un’altra. Lo sappiamo noi, ma la sanno anche loro“.

Non solo reddito di cittadinanza e pessime condizioni lavorative

In realtà, la questione è complessa e non può essere ricondotta ad un’unica ragione. Sicuramente i ridicoli contratti di lavoro offerti nel settore influiscono. Sicuramente influiscono anche i sussidi offerti dallo Stato, non solo il reddito di cittadinanza, ma anche il reddito di emergenza, i bonus concessi alle categorie interessate dagli effetti dell’epidemia, tra cui gli stagionali. Da considerare anche  il sussidio di disoccupazione, per accedere al quale sono cambiate le regole da marzo 2021: non è più necessario aver lavorato almeno trenta giornate nell’anno precedente e allo stesso tempo è stata sospesa la riduzione del 3% mensile del sussidio dopo il quarto mese dalla prima erogazione.

Ci sono anche altre motivazioni, più strettamente legate al Covid. A causa delle chiusure, delle incertezze sulle date e sulle modalità di riapertura, i titolari si sono trovati impreparati e si sono occupati delle assunzioni all’ultimo minuto: “La cautela dei titolari delle attività  non ha permesso la programmazione delle assunzioni che sono arrivate all’ultimo minuto in attesa di sicurezze su una ripartenza vera. Questo ovviamente richiede di trovare personale già formato, una persona non può imparare questo lavoro in 15 giorni”, ha spiegato Carlo Scrivano, il direttore dell’Unione Provinciale Albergatori di Savona.

C’è anche da considerare che, quest’anno, la stagione è partita più tardi ed è dunque più breve: alcuni dipendenti probabilmente hanno preferito attività con tempi di assunzione più lunghi piuttosto che 70 giorni di lavoro. “Ovvio che lavorare per 3 mesi o 6 è diverso che lavorarne poco più che due”, ha dichiarato sempre Scrivano.

La pandemia può aver influito sui lavori di stagione anche in altri modi:  probabilmente alcune persone, per preoccupazioni sanitarie, hanno evitato di scegliere lavori che prevedono un costante contatto col pubblico. Si pensi, poi, che una parte dei lavoratori stagionali sono studenti universitari fuorisede, che in molti casi nell’ultimo anno non hanno vissuto nelle città dei loro atenei, dove pagavano un affitto lavorando per esempio nei bar o nei ristoranti.

Chiara Vita

Corte Suprema messicana: il consumo di marijuana sarà depenalizzato

Lunedì 28 giugno la Corte Suprema messicana ha ufficialmente depenalizzato il consumo di marijuana a scopo ricreativo. La decisione è arrivata dopo che otto degli undici membri del tribunale hanno giudicato incostituzionale una serie di articoli della legge messicana sulla marijuana che ne vietavano in precedenza il consumo.

Fonte: Il Primato Nazionale

La sentenza della Corte rappresenta un importante passo in avanti nella lotta al vasto impero del narcotraffico in territorio messicano, tanto che il presidente della Corte Arturo Zaldivar ha definito quella di ieri «una giornata storica per la libertà».

La Corte Suprema non mette fine al dibattito politico

Già da mesi si era aperto in Messico un ampio dibattito politico sul tema marijuana, dopo che una più ampia legge sulla depenalizzazione della vendita e del consumo della sostanza era rimasta bloccata in Senato: il 10 marzo la Camera dei Deputati aveva approvato il disegno di legge, allora in attesa di votazione al Senato, la quale maggioranza aveva tuttavia manifestato l’intenzione di rinviare la discussione finale a settembre. Questo perché la legge emanata dalla Camera dei Deputati ‘’conteneva incongruenze’’, come dichiarato dal coordinatore parlamentare del partito Morena al potere.

Diverse organizzazioni civili e studiosi hanno fatto notare che la decisione della Corte Suprema, seppur plaudita, non chiuderà definitivamente il dibattito, dal momento che la sentenza autorizza solamente alla coltivazione e al consumo di piccole quantità, senza dire niente in merito al possesso e al trasporto della marijuana.

“La decisione [della Corte Suprema] non pregiudica il quadro della giustizia penale e lascia un vuoto giuridico per quanto riguarda il consumo, la coltivazione e la distribuzione della cannabis”, ha dichiarato su Twitter l’ong (organizzazione non governativa) Mexico United Against Crime.

Anche Jorge Hernandez Tinajero – attivista per la regolamentazione della cannabis in Messico dagli anni ’90 – si esprime a riguardo, criticando l’incapacità dei legislatori nel ‘’regolare realtà’’ come il possesso e la commercializzazione della marijuana.

La sentenza del più alto organo legale del Paese farebbe dunque del Messico il paese più popolato al mondo a legalizzare il commercio e l’uso a scopo ricreativo della marijuana (fino a 28 grammi consentiti anziché i 5 attuali, secondo il testo di legge), solo se opportunamente integrata da una riforma come quella approvata dalla Camera bassa del Parlamento messicano lo scorso marzo – ha fatto notare il New York Times.

