Recuperare la performance dopo il lockdown: cos’è la memoria muscolare

Negli ultimi tempi le misure emergenziali per contrastare la diffusione del Covid-19 ci hanno imposto un lockdown che per sportivi e grandi atleti ha significato in certi casi l’impossibilità di allenarsi.

Giunti alla fase 2, non resta che iniziare nuovamente ad allenarsi per il proprio benessere psicofisico. Ma dopo un periodo di inattività muscolare è possibile recuperare facilmente e in tempi rapidi la propria forma fisica? Si sarà in grado di avere le stesse performance di prima? Le risposte a tali interrogativi sono fortunatamente affermative grazie all’esistenza di una vera e propria memoria intrinseca del muscolo, la cosiddetta “memoria muscolare”. In cosa consiste? Come funziona?

Per memoria muscolare si intende quel processo che consente ai muscoli di riacquisire il tono e il trofismo precedente a un periodo di  detraining o inattività fisica. La memoria muscolare quindi esiste, già nel 2016  Sharples ipotizzò una sorta di “Epimemoria” in topi, ma non furono effettuati degli studi sull’epigenetica in soggetti umani dopo una crescita muscolare (Sharples et a. 2016).

Il recupero della massa muscolare dopo una lunga pausa è possibile e sarebbe dovuto alla presenza delle cellule satelliti. Queste cellule sono localizzate sulla superficie delle fibre muscolari in corrispondenza del sarcolemma e consentono la rigenerazione del tessuto muscolare.

Durante l’omeostasi muscolare le cellule satelliti sono inattive. In seguito ad uno stimolo lesivo provocato o da un trauma o da uno stimolo allenante, si attivano, proliferano e si fondono con le miofibrille già presenti, permettendo la produzione di nuovo tessuto muscolare ovvero accrescendo la capacità di sintesi proteica.

Quindi, grazie a questa fusione, il nucleo appartenuto alla cellula satellite, viene incorporato dalla miofibra, che si troverà ad avere un pool di mionuclei aumentato. Numerosi studi hanno confermato che nonostante la perdita di massa muscolare, il numero di mionuclei rimane costante anche dopo un periodo di inattività caratterizzato da atrofia.

Nella fase di ripresa dell’allenamento muscolare i mionuclei si configurano come un substrato biologico, una sorta di memoria grazie alle loro caratteristiche epigenetiche, facilitando così il recupero dei muscoli e della forza muscolare.

Attualmente, conoscendo il valore preciso della vita media dei mionuclei, è impossibile identificare la durata della memoria muscolare, tuttavia si stima che la memoria muscolare potrebbe durare da quindici anni ad una vita intera.

Con riferimento all’ importanza della componente biologica della proliferazione delle cellule satelliti, è fondamentale evidenziare che la letteratura scientifica in merito non è concorde. La questione è molto controversa, tuttavia numerosi studi scientifici sostengono che il fattore principale nella determinazione della memoria muscolare sia di tipo neurale.

L’apprendimento motorio viene considerato il maggior responsabile della memoria muscolare. Basti pensare alcune attività complesse come andare in bicicletta, giocare a tennis, correre…

Nella fase di acquisizione delle suddette abilità è stata necessaria la volontà di compierle. Nello specifico, ogni singola azione è stata pensata a livello corticale, frazionata in singoli gesti motori; e solo successivamente, con una pratica costante è avvenuta una riorganizzazione neurale che ha permesso l’automatizzazione dei gesti.

Poter compiere dei gesti senza pensarci è indice di uno spostamento dell’attività da corticale a sottocorticale. Tutto ciò avviene anche nell’allenamento.

Per cui se in questo periodo in cui abbiamo smesso di allenarci e abbiamo perso la nostra massa muscolare, fortunatamente non abbiamo smarrito gli schemi motori appresi durante i nostri allenamenti.

Altro fattore importante è la metilazione del DNA, ovvero l’aggiunta di gruppi metilici (-CH3) in alcune regioni specifiche del nostro patrimonio genetico (da modificare), in quanto l’ipometilazione comporterebbe un invecchiamento del corpo e tra le conseguenze di quest’ ultimo vi sarebbe la perdita del trofismo muscolare.

