“Concerti dell’Ateneo Messinese”: la 33° edizione

L’ateneo messinese è giunto alla trentatreesima edizione dello storico evento musicale: “I Concerti dell’Ateneo Messinese”. Quest’anno, per l’Ateneo, sarà un traguardo storico. Infatti, dall’anno della fondazione dell’Università, si è a ben 500 eventi. Un evento importantissimo e da sempre amato, se paragonato alla precarietà di molte altre iniziative. Con orgoglio la comunità messinese, invece, lo celebra ed è ancora molto affezionata a questo importante evento.

I concerti dell’Ateneo Messinese/ Gli spettacoli

L’Ateneo messinese, nel corso del programma, proporrà una serie di eventi di alto livello artistico organizzati in 12 appuntamenti affidati a musicisti di fama internazionale.

Dopo anni di forzate restrizioni, finalmente la città di Messina è pronta a riabbracciare lo storico evento che accompagna la città e la cittadinanza da oltre trent’anni. Infatti, oltre ai concerti che si svolgeranno nell’Aula Magna, si terranno, come di consueto, due eventi. Il primo di apertura e l’ultimo, di chiusura, presso l’Auditorium Polifunzionale del Polo Papardo.

Si tratterà rispettivamente di una serata dedicata alle Canzoni dei mitici Anni ’60 il 2 febbraio e di un Gran Galà della Lirica, con la partecipazione di affermati cantanti che calcano abitualmente i palcoscenici dei più importanti Teatri d’Opera nazionali ed esteri, il 4 maggio.

Inoltre, oltre a questi appuntamenti, ci saranno anche due concerti che vedranno, per la prima volta nelle nostre programmazioni, nonostante i tanti anni di attività, un coro Gospel, il 23 febbraio ed un gruppo di Ottoni il 30 marzo.  F

ra gli appuntamenti ci sarà, anche, un omaggio ad Ennio Morricone, condotto dall’attore Bruno Gambarotta il 2 marzo.

Ateneo messinese
Fonte: freepiks.com

La possibilità di ottenere CFU

Si ricorda a tutti gli studenti UniMe che si tratta di un’iniziativa che permetterà anche il riconoscimento dei Crediti Formativi Universitari extra. Sarà sufficiente assistere ai concerti, per poter ottenere,  fino a un massimo di 3 CFU. Si ricorda, inoltre, che tutti gli spettacoli avranno inizio alle ore 21 e sono completamente gratuiti.

Per ulteriori informazioni clicca qui

Di seguito il programma completo di tutta la stagione.

Alex Rozzato

Messina tra arte e indifferenza: la Palazzina Grill

Percorrendo la SS 114 verso l’Orientale Sicula, al confine tra la zona di Minissale e Contesse, possiamo ammirare la maestosa Palazzina Grill, ubicata a lato monte del grande giardino, prima zona di accesso all’immobile.

Il giovane rampollo Federico Grill

Un pezzo di storia ottocentesca, la Palazzina Grill  costruita dal giovane borghese Federico Grill nato a Augsburg di Baviera che negli anni della sua giovinezza decise di trasferirsi a Messina.

 

Messina a fine '800. Fonte: Pinterest
Bivio Corso Garibaldi e Porta Real Basso nella Messina di fine ‘800. Fonte: Pinterest

 

Catturato da così tanta magnificenza, che da sempre ha contraddistinto la nostra città ma che con il tempo è caduta nell’oblio della memoria cittadina, Federico Grill appena giunto in città viene accolto dal nobile ricco Giovanni Walser che lo nomina contabile e amministratore del suo patrimonio.

Alla morte di Walser, Federico scopre di essere l’erede universale di tutti i beni di appartenenza al Sir Walser.

Investito da una grande eredità, il giovane Grill inaugura una nuova stagione della propria vita; difatti in un primo momento si prodiga in affari economici e commerciali attenzionando i meno abbienti, per poi catapultarsi nell’arte ed eventi culturali messinesi.

L’origine del nome

Riconoscendo Messina città dalla grande capacità turistica, commerciale ed economica Federico Grill decide di intraprendere un inaspettato progetto architettonico, nasce così quella che fu battezzata Palazzina Grill, dal suo ideatore.

Eppure questo risulta essere un nome ingannevole per quella che fu tutto tranne che una Palazzina.

Costruita come rudere, impreziosito da facciate in stile barocco, pensata come dependance di un uomo nobile e adibita come un luogo di ritrovo, descritta dagli anziani della città come una Casa del tè, oggi approda nell’essere una grande pattumiera per i passanti dal poco senso civico.

 

L'elegante facciata. Fonte: GazzettadelSud
Dettaglio dell’elegante facciata di Palazzo Grill. Fonte: GazzettadelSud

 

Sopravvissuta al terremoto del 1908, che vide la distruzione di una grande percentuale del territorio messinese, la Palazzina Grill al suo esterno conserva lo stesso stile architettonico utilizzato da Falconieri per il Teatro Vittorio Emanuele e l’omonima fontana, mentre al suo interno troviamo ciò che rimane di preziose opere d’arte con le quali Grill impreziosì la sua tea house: dipinti scampati dalle mani vandaliche dei più feroci con l’obiettivo di depredare la città.

Tutto questo splendore, dopo la morte del nobile Grill, subisce un declino senza pari tanto che la stessa Palazzina finì con l’essere adattata come pollaio nel pieno centro cittadino.

Un disinteresse accentuato dalla funesta inciviltà di chi non sa valorizzare le bellezze del proprio territorio.

Messina ha bisogno di chi l’ama!

Ad un secolo e mezzo di distanza, troviamo affisso nella facciata della Palazzina Grill il cartello vendesi.

L’immobile si estende per 60 metri quadri su più livelli, un terrazzino  di 18 metri quadri e un giardino di 35 metri quadri nei quali possiamo ammirare una facciata barocca nelle sue eleganti decorazioni.

 

Stato di abbandono della Palazzina Grill. Fonte: GazzettadelSud

 

A nulla è servito il vincolo della Soprintendenza dei Beni culturali nel salvaguardare il gioiello ottocentesco ormai destinato ad essere una  discarica che si estende per tutta l’area esterna alla quale si aggiunge anche il devastamento e il saccheggio delle opere che costellavano l’interno; scomparse finestre e addirittura i prestigiosi dipinti di Giacomo Conti.

Un bene culturale, un opera architettonica, un gioiello ottocentesco ignorato dai cittadini e dimenticato anche dal suo erede in successione residente a Milano, ha confermato ancora una volta che non è necessario progettare nuove opere per risanare Messina, ciò che serve è avere un cuore che batte di passione per la propria città.

 

Elena Zappia

 

 

 

Fonti:

https://www.letteraemme.it/perche-i-luoghi-di-messina-si-chiamano-cosi-minissale/

https://www.tremedia.it/la-palazzina-grill-gioiello-ottocentesco-scampato-al-terremoto-trasformato-in-discarica-video/

https://www.immobiliare.it/annunci/74217170/

Il coraggio di un uomo che ha trasformato la sua casupola in un Museo: Giovanni Cammarata, il “Puparo”

La casa Cammarata, la casa del cavaliere o semplicemente la casa del puparo è quanto rimane della casa monumentale di Giovanni Cammarata, artista di strada anzi “artista di Maregrosso”, come piaceva presentare se stesso.

Ma partiamo dalle origini.