I cartelli della droga e la repressione dell’esercito messicano

Il principale motivo per cui quello della marijuana viene considerato uno dei maggiori temi caldi in Messico è legato alle implicazioni dei potentissimi cartelli della droga nella spirale di violenza nella quale è precipitato il Paese dal 2006, anno in cui era stata lanciata una controversa operazione militare antidroga dall’allora governo federale con a capo il presidente Felipe Calderon.

Secondo un’analisi condotta nel 2020 dall’Agenzia del Congresso degli Stati Uniti per le ricerche, la guerra dell’esercito messicano contro i cartelli della droga ha causato circa 150 mila morti dall’anno in cui ha avuto inizio la repressione e circa 72 mila messicani scomparsi. Cosicché nel 2020 sono ben 35.484 gli omicidi che è stato possibile ricondurre ai cartelli della droga.

Guerra messicana della droga. Fonte: Wikipedia

Un percorso di legalizzazione senza precedenti

Il potenziale della legalizzazione della cannabis contro lo strapotere dei narcos (narcotrafficanti dell’America latina) è dimostrato dal calo fino al 30% degli introiti dei cartelli messicani – secondo quanto stimato dalla Rand Corporation – così come anche dalla diminuzione di sequestri di marijuana al confine tra Messico e Stati Uniti, in seguito alla graduale autorizzazione negli ultimi decenni del commercio e dell’uso della canapa, anche a scopo ricreativo, in 15 Stati degli Stati Uniti.

Fonte: BBC

Il percorso nella legalizzazione delle droghe leggere in Messico rappresenta un precedente nel mondo anche grazie ad un inedito a livello costituzionale: una sentenza della Corte Suprema del 2015, confermata nel 2018, ha accolto il ricorso sul “diritto al libero sviluppo della personalità in base alla dottrina costituzionale” della Sociedad Mexicana de Autoconsumo Responsable y Tolerante. In tal modo, i giudici messicani hanno riconosciuto il diritto fondamentale alla libertà personale nell’uso della cannabis come primaria argomentazione rispetto al dibattito sulla salute pubblica e sulle ripercussioni sociali del divieto.

Effetti della stretta sulla droga in Italia

Le reti del traffico di droga vanno ben oltre l’America Latina, con un potere e un mercato delle mafie esteso pressoché in tutto il mondo e con importanti ripercussioni sullo sviluppo delle società e delle loro economie legali.

In Italia, ad esempio, gli affari delle mafie si intrecciano con quelli dei narcos che, contrariamente a tutti i buoni propositi che si intenderebbe promuovere con la stretta sulla droga, finiscono invece con l’essere sempre più rafforzati da quest’ultima.

Emblematico a riguardo, l’applicazione della legge Fini-Giovanardi con la quale, tra il 2006 e il 2014, era stata abolita la distinzione tra droghe leggere e pesanti, provocando un aumento di carcerati tossicodipendenti e di spacciatori che vendevano in strada eroina e droghe sintetiche. Motivo per cui il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho avrebbe in più occasioni dichiarato che la legalizzazione delle droghe leggere “sottrarrebbe terreno al traffico internazionale” permettendo alla magistratura italiana di “concentrarsi sul livello alto delle organizzazioni criminali”.

Gaia Cautela

Processo Floyd: condannato a 22 anni e mezzo di carcere l’ex agente Chauvin. Biden: «Sentenza appropriata»

Condannato a 22 anni e mezzo di carcere Derek Chauvin, l’ex agente di polizia 45enne ritenuto responsabile dell’uccisione dell’afroamericano George Floyd, durante l’arresto, il 25 maggio del 2020 , a Minneapolis, in Minnesota. L’avvenimento provocò l’esplosione su scala globale del movimento antirazzista “Black Lives Matter’’.

Fonte: Huffington Post

La decisione è arrivata dopo che lo scorso 20 aprile, Chauvin era stato ritenuto colpevole dalla giuria popolare per tutti e tre i capi di accusa: «omicidio di 2° grado», cioè colposo, ma con il presupposto di un’aggressione o un assalto contro la persona; «omicidio di 3° grado», per condotta pericolosa e negligente; «omicidio preterintenzionale». Il giudice aveva allora annunciato 8 settimane di attesa per stabilire la pena.

La sentenza del giudice

«Sono solidale con il dolore della famiglia Floyd, ma la mia decisione non si basa sulle emozioni e non intende mandare un messaggio di tipo politico»,

precisa il giudice Peter Cahill in un’insolita premessa alla lettura della sentenza e spiegando inoltre che alla decisione è allegato un memorandum di 22 pagine con le motivazioni.

