Messina nel 1780: il quartiere “Corso”

Ritorna l’appuntamento dedicato al viaggio nella Messina del 1780.  L’architetto Giannone oggi ci accompagna nel quartiere “Corso”.         

La strada Maestra era la strada più importante, per la sua lunghezza si segmentava in otto parti e sorgevano numerosi palazzi gentilizi e diversi edifici religiosi. Dopo il terremoto del 1783, la strada venne allargata diventando così il Corso della Messina borghese ottocentesca. L’asse viario ormai denominato via Cavour, venne ripristinato anche nel Piano di Luigi Borzì durante la ricostruzione post 1908.

Mappa del quartiere “Corso” – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

Stele dell’immacolata

Situata in origine in uno slargo di via dell’Uccellatore, frontalmente alla Chiesa di San Niccolò al Corso e accanto al Palazzo del Pendidattilo, venne commissionata dal Senato cittadino nel 1757 e innalzata da Giuseppe Buceti. La scultura, alta circa 14 metri, segue lo stile del barocco napoletano.  Al livello superiore quattro puttini si appoggiano sul piedistallo e tengono in mano fiori di bronzo, sopra di essi si eleva un globo ornato da volute, un drago e simboli cosmologici sul quale si appoggia la statua della vergine. Danneggiata nel 1783, venne restaurata nel 1815 e attualmente si trova nel piazzale antistante la parete nord del Duomo.

Ricostruzione della Stele dell’Immacolata e della Chiesa di San Nicolò dei Gentiluomini nel 1780 – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

La Stele dell’Immacolata oggi – ©Silvia Molino, Messina 2022

Chiesa di San Nicolò dei Gentiluomini

Una delle chiese di maggior prestigio, sede dell’Ordine gesuitico.

Nello stesso sito vi erano tre diverse chiese: Santa Cita, la Madonna dell’Accomodata e l’antica chiesa di San Niccolò dei Gentiluomini. Nel 1548 affidata ai Padri Gesuiti, la ricostruzione e ampliazione venne affidata a Camalech. A causa di un incendio nel 1585, i lavori si protrassero a lungo, la facciata venne ultimata solamente nel 1715: contraddistinta da 12 colonne di pietra mischia che inquadravano le 5 navate, tre portali alternati a grandi nicchie con all’interno quattro statue di Santi.

Il campanile posto nell’estremità della navata destra, era secondo in altezza solo a quello del Duomo.  La chiesa presentava inoltre un fitto apparato decorativo con le dieci cappelle ornate da stucchi ad oro e marmi mischi, la volta era stata interamente affrescata da Antonio Bova.

Crollata nel terremoto del 1908 e purtroppo non venne più ricostruita.

Facciata della Chiesa di San Nicolò semidistrutta dopo il sisma del 1908Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

Casa professa dei PP. Gesuiti

Attigua alla Chiesa di San Niccolò vi era la Casa Professa dei Gesuiti. Costituita da due lunghe ali parallele separate da un chiostro e da un giardino, messe in comunicazione da parte di uno stretto corpo di fabbrica, con il progetto affidato ad Andrea Calamech, terminato in ordine dorico da Simone Gulli nel 1608. Il portale venne eretto nel 1724 da Pietro Cirino in marmo rosso.

Dopo la cacciata dei Gesuiti anche il grande palazzo fu ceduto ai Cistercensi, che lo riadattarono come convento.
Nel 1866 venne riadattato a sede della provincia e della Prefettura e verso la fine del secolo fu soggetto a importanti lavori di restauro nel corso dei quali fu adottata la tecnica Hennebique in cemento armato.

Nonostante l’impiego di queste “moderne” tecnologie, l’edificio venne completamente atterrato dalla scossa del 28 dicembre 1908.

Nell’area in cui sorgeva è stato eretto successivamente il “Palazzo dei Leoni”, sede della Città Metropolitana di Messina.

Il “Palazzo dei Leoni”, eretto nell’area dove sorgeva la Chiesa di San Nicolò dei Gentiluomini e la Casa Professa dei Padri Gesuiti – ©Silvia Molino, Messina 2022

Chiesa e convento di San Domenico

Senza dubbio una delle Chiese più antiche e ricche di opere d’arte di Messina. ondata nel XII secolo dai Cavalieri Templari su concessione di Ruggero I come Ospedale di San Marco.

Nel corso dei secoli il complesso fu ulteriormente allargato fino a raggiungere un’estensione di circa mezzo ettaro. Comprendeva, oltre alla Chiesa, un Chiostro, un vasto cortile, il convento, gli oratori di Sant’Orsola, dell’Ave Maria e della Pace, il Cappellone dei Genovesi e un alto campanile innalzato nel 1717.