Biografia

Giovanni Cammarata, conosciuto come “il puparo”, nasce a Messina il 29 giugno del 1914 nel quartiere della Palmara vicino al Cimitero. Sin da giovanissimo si interessa all’arte monumentale che lo porta a frequentare botteghe di grandi artisti occupati nel realizzare sepolcri commemorativi e le cappelle colossali del cimitero di Messina; oggi considerato uno dei più importanti cimiteri monumentali d’Europa ricco di opere d’arte invidiate dal resto del mondo.

Giovanni Cammarata
Giovanni Cammarata. Fonte: outsiderartsicilia.it

Negli anni si forma dapprima come cementiere impegnato a ricostruire la Messina post terremoto del 1908 secondo i criteri urbanistici antisismici moderni, con l’obiettivo di ripristinare la città del passato ricca di opere architettoniche e decorative della tradizione. Grazie a questi anni di formazione Giovanni scopre e affina la sua conoscenza artistica che gli tornerà utile qualche anno dopo.

Soldati italiani al fronte durante la seconda guerra mondiale. Fonte: GoConqr. Ph. Robert Capua
Soldati italiani al fronte durante la seconda guerra mondiale. Fonte: GoConqr. Ph. Robert Capua.

 

Ben presto, negli anni ’30, dovrà salutare i maestri bottegai perché chiamato ad arruolarsi come volontario durante la seconda guerra mondiale. Da questa guerra l’Italia ne esce sconfitta e lo stesso Giovanni, nel 1944,  verrà arrestato dagli inglesi e deportato nel campo di concentramento a Gaza.

Cammarata, costretto a scontare la sua pena detentiva nelle carceri asiatiche, inganna il tempo con ciò che gli riesce meglio fare: dare vita ad una fredda materia prima.

E’ proprio grazie alla costruzione di un castello in argilla che riuscirà a sbalordire le guardie, ammaliare le autorità e così ottenere la scarcerazione.

Il ritorno in patria e all’arte

Finita la guerra Giovanni emigra in Argentina tentando la fortuna, ma presto, nel 1955 , torna a Messina.

Via delle Belle Arti n°20. Fonte: Lettera Emme
Via delle Belle Arti n°20. Fonte: Lettera Emme

Fa la conoscenza di una bella e giovane donzella, Paola, e la sposa. Insieme a Paola e i tre figli vanno a vivere in quella che d’ora in avanti sarà battezzata dallo stesso Giovanni, Via delle Belle Arti n°20.

In poco tempo la dimora di Giovanni e Paola, sita in Via delle Belle Arti, diverrà una vivente galleria d’arte, fatta di storia e passione conosciuta negli anni come la casa del puparo.

Museo Cattolico Giovanni Cammarata

Opere di Giovanni Cammarata. Fonte: Le Scalinate dell'Arte. Credits: Dall'Archivio Sovrintendenza per i BB.CC.AA. di Messina (1999)
Opere di Giovanni Cammarata. Fonte: Le Scalinate dell’Arte. Credits: Dall’Archivio Sovrintendenza per i BB.CC.AA. di Messina (1999)

All’interno della sua casetta, si trovavano sculture colorate e fiabesche, ciottoli e vetri che immortalano sulle facciate di casa mosaici colorati.

Murales di Giovanni Cammarata. Fonte: istituto euro arabo. Ph. Sergio Todesco
Murales di Giovanni Cammarata. Fonte: istituto euro arabo. Ph. Sergio Todesco

L’artista trasformò l’ingresso di casa con figure rappresentanti l’antico Egitto, imprese eroiche della mitologia,  protagonisti omerici e illustrazioni sacre, un vero e proprio “Museo Cattolico Giovanni Cammarata”– così il cavaliere ( in onore delle armi) aveva ribattezzato la sua casa- con l’intenzione di risanare, trasformare quell’aria invasa dai rifiuti e poco illuminata, in una meta per turisti e in un mondo magico per  i più piccoli.

Giovanni combatte per difendere ciò che ama

L'interno della casa del Puparo. Fonte: Le Scalinate dell'Arte. Credits: Dall'Archivio Sovrintendenza per i BB.CC.AA. di Messina (1999)
L’interno della casa del Puparo. Fonte: Le Scalinate dell’Arte. Credits: Dall’Archivio Sovrintendenza per i BB.CC.AA. di Messina (1999)

Il sogno nel cassetto di Giovanni era quello di trasmettere agli altri il suo patrimonio artistico, proprio come fecero con lui i maestri delle antiche botteghe messinesi, e così maturò l’idea di istituire una scuola d’arte per i giovani. Ma il sogno di Giovanni non fu mai realizzato.

Purtroppo, negli anni ’70 si assiste ad un primo intervento regionale di sbaraccamento e il Cavaliere Cammarata riceve un duro colpo. La casa del Puparo occupa il suolo abusivamente e  gli viene ordinato di sgomberare l’area in cui ha abitato per oltre cinquant’anni ma, il coraggioso Cavaliere Giovanni, il Puparo, non cede e si batte; addirittura più volte si frappose tra la ruspa e le sue sculture vive, zampillanti di veemenza, intensità di affetti e di passioni.

Nel 2000 l’antropologo Sergio Todesco invita la Soprintendenza di Messina ad effettuare un’esplorazione fotografica delle opere di Giovanni Cammarata – ancora oggi queste foto fanno il giro del mondo – ma il tentativo del Dott. Todesco non andò a buon fine.

Ricognizione Fotografica, il Puparo e il suo castello. Fonte: Fonte: istituto euro arabo. Ph. Sergio Todesco
Ricognizione Fotografica, il Puparo e il suo castello. Fonte: Fonte: istituto euro arabo. Ph. Sergio Todesco

Qualche anno dopo, ormai alla soglia dei 90 anni, esattamente nel 2002, l‘associazione Mamertini si presenta a Giovanni offrendogli una tutela artistica. Ma il Puparo non arriva in tempo a godersi alcun intervento di salvaguardia,  morirà lo stesso anno e assieme a lui anche il suo museo; la casa verrà distrutta per fare spazio a quello che poi sarà il parcheggio di un esteso supermercato.

Iniziative in onore del Cavalier Puparo Cammarata

L’inatteso finale dall’amaro in bocca, ci descrive una pagina di storia del Puparo che ha combattuto per la sua arte e che lo vide sconfitto come il giorno in cui, al fronte combattente per l’Italia, venne arrestato. Sarà poi presto rivendicata dai numerosi interventi ed iniziative promosse per tenere in vita il suo ricordo.

Nel 2007, grazie alle manifestazioni del Machine Works e al Commissario Straordinario del Comune di Messina Gaspare Sinatra, si avvia un provvedimento di tutela contro i vandali per ciò che rimane nel marciapiede della zona, come testimonianza prepotente di una volontà che voleva a tutti costi proteggere l’arte da chi non la ama.

Nel 2011 un collettivo composto da sociologi urbani, storici d’arte e architetti  incrementa l’opera di tutela, proseguito nel 2012 dal collettivo Zonacammarata con l’associazione Lalleru, dando avvio ad un’opera di ricerca e divulgazione tra i cittadini attraverso convegni, lezioni e libri; a tutto ciò ha contribuito anche la scelta di stabilire nella Galleria d’Arte Moderna di Messina, due dei tre esemplari di giganti elefanti gialli costruiti dal puparo e ritrovati da Pier Paolo Zampieri e Mosè Previti.

