“Obama out but save Obamacare”

o-obama-facebookPoche ore fa a Chicago di fronte a circa 20.000 persone,  Barack Obama ha tenuto il suo ultimo discorso pubblico in qualità di Presidente degli Stati Uniti d’America prima di cedere definitivamente la scrivania della sala ovale al suo successore Donald Trump.

Inevitabilmente questa notte è calato il sipario su una delle pagine più belle della storia occidentale, infatti Obama divenuto il primo presidente Afroamericano degli Stati Uniti è riuscito ad incentrare l’attenzione del dibattito politico-istituzionale su temi che fino ad allora erano stati relegati ai margini dai suoi predecessori.

Proprio la sua spinta riformista ci permette di etichettarlo come uno dei politici più liberal, insieme all’ex vicepresidente e premio nobel Al Gore.

Ma nonostante il clima di incertezza generale causato dalla rocambolesca elezioni del tycoon Trump, cosa rimarrà alle nuove generazioni dell’operato dell’ormai ex Presidente?

Sicuramente una pietra miliare dell’amministrazione Obama è rappresentata dal “Patient Protection and Affordable Care Act” ovvero la riforma sanitaria, che tramite mezzo stampa venne rinominata “Obamacare”. La suddetta riforma ha permeato la sua linea politica fin dal quando nel lontano 1997 venne eletto come membro del Senato per il 13° distretto dell’Illinois.

Entrata in vigore il 25 marzo 2010, la suddetta riforma diede la possibilità a circa 31 milioni di cittadini di poter usufruire di una copertura sanitaria totalmente gratuita. Infatti questo rivoluzionario atto legislativo rappresenta una netta cesura rispetto al sistema delle lobby assicurative sanitarie che da sempre risultano essere un elemento discriminate all’interno del welfare state  Americano.

Eppure nonostante essa rappresenti uno dei provvedimenti legislativi più importanti dell’ultimo decennio, a tutt’oggi l’Obamacare rischia di poter essere cancellata con un colpo di spugna. Infatti la maggioranza Repubblicana, che storicamente rappresenta gli interessi delle lobby assicurative ha più volte aspramente criticato la linea politica dell’amministrazione della Casa Bianca in merito, poiché essi ritengono che i trasferimenti monetari derivanti dall’assistenza sanitaria pesino eccessivamente sulla spesa pubblica.

Anche durante questa campagna elettorale, il candidato Donald Trump ha affermato più volte che la soluzione più congeniale in un’ottica costi/benefici sarebbe quella di sviluppare un sistema di assistenza sanitaria che sia a totale carico del datore di lavoro di ciascun cittadino. Ovviamente la suddetta manovra andrebbe ad escludere totalmente coloro i quali non risultano al momento occupati o non godono di un reddito fisso.

Tuttavia non sono solo le forze politiche a minacciare l’efficacia della riforma, infatti a seguito di un ricorso presentato alla Corte Suprema da parte di un ex reduce di guerra 7,3 milioni di persone rischiano di poter perdere la loro copertura sanitaria. La natura del ricorso risiede nella concezione di stato federale e dell’autonomia di cui gode ciascuno stato nel poter regolamentare il proprio mercato interno.

E’ palese che la vita dell’ Obamacare risulti essere appesa ad un filo sottile che lega le pressioni politiche con l’iter giudiziario. Ciononostante al netto delle valutazioni degli esperti del settore, siamo sicuri che l’America sia pronta a fare un passo indietro sui diritti civili, negando così un diritto garantito dall’ articolo 25 della dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo?

Simone Coletta

Dimmi chi voti e ti dirò se ti rimuovo dalle amicizie Facebook!

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Delegare la possibilità di scegliere su questioni di vitale importanza è un topic la cui origine si perde nel tempo. Viste le imminenti elezioni di novembre (non Unime, ndr) che vedranno lo scontro tra la visione “rivoluzionaria” che ha del mondo Trump e la ricerca di una conferma della discontinuità (iniziata col periodo Obama) della Clinton, e vista l’importanza che rivestiranno nei confronti delle future politiche ed economie in tutto il globo, è impensabile credere che non possa accadere qualcosa che possa minare la credibilità di uno piuttosto che dell’altro candidato, vivendo nell’era dei Social Media. Non sono mancate infatti minacce di possibili attacchi informatici (si è bisbigliato negli ultimi giorni di furto di credenziali nei confronti della Clinton), con riversamento di informazioni e che potrebbero compromettere la campagna elettorale e veicolare quantità innumerevoli di voti da una parte o dall’altra.
h2>Sperimentiamo un po’
Al di là di quello che può essere un atto “piratesco” di attacco nei confronti di una persona, a prescindere da quella che sia la volontà di una persona di rivelare alcune informazioni, credo ci sia qualcosa di cui preoccuparsi ulteriormente, e sono i cosidetti “esperimenti social”. Da qualche giorno a questa parte è disponibile per gli utenti Facebook americani la possibilità di poter effettuare un “endorsement” nei confronti di uno dei due candidati attraverso un’applicazione che permette di scegliere chi è il personaggio politico di riferimento con un solo click, e che applica un badge alla propria immagine profilo.
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h2>Possibilità di accanimento
Se da un lato questo può far scaturire la voglia di perdere i legami con ogni singola persona che faccia uso di questa applicazione, dall’altro credo serva una profonda riflessione sul fenomeno, che inizia senza dubbio da un punto: rilasciare informazioni di questo tipo in pasto ad entità quali i Social Media può essere nocivo? Chi conosce il mio “endorsement” può veicolare alcune informazioni piuttosto che altre nei miei confronti, o spingermi ad espormi in un modo piuttosto che in un altro avendo come cassa di risonanza il mondo intero, e di conseguenza esponendomi a pericoli terzi, quali ad esempio atti di persecuzione politica? La risposta non è scontata ne immediata, e richiede sicuramente studi più approfonditi sulla privacy dei dati che forniamo “volontariamente” al Social Media di turno, che spesso non forniscono una panoramica così ampia in tal senso.
h2>Big Brother is coming
Nonostante questo non vuole essere un tentativo di terrorismo psicologico, non è impensabile che i dati immagazzinati nei vari server sparsi per il mondo possano essere successivamente venduti a terze parti, in modo singolo o aggregato, che possono utilizzarli per i più disparati fini.
Il tutto sta nel nostro buon senso e nella nostra sensibilità in merito all’argomento sicurezza, ma immaginare uno o più Big Brothers che interagiscono per controllare ogni tappa della nostra vita, elezioni comprese visto che da queste spesso dipendono i nostri destini, sembra sempre meno lontano.
Salvo Bertoncini