La Chiesa di San Domenico, secondo la tradizione degli ordini mendicanti, era a navata unica posta singolarmente a livello inferiore rispetto al terreno circostante. All’interno era decorata da una moltitudine di cappelle laterali, circa dieci, riccamente ornate. A destra del portale d’ingresso vi era il monumento funebre del Visconte Vincenzo Cicala, ammiraglio di Carlo V e padre del celebre condottiero ottomano rinnegato Scipione Cicala, conosciuto come Sinan Pascià, attribuito ad Andrea Calamech.

Nella fase conclusiva dei moti del 1848, l’esercito borbonico dette fuoco all’intero aggregato utilizzato come deposito delle munizioni: la distruzione fu pressochè totale.

Chiesa della SS. Annunziata dei Teatini

I chierici regolari teatini, seguaci della regola istituita da San Gaetano da Thiene, giunsero a Messina nel 1607 venendo accolti in un primo momento nella Chiesa dell’Annunziata del Castellammare.

Verso la metà del secolo, grazie ai lasciti della contessa Giovanna Cybo e il sostegno del vescovo Simeone Carafa, la chiesa venne ricostruita, ampliata e aggregata a un nuovo grande corpo di fabbrica assunto a casa dell’ordine teatino.

Il progetto, sicuramente della facciata, fu affidato a Guarino Guarini, membro dell’ordine e attestato a Messina dal 1657 al 1662. Guarini sviluppò una facciata con asse nettamente diagonale rispetto all’asse principale della chiesa, smorzando magistralmente questa difformità attraverso uno sviluppo concavo del prospetto di concezione prettamente borrominiana.  Inoltre, pensò bene di erigere il campanile nella grande sacca di muratura piena venutasi a creare nella zona tra la facciata e la parte destra della navata per via dei loro angoli diversi.

Il 28 dicembre 1908 la chiesa venne completamente distrutta dalla furia tellurica. Gli ultimi resti della facciata vennero demoliti nel 1912.

La Chiesa della SS. Annunziata dei Teatini in una foto antecedente al 1908 – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

La chiesa di Sant’Antonio Abate, eretta nell’area dove sorgeva la Chiesa della SS. Annunziata dei Teatini – ©Silvia Molino, Messina 2022  

Casa dei Padri Teatini

Attigua alla Chiesa dell’Annunziata vi era la Casa dei Teatini, il cui prospetto venne anch’esso realizzato dal Guarini. Caratterizzata da finestre abbinate tra paraste, contraddistinto da grandi aperture ad arco a tre luci che cingono le varie coppie di finestre, le quali erano sormontate a loro volta da una terza apertura che formava, con i due spicchi laterali, una sorta di finestra termale.

Il grande fabbricato ospitava ben tre oratori: quelli di San Giacomo e di Santa Maria delle Grazie e il terzo denominato della Natività o dei Mercanti. Il terremoto del 1908 danneggiò seriamente l’edificio ma in maniera minore rispetto all’attigua Chiesa, tuttavia venne demolito nel febbraio 1912.

Ricostruzione della Chiesa della SS. Annunziata e dell’attigua Casa dei Padri Teatini nel 1780 – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

 

Alla prossima!

Terminata anche questa tappa, vi diamo appuntamento alla prossima puntata, in cui “visiteremo” il quartiere “I Banchi”.

 

Marta Cloe Scuderi

Fonti:

Luciano Giannone, Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa, Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2021.

Immagine in evidenza:

Francesco Sicuro, Annunciata de Teatini, in Vedute e prospetti della città di Messina, 1768, in Luciano Giannone, Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa, Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2021.

Il Palazzo Reale di Messina: una grande storia durata sette secoli

All’incrocio tra la via I Settembre e il Viale San Martino oggi sorge il Palazzo della Dogana, costruito in stile Liberty, nel 1914, su progetto di Giuseppe Lo Cascio.
Vi è da sapere, però, che in quella stessa area in antichità si trovava una delle più maestose regge della Sicilia: il Palazzo Reale, voluto dai Normanni nella seconda metà dell’XI secolo e rimasto una delle principali residenze reali dei re e vicerè di Sicilia fino alla fine del XVIII secolo.