Chi pratica sport, dopo un periodo di inattività  e riprende ad allenarsi, è in grado di recuperare una condizione prestativa elevata e la propria forma fisica prima rispetto a un neofita, in quanto l’allenamento comporta degli adattamenti cellulari complessi con riferimento non solo all’ipertrofia muscolare, ma ad adeguamenti neurologici delle placche motrici che permangono nel tempo.

 

Recenti sperimentazioni hanno dimostrato l’esistenza di una connessione tra attività muscolare e corteccia cerebrale. I dati emergono da un articolo di recente apparso sul Journal of Neurophysiology.  Il prof. Brian Clark, docente di fisiologia alla Ohio University  ha spiegato che si attivano le stesse parti del cervello impiegate nell’ attività muscolare anche quando l’attività viene immaginata. Il sistema nervoso è correlato alla performance muscolare, pertanto la forza muscolare non è esclusivamente determinata dalla massa.

I muscoli iniziano a crescere e la forza ad aumentare solo quando sia il  sistema nervoso sia il corpo hanno imparato, o per meglio dire “memorizzato” il movimento da compiere.

Lo studio dell’Università non dimostra che l’immaginazione dell’esercizio fisico faccia aumentare la forza, ma che il cervello possa rallentare o fermare l’atrofia muscolare. Pertanto l’immaginazione può risultare utile ai nostri muscoli.

 

                                                                                                               Daniela Cannistrà

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Il nuoto è davvero lo sport perfetto? Alcuni miti da sfatare

Il nuoto rappresenta uno degli sport più accessibili, praticato da persone di tutte le età, per i più svariati motivi. Da un punto di vista medico viene spesso consigliato come sport per risolvere o supportare molte condizioni: dal mal di schiena alla riabilitazione osteomuscolare, dal sovrappeso al controllo dello stress. Tutto ciò in virtù del fatto che è considerato un’attività a basso impatto sulle articolazioni; capace di allenare integralmente il corpo, coinvolgendo tutti i gruppi muscolari ed essendo un ottimo metodo per bruciare grassi e controllare il peso corporeo.

Tuttavia spesso non si ottengono i benefici sperati e, talvolta, il nuoto può risultare nocivo specie in determinate condizioni. Andiamo a sfatare o comunque a valutare meglio qualche mito legato alla pratica di questo sport.

• Il nuoto come “soluzione” al mal di schiena e ai problemi articolari.
Un’attività come il nuoto che non risente, in linea di massima, degli effetti della forza di gravità sembra perfetta per garantire uno sgravio del carico sulla colonna vertebrale, che a prima vista potrebbe apparire terapeutico.

Al contrario, sembrerebbe essere meglio sottoporre la colonna vertebrale alla gravità durante l’attività sportiva per migliorare la densità ossea. A conferma di ciò un recente studio afferma che anche la composizione del disco intervertebrale, implicato nelle ernie della colonna vertebrale, migliora con sport “gravitari” come la corsa. Inoltre uno studio mostra come non vi sia differenza nella prevalenza del mal di schiena tra chi pratica nuoto o sport di diverso tipo.

L’Isico (istituto scientifico italiano sulla colonna vertebrale) ha, tra l’altro, messo recentemente in evidenza che, al contrario di come viene spesso erroneamente suggerito, il nuoto non migliora la scoliosi bensì l’aggrava. In un campione di un centinaio di atleti agonisti praticanti lo sport si è notata un’accentuazione della cifosi toracica e delle asimmetrie del tronco.

Da considerare infine, specie per chi segue sessioni più intense di allenamento, che, per esempio, la gambata a delfino esercita un importante stress sulle strutture lombosacrali e può determinare l’insorgenza di patologie come ernie e spondilolisi (frattura posteriore della vertebra, a livello dell’istmo). La bracciata può provocare un danno cronico al cingolo scapolare che risulta essere a tutti gli effetti il “tallone d’Achille” dei nuotatori. La gambata a rana determina uno sforzo dei muscoli del bacino e degli adduttori degli arti inferiori. Inoltre eseguire la nuotata in maniera scorretta o sbilanciata potrebbe determinare degli squilibri tra le due metà del corpo.