Elefantini Gialli. Fonte: Osservatorio Outsider Art
Elefantini Gialli. Fonte: Osservatorio Outsider Art

Nel 2015 prendono avvio i lavori di restaurazione e nel 2016, grazie ai finanziamenti dell’Università di Messina, Zonacammarata e dell’Associazione Lalleru, si inaugura una campagna di Street Art con la realizzazione di quattro murales di artisti nazionali.

Mostra “Io Cammarata Giovanni l’artista di Maregrosso” a cura di Mosè Previti e Pier Paolo Zampieri. Fonte: Mutualpass
Mostra “Io Cammarata Giovanni l’artista di Maregrosso” a cura di Mosè Previti e Pier Paolo Zampieri. Fonte: Mutualpass

 

 

Di recente, nel 2019 il progetto “Dintorni – Luoghi Circostante per l’arte 2019” inaugura a Palermo una mostra “Io Cammarata Giovanni l’artista di Maregrosso” a cura di Mosè Previti e Pier Paolo Zampieri.

 

La tua arte è l’eredità di un mondo incantato

Ancora oggi passando da quella via si rimane catturati dagli ormai resti architettonici della casa del Puparo,  ornata dai murales, dai ciottoli e schegge di vetro colorate, da qualche castello ancora intatto che emula il ricordo di un giovanissimo Giovanni liberato dalle carceri asiatiche proprio grazie ad una scultura come quella.

Il Puparo. Fonte: LetteraEmme
Il Puparo. Fonte: LetteraEmme

Sicuramente il Cavaliere non avrebbe mai pensato un finale così drammatico per le sue creazioni, e chissà se invece sapeva bene che il popolo messinese non lo avrebbe mai dimenticato.

Cavaliere Cammarata,  la tua arte è un’eredità inestimabile senza tempo e attraverso essa, tu vivi ancora.

 

 

Elena Zappia

Fonti:

https://www.mutualpass.it/post/1082/1/a-palermo-la-mostra-io-sono-cammarata-giovanni-l-artista-di-maregrosso

http://www.lescalinatedellarte.com/it/?q=node/1764

 

Rileggere “Il grande Gatsby” in un graphic novel


Il riadattamento a fumetti de “Il grande Gastsby” è un’opera emblematica per i contenuti e le caratteristiche – Voto UVM: 4/5

 

Pubblicato a New York, nel 1925, Il grande Gatsby, il capolavoro di Francis Scott Fitzgerald, è tra le opere letterarie  più importanti del romanziere americano.

L’opera, dopo diverse trasposizioni cinematografiche,  è stata adattata per la prima volta al linguaggio delle immagini, in un romanzo a fumetti pubblicato in Italia dalla casa editrice Tunué. Il graphic novel curato dalla pronipote dello scrittore americano, Blake Hazard, è illustrato dall’artista Aya Morton, scelta dalla stessa e dal team di creativi dopo un’ attenta e articolata ricerca.

Le trasposizioni cinematografiche o teatrali dei grandi romanzi corrono infatti  il rischio di tradire l’essenza dell’opera nell’adattamento: di qui la necessità di rintracciare tra diversi artisti, quello dallo stile capace di restituire al lettore il vero spirito del protagonista e l’atmosfera del racconto. Aya, come la stessa Hazard scriverà nell’introduzione del graphic novel

“E’ riuscita a cogliere perfettamente lo spirito travolgente delle feste di Gatsby a West Egg, l’atmosfera languida dei pomeriggi trascorsi a casa Buchanan e lo strepitoso paesaggio urbano di New York.”

L’adattamento del testo originale è stato affidato invece al sapiente lavoro di Fred Fordhan, che oltre alla sua esperienza con lavori precedenti come quello su Il buio oltre la siepe di Harper Lee, vanta anche una carriera come illustratore.

 Il grande Gatsby, graphic novel. Fonte: Tunué

 

Pagina dopo pagina, tavola dopo tavola, vediamo delinearsi la vicenda di Jay Gatsby, il protagonista dell’opera, un uomo ricco e dal passato misterioso, le cui memorabili feste nella villa di Long Island sono note a tutti e a cui tutti possono partecipare. Nonostante la sua grandezza e la sua fama siano sulla bocca di tutti, nessuno degli ospiti sa veramente chi egli sia. Il lettore è accompagnato nel mondo di Gatsby attraverso la voce narrante, quella di Nick Carraway, suo vicino di casa e cugino di Daisy, amore giovanile del protagonista.

Daisy è il motore immobile che muove l’intero mondo di Gatsby, mondo che Fitzgerald ci presenta in nove capitoli disvelando piano piano la sua personalità e il suo passato attraverso il racconto della sua ossessione per quest’amore ideale e irraggiungibile.

 

Il bacio tra Jay Gatsby e Daisy

 

Dalla trama emerge un senso di disagio e inadeguatezza nei confronti della società americana di inizio secolo scorso, società caratterizzata  dalla perdita di ogni senso morale e guidata dal mito del guadagno ad ogni costo. Si delinea un’ideale di ricchezza che si sovrappone in modo grottesco ai valori fondanti dell’identità di popolo americano, quelli della cultura del lavoro e del sacrificio. Dunque non solo il racconto di giovani eleganti del mondo newyorkese, di macchine, ville lussuose, amori e omicidi, ma anche cronache di quella stagione indimenticabile degli anni Venti definita età del Jazz.

Il jazz è il genere musicale che  meglio si presta per cogliere le contraddizioni della società americana degli anni Venti. Nato per esprimere la pena e la sofferenza degli afroamericani in schiavitù, viene assunto dai benestanti come colonna sonora di una vita frenetica e sfrenata. Età segnata dall’apparente spensieratezza di una vita ricca e da un’euforia collettiva e individuale che si esprime in un vortice di danze, tradimenti, frivolezze e alcool in bilico tra il tutto e il nulla, all’insegna di un sentimento di solitudine, incomunicabilità, vuoto e sconfitta che permea ogni vita e ogni interazione.

 Il grande Gatsby, disegno.

 

Il grande Gatsby è sicuramente il capolavoro della carriera di Fitzgerald. Riportando le parole di Blake Hazard, stampate all’interno di una cornice dorata nella sua introduzione del graphic novel, celebriamo ancora una volta questa magnifica opera restituita ai lettori in una veste del tutto nuova, incorniciandole a nostra volta tra le virgolette:

 “Il mio bisnonno era un uomo che sapeva apprezzare le novità tanto quanto i classici e i capolavori senza tempo. So che sarebbe stato incantato dalla freschezza di queste immagini, perché fedeli all’originale. [..] mi auguro davvero che questo Graphic novel possa essere apprezzato da tutti coloro che hanno letto e amato il grande Gatsby. Per quelli che invece si confrontano per la prima volta con il capolavoro di Fitzgerald, il mio augurio è quello che queste pagine rendano l’originale ancora più fruibile.”

Martina Violante

TEDx Capo Peloro 2021: R-Evolution

La caratteristica principale delle buone idee è la loro capacità di migliorare la realtà una volta diffuse. Per questo, da anni, l’organizzazione no profit TED, acronimo di  Technology, Entertainment and Design, si occupa di condividere “Ideas worth spreading”, idee che meritano di essere divulgate, attraverso una serie di interventi eccezionali e ospiti d’eccezione.

Dalla prestigiosa conferenza annuale Ted, che si svolge a Long Beach in California, per permettere alle idee di circolare liberamente, è nato il progetto Tedx: organizzazioni indipendenti, nelle città di tutto il mondo, che offrono la possibilità  di partecipare, a livello locale, alla magica esperienza di una conferenza TED.

