L’eternità di J.R.R. Tolkien al MessinaCon 2024

Esattamente cinquantuno anni fa, il 2 settembre del 1973, moriva John Ronald Reuel Tolkien lasciando ai
posteri un patrimonio letterale di valore inestimabile.

Il professore di Oxford, filologo, glottoteta, linguista e scrittore, è ricordato ancora oggi, a distanza di
settant’anni dalla prima pubblicazione de Il Signore degli Anelli, come autore di uno dei più grandi cicli
narrativi del XX secolo.

Ma per quale motivo la materia tolkeniana è stata a lungo una tematica spinosa da affrontare nel nostro Paese?

In occasione del MessinaCon24 ne abbiamo discusso con Stefano Giorgianni, linguista di formazione,
traduttore dall’inglese e dal russo, caporedattore di Metal Hammer Italia e presidente e socio-fondatore
dell’Associazione Italiana Studi Tolkeniani.

«Diciamo che il discorso parte da molti, molti anni fa. È stata una tematica complessa da affrontare non dal punto di vista letterario, ovviamente, ma da un punto di vista socio-politico, se vogliamo metterla in questi termini. Come sappiamo, un po’ di anni fa Tolkien era stato preso come uno degli autori alfieri di una certa particolare destra, che lo aveva un po’ “strumentalizzato.

Per fortuna quegli anni sono passati e molti studiosi si sono impegnati per tirare fuori Tolkien da quel calderone; siamo riusciti a portarlo un po’ ovunque, e senza alcun pregiudizio. Ti racconto una curiosità: quando nel 2017 ho tentato di organizzare un convegno tolkeniano a Verona, me l’hanno respinto, perché pensavo fosse un autore collocato politicamente. Ed è stato pochi anni fa! Per fortuna il nostro lavoro come Associazione Italiana Studi Tolkeniani, ma anche di molti studiosi esterni, ha aiutato a riportare Tolkien dove deve essere, ovvero in un ambiente assolutamente neutrale. Per chi vuole leggerlo, amarlo ed approfondirlo in tutte le salse… però solo da un punto di vista letterario, ecco!»

Le opere di Tolkien, un classico da riconoscere

Sin dalla sua fondazione l’AIST (Associazione Italiana Studi Tolkeniani) pone al centro del proprio operato il riconoscimento delle opere di Tolkien come classici della letteratura, battendosi affinché esse arrivino a divenir parte della formazione degli studenti italiani.

«Se vogliamo ricordare i classici che ci propinano a scuola continuamente» ci ha detto Giorgianni «Possiamo far rifermento a “I Promessi Sposi”: tu arrivi ad odiarlo, quel libro, perché continuano ad importelo per forza… però se lo leggi a distanza di anni, vedi che ha delle caratteristiche perfettamente applicabili anche ad un tempo contemporaneo. Questa è, secondo me, anche la lingua immortale di Tolkien.»

Sono proprio quelle caratteristiche presenti all’interno de Il Signore degli Anelli – quegli eterni valori di lealtà, amicizia e coraggio – che lo rendono un classico della letteratura.

«Ci è servita da questo punto di vista la traduzione di Fatica, uscita ormai da qualche anno.» ha continuato il presidente AIST «È stata una rivisitazione utile a rinfrescare un po’ l’opera, anche se molti, essendo cresciuti con i film di Jackson, erano affezionati alla traduzione vecchia. Ma cosa fa una traduzione? Una traduzione serve anche per rivisitare il messaggio dell’originale, non serve soltanto a scatenare battaglie inutili, che non servono a nulla da un punto di vista socio-letterario.»

Stefano Giorgianni ci parla di Tolkien ai nostri microfoni. © UniVersoMe

Il caso delle traduzioni tolkeniane

Alla luce delle polemiche inerenti alla nuova traduzione di Ottavio Fatica, abbiamo chiesto a Giorgianni, nonché traduttore della History of Middle-earth edita da Bompiani, se nel suo operato temesse il giudizio dei lettori più “conservatori”.

«Non è che l’ho temuto, lo abbiamo ricevuto quando è uscito il sesto volume.» ci ha raccontato. «Noi siamo vincolati alle scelte di Bompiani da un punto di vista dell’onomastica, della toponomastica, eccetera, perché dobbiamo usare per forza quello che è stato deciso in riferimento alle scelte di Fatica. Noi non possiamo
inventarci ex novo delle cose, dobbiamo usare quello che c’è, ed in più tradurre quello che manca, ma dobbiamo partire da quello è già in commercio. Anche perché è necessaria un’uniformità da un punto di vista editoriale, cosa che è sempre mancata. Adesso uscirà la nuova traduzione de “Lo Hobbit” di Wu Ming 4 e sappiamo che ci saranno delle polemiche: è inevitabile. Il problema è – quello che dico sempre – non bisogna lasciare per troppi anni una traduzione in commercio, perché sennò poi la gente pensa che quello sia il libro originale.