Nonostante ciò il nuoto rappresenta un’ottima strategia per gestire il mal di schiena in tutti quei soggetti che, a causa di problemi agli altri inferiori o di gravi compromissioni della colonna vertebrale, difficilmente potrebbero praticare altri sport. Spetta al medico o al fisioterapista individuare la miglior soluzione sulla base delle proprie condizioni personali.

• Il nuoto come sport per aumentare la massa muscolare.
Seppur il nuoto agisca su molteplici gruppi muscolari, essere immersi in acqua non rappresenta la miglior condizione per favorire la crescita del muscolo. Le resistenze imposte dall’acqua non sono particolarmente alte, specie se si possiede una buona tecnica. Inoltre i muscoli più impiegati sono generalmente quelli del tronco e degli arti superiori, infatti le gambe presentano un ruolo meno importante e garantiscono più la stabilizzazione che la propulsione.

Man mano che si allungano le distanze le gambe diventano sempre meno utilizzate, così come nel complesso l’attività richiede meno forza e una minor massa. Infatti il fisico del nuotatore è definito (per una riduzione della massa grassa) ma non ipertrofico, specie in considerazione del fatto che un’eccesso di massa magra peggiora il galleggiamento.

L’uso di strumenti che aumentano le resistenze come carichi e palette può essere funzionale in alcuni periodi del programma di allenamento, ma se utilizzati troppo spesso potrebbero determinare un peggioramento della nuotata e uno stress articolare importante, soprattutto alle spalle e ai tendini dei muscoli che agiscono sull’arto superiore.

• Il nuoto come sport per dimagrire.
Il Centro per la prevenzione e controllo delle malattie suggerisce un’attività aerobica settimanale di 150 minuti al fine di controllare il peso corporeo.

Per aerobica si intende un’attività moderata che consente a quantità sufficienti di ossigeno di raggiungere i gruppi muscolari e permettere l’ossidazione dei grassi e il consumo completo degli zuccheri. Si tratta del metabolismo predominante negli atleti di medie e lunghe distanze e che meglio da la possibilità di perdere peso. Al contrario, il metabolismo degli sprinter è principalmente anaerobico, determinando una maggior produzione di acido lattico a partire dagli zuccheri e uno scarso consumo di lipidi.

Con l’obiettivo di dimagrire, quindi, l’impegno potrebbe tradursi in cinque corsette settimanali da mezz’ora, così come in tre nuotate da cinquanta minuti.

Mentre correre a basso ritmo per trenta minuti non rappresenta generalmente un grosso problema, l’utente medio che si approccia con meno esperienza o con meno allenamento a una pratica sicuramente meno naturale come il nuoto, difficilmente riesce a raggiungere cinquanta minuti complessivi di attività aerobica in una seduta di allenamento.

Secondo alcuni studi il metabolismo del nuotatore risulta essere prevalentemente anaerobico per distanze inferiori ai 200 metri. Per avere un vero impegno aerobico, che sfrutta anche le riserve di grassi, sarebbe necessario nuotare, a basso ritmo, distanze superiori ai 400 metri. Un’attività di questo tipo richiede una buona base tecnica e un allenamento non comune a tutti gli utenti.

Infine, d’altro canto, abbassando eccessivamente il ritmo, si rischia di finire per galleggiare passivamente con una velocità di avanzamento molto lenta, percorrendo nel complesso distanze molto brevi con una bassa spesa energetica.

Comunque, in generale, il raggiungimento del proprio obiettivo di allenamento è fortemente influenzato dalla tecnica di nuotata. Essa risulta essere fondamentale per aumentare le distanze percorse; permette di migliorare i tempi ed evita inutili sovraccarichi o squilibri muscolari. Chi si avvicina da poco allo sport deve considerare la possibilità di ricevere delle istruzioni per affinare il gesto atletico che, se migliorato, può ridurre enormemente la fatica garantendo migliori risultati in tempi più brevi.

Antonino Micari