In realtà, molto probabilmente, il Palazzo aveva un’origine ancora più antica: i normanni, infatti, non avrebbero fatto altro che riedificare un preesistente castello arabo, dimora degli emiri durante la dominazione islamica della Sicilia. Ciò si evince da alcune iscrizioni arabo normanne del XII secolo, che verosimilmente ornavano una delle facciate della reggia e che oggi sono conservate al Museo regionale di Messina.
Ad ogni modo, il Palazzo Reale ebbe grande rilievo in epoca normanna: nel 1061, Messina fu la prima città siciliana conquistata da Roberto il Guiscardo e il fratello minore Ruggero (diventato poi il primo Conte di Sicilia). Proprio nella città dello Stretto, i sovrani normanni si stabilirono e cominciarono ad erigere fortificazioni, fra cui appunto la grandiosa reggia che divenne la loro residenza. Solo dopo la morte di Ruggero, sua moglie Adelasia del Vasto, regina madre e reggente, e l’erede al trono Ruggero II si trasferirono a Palermo.

La reggia messinese continuò comunque ad avere la sua importanza: il sovrano spesso tornava a soggiornarvi, essendo la città peloritana la seconda capitale di quello che divenne, nel 1130, il Regno di Sicilia. A cavallo tra il 1190 e il 1191, il Palazzo ospitó anche re Filippo II di Francia : diretto verso la Terra Santa, per combattere la Terza Crociata, le tempeste invernali lo costrinsero infatti a fermarsi a Messina per diversi mesi.

Nel corso dei secoli, la reggia subì diversi rimaneggiamenti. Nel periodo aragonese, più precisamente sotto il dominio di Federico III, fu eseguito un ampliamento.
Successivamente, dal 1565 al 1589 il Palazzo fu riconfigurato in chiave rinascimentale per volere del vicerè Garcia di Toledo e su progetto dell’architetto toscano Andrea Calamech. Mentre in epoca medievale l’edificio aveva probabilmente sei torri, nella ricostruzione attuata da Calamech si presentava poi con quattro torri, quattro logge e quattro saloni grandi.
Sempre in epoca spagnola ulteriori ampliamenti e rinnovamenti furono eseguiti per volere dei vari vicerè di Sicilia.

Nel 1714, cioè un anno dopo che l’isola era stata ceduta dallo spagnolo Filippo V al duca di Savoia Vittorio Amedeo II, il messinese Filippo Juvarra, architetto reale di casa Savoia, elaborò un progetto di ristrutturazione e ampliamento di quella che sarebbe stata la dimora del nuovo sovrano. L‘intenzione era quella di conferire alla reggia lo status e quindi le caratteristiche di una corte europea. Il progetto di Juvarra, tuttavia, non fu eseguito a causa del rientro della corte sabauda a Torino dopo pochi anni.
Da alcuni rilievi fatti sull’edificio per volere di Carlo IV di Borbone, nel 1751, sappiamo come al tempo era strutturato lo stesso e quindi possiamo anche provare ad immaginare come si svolgeva la vita al suo interno. Nei corpi bassi del palazzo si trovavano le rimesse, il carcere, la chiesa e la casa del custode; al piano terra i locali di servizio, ossia la lavanderia, la cucina, la cavallerizza, ecc.); al piano nobile gli uffici (la Segreteria di Stato, la Tesoreria, l’archivio); al terzo piano gli appartamenti reali, una cappella e un salone per le feste da ballo; al quarto livello, infine, gli alloggi per la servitù.

Buona parte di tutto ciò andò distrutta nel terremoto della Calabria meridionale del 1783. Da lì ebbe inizio la parabola decisamente discendente di quella che un tempo fu un’imponente reggia. Ferdinando I delle Due Sicilie nel 1806 decise di spostare la sede del Palazzo Reale presso il Palazzo del Gran Priorato Gerosolimitano dell’Ordine di Malta. Mentre quel che rimaneva del vecchio edificio reale venne ulteriormente danneggiato nel 1848, durante la rivolta antiborbonica. A partire dall’anno dopo, le strutture che avevano resistito furono adibite a magazzini per il porto.
Il resto lo fece il terremoto di Messina del 1908: l’edificio fu raso al suolo, come del resto gran parte della città peloritana. Nel dopo-terremoto, poi, le parti superstiti vennero distrutte completamente per costruire su quella stessa area strategica, a ridosso del mare e del porto, il Palazzo della Dogana.
Oggi del Palazzo Reale non rimane altro che un nome e qualche testimonianza, perlopiù iconografica (raffigurazioni pittoriche, piante e progetti). Per molti, poi, “Palazzo reale” è solo una fermata del tram… Ma noi ci auguriamo che, dopo aver qui ripercorso la sua storia, ad ognuno, passando da quel luogo o anche solo leggendo o pensando a quelle due paroline, torni in mente che lì si è svolta una parte importante della storia siciliana e che da lì sono passati gli uomini che appunto hanno scritto tale storia.

Francesca Giofré