Una traduzione, bene o male, è sempre un’interpretazione del traduttore, qualcosa che dipende dai tempi che corrono in quel momento, quando viene tradotto, ed il linguaggio che viene usato. Sempre nel rispetto del linguaggio dell’autore. Però il testo originale rimane. Puoi esserci attaccato affettivamente, perché ci sei cresciuto, ma la nuova traduzione è un nuovo capitolo. E fra quindici anni ce ne sarà un’altra e la generazione che cresce adesso, con la traduzione di Fatica, fra quindici anni magari protesterà…ma il libro di Tolkien resterà quello. Quindi la traduzione non deve essere un feticcio da adorare. Bisogna sempre far riferimento al testo originale.»

 

Tolkien
Il linguista Stefano Giorgianni con la redattrice Valeria Giorgianni. © UniVersoMe

L’opera di Tolkien, un saggio di estetica linguistica?

Nel parlarci della nuova traduzione de Il Signore degli Anelli, Stefano Giorgianni ci ha anche spiegato i motivi per cui la più celebre opera di Tolkien è, a tutti gli effetti, un saggio di estetica linguistica.

«Una cosa di cui ci ha fatto accorgere Ottavio Fatica durante la traduzione è che, ad esempio, quella di Tolkien non è una vera e propria prosa, ma è quasi sempre una poesia. Tolkien non viene mai considerato un poeta, invece – questo si vede soprattutto attraverso la History – lui era fondamentalmente un poeta. Se tu vai a leggerlo in inglese – cosa che Fatica ha tentato di riportare in italiano – c’è un metro anche nella prosa. Oltretutto Tolkien ha inventato delle lingue, quindi è anche un trattato linguistico. Ha inventato delle razze che parlassero quelle lingue. Ci sono diversi strati. Il Signore degli Anelli da questo punto di vista ha un livello di analisi che è molto stratificato e prima che si arrivi alla fine manca ancora molto.

La profondità e le sfaccettature dell’opera di Tolkien, da un punto di vista filologico e linguistico, lo portano assolutamente alla definizione di saggio di estetica linguistica.»

Ma cosa significa concretamente creare una lingua, come ha fatto Tolkien?

Ci ha risposto il presidente AIST:

«C’è da dire che, quello che ha fatto Tolkien, secondo me è abbastanza irripetibile. Si sono visti spesso, in altri romanzi fantasy, dei popoli che parlano delle lingue, ma spesso è la lingua funzionale al popolo. In Tolkien è accaduto un po’ l’inverso. La potenza di Tolkien è quella di essere riuscito, da filologo e linguista, ad applicare quello che noi potremmo chiamare un mondo scientifico delle lingue in un romanzo. Perché le lingue di Tolkien – non tutte sono così particolareggiate, però linguisti successivamente le hanno comunque approfondite – hanno una struttura che è veramente da lingua artificiale vera e propria.

Se leggi la History hai un profilo dei primi vocabolari che sono approntati da Tolkien. È difficile trovare questo in un altro universo che non sia il suo. Per non dire che le lingue di Tolkien si possono anche parlare, se si vuole. Per dirti: analizzando soprattutto il linguaggio nero, che non è tra quelli di cui abbiamo più informazioni, si scorgono anche tante doti ed influenze glottologiche e linguistiche di un Tolkien accademico. Non è sicuramente una cosa “rapportabile” ad un autore che non avesse la sua formazione linguistica, secondo me. Questo lo porta ad un livello superiore rispetto agli altri, ancora adesso.»

Ed è così che J. R. R. Tolkien continua ancora oggi ad emozionare e stupire i propri lettori che, di generazione in generazione, testimoniano l’unicità di questo eterno autore che non si smette mai di (ri)scoprire.

 

Valeria Giorgianni

 

  • L’intervista è stata effettuata durante l’evento organizzato da Eriador Messina durante il MessinaCon 2024. 

Taobuk 2024: un gala tra identità e arte

Anche quest’anno il Taobuk ha regalato al pubblico grandi emozioni. Tra ospiti di spessore del calibro di Marina Abramovic, Paolo Sorrentino, Ferzan Ozpetek, Alessandro Baricco e tanti altri, il festival si è incentrato quest’anno su un nuovo tema: L’Identità.

Una magica serata alla ricerca dell’Identità

L’identità al centro delle manifestazioni artistiche di questi grandi ospiti si è manifestata anche nel magico, suggestivo e spettacolare contesto della Serata di Gala del Taobuk (momento più atteso del festival), tenutosi il 22 giugno.

La serata è stata presentata dal conduttore Massimiliano Ossini e Antonella Ferrara, ideatrice del festival. Qui l’identità è stata presentata in svariate forme: dalla danza con le coreografie strepitose del gruppo Momix, ideato dal coreografo Momes Pendleton e della prima ballerina del Teatro alla Scala Nicoletta Manni, alla musica con la magnetica esibizione di Noemi.