Così dalla California TED arriva in Sicilia, passando per una piccola x.

Antonio Micari, TEDx CapoPeloro – I presentatori dell’incontro al Palacultura – Messina, 2021

Il 4 Dicembre, infatti, il Palazzo della cultura di Messina, ha ospitato l’edizione Tedx Capo Peloro 2021, tornata a svolgersi dopo una pausa di un anno, con il titolo: “R-evolution”.

Il titolo prende le mosse dalla riflessione sugli interrogativi e le sfide che il periodo storico che stiamo vivendo ci pone. Solamente negli ultimi due anni, infatti, tutto il mondo è stato costretto a confrontarsi con significativi e inaspettati cambiamenti: proprio per questo, il tema di questo Tedx ruota attorno al bisogno di comprendere quali strade percorrere e quali risorse utilizzare, perché dall’inaspettato e dal cambiamento si possa trarre qualcosa di sorprendente. Leggiamo sul sito dell’evento:

È necessaria un’evoluzione o una rivoluzione? Oppure dovremmo parlare di qualcosa di diverso che incarni entrambe le soluzioni?

L’evento, organizzato da Startup Messina e patrocinato dal Comune di Messina, ha visto come ospiti 7 speakers, incaricati di illuminare queste domande attraverso il racconto di sorprendenti ed emozionanti soluzioni, passando dall’ambito scientifico a quello artistico, dall’ambito sociale a quello ambientale, sorprendendo continuamente l’ascoltatore con esperienze e contenuti sempre differenti.

Antonio Micari, TEDx Capopeloro – Mario Mirabile durante il suo intervento sul palco – Messina, 2021

Gli ospiti dell’evento

Il primo degli ospiti, Mario Mirabile, cofondatore, vicepresidente esecutivo e project manager di South Working (lavoro agile dal sud) ha ottenuto un cambiamento nel modo di concepire il lavoro a distanza, donando nuove possibilità alla propria comunità, con un focus su sostenibilità e diseguaglianze socioeconomiche, presentando le testimonianze di ragazzi e ragazze che sono rimasti o sono tornati, con nuove possibilità lavorative, nel proprio territorio.
Anche Lelio Bonaccorso, tra gli speakers, fumettista ed illustratore per Marvel, DC comics e Disney, pubblicando oltre che in Italia in Francia e negli Usa, ha scelto di spendere le proprie risorse artistiche ed economiche nel suo territorio, rimanendo a Messina. Durante l’intervento ha chiarito quanto questa decisione sia stata per lui di vitale importanza: nonostante il contesto non sembrasse il più adatto per la sua crescita professionale, è riuscito a far crescere il suo territorio attraverso la sua creatività e a realizzarsi internazionalmente raccontando le sue storie. Ha dedicato quindi una parte del suo discorso al potere della narrazione e a come essa guidi la nostra esistenza.
Di narrazioni ci hanno parlato Letizia Bucalo Vita, comunicatrice sociale, fundraiser e creativa che ci ha raccontato una storia nuova sul dono, dalla parte di chi non ha voce, sul no profit e le possibilità offerte dal fundraising; e Rocco Rossitto, giovane Communication e Marketing Manage, presentandoci il Brand activism, un’evoluzione dell’idea di impresa: una riflessione sulla volontà delle aziende di impegnarsi a favore di una giusta causa.

Temi scientifici e artistici sembrano fondersi nel racconto di Salvatore Savasta, professore ordinario di Fisica presso l’Università di Messina e teorico di fisica della materia, che ci ha guidati nell’indeterminabile mondo della fisica quantistica, scortandoci sino alla porta delle nuove tecnologie e forme artistiche, mostrandoci come la tecnologia quantistica ci aiuti sia migliorando la nostra vita di tutti i giorni attraverso strumenti come gli smartphone e i pc.
Arte e natura nell’inaspettato legame artistico tra piante e suono nell’intervento e nelle sperimentazioni  dello speaker Enzo Cimino, Sound designer, che ci ha mostrato come spesso il nostro legame con la natura sia più concreto di quello che pensiamo, mostrando come l’interazione tra piante ed uomo  possa raggiungere un altro livello; e la riflessione sul tema fondamentale dell’acqua e del cambiamento climatico tenuta da Donatella Termini, professoressa ordinaria di Ingegneria Idraulica presso l’Università di Palermo, che ci ha parlato di come i rischi ricollegati all’innalzamento delle temperature possano portare a danni irreparabili sia per noi che per la natura che ci circonda.

Gadget dell’evento. Fonte: Instagram TEDxCapopeloro 

Cosa ci è rimasto?

Ci si può sentire spaesati dall’insieme di tutti questi interventi, può sembrare di non riuscire a decifrare le coordinate del cambiamento e improvvisamente delle tante realtà che ci circondano. Potremmo azzardare un nome per questa sensazione, prendendo in prestito le parole della storica Tiffany Watt Smith nel suo Ted del 2017: Dépaysement, una parola che evoca il disorientamento che si prova quando si è in un posto sconosciuto, un posto familiare che diventa improvvisamente strano. Il Dépaysement è sconvolgente ed emozionante allo stesso tempo ci dice Tiffany Watt Smith e noi ci portiamo a casa dopo questo TEDx Capo Peloro lo spaesamento, ma anche quella meravigliosa sensazione di fiducia ed entusiasmo per una bella scoperta.

Oggi evoluzione e rivoluzione sono senz’altro temi importanti di cui discutere alla luce non solo della recente crisi sanitaria, ma anche del nostro dovere comune nel costruire un mondo futuro per le prossime generazioni, all’insegna di un equilibrio tra noi stessi e la natura intorno a noi.

Matteo Mangano, Martina Violante

La squadra UniVersoMe-Messina, 2021                                                                 

Squid Game: un gioco pericoloso

La società in cui viviamo fa di noi degli instancabili consumatori: il vortice di consumi in cui siamo gettati ci rende piccoli ingranaggi di una gigantesca macchina, che vorrebbe determinare – con o senza permesso -il nostro posto nel mondo. Il nostro posto come vincenti o come disperati.

E se, oltre ogni  limite, la vita stessa si trasformasse in un prodotto di cui i consumatori possono disporre?

E’ questo il limite che la serie tv sudcoreana firmata Hwang Dong-hyuk, conosciuta in tutto il mondo, ha oltrepassato, portando a chiederci fino a dove ci si può spingere per sedere al tavolo dei vincenti.

Squid game,“Il gioco del calamaro”,disponibile su Netflix dal 17 Settembre scorso, ha il record come esordio più visto sulla piattaforma streaming. Impossibile non averne sentito parlare, con oltre cento milioni di spettatori, altrettanti meme e non poche polemiche, Squid Game traccia un sentiero tortuoso all’interno del panorama artistico mondiale, prendendo le mosse dall’interesse delle opere sudcoreane per i temi della lotta di classe, del disagio economico ed esistenziale.

 Squid Game, guardie.  Fonte: Netflix

Veniamo catapultati “come per gioco” in un talent show che ospita 456 partecipanti, reclutati e scelti da una misteriosa organizzazione, sulla base di un fattore comune: la disperazione.

Un gruppo di disperati, con debiti di gioco o problemi con la giustizia,di ogni estrazione sociale, si sfidano in una serie macabra e perversa di giochi d’infanzia.Personaggi alienati, senza speranza e alternative, che agiscono mossi dall’istinto di sopravvivenza. In palio un premio in denaro.