American Crime Story- The People Vs OJ Simpson: quando la TV fa luce su aspetti taciuti

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E’ arrivata in Italia, da quasi un mese, una storia che in America ha letteralmente fatto andare “blew people’s minds” cioè fuori di testa le persone : stiamo parlando di American Crime Story “The People vs OJ Simpson”.
La serie rientra nel genere antologico criminale e racconta il caso di cronaca nera che vede protagonisti l’ex giocatore di football OJ Simpson , l’ex moglie Nicole Brown e un cameriere di nome Ronald Goldman. Gli ultimi due furono trovati morti nel giugno del 1994 all’ingresso della casa di Nicole Brown.
Per una serie di prove trovate dai poliziotti nei dintorni della casa del giocatore questo fu il primo indagato. Il fatto iniziò ad avere grande risonanza mediatica, sopratutto quando fu emesso il mandato di arresto contro OJ e il giocatore, insieme a un amico, scappò sulla sua Ford Bronco in un inseguimento che divenne famosissimo. Una nazione si fermò: la finale della NBA fu trasmessa in un quadratino rispetto alle riprese delle macchine che correvano sulla interstatale 405.
Fu un caso storico sia a livello mediatico che di tematiche, anche se il primo ebbe più influenza. OJ Simpson era un uomo conosciuto, sia per lo sport che per l’interpretazione in “Una pallottola spuntata”,  amato da tutti e di colore per cui, inutile da dire, che la carta del “razzismo” fu immediatamente utilizzata. In quegli anni a Los Angeles scoppiarono rivolte su rivolte, soprattutto per i comportamenti violenti della polizia nei confronti degli afroamericani e il caso Rodney King.
E’ una miniserie che ricostruisce minuziosamente i fatti, il circolo mediatico costruito attorno, ma soprattutto il profilo psicologico dei protagonisti: era questo che il cast stellare voleva trasmettere.
Sarah Paulson (American Horror Story, 12 anni schiavo, Carol) interpreta la procuratrice Marcia Clark “con empatia e nelle sue diverse sfumature” (parole della stessa donna) la quale fu denigrata dai media più per il suo aspetto fisico e per la sua vita privata che per il lavoro compiuto. Era invisa dalla giuria perché appariva schietta e sicura di sé quando stava semplicemente portando avanti la sua tesi cioè che OJ Simpson fosse colpevole e dovesse andare in prigione.
Courtney B. Vance (Law & Order CI , Space Cowboys) interpreta eccelsamente l’inarrestabile John Cochran avvocato di punta del dream team dei difensori di OJ, il quale tenne il caso soprattutto per la questione razziale.
Poi abbiamo Cuba Gooding Jr ( Jerry Maguire, Qualcosa è cambiato, The Butler) nel difficile ruolo di OJ Simpson il quale ha affermato di aver interpretato la parte alternando la convinzione di essere colpevole a quella di innocente, ed il risultato è ottimo.
John Travolta e Robert Schwimmer (Friends, Madagascar) interpretano rispettivamente l’avvocato Robert Shapiro (famoso avvocato delle star) e Robert Kardashian migliore amico di OJ Simpson il quale alla fine abbandonerà l’amico perché convinto fosse colpevole.
L’hanno definito il processo del secolo e questa miniserie potrebbe entrare nella storia ugualmente per la linearità della scrittura, la bravura del cast che riesce a coinvolgere lo spettatore analizzando la psicologia dei personaggi , persone le quali, nella maggioranza, sono ancora vive e vegete ed hanno trascorso quei 9 mesi di processo sotto la lente di ingrandimento dei media, trattati come carne da macello per vendere più copie dei tabloid. L’obiettivo è quello di ricordare che al centro del processo vi è la morte di due persone innocenti, omicidio che passò quasi in secondo piano.
L’esperimento è sicuramente riuscito, 40 minuti di intrigante televisione e buona recitazione. La Paulson e Vance sono incredibili , soprattutto se si tiene conto della notizia che la prima abbia girato contemporaneamente American Crime Story ed American Horror Story Hotel, facendo comprendere appieno il calibro di questa attrice.
Quando vediamo opere televisive come questa ci frulla in testa una domanda venata di amarezza : perché in Italia non riusciamo a girare serie tv di questo livello ?
Arianna De Arcangelis