Ogni grande artista presente han espresso il proprio concetto di identità e dove la ritrovano nel proprio mondo, aprendoci così una finestra nel loro spirito più profondo.

Coreografia svolta da una delle ballerine del corpo di ballo dei Momix
Coreografia svolta da una delle ballerine del corpo di ballo dei Momix

A tu per tu con i Giganti

Da Jon Fosse a Kasia Smutniak, da Sorrentino a Baricco, le più grandi personalità presenti al festival hanno ricevuto un prestigioso premio alla carriera e si sono raccontati, affrontando temi importanti e sotto certi aspetti delicati.

Come nel caso di Jonathan Safran Foer che ha trattato lo spinoso tema della guerra tra Israele e Palestina, oppure come Ferzan Ozpetek che ha centrato il focus sulla sua identità omosessuale e in generale su questo tema  ancora oggi fin troppo delicato. C’è stato poi chi ha mostrato per l’occasione il lato più profondo della propria identità, come ad esempio Jon Fosse, che ha raccontato la sua conversione religiosa o come Paolo Sorrentino che ha dichiarato come trova se stesso all’interno della sua filmografia, soprattutto nel suo ultimo film E’ stata la mano di Dio e in quello che uscirà prossimamente nelle sale, Parthenope.

L’apice è raggiunto con un affascinante racconto di Marina Abramovic sulla sua brillante ed eccentrica vita performativa, basata sul rapporto tra arte e corpo.

Il tutto accompagnato dalle melodie dell’orchestra sinfonica del Teatro Massimo Bellini di Catania e dal dolce ricordo di una delle personalità più importanti di questo festival, ovvero Franco di Mare.

Il Teatro Antico: il ritorno alla nostra identità

Tra i grandi artisti presenti a questa grande serata di Gala, vi è stato anche lo scrittore Alessandro Baricco, che nel presentare il suo spettacolo del 23 giugno, rappresentato proprio al Teatro Antico, tratto dagli scritti dello storiografo Tucidide, Atene contro Melo, ci ha donato a tutti una delle più grandi riflessioni sull’identità di tutta la serata, legata prettamente alle nostre origini. Egli ha infatti dichiarato che:

il Teatro Antico di Taormina continua a vivere grazie alle sue rappresentazioni e al suo pubblico. Ed è proprio lì, alle origini della nostra Storia che risiede la nostra identità collettiva.

Su queste parole il Gala giunge al suo gran finale.

Antonella Ferrara conversa con Marina Abramovic
Antonella Ferrara conversa con Marina Abramovic

Taobuk: dove emozione e cultura si sposano

Anche quest’anno il Taobuk ha immerso il suo pubblico in un vortice di grandi emozioni e di grande cultura, donando l’opportunità di camminare tra i giganti e ascoltare le parole dei maestri.

Anche stavolta l’attesissima serata di Gala ha rappresentato il punto più alto di questo festival dove l’arte e la bellezza regnano, e che non vediamo l’ora di rincontrare il prossimo anno.

 

Marco Castiglia

Rosanna Bonfiglio

 

Egon Schiele: tormento e malinconia

Egon Schiele è stato uno dei protagonisti dell’Espressionismo austriaco, noto per il suo stile grafico e la distorsione delle figure, sfidando le norme di bellezza. 

Una vita breve, vissuta in totale libertà di pensiero e di creatività, al contempo dura e sprezzante, ma piena di arte e d’amore. Finito per essere considerato anticonvenzionale, eroico, eretico ed erotico, forse un genio pazzo o visionario, chi lo sa…  

Allora vediamo insieme un po’ la folle vita e l’arte di Egon Schiele. 

Devo risvegliare la mia vita… Gerti

Egon Schiele nasce nel 1890 a Tulln an der Donau (in Austria) e ben presto, la sua infanzia viene offuscata dal progredire della malattia mentale del padre, morto di sifilide.  Questa esperienza traumatica segna profondamente tutta la sua pittura, dandogli un’immagine del mondo tetra e malinconica, oltre che segnare in modo indelebile anche il suo rapporto con le donne. 

Ho pianto spesso in autunno, con gli occhi socchiusi.
E nell’estate magnifica, poi, ho sorriso e riso,
dipingendomi d’estate il bianco dell’inverno.

Schiele inizia a dipingere autoritratti e frequenta l’Accademia di belle arti di Vienna nel 1906, dove però i metodi conservatori lo deludono. Cerca quindi ispirazione altrove, nella sua desolazione,  trovandola nei caffè artistici di Vienna e in figure come Gustav Klimt, il quale lo influenza profondamente e lo introduce a ricchi mecenati.

Questo supporto gli permette di esporre le sue opere già nel 1908. Il suo stile espressionista si consolida rapidamente, caratterizzato dalla rappresentazione aggressiva della fisicità e della sessualità. Schiele mostra subito una passione per le figure femminili, soprattutto infantili. Le sue modelle preferite sono donne cui era unito da un profondo legame personale. In gioventù e nei primi anni di attività artistica è soprattutto la sorella Gerti ad assumere questo ruolo; in lei Egon osserva nell’adolescenza lo sbocciare di un corpo di donna che gli si mostra semplicemente senza veli.