L’ex agente Derek Chavin. Fonte: Il Fatto Quotidiano

Cahill ha richiamato le linee guida del codice penale del Minnesota, per le quali sono previsti tra i 12 e i 15 anni di reclusione per l’omicidio di secondo grado, il reato più grave (le pene non sono cumulabili). Il magistrato ha poi aggiunto il carico di quattro aggravanti, tra le quali l’«abuso dell’autorità», arrivando al risultato finale di 22 anni e 6 mesi.

La sentenza del giudice della Contea di Hennepin ha incontrato la delusione dei parenti di Floyd e del mondo dell’attivismo per i diritti, in quanto l’accusa aveva chiesto 30 anni di carcere per Derek Chauvin.
Il pubblico ministero Matthew Frank spiega perché:

«Non è stato uno sparo momentaneo, un pugno in faccia. Sono stati 9 minuti di crudeltà verso un uomo che era impotente e stava solo implorando per la sua vita».

Gli interventi della famiglia Floyd e dell’imputato

Durante l’udienza di ieri non è mancato lo spazio agli interventi delle parti, prima che venisse comunicata la sentenza: sono stati ascoltati i cari di Floyd e lo stesso imputato Chauvin, che con voce tremante e palesemente scosso ha espresso le condoglianze alla famiglia Floyd.

Questo il commento rilasciato dalla sorella di George, Bridgett Floyd:

«La sentenza emessa oggi nei confronti dell’ufficiale di polizia di Minneapolis che ha ucciso mio fratello George Floyd mostra che le questioni relative alla brutalità della polizia vengono finalmente prese sul serio. Tuttavia, abbiamo una lunga strada da percorrere e molti cambiamenti da apportare prima che i neri si sentano finalmente trattati in modo equo e umano dalle forze dell’ordine in questo Paese».

Bridgett Floyd. Fonte: Audacy

Non ha avuto «nessun riguardo per la vita umana, per la vita di mia fratello», ha detto, invece, il fratello, Philonise Floyd, chiedendo al giudice di assicurarsi che Chauvin non possa uscire dal carcere prima di aver scontato tutta la sua pena.

Ma il momento più toccante è stato senz’altro quando Gianna, la figlia di 7 anni di George Floyd, è intervenuta tramite collegamento video con l’aula del tribunale: «Gli direi che mi manca e che gli voglio bene». A chi le chiedeva cosa farebbe se potesse vedere di nuovo suo padre ha risposto: «Voglio giocare con lui».

Il commento di Biden

Mentre stava parlando con i giornalisti alla Casa Bianca – in attesa dell’incontro con il presidente dell’Afghanistan – anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha espresso la sua opinione in merito alla condanna dell’ex poliziotto, dichiarando che «la sentenza sembra appropriata», pur comunque aggiungendo di non conoscere tutti i dettagli.

Un mondo unito in protesta

L’ingiustizia razziale è un problema mondiale (e non solo americano) che esiste da tempo, cosicché l’uccisione di Floyd ha rappresentato un solo sintomo di un problema più grande che sottende alle morti di tanti altri neri, dei quali gli ultimi minuti di vita non sono stati però ripresi da un video, a differenza di Floyd: dai 164 neri uccisi dalla polizia statunitense nei primi otto mesi del 2020 all’omicidio dell’infermiera di 26 anni Breonna Taylor, uccisa in casa il 13 marzo 2020 con un colpo d’arma da fuoco.

Fonte: Il Post

Nel Regno Unito le proteste hanno dilagato in tutto il Paese, con manifestazioni che hanno innalzato cartelli con i nomi di Joy Gardner, Sean Rigg o Mark Duggan, tutte vittime di razzismo. In Francia il movimento per la giustizia razziale trova espressione nel volto di Assa Traoré, il cui fratello è morto in circostanze simili a quelle di Floyd.

Vedere riconosciuta l’esistenza del razzismo e la possibilità di esprimere liberamente il proprio sostegno alla protesta – senza preoccuparsi di conseguenze quali la perdita di lavoro o la manipolazione – sono fonte di profondo sollievo per i neri: agli US Open di settembre la tennista nera giapponese Naomi Osaka ha indossato mascherine con stampati i nomi delle vittime della polizia. E come lei, tante altre celebrità si sono unite alle voci della protesta quali l’attore di Star Wars John Boyega e il quarterback di football americano Colin Kaepernick.
Ma la strada per lo smantellamento delle strutture oppressive e per il raggiungimento di una società scevra di ingiustizie e pregiudizi è ancora molto lunga.

Atteso il processo degli altri tre poliziotti coinvolti

La sentenza per Chauvin non chiuderà il caso Floyd, mancando ancora da processare gli altri tre ex agenti – Thomas Lane, J. Alexander Kueng e Tou Thao, incriminati per la morte di Floyd con l’accusa di averne facilitato l’omicidio. Lane e Kueng avevano infatti aiutato Chauvin a tenere Floyd a terra, mentre Thao aveva assistito senza far nulla per fermarli. Il loro processo dovrebbe iniziare ad agosto.

Gaia Cautela