I giochi infantili, come “un due tre stella” o il tiro alla fune, vengono trasformati in giochi mortali, in cui gran parte dei partecipanti viene uccisa nel fallire la prova. Ogni morte fa aumentare il montepremi finale, destinato al vincitore dei sei giochi, per una vincita complessiva di oltre 45 miliardi di won (circa 33 milioni di euro). Naturalmente, nel senso più darwiniano del termine, al crescere della posta cresce la brutalità dei partecipanti, disposti a tutto pur di sopravvivere, vincere, cambiare vita.

Come in Parasite di Bong Joon-ho, vincitore della Palma d’oro alla 72° edizione del Festival di Cannes, e molte altre produzioni sudcoreane, assistiamo al delinearsi delle ciniche e spietate dinamiche che caratterizzano una nazione segnata da contrasti insanabili, dal divario sociale, dalla corruzione. Parasite è un’opera amata dalla critica e dal pubblico per quello che mostra: le conseguenze  di un sistema socio-economico che non lascia spazio, caratterizzato dalla cattiveria, che genera parassiti e alimenta un eterno ciclo dei vinti, lasciando fuori dallo schermo la speranza di una prospettiva migliore.

Quello di Squid Game è un mondo distopico – caratterizzato da colori pastello, inquadrature e ambientazioni geometriche – che accoglie un gran numero di scene splatter. Ad ogni sfida i personaggi reagiscono in modo diverso, e c’è poco spazio per un’ evoluzione morale: assistiamo per lo più al caratterizzarsi ed evolversi della massa. La massa di giocatori in tuta verde che tenta di sopravvivere, tra uno scellerato antagonismo individuale e di gruppo, aggrappandosi alle dinamiche del branco che si regge sulla regola della sopraffazione del più forte sul più debole.

Squid Game, ambientazione

L’intera macchina di Squid Game, ha il solo scopo di intrattenere i suoi spettatori nascosti, dietro uno schermo. I mandanti e i veri destinatari dei giochi sono infatti i “VIP”, persone molto ricche, dalle maschere scintillanti, che scommettono come all’ippodromo sui disperati, facendoli gareggiare in questo macabro e mortale talent show. Il solo fine è l’intrattenimento.

E’ sul finire della serie che la distanza creata tra due mondi lontani anni luce tra loro, quello dei ricchissimi e dei poverissimi si accorcia, tentando di riunirli all’insegna di una necessità comune: il divertimento. E’ il personaggio creatore del gioco a dirci che ciò che accomuna le persone senza soldi e quelle con troppi soldi è che la loro vita non è felice. All’interno dell’attuale sistema, alimentato dal debito e dalla colpa, per le dinamiche che lo caratterizzano, le uniche certezze possibili sembrano essere l’infelicità e la disperazione.

 

Squid Game, giocatore 456

Non è possibile ignorare il successo di Squid Game, come non è possibile ignorare le non poche polemiche sollevate intorno alla serie tv, che lascia perplessi sul piano etico e morale. Lo stesso autore Hwang Dong- hyuk ha atteso nove anni per vedere prodotti i nove episodi, a lungo rifiutati per il loro contenuto violento. Nonostante la serie appaia su Netflix come vietata ai minori di quattordici anni, molte sono state le emulazioni, soprattutto da parte di bambini e giovani (è solo di qualche settimana fa la notizia di un caso di violenza durante la ricreazione in una scuola elementare di Treviso).

Se l’opinione è divisa tra chi vorrebbe una censura e chi lo ritiene un rimedio controproducente, sarebbe altrettanto importante domandarsi cosa sia possibile fare per spezzare il terribile incantesimo che rende le nuove generazioni, al pari delle vecchie, consumatrici disperate e senza via d’uscita. Il vero dramma è la mancanza di alternative, l’assenza di una prospettiva realmente sovversiva e nuova anche e soprattutto all’interno del panorama artistico. Un’alternativa capace di innescare un sostanziale cambiamento, di conservare il suo potere rivoluzionario, sentinella delle domande degli uomini e non dei bisogni dei consumatori. 

                                                                                                           Martina Violante

 

Articolo pubblicato il 28/10/2021 nell’inserto Noi Magazine della Gazzetta del Sud 

 

 

 

 

 

L’obelisco egizio del Duomo di Messina

Messina è una città antichissima: la tradizione (per calcolo del grande Francesco Maurolico attraverso la cronologia di Eusebio da Cesarea) pone la sua nascita nell’anno 1765 a.C. (!), una datazione confermata dall’odierna ricerca archeologica (alla quale per la prima volta appunto in tema di preistoria diedero grande impulso i membri del Circolo Archeologico Codreanu tra cui Franz Riccobono). Eppure, a Messina scarseggiano lasciti dell’antichità, monumenti che riportino al tempo più lontano della sua esistenza, e quelli che ci sono sono praticamente nascosti o poco valorizzati o non divulgàti.

Un pezzo importantissimo e antichissimo, nonché misteriosissimo, della nostra storia si trova proprio sotto i nostri occhi, ma forse l’avremo visto innumerevoli volte senza accorgercene (assurdo per quanto sia!): avete mai guardato sopra le colonne angolari oltre le quali si apre l’abside, nel nostro Duomo? Se non l’avete fatto, fatelo: troverete due “pietre egizie”.

L’abside del Duomo di Messina e le due pietre egizie – Fonte: colapisci.it

Pietre egizie a Messina?

L’occhio sano e dotato, e un buono zoom d’una macchina fotografica, possono facilmente osservare due piccoli obelischi che si ergono proprio al di sopra di quelle colonne, sorreggendo l’arco a sesto leggermente acuto dell’abside.

Delle due, solamente una reca scolpite figure di chiarissimo stile egizio, e ben visibili, oltre a dimostrare una perfetta levigazione del materiale; l’altra, meno precisa nella fattura ma comunque aggraziata, è ornata da figure di stile chiaramente diverso, somiglianti più vagamente a quelle dell’arte egizia.

Leggere queste cose può risultare impressionante, sono parole difficili da credere, ma si tratta della verità. Se vi capitasse d’osservare da vicino, vi accorgereste che c’è una figura d’Iside o Hathor con le corna di mucca, un’altra forse di Maat con le ali spiegate, e che i riquadri sono tutti circondati da geroglifici.

È risaputo che molti materiali con cui fu eretto il Duomo in principio furono recuperati dall’area dei laghi del Peloro, presumibilmente smontando l’antico tempio che si ergeva nel “terzo lago”; la diffusa consapevolezza di questo fatto ha dato da pensare che dunque questi pezzi d’“arte egizia” possano provenire proprio dai laghi, e che dunque lo stesso edificio dedicato all’ignota deità acquatica o ctonia (di cui parlava Solino) fosse allora un tempio egizio. Se questo fosse vero, la storia di quell’area s’infittirebbe.

Ora che avete letto e probabilmente la vostra curiosità è stata fomentata, vi svelo un’altra cosa: quelle che ci sono dentro il Duomo non sono gli originali, ma due copie, là collocate in sostituzione degli originali, che ora si trovano al Museo Regionale di Messina.

©Daniele Ferrara – Uno dei due obelischi, Museo Regionale di Messina 2021

Sconosciute anche ai sapienti

Rincresce estremamente e profondamente dovere dire che la posizione in cui si trovano non è lontanamente adeguata a reperti di tale importanza: si ergono nei giardini, a sinistra rispetto all’ingresso principale, davanti alle porte dei magazzini. In poche parole, le due pietre egizie sono poco accessibili all’attenzione di chi visita il riposo della nostra storia, e per giunta esposte alle intemperie, che a lungo andare deteriorano e deterioreranno la fine e antica opera scultorea di quegli obelischi. È una posizione, occorre dirlo, che riflette perfettamente e fedelmente lo scarsissimo interesse dei nostri organi ufficiali di cultura per questi due monumenti, o meglio residuo di monumento. Una curiosità: accanto, nel medesimo luogo, c’è forse l’unica statua esistente di Madonna della Lettera, che non a caso gode d’egualmente povera attenzione.

Oltretutto, questa, è la condizione generale in cui versa il patrimonio storico di Messina in troppi casi: abbandonato dalle istituzioni che possono salvarla, ma costantemente indicato e trattato da altri studiosi, che poi però vengono sistematicamente attaccati e tacciati di tuttologia.

Sono stati effettuati pochissimi studî su questi importantissimi reperti; tra questi occorre segnalare quello del noto storico messinese Alessandro Fumia, instancabile autore di molteplici ricerche sulla nostra identità in tutte le direzioni. Conducendo un’attenta analisi, egli ha rilevato elementi accostabili al periodo achemenide dell’Egitto e tracciato ipotesi sul tempio che qui sorgeva.

Finora tuttavia la risposta definitiva (o quasi) sui reperti è ben lontana, probabilmente proprio per l’assenza di un vero confronto sull’argomento tra le menti erudite che possa, a via d’aggiustamenti e compromessi sui varî dati rilevati, mediare fino alla conclusione più probabile di questo enigma storico, del quale trarrebbe giovamento Messina stessa, che languisce per la poca conoscenza che ha di sé stessa la sua popolazione.

Fonte: strettoweb.com

Un obelisco egizio… ellenistico

Senza la presunzione d’avere il parere risolutivo ma con l’assoluta sicurezza di quanto affermo, voglio fornire anch’io una teoria su questi due obelischi, che ho potuti osservare entrambi da vicino durante una visita. Uno solo degli obelischi è veramente antico, ma non bisogna farsi ingannare: non è veramente egizio, o almeno non appartiene ai secoli dell’Egitto “classico”, ma è di periodo ellenistico (fra 323 a.C. e 500 d.C.). Questo mi sento di dirlo per un dettaglio inequivocabile: tra le figure ce n’è una maschile rappresentata frontalmente nell’atto dell’anasyrma, ossia la sollevazione della veste che in questo caso scopre i genitali, tipico del dio Afrodito o Ermafrodito, maschio dall’aspetto femmineo, che si accompagna ad Afrodite, non certo un dio egizio bensì greco e diffusosi in età ellenistica. Quanto ai geroglifici, finora mai interpretati, sono forse quelli l’elemento che più di tutti urge studiare, per comprendere se contengano davvero concetti di senso compiuto o se siano invece semplici ornamenti scolpiti in un tempo in cui nessuno più capiva gli originali; ma senza uno studio egittologico, e senza porre al riparo questi manufatti dalle intemperie, la verità non verrà mai raggiunta. Probabilmente, questo piccolo obelisco è stato direttamente intagliato in questa città o nelle vicinanze per ornare un tempio adibito a qualche culto egizio (ce n’erano in tutto l’Impero Romano) oppure è stato scolpito in Egitto ma sempre in epoca ellenistica e poi è stato trasportato qui; l’altro pezzo, invece, è probabilmente una copia modellata da un ottimo scalpellino in periodo normanno, forse nella fabbrica del Duomo, per fare coppia con l’altro e a sua immagine.

©Daniele Ferrara – L’obelisco ellenistico, in cui è raffigutato l’atto dell’anasyrma, Museo Regionale di Messina 2021

Se effettivamente quel piccolo obelisco provenisse dal tempio dei laghi non è facile dirlo, per essere così bisognerebbe porre che esso sia stato costruito direttamente in periodo ellenistico o che in tal epoca il nume adorato sia stato egittizzato e quindi onorato attraverso l’arte egizia, ma prima di quelle di Giulio Solino (III secolo d.C.) non abbiamo altre notizie sul luogo sacro. Dicerie, meno fondate, si sono tramandate anche sull’esistenza d’un antico culto egizio a Santa Maria Alemanna, ma ancòra ce n’è di strada da fare verso la verità.

Che aspettate? Andate a vedere sia le copie nel Duomo che gli originali al Museo!

 

Daniele Ferrara

 

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Fonte: colapisci.it

NextGenerationMe: gli artisti di “Apollo&Arte”

In occasione della mostra temporanea “Apollo&Arte, che ridona vita alla via San Filippo Bianchi, torna la rubricaNextGenerationMe”. 

I protagonisti di oggi sono i giovani messinesi che hanno esposto le loro opere, ai quali abbiamo chiesto di raccontarci la storia del loro rapporto con l’arte e delle loro esposizioni.

Anna Viscuso

Classe ’99, ha iniziato ad avvicinarsi all’arte all’età di 15 anni grazie ad una professoressa del suo liceo linguistico. 

La cosa che ho imparato in questi anni è come qualsiasi forma d’arte non si limiti alla tecnica, anzi come inglobi totalmente la personalità di chi si avvicina”. Così Anna ci parla del suo vivere l’arte.

Il suo dipinto, dal titolo “E ti senti un po’ un fallito se ripensi alla tua età e cammini per la strada e provi a perderti”, riprende nel titolo una citazione di Cosmo, noto cantante pop italiano che riflette lo stato d’animo di quel Pierrot: “un po’ malinconico per non essersi riuscito a vivere a pieno i suoi vent’anni.”

©Cristina Geraci  – “E ti senti un po’ un fallito se ripensi alla tua età e cammini per la strada e provi a perderti” di Anna Viscuso, Messina 2021

Sofia Bernava 

Classe ’98, disegna fin da bambina, ma con l’inizio del liceo ha iniziato a volersi specializzare nei ritratti e da qui è “cominciata la ricerca di uno stile sempre più personale, ricerca infinita perché non si smette mai di evolversi insieme alla propria arte”. 

Il dipinto, già stato esposto in altri allestimenti, è un mix perfetto di molte forme d’arte ed è per questo che Sofia ha deciso di renderlo parte di questo progetto: “non desidero che chi lo guardi provi una determinata sensazione; il mio scopo è spingere l’osservatore a sentire qualcosa, qualsiasi sentimento esso sia.”

©Cristina Geraci  – “La poesia rende sempre giovani” di Sofia Bernava, Messina 2021

Lucia Foti

Classe ’92, l’arte è sempre stata la sua “seconda vita”, grazie al nonno che l’ha iniziata a questo mondo e a quello dei tarocchi, mondo dal quale proviene la sua opera . “La mia sensibilità all’arte non si riduce solo al disegno: ho avuto vari amori tra cui la street art e la fotografia perché a mio parere la sensibilità all’immagine è unica, se si è sensibili al disegno lo si è anche alla fotografia. Poi alla fine le mie radici mi hanno riportata a disegnare e a ottenere molte soddisfazioni”.

Ha scelto di esporre il suo disegno dell’arcano XXI, il mondo“, in cui una dea sorregge tutte le energie del mondo, “per esprimere il compimento del ciclo della vita, si impara una lezione e quindi si può  ricominciare da capo con la carta del matto.

©Cristina Geraci – “Arcano XXI, il Mondo” di Lucia Foti, Messina 2021

Grazia d’Arrigo

Classe ’86, ci dimostra come una passione può nascere per caso. Da poco tempo ha iniziato a “scarabocchiare per sfogare le sue emozioni” come piace dire a lei, nonostante fosse sempre stata affascinata dall’arte in generale. Il suo dipinto nasce durante i due mesi in cui è stata positiva al Covid-19: “l’isolamento mi ha provocato la necessità di un qualcosa di cui non ho mai sentito la mancanza, ho sognato un contatto con persone che non fossero i miei familiari. Ho deciso di rappresentare con questo bacio astratto ciò che prima ci teneva in vita e che adesso può addirittura metterla in pericolo.

©Cristina Geraci –”Tenuta astratta” di Grazia d’Arrigo, Messina 2021

Ylenia Bottari

Classe ’94, la sua sensibilità all’arte è sfociata in una “sensibilità a ciò che visivamente mi colpisce”. La fotografia esposta è stata scattata al teatro greco di Siracusa: “ho deciso di scattare questa fotografia e in generale tutte le altre perché sentivo il bisogno di immortalare quel momento, quel sentimento che provava chi ho fotografato”.

©Cristina Geraci – “Compianto” di Ylenia Bottari, Messina 2021

Daniele Commito

Classe ’96, ha iniziato a disegnare per “uscire fuori dagli schemi imposti dalla routine”. Non ama spiegare i suoi quadri: “perché posso manifestare al pubblico ciò che ho provato io nel realizzarlo, ma chiunque può avere una reazione diversa e sono contento sia così”. 

Il disegno che ha esposto “è nato dal bisogno di raffigurare la sensazione che ha il genere umano di limitare le sue emozioni contrapposta all’istintività del mondo animale, mondo dal quale dovremmo imparare la spontaneità”.

©Cristina Geraci – “Vorremmo essere animali”  di Daniele Commito, Messina 2021

Alessia Borgia

Classe ’86, ha sempre scattato fotografie, ma “molto inconsapevolmente”. 

“È diventata una passione nel momento in cui ho capito che mi piace osservare le persone e provare a capire quali siano le loro emozioni in quel momento.”

La foto esposta è stata scattata durante l’erasmus in Spagna: “vedevo questa bambina agitarsi continuamente, ma a colpirmi è stato il momento in cui si è calmata. Aveva un espressione che non riuscivo a decifrare e quindi ho deciso di fotografarla”.

©Cristina Geraci – “Sakura” di Alessia Borgia, Messina 2021

 

Sofia Ruello

 

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©Cristina Geraci – Gli artisti di “Apollo&Arte”, Messina 2021

Il cinema si reinventa: una via dell’arte per Messina, scommessa e opportunità

Giorno 30 aprile il Cinema Apollo ha finalmente riacceso le sue luci, ed in attesa di collocare i nuovi manifesti in vista delle tanto attese proiezioni cinematografiche, ha arricchito i suoi spazi esterni con opere d’arte, ridando luce e colore alla via San Filippo Bianchi. Il progetto “Apollo & Arte” nasce dall’idea di Daniele Mircuda e Loredana Polizzi che, osservando quella strada, una volta tanto animata dal via vai di persone che occupavano le sale della struttura, si trova adesso vuota e priva di quei colorati manifesti che riempivano gli espositori  del multisala. Proprio per questo motivo Mircuda e Polizzi hanno deciso di organizzare una rassegna temporanea per ricordare, non solo al pubblico dell’Apollo, ma a tutti i cittadini, la bellezza ed il piacere dell’osservazione attraverso l’arte. Gli artisti che si sono messi in gioco in questa meravigliosa iniziativa esporranno opere pittoriche, fotografiche, illustrative e di collage digitali.

“Apollo&Arte” via San Filippo Bianchi

Per la pittura sarà possibile osservare le opere di Sofia Bernava, giovane messinese classe ’98, da sempre appassionata all’arte, che si forma dapprima da autodidatta e, dopo il Liceo, decide frequentare l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, dove ha poi conseguito il diploma di primo livello in Grafica d’Arte. Espone svariate volte negli anni alle mostre dell’associazione “Be Art”, all’evento “La città sommersa” nel 2019 e più recentemente alla mostra “Art Container 019” nell’Accademia da lei frequentata; vince inoltre il secondo ed il terzo premio a due estemporanee, rispettivamente “Visioni dall’interno”, tenutasi al Monte di Pietà, e “Castello e
d’intorni” presso Santa Lucia del Mela.

Altra protagonista dell’evento è Alessia Borgia, messinese nata nel ’86, che attraverso fotografie street racconta nitide immagini di vita quotidiana. Il suo approccio a quest’arte visiva avviene da giovanissima attraverso la fotografia analogica, dedicando i suoi rullini al paesaggio e a contesti familiari, per poi subire il fascino del digitale e cambiare soggetti per le sue opere. La sua sensibilità fotografica si sposa perfettamente con la precisione datale dalla sua professione di architetto, creando dunque il binomio ideale per trasmettere attraverso i suoi scatti il messaggio di una fotografia a sfondo sociale.

“Apollo&Arte” via San Filippo Bianchi

Tra le illustrazioni in mostra vi sono quelle di Lucia Foti, nata a Messina nel 1992, che, da sempre autodidatta, si avvicina all’arte sin da giovanissima, sviluppando un forte interesse per tutte le arti visive, interesse che, nel corso del tempo, la condurrà ad esporre le proprie opere sulle giacche artigianali della stilista Marcella Magistro, ed ad organizzare due mostre, una personale presso TOTù a Milazzo, ed un’altra, “Abyssu” in collaborazione con NessunNettuno, noto artista messinese, presso Le Retrò Studio a Messina; inoltre si occupa della locandina per il cortometraggio “Vittoria per Tutti” della casa di produzione “8 Production” regia di Elia Bei,
vincitore del Premio al Miglior Corto Italiano di Rai Cinema Channel al RIFF (Roma Indipendente Film Festival). La sua passione per le arti figurative giunge anche al ritratto attraverso cui, sperimentando tra penne, matite ed acquerelli, riesce ad immortalare l’anima dei volti che rappresenta.

Non solo però si avrà il piacere di rivedere artisti già noti, infatti, tornando alla pittura, saranno esibite le opere di Grazia D’Arrigo, classe ‘86 che, proprio in quest’occasione esporrà, per la prima volta, il frutto dei suoi lavori.

“Apollo&Arte” via San Filippo Bianchi

Altro talento proveniente dall’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria è la messinese Ylenia Bottari, classe ’94, che vedrà negli espositori del multisala i suoi lavori fotografici. L’artista, acquisito il diploma di primo e di secondo livello in Scuola di Decorazione, frequenta poi uno stage di restauro “Un’estate tra Arte e Fede nella Diocesi di Locri-Gerace” e si occupa nel 2019 dell’allestimento della mostra “Artcontainer 019” organizzata dall’Accademia da lei frequentata. Partecipa alla terza edizione della Mostra “ContaminArt-Arti visive” nel 2019 ed alla collettiva tenutasi al Palazzo della Regione di Reggio Calabria per le “Giornate Cardiometaboliche Reggine”.

Altro protagonista dell’esposizione è il venticinquenne messinese Daniele Commito, un giovane illustratore, che ha coltivato la sua arte da autodidatta acquisendo sempre più consapevolezza della sua capacità di spostare le sue idee su “carta”. Sono svariate le mostre a cui ha già preso parte, sia in città, quali Be Art Tropical session, Mood art al Centro Multiculturale Officina o ancora, la più recente, Segnalibro d’artista presso la Libreria Mondadori, ma anche nella metropoli Catanese alla galleria d’arte Nukleika.