Egon Schiele
Egon Schiele, Autoritratto con alchechengi, 1912, olio su tavola, 39,8 x 32,2 cm, Vienna, Leopold Museum. Fonte: finestresullarte.info

 

In opere come quelle esposte alla Kunstschau del 1909, Schiele mostra già la sua tendenza a raffigurare il corpo umano in modo distorto ed emotivamente carico. Utilizza una linea tagliente per esprimere angoscia e distorsione fisica e morale, con colori autonomi e non naturalistici.

Amo la morte e amo l’amore… Wally

Nel 1911, Egon Schiele incontra la diciassettenne Wally Neuzil, con la quale intreccia una relazione sentimentale e che diventa modella per alcune delle sue opere migliori.

Arde, brucia, si diffonde dopo la battaglia, – spasimo cardiaco.
Pesare – follemente animato da eccitata lussuria.

In cerca di ispirazione, Schiele e Wally decidono di lasciare Vienna e si stabiliscono inizialmente nella piccola città boema di Krumau, città natale della madre di Schiele. Tuttavia, gli abitanti del posto disapprovano il loro stile di vita, essendo i due non sposati, e li costringono a partire. Si trasferiscono allora a Neulengbach, un paesino vicino a Vienna.

Nel 1912, Schiele viene accusato da un certo Von Mosig, ufficiale della marina in pensione, di aver sedotto sua figlia Tatjana Georgette Anna, non ancora quattordicenne. Schiele viene così incarcerato per un breve periodo con l’accusa di aver traviato la minorenne, di aver avuto rapporti con lei e di averla rapita. Alla fine del processo, viene ritenuto colpevole soltanto di aver esibito opere considerate pornografiche.

Egon Schiele
Egon Schiele, La morte e la fanciulla, 1915, olio su tela, 150×180 cm, Vienna, Österreichische Galerie Belvedere. Fonte: wikipedia.it

 

Dopo questa esperienza, Schiele ritorna a Vienna. Grazie all’aiuto del suo amico Klimt, riesce a ottenere diverse commissioni, tornando alla ribalta sulla scena artistica austriaca e partecipando a molte mostre internazionali. Le sue opere del periodo, in gran parte autoritratti e ritratti, presentano figure nude in pose insolite, spesso caricaturali, che richiamano la morte e l’erotismo. Il suo disegno è caratterizzato da un tratto netto, energico e sicuro, talvolta persino violento. Queste opere cercano di provocare lo spettatore, suscitando un certo malessere.

Esisto perché anche io amo… Edith

Nel 1914, Edith Harms, figlia di un fabbro, diventa la terza e ultima importante modella nella vita di Egon Schiele.

Per diventare sua moglie, Edith pone come condizione di essere l’unica musa ispiratrice di Schiele, esigendo la fine del suo rapporto con Wally Neuzil. Schiele accetta e lascia Wally, che morirà successivamente al fronte come crocerossina.

Il matrimonio con Edith porta a Schiele una serenità che si riflette nei suoi dipinti, caratterizzati da una forza composta, influenzati anche dalle opere monumentali di Ferdinand Hodler.

Nel 1914, mentre la sua fama artistica cresce, scoppia la prima guerra mondiale, segnando la fine di un’epoca e il crollo dell’impero asburgico. Nel 1915, Schiele è chiamato alle armi, ma grazie a superiori comprensivi e amanti dell’arte, può continuare a dipingere. In questo periodo realizza ritratti di ufficiali russi e disegni di interni, mostrando una trasformazione nella sua concezione artistica verso una rappresentazione più naturalistica.

Venne la ragazza, trovai il suo viso,
il suo inconscio, le sue mani da lavoratrice;
tutto di lei ho amato.

Nel 1918, Schiele viene trasferito definitivamente al museo militare di Vienna. Questo anno segna un cambiamento di stile che gli porta fama e riconoscimenti, inclusa la partecipazione di successo alla quarantanovesima mostra della Secessione viennese.

Nell’autunno del 1918, l’epidemia di influenza spagnola, che uccide più di venti milioni di persone in Europa, raggiunge Vienna. Edith, incinta di sei mesi, contrae la malattia e muore il 28 ottobre. Durante la sua agonia, Schiele la ritrae più volte. Anche Egon viene contagiato e muore tre giorni dopo, il 31 ottobre, all’età di 28 anni.

“L’arte non può essere moderna. L’arte è eternità”

Schiele traspone su tela, quelli  che sono i meandri della sua mente, caricandoli di un’estrema tensione erotica esistenziale e psicologica, usata come mezzo per diffondere un messaggio di critica sociale contro la falsità borghese.

Egli rivendica l’importanza della esperienza interiore e delle sue manifestazioni più o meno violente. Scava nei propri personaggi per metterne a nudo la loro anima, sonda nelle figure angosciate prive di riferimento storico e contesto sociale le “pulsioni represse” di freudiana matrice.

Quindi, l’arte di Schiele ci consente di perderci nell’infinito esistenziale e ritrovarci a tu per tu con il senso della vita, che sfugge a ogni ordine e si ferma nel magma emozionale di una macchia di colore.

Gaetano Aspa

 

Le citazioni sono tratte dal libro Io eterno fanciullo di Egon Schiele

Taobuk 2024: i protagonisti e gli eventi in programma

Anche quest’anno, torna Taobuk, emblematico festival culturale della città di Taormina.

Nato dodici anni fa dal genio creativo di Antonella Ferrara, ora presidentessa e direttrice artistica dello stesso, il Taobuk è sempre stato intima espressione del fare arte. Un luogo di incontro fra letteratura, scienza e filosofia, ma anche musica, legalità, spettacolo e tanto altro, dove il confronto è ben accolto e la libera conoscenza e divulgazione sono solidi baluardi e motivo di orgoglio.

Negli anni, il festival ha proposto una serie di topic, tramite cui coagulare l’impegno attivo di varie personalità autorevoli.

Mentre nel 2023, abbiamo visto l’evento portare avanti disparati interventi, mostre, tavole rotonde e spettacoli incentrati sulla tematica della libertà, nel 2024, Taobuk presenta: Identità.

Per capire chi siamo – e perché siamo – il passaggio fondamentale è uscire da se stessi, percorrendo quella straordinaria esperienza che è la conoscenza e accettazione dell’altro. Vivere nella consapevolezza che non c’è identità senza alterità significa contribuire a piantare il seme del rispetto reciproco e plurale. È la vera grande missione della Cultura.

riporta la sinossi del programma.

Tramite grandi pensatori, Taobuk intende quindi veicolare un importante messaggio, cruciale alla luce delle recenti – e sanguinose – vicissitudini che hanno afflitto il panorama globale negli ultimi anni: ogni identità ha diritto di esistere ed estrinsecare se stessa, senza per questo limitare la libera espressione delle altre.

L’identità è un’impronta che non cancella quelle degli altri.

Bisogna riconoscerla, accettarla, accoglierla e rispettarla. È la sola speranza che ci rimane per non fare di ogni incontro uno scontro.

Questa edizione guarda all’ identità non come “io” ma come “noi” e pertanto identità che si pone coraggiosamente in relazione con l’altro, che accetta le diversità, che privilegia la capacità di ascolto, nella consapevolezza che si può affermare e difendere la propria identità senza dover ritenere che l’altro, il diverso da noi, costituisca una minaccia.

La XIV edizione inizierà giovedì 20 giugno e proseguirà fino alla giornata del 24. Fra gli oltre duecento ospiti d’eccezione, ricordiamo personaggi del calibro di Marina Abramović, Alessandro Baricco, Luciano Fontana, Jon Fosse e Ferzan Özpetek.

 

Eventi che segnaliamo: 

  • Giovedì 20 giugno, ore 18.00, giardino Palazzo Duchi di Santo StefanoQuanto è arrogante questo Occidente, con protagonista Piergiorgio Odifreddi.
  • Venerdì 21 giugno, ore 10.00, Palazzo CorvajaL’eterno divenire delle identità, intervento di Roberta Scorranese.
  • Venerdì 21 giugno, ore 11.00, Palazzo CorvajaIdentità come arma geopolitica, con Viviana Mazza, David Scharia, Roger Hearing, Alessandro Sallusti e Alessandro De Pedys.
  • Sabato 22 giugno, ore 10.00, Palazzo CorvajaQuale futuro?, ospiti Massimo Sideri e Andrea Prencipe.
  • Sabato 22 giugno, ore 15.00, Palazzo CorvajaAlgoritmi e lotta di classe, Paolo Landi in dialogo con Giuseppe De Belli.
  • Domenica 23 giugno, ore 12.00, Palazzo Duchi di Santo StefanoLe infinite possibilità di essere altro, con Fernando Arambaru.

Come ogni appuntamento, il sabato, giorno 22, si terrà presso il Teatro Antico la serata di Gala e la presentazione dei vincitori dei Taobuk Award. 

 

Un’ottima occasione per gli studenti di Unime per prender parte a questo prodigioso divenire e fluire di idee.

 

 

 

Fonte: https://www.taobuk.it/wp-content/uploads/2024/06/LOW_Programma-generale_12-giu.pdf

Neuroestetica: la scienza dietro l’arte

La disciplina che concilia le neuroscienze e l’estetica, intesa come sfera del sensibile in riferimento all’arte, e che si promette di studiare con metodo scientifico i processi neurofisiologici coinvolti nel godimento dell’opera d’arte.