“Apollo&Arte” via San Filippo Bianchi

Altra già nota pittrice messinese è poi Anna Viscuso, classe ’99, anche lei studentessa
dell’Accademia delle Belle Arti di Reggio Calabria, e che fa parte del collettivo Be
Art . Ha già esposto, non solo a tutte le mostre organizzate dall’associazione, ma anche a Viareggio alla collettiva NEROBIANCO.

Inoltre all’estemporanea sarà possibile ammirare le opere di uno degli organizzatori, Daniele Mircuda, che esporrà i suoi collage digitali in cui unisce note opere pittoriche a fotografie di personaggi noti e non, creando immagini interessanti e innovative. Ed è proprio l’artista in questione che, in veste di organizzatore, ha rilasciato una dichiarazione sull’evento descrivendo come si sia sviluppata l’idea della mostra.

Mircuda racconta infatti del profondo senso di tristezza che suscitava in lui la visione di quegli espositori vuoti, che un tempo coloravano la via del cinema. Così proprio osservando la strada ha ben pensato di domandare a Loredana Polizzi, gestore dello storico multisala messinese, di usare gli espositori come pannelli per una mostra d’arte. Polizzi si è subito mostrata entusiasta dell’idea ed ha dato immediatamente la sua disponibilità, permettendo così che l’estemporanea venisse organizzata nel più breve tempo possibile. Mircuda aggiunge poi, che “l’arte è bellezza pura e totale” e grazie a questa è possibile abbellire una via ormai vuota, divenendo così un “raggio di sole metaforico” per quella via ormai ingrigita. Tutto ciò rende il cinema un luogo ancora più culturale, ha proseguito l’artista, poiché la struttura che solitamente viene vissuta soltanto all’interno delle sue sale, viene così sfruttato a pieno per l’arte in ogni sua forma.

“Apollo&Arte”, gli artisti, via San Filippo Bianchi

Il Multisala Apollo, tra l’altro si è da sempre fatto sede di mostre, tuttavia fruibili solo dall’interno, ciò che rende particolare quest’estemporanea è proprio il fatto che sarà visitabile dall’esterno h24 e tutti i giorni della settimana. Gli espositori saranno ben illuminati, così che chiunque si trovi a passare di lì, anche la sera, possa goderne, e magari questa iniziativa potrebbe pure incuriosire chi non è molto vicino al mondo dell’arte. L’estemporanea sarà visibile per quindici giorni, allo scadere dei quali gli espositori non torneranno ad essere vuoti, ma vi sarà un ricambio di artisti, che con le loro opere continueranno ad impreziosire la nota via. Un’incantevole iniziativa che nella nostra città mette in luce come la voglia di fare possa portare ad idee innovative, come quelle di una mostra fruibile semplicemente passeggiando per le vie del centro città , e che soprattutto evidenzia come sia possibile reinventare degli spazi per far continuare a vivere l’arte, e quindi a goderne, anche al di fuori dei musei.

Laura La Rosa

Oscar 2021: i film che ci legano agli altri

Quest’anno agli Oscar domina l’introspezione.  Due film candidati come miglior pellicola narrano entrambi la storia di uomini con grandi ambizioni per loro stessi così come per la propria famiglia. Le storie di Sound of Metal e Minari raccontano di rivalsa sociale così come di accettazione: temi che, se narrati bene, parlano ad ognuno di noi.

 I due protagonisti delle pellicole, Jacob e Ruben. Fonte Goldderby.co

Sound of metal

La pellicola di Darius Marder ci racconta la storia di Ruben (Riz Ahmed), batterista del duo metal composto da lui e dalla sua ragazza. Il punto di svolta della vicenda arriva con la lenta ma inesorabile perdita dell’udito da parte del protagonista: sarà qui che Ruben dovrà cominciare ad affrontare una sfida che lo porterà a dover riconsiderare le proprie prospettive di vita da musicista.

Accolto in una piccola comunità di non udenti, dovrà piano piano affrontare ciò che altri come lui hanno dovuto imparare ad accettare: la sordità. Sarà Joe (Paul Raci), gestore del rifugio, ad insegnare questa lezione al protagonista diventando per lui una figura paterna capace di guidarlo in questo suo nuovo cammino. Cammino che, non senza gravi inciampi, porterà Ruben ad accettare questa sua nuova vita e a riscoprirsi nel rapporto con la comunità e con i suoi membri più giovani, con cui instaurerà un rapporto stretto.

Ruben insegna ai bambini del rifugio il ritmo. Fonte: lwlies.com 

Le scelte di Ruben testimoniano come alla fine l’accettazione di sé stessi e dei propri difetti (in questo caso veri e propri handicap), sia fondamentale per saper vivere e trovare una propria via serena. La sua scelta finale sta proprio a testimonianza di ciò, perché – come ci viene mostrato dal regista – il protagonista riesce negli ultimi momenti a trovare una pace interiore che solo a sprazzi si era vista nel resto del film.

Minari

Il secondo film ci porta invece sulla costa occidentale degli Stati uniti, durante gli anni Ottanta, per raccontarci la storia di David (Alan Kim), un bambino nato in America da genitori coreani, e della sua famiglia.

Lee Isaac Chung, autore del racconto, ci mostra quindi la vicenda di due coniugi, Jacob (Steven Yeun) e Monica (Han Ye-ri), emigrati dalla Corea in cerca di una vita migliore in America. Miglioramento che però stenta ad arrivare: dopo un decennio passato ai margini della società pieni di insoddisfazione, Jacob prenderà una decisione chiave per l’intera famiglia: cercare fortuna avviando un’impresa agricola.

Quello che è evidentemente un salto nel buio da parte dell’uomo metterà più volte in serio pericolo l’incolumità della sua famiglia, nonché il rapporto con la moglie, mai davvero convinta del suo progetto e preoccupata dalla decisione di mettere il proprio successo al di sopra di lei e dei suoi figli. Jacob difatti non farà mai la scelta più giusta per le persone attorno, ma preferirà sempre circondarsi di scuse poco credibili a cui la moglie darà retta solo per l’amore che la lega al compagno. Anche la salute stessa dei figli viene spesso messa in bilico dal protagonista: la malattia cardiaca di David è infatti tenuta sempre in conto da Monica, ma altrettanto non sembra fare Jacob.

La famiglia di Jacob al completo. Fonte: theartsdesk.com 

Il messaggio che vuole lascarci la storia è quindi quello di rimanere legati alla propria famiglia: metafora espressa dalla pianta aromatica che dà il nome anche alla pellicola, essendo di fatto ciò che – come una buona famiglia – cresce e prospera da sola.

Il confronto

Come si può facilmente notare, entrambe le pellicole candidate narrano una storia simile, che verte sull’accettazione delle difficoltà della vita e ci fa capire come spesso queste ultime possano essere affrontate semplicemente accettando sé stessi o instaurando un rapporto migliore con ciò che ci sta attorno, e – in molti casi – rassegnandosi all’assenza di quello che può essere un desiderio o una passione bruciante, nel nome di qualcosa di più grande che ci sta vicino.

Si prospetta quindi una lotta dal finale incerto per la vittoria della statuetta di miglior film, come anche per quella di miglior attore protagonista a cui entrambi gli interpreti delle due pellicole sono candidati.

           Matteo Mangano