Origini della Neuroestetica

Si tratta di un ambito di ricerca relativamente nuovo, proposto dal neurobiologo Semir Zeki nei primi anni del Duemila e formalmente definita come “studio scientifico delle basi neurali per la contemplazione e creazione di un’opera d’arte” in occasione della fondazione dell’Istituto di Neuroestetica (2002).
Il significato della disciplina è sostenuto dal suo fondatore con l’argomentazione che non può esistere una teoria estetica completa senza la totale comprensione dei fondamenti neuronali.
Zeki inoltre sostiene che vi sia un percorso parallelo per artisti e neuroscienziati della vista e un fine comune di scoprire le distinzioni del mondo visivo e, simultaneamente, i meccanismi cerebrali coinvolti.

Meccanismi cerebrali

Si può quindi comprendere per quale ragione molte volte i dipinti violano le leggi della fisica del mondo reale nell’ambito di ombre, colori e contorni: l’obiettivo dell’artista non sarebbe tanto la rappresentazione fedele al mondo esterno, quanto ricreare le scorciatoie percettive usate dal cervello.

La “manipolazione” cerebrale sfruttata dagli artisti risiede nel percorso compiuto dall’informazione visiva. Tutto inizia a livello della corteccia visiva primaria, dove i neuroni registrano informazioni come linee e curve del campo visivo.

L’informazione poi procede secondo due percorsi, distinti ma collegati, verso l’area ventrale e dorsale del cervello, coinvolte nell’elaborazione visiva: la corrente ventrale, o “via del Cosa”, si estende dalla corteccia visiva primaria alla corteccia temporale inferiore ed è associata al riconoscimento di forme, colori e in generale della rappresentazione degli oggetti.

La seconda è la corrente dorsale, anche detta “via del Dove” o “via del Come”, e ha inizio nella corteccia primaria visiva (V1) con termine nella corteccia parietale posteriore. La sua funzione è di localizzare l’oggetto all’interno del campo visivo grazie anche ad informazioni complementari come luce e movimento, oltre ad essere un’importante componente per afferrare oggetti.

Da cosa è costituita l’opera d’arte?

Gli elementi che compongo l’opera d’arte sono colore, forma, texture e disegno, ma ancora più semplicemente distinguiamo colore e luce: il primo esprime emozioni e simboli, la seconda descrive le forme, il tratto e la texture.

Mentre il colore è un aspetto dell’opera costantemente analizzato e approfondito, la luce, nonostante possieda un ruolo chiave nella composizione artistica, è ancora poco sfruttata dagli artisti stessi.
Un perfetto esempio di ciò è rappresentato dalla corrente impressionista; si affaccia sul mondo dell’arte figurativa verso la fine del XIX secolo a seguito della diffusione del neoclassicismo, avvenuta qualche decennio prima, da cui prende le distanze, facendo dell’uso sperimentale di luce e colore un manifesto.

Un esempio di studio

Si prenda in esame il quadro di Claude Monet “Impressione, levar del sole” (1872), da cui derivò il nome della corrente.
Lo si confronti con una versione monocroma della stessa opera e si rimuova uno dei due elementi chiave, il colore. E’ possibile così soffermarsi maggiormente sulla luce del dipinto e in particolare su come il sole e le nuvole siano stati rappresentati con la stessa luce dall’artista e volutamente.

Se, infatti, Monet fosse rimasto fedele alla realtà raffigurando quindi un sole più chiaro e luminoso dello sfondo su cui si staglia, paradossalmente sarebbe risultato meno brillante rispetto alla versione definitiva.

Tre versioni del dipinto di Monet “Impressione, levar del sole”: originale (in alto), monocromatico (centro), con la luminosità del sole resa realistica (in basso). Fonte: Light Vision

Il fenomeno pittorico appena illustrato si può spiegare a livello cerebrale prendendo in esame l’elaborazione separata dell’informazione visiva convogliata dalle due correnti.

Laddove la via del Cosa trasmette informazioni riguardo al colore, la via del Dove è insensibile al colore.
La seconda è tra i due il sistema più antico e in grado di rilevare con maggiore precisione la luce e le sue variazioni. Come conseguenza, registra anche il movimento e la profondità degli oggetti rispetto allo sfondo.

L’opera impressionista riesce dunque ad ingannare la via del Dove. Davanti agli oggetti isoluminanti (come il sole e il mare, con intensità luminosa uniforme), non potendo contare sull’aspetto cromatico, non riesce a registrarne la posizione o la profondità.  Il risultato di questo fenomeno è quella sensazione di apparente movimento delle onde e dello scintillio del sole riflesso sull’acqua.

Rafforza l’illusione la tecnica pittorica scelta da Monet: tante pennellature brevi sulla tela, che richiedono all’osservatore di essere unite in tratti unici.

L’antitesi classicista

Una controprova della teoria si ha osservando un’opera che rappresenta una scena d’azione, ottenuta facendo uso di luce a diverse intensità: ne “Il ratto delle Sabine” di Nicolas Poussin (1638), l’eccesso di movimento e dettagli raffigurati dall’autore finiscono per avere un effetto paralizzante. 
Il cervello dell’osservatore si sofferma a studiare il maggior numero possibile di particolari. Esso, però, ontemporaneamente fissa le figure sullo sfondo, perdendo così la sensazione di slancio delle figure.

La Neuroestetica non si ferma qui

la Neuroestetica si dimostra promettente verso future applicazioni, specie nella comprensione dell’impatto dell’opera sull’osservatore nel campo dell’arte visiva; ma anche nel mondo architettonico per la costruzione di edifici abitativi e in ambito clinico riguardo gli effetti di malattie neurodegenerative sulla percezione artistica.

Eleonora Calleri

FONTI:

Neurobiology of sensation and reward, Chapter 18, A. Chatterjee: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK92788/#ch18_r52
Light vision, M. Livingstone: https://switkes.chemistry.ucsc.edu/teaching/CROWN85/literature/lightvision.pdf
Neuroaesthetics: an introduction to visual art, T.S. McClure, J.A. Siegel: https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/1745691615621274
The neuroaesthetics of architectural spaces, A. Chatterjee, A. Couburn, A. Weinberger: https://doi.org/10.1007/s10339-021-01043-4
Art produced by a patient with Parkinson’s disease, A. Chatterjee, R.H. Hamilton, P.X. Amorapanth: https://doi.org/10.1155/2006/901832

Al via la IX edizione della Piazza dell’arte

Dopo il successo delle scorse edizioni, il cortile centrale dell’Università di Messina il prossimo 16 maggio tornerà a essere la “Piazza dell’Arte”. Per il nono anno l’Associazione Morgana organizza la manifestazione destinata alla valorizzazione dei giovani talenti di ogni espressione artistica, coinvolgendo tutta la città per una notte davvero magica.

Il grande cortile si trasformerà come d’incanto in uno spettacolare palcoscenico all’aperto, sul quale potranno esibirsi, con assoluta libertà creativa, giovani cantanti e musicisti – sia solisti sia in gruppo e per qualunque genere musicale – ballerini, attori, performer di ogni tipo. Saranno ospitati anche laboratori artistici di pittura e scultura e mostre fotografiche. Attraverso il variegato mondo dell’arte si rinsalda così il rapporto sempre più stretto tra la città di Messina e l’Ateneo peloritano, offrendo ancora una volta la possibilità ai giovani di dare una dimostrazione concreta delle proprie capacità confrontandosi con il pubblico.

Cortile centrale dell’Università, Fonte: unime.it

Iscrizione e costi

Iscriversi è semplicissimo: basta consultare il bando dell’evento nelle pagine social dell’Associazione Morgana e inviare la propria candidatura all’e-mail associazione.morgana@gmail.com rispettando la scadenza del prossimo 27 aprile.

La “Piazza dell’Arte” è un evento completamente gratuito, sia per i partecipanti che per gli spettatori, che ad ogni edizione rafforza l’entusiasmo generato dai momenti di condivisione, promossi dagli studenti per gli studenti.”

Alessio Morganti

Non togliermi il tuo amore

Non togliermi il tuo amore,

le tue parole, il tuo sorriso.

Toglimi il vino e il vizio del fumo,

toglimi le scarpe, la maglia, il cuore

ma restami accanto nel dolore.

Portati via le cicatrici,

i tagli e l’aria delle mie narici,

ma non togliermi il tuo sapore,

perché è la fonte del mio vivere.

Prenditi le mie poesie

ma non togliermi il tuo amore,

perché come Amore amava Psiche,

così io amo te. 

Levami tutto e tutto prenditi,

ma non togliermi il tuo amore.

 

Gaetano Aspa

 

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Ciò che noi siamo

Maggio, che a tutti porti consiglio
A me hai portato consapevolezza
Di star vivendo qualcosa di inaspettato
Con in pancia un respiro spezzato
Pensando di non essere all’altezza
Convincendomi con un tuo piccolo bisbiglio
Che noi siamo ciò che si scrive
Ciò che si cela dietro ogni canzone
L’intenzione di ogni artista che crea
Che vuole dipingere una marea
Ma alla fine dipinge un’emozione
Che prova solo chi l’amore vive.

Francesco Pullella

Il Museo MAXXI di Roma aprirà una sede in riva allo Stretto di Messina

Messina ospiterà il Polo della creatività del Mediterraneo. Questo è quanto emerso lunedì 23 ottobre dall’incontro tra il sindaco della città Metropolitana Federico Basile e il presidente della Fondazione MAXII Alessandro Giuli, alla presenza del direttore generale del comune Salvo Puccio.

Federico Basile - fonte: Instagram
Federico Basile – fonte: Instagram

La firma

Dopo i primi contatti e gli accordi stabiliti dal Protocollo di Intesa firmato a Roma lo scorso 20 luglio tra Comune, Università di Messina e la fondazione sopracitata, è stata resa ufficiale la realizzazione di una sede distaccata del Museo delle Arti contemporanee di Roma, importantissima realtà italiana ed europea che ospita mostre di arte, architettura, design e fotografia, ma anche progetti di moda, cinema, musica, performance di teatro e danza.

Il distaccamento, voluto fortemente non solo dal presidente Giuli ma anche da Fabio Longo, consigliere del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, e dal Senatore della Lega Nino Germanà, sorgerà in due zone distinte della città. L’atto integrativo prevede, infatti, la creazione di un distaccamento nei pressi di Torre Faro, precisamente nell’edifico di archeologia industriale noto come “Torri Morandi” di proprietà del Comune dal 2021, e a Villa Pace, edificio storico risalente al 1853, di proprietà dell’Università.

Il progetto

La realizzazione del MAXII Med sarà possibile grazie ai fondi messi a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e rientrerà nel finanziamento per il Piano Urbano Integrato. Il costo si aggirerà intorno agli 8 milioni di euro. La Fondazione MAXXI si farà carico dello studio preliminare per definire il progetto museale da realizzare e avrà l’edificio in comodato d’uso per 15 anni.

I lavori del polo, che sarà dedicato alla scena artistica contemporanea del Mediterraneo e delle culture dei Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum e  punta a divenire un punto d’incontro tra Europa, Maghreb e Medio Oriente, facilitando il dialogo interculturale e formando nuove professionalità di settore, dovrebbero concludersi entro la fine del 2025, anche se durante l’incontro avvenuto nel Salone delle Bandiere, a Palazzo Zanca, vi è stata la promessa di impegnarsi affinché terminino nel minor tempo possibile.

Torri Morandi – Fonte: gazzettadelsud.it

Le parole dei protagonisti

Il sindaco Federico Basile si è detto molto contento della realizzazione di tale progetto, dichiarando che:

Questa collaborazione è molto importante, è una grande opportunità per tutta l’area di Capo Peloro e per la città che ribadisce il ruolo strategico. Si tratta di una operazione che rientra nell’ambito degli interventi di rigenerazione urbana finalizzata a trasformare il volto della città e della provincia in una visione di lungo termine, attraverso la nascita di un centro di ricerca e di formazione per le nuove professionalità nel settore della cultura per restituire a Messina il ruolo di baricentro del Mediterraneo.

Anche Giuli ha espresso la propria felicità per l’accordo raggiunto, affermando:

Ringrazio Messina e l’invito che l’Amministrazione comunale ha rivolto al MAXXI, nell’ottica della volontà del Museo nazionale delle arti del XXI secolo di irradiare la propria azione a livello internazionale. Per questa ragione non potevamo non essere qui, perché il MAXXI del Mediterraneo non può non nascere proprio a Messina, capitale naturale del Mediterraneo. La firma di oggi è la prova di quanto crediamo in questo progetto.

Infine, anche il senatore della Lega Nino Germanà ha rilasciato parole di ringraziamento per coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto:

Un grazie al sindaco della città metropolitana di Messina, Alessandro Basile, e a Salvatore Cuzzocrea, (ex rettore dell’Università, ndr,) per aver colto questa opportunità. Avanti così collegando la Sicilia all’Europa: questo è il potere delle infrastrutture e dell’Italia del sì.

L’attesa

Adesso non resta che attendere la realizzazione del progetto ufficiale e l’apertura dei cantieri che avranno il compito di dare alla luce questo nuovo Polo museale che diverrà una vera e propria attrazione per tutto il Mediterraneo.

Giuseppe Cannistrà

Tacito accordo

Arte.
Travolgente,
arriva lenta, resta sopita per un po’,
non urla, non è un vulcano in eruzione.

Arte.
Arriva silenziosa, si infiltra dove trova una porta rimasta socchiusa.
Smonta certezze,
crea domande.
Riempie un vuoto per crearne un altro subito dopo.

Guardando tra le pennellate
si scorge qualcuno che ha vissuto come me,
qualcuno che è stato me prima di me.

Io, immobile, davanti a un Picasso,
che urla in silenzio senza colori
la pece nera della guerra.

Io, immobile, davanti a un Kandinskij,
che scardina l’ordine imposto dal mondo
nel momento stesso in cui è nato.

Io, immobile, davanti a Bernini,
che dona il soffio al marmo,
corpi vivi intrecciati più autentici degli uomini.

Semplici artisti?
Forse qualcosa di più.
Si sentono urla anche se tutti stanno in silenzio.

Diventa un gioco di fiducia,
un tacito accordo,
un patto mai davvero siglato:
accetto di ritrovarmi in te
perchè so che conservi qualcosa per me
tra le veloci pennellate,
tra le pieghe del marmo.

Un delicato urlo,
un gioco di scacchi.
A ogni quadro il suo spettatore,
a ogni spettatore il suo artista.

Pur restando in un museo deserto,
non potrebbe mai esserci solo silenzio.
Mille voci si accavallano,
attendono solo un orecchio attento.

 

Giulia Cavallaro

 